- Con
sentenza in data 22 settembre 1997, il Pretore del lavoro di Firenze
accoglieva la domanda proposta da Mauro Bartoli e Mario Rasero nei
confronti dell'INPS dichiarando che i ricorrenti avevano diritto alla
rivalutazione, ai sensi dell'art. 13, comma 8, l. 27 marzo 1992 n. 257,
dei contributi versati all'ente per i periodi correnti dal 25 giugno
1968 al 31 ottobre 1982 per il Bartoli, e dal 15 maggio 1963 al 15 marzo
1984 per il Rasero.
- Gli
attori, a sostegno della loro domanda, avevano riferito di avere
lavorato alle dipendenze della ditta Sacelit - Nuova Sacelit svolgendo
mansioni impiegatizie ma sempre sottoposti, al pari degli operai, ad una
forte esposizione alle polveri d'amianto, materiale trattato e lavorato
in grandi quantità dalla loro datrice di lavoro, specie nel piazzale
antistante la collocazione dei loro uffici.
Il loro diritto alla rivalutazione contributiva, che aveva
trovato fondamento probatorio anche in sede di un accertamento eseguito
dai competenti uffici dell'INPS di Bergamo, era stato, pertanto,
ingiustamente negato in sede amministrativa.
- A
seguito di gravame dell'INPS, il Tribunale di Firenze, con sentenza del
25 febbraio 1998, respingeva l'appello e condannava l'Istituto al
pagamento delle spese del giudizio.
Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale osservava, sul
versante processuale, che non risultava fondato l'assunto dell'INPS
secondo il quale doveva nel giudizio in esame essere integrato il
contraddittorio nei confronti dell’INAIL e del datore di lavoro.
Ed invero, l'ottavo comma dell'art. 13 della legge n. 257/1992,
cosi come modificato dall'art. 1 del d.l. 5 giugno 1993 n. 169, regola
una fattispecie generatrice di uno specifico obbligo previdenziale a
carico dell'INPS, fondato su di un antecedente di fatto con caratteri
separati ed autonomi rispetto a quelli richiesti da altre forme di
tutela facenti capo al sistema di sicurezza sociale ed, in particolare,
la quello della protezione per le malattie professionali, assegnato alla
competenza dell'INAIL ai fini del relativo rischio assicurativo. In
particolare, il riferimento contenuto nel citato articolo 13 ai periodi
lavorativi soggetti all'assicurazione INAIL configura un mero richiamo
ad altra sfera di protezione, assunta come semplice parametro,
normalmente concomitante con le prestazioni rimesse in via autonoma
all'INPS perché attinenti al piano meramente previdenziale.
- Il
diritto pensionistico di cui al comma 8 dell’art. 13 si fonda così su
di un accertamento di fatto, solo in parte coincidente con quello posto
a base delle prestazioni contro le malattie professionali, a riprova
della consistenza di due diverse sfere di intervento, differenti e non
in grado di condizionarsi reciprocamente in termini di efficacia delle
rispettive prestazioni. L'inesistenza
di obblighi datoriali, antecedenti ed indispensabili al sorgere del
diritto alla supervalutazione pensionistica contemplata dal citato
articolo 13, escludeva la necessità della partecipazione del datore di
lavoro nel giudizio avente ad oggetto detto diritto.
- Nel
merito il Tribunale condivideva totalmente le argomentazioni del primo
giudice, secondo cui la norma invocata dai lavoratori richiedeva, quale
unico presupposto, una esposizione alle polveri di amianto per un
periodo superiore ai dieci anni. Esposizione
questa - chiariva il
giudice d'appello - che nel caso di specie non poteva negarsi atteso
l'accertamento eseguito dalla sede INAIL di Bergamo,da una parte, e
considerati i riferimenti testimoniali, dall'altra, che avevano
univocamente comprovato la pressoché costante presenza di una elevata
dose di polveri d'amianto nella zona circostante il posto di servizio
occupato dai lavoratori appellati nonché la ben più diretta ne di
essi, non solo all'atto del transito presso il piazzale delle
lavorazioni, ma anche al momento delle (frequenti) adibizioni alle
incombenze trattamento della sostanza che, come era incontestato, aveva
già provocato la morte di tre operai e la contrazione dell'asbestosi a
carico di un altro.
- Avverso
tale sentenza l'INPS propone ricorso per cassazione affidato ad un unico
articolato motivo. Resistono
con controricorso Mauro Bartoli e Mario Rasero, che hanno depositato
memorie ex art. 378 c.p.c.
-
MOTIVI DELLA DECISIONE
- 1.
Con il ricorso l'INPS deduce violazione e falsa applicazione dell'art.
13, comma 8, l. n. 257/1992, come modificato dal d.l. 169 /1993,
convertito con modificazioni in l. 271/1993 in relazione all'art. 360 nn.
3 e 5 c.p.c. Sostiene in particolare l'Istituto che il legislatore ha
previsto la concessione del beneficio rivendicato nella presente
controversia per un numero limitato di lavoratori interessati
(600/1200), che effettivamente avevano subito rischi per la salute a
causa di una particolare esposizione all'amianto, non avendo invece mai
ipotizzato la concessione del suddetto beneficio a tutti i lavoratori
che in qualche modo lavorano in luoghi di esposizione all'amianto. In
altri termini, l'esposizione all'amianto deve rappresentare per i
lavoratori un effettivo rischio assicurabile per la loro natura e,
quindi, comportare, per il singolo lavoratore e per gli specifici
particolari luoghi di lavoro, un inquinamento o rischio ambientale tale
da nuocere alla salute dei lavoratori stessi.
Ne consegue che non è sufficiente affermare che nella ditta
Sacelit vi erano polveri di amianto per farne scaturire la conseguenza
che tutti i dipendenti della stessa ditta avevano corso, per tutto il
periodo lavorativo ed in qualunque posto in cui avevano svolto la
propria attività, un rischio per la propria salute, essendo necessario
invece dimostrare la concentrazione minima di tollerabilità, i vari e
singoli posti di lavoro(ubicazione o semplice frequentazione
occasionale) succedutisi negli anni, nonché il periodo di effettiva
esposizione all'amianto, non considerando nei dieci anni e più (termine
di protrazione del lavoro richiesto per la rivalutazione dei periodi
assicurativi) le assenze prolungate, dovute, ad esempio, a servizio
militare, infortuni, malattie e ferie.
- Ribadisce
ancora il ricorrente istituto che la legge non prevede il beneficio
della rivalutazione contributiva per la semplice esposizione
all'amianto, ma piuttosto per una esposizione tale da dovere essere
assicurata dall'INAIL, dovendosi così fare riferimento quantomeno alla
concentrazione media annuale superiore a 0,1 fibre per cm. cubo su otto
ore al giorno, sulla base di criteri di giudizio mutuati dall'art.
24,comma 3, d. lgs. n. 277 del 1991.
- Orbene,
nel caso di specie non sembrava che fosse stata superata la detta misura
di esposizione all'amianto e che fosse stato seguito dalla impugnata
decisione il criterio del rischio individuale, che impone di valutare il
rischio specifico cui ciascun lavoratore, in relazione all'attività in
concreto spiegata ed ai luoghi in realtà frequentati, si sia esposto al
rischio amianto, con un accertamento analogo a quello che - anche
secondo l'indirizzo giurisprudenziale - deve essere seguito per la
ricorrenza delle condizioni necessarie al sorgere dell'obbligo di
assicurazione previsto dall'art. 153 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124.
- Evidenzia
al riguardo, infine, il ricorrente che la sentenza del primo giudice,
poi confermata sul punto dalla sentenza del Tribunale, si è basata su
di una attestazione dell'INAIL di Bergamo(ove ha sede la Nuova Sacelit
s.p.a circa lo svolgimento di attività lavorative soggette all'obbligo
del pagamento del premio supplementare contro l'asbestosi e le
lavorazioni di cui alla tabella 8 allegata al d.p.r. n. 1124/1965,
mentre tale attestazione nessun -riferimento conteneva in relazione
all'effettiva realtà aziendale di Firenze, presso la quale avevano
operato i lavoratori Bartoli e Rasero, tanto vero che l'INPS, a
conoscenza di tale realtà, aveva negato l'esposizione al rischio dei
suddetti lavoratori.
- 2.
Il ricorso è fondato nei limiti che si vanno ad individuare.
- Al
fine di un ordinato iter motivazionale è opportuno che l'esame parta
dall'individuazione del dato normativo, destinato a regolare la
fattispecie in oggetto.
- La
questione sottoposta all'esame di questa Corte concerne l'applicabilità
ai lavoratori Bartoli e Rasero dell'ottavo comma dell'art. 13 della
legge 27 marzo 1992 n. 257, il cui testo vigente è il seguente:"Per
i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo
superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto
all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è
moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente di 1,5”.
- Va
premesso che la legge n. 297 del 1992 - che contiene la specifica
disposizione la cui interpretazione è oggetto della presente
controversia reca come titolo "Norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto", ed in effetti vieta, a decorrere da
trecentosessantacinque giorni dalla sua entrata in vigore, “l'estrazione,
l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione
di amianto e dei prodotti contenenti amianto .... “(cfr.
art. 1, comma 2,1. n. 297/1997).
- E'
stato da questa Corte già affermato, in linea con quanto sostenuto
anche in dottrina, che lo scopo della legge, quale si evince dal
complesso delle sue disposizioni, è quello di "sostenere" i
lavoratori destinati a perdere il posto di lavoro in conseguenza della
soppressione delle lavorazioni dell'amianto, precisandosi al riguardo
che il sostegno si materializza attraverso l'erogazione del trattamento
straordinario di cassa integrazione e con norme che consentono di
conseguire la pensione di vecchiaia o di anzianità - che
prevedibilmente non maturerebbero essendo difficile una nuova
collocazione sul mercato del lavoro - tramite il prepensionamento o
attraverso una supervalutazione dei periodi assicurativi di esposizione
all'amianto (cfr. in tali sensi : Cass. 27 ottobre 1998 n. 10772; Cass.
7 luglio 1998 n. 6620).
- 2.1.
Sempre per permettere un più agevole approccio
con una normativa, caratterizzata da limiti non certo marginali
in termini di chiarezza e di completezza, è anche utile qualche accenno
all'iter parlamentare della già riportata disposizione dell'art. 13,
comma 8, l. n. 297/1992, ed in speciale modo delle modifiche apportate
al testo iniziale della disposizione stessa.
- Nella
sua iniziale formulazione la norma in esame disponeva la rivalutazione
dei periodi soggetti ad assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti da esposizione ad amianto, gestita dall'INAIL,
quando detti periodi superavano i dieci anni.
Con tale normativa, veniva osservato da più parti, il
legislatore aveva inteso riconoscere ai lavoratori, che erano stati a
lungo in contatto con l'amianto, la possibilità di tornare a disporre,
attraverso 1 'anticipato accesso alla pensione, di quel tempo libero di
cui meritavano di usufruire in ragione della probabilità di
manifestazione di una malattia professionale conseguente, appunto, ad
una esposizione cumulativa e duratura di una sostanza particolarmente
insidiosa perché responsabile di gravi patologie (asbestosi,
mesotelioma, ecc.).
- Una
prima modifica dell'originario testo si ebbe con il decreto legge 5
aprile 1993 n. 95 che, individuando nei lavoratori delle imprese di cui
al primo comma dell'art. 1 della legge n. 257 del 1992 i destinatari del
beneficio della supervalutazione del periodo contributivo, ed
affrontando per la prima volta il problema dell'oggetto della
rivalutazione, disponeva che detta rivalutazione interessava
“l’intero periodo" lavorativo soggetto
all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall'esposizione all'amianto, ponendo così fine a possibili
operazioni ermeneutiche dirette a computare, invece, ai fini della
supervalutazione dei contributi, solo il periodo eccedente i dieci anni
di esposizione idonei a far sorgere il diritto al beneficio.
- La
non conversione del suddetto decreto, che aveva nel frattempo
determinato il ritorno a pieno regime dell'originario testo legislativo,
e l'intento di delimitarne più chiaramente l'ambito operativo,
condussero al d.l. 5 giugno 1993 n. 169 che, pur mantenendo la scelta di
consentire la rivalutazione dell’intero periodo contributivo soggetto
all' assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti da esposizione ad amianto, con una soluzione sicuramente più
rigorosa di quella precedente, limitava il riconoscimento del beneficio
ai soli “lavoratori dipendenti di imprese che estraggono o
utilizzano amianto come materia prima”.
- In
sede di conversione il suddetto d.l. 169/93 fu, però, modificato perché
non si ritenne giusto far riferimento alla tipologia delle imprese per
determinare la concessione del beneficio, come è dato ravvisare negli
atti parlamentari (seduta del 12 luglio 1993), dove tra l'altro fu detto
che con il testo iniziale del decreto “non avrebbero potuto
accedere al beneficio del coefficiente moltiplicatore coloro che, pur
avendo esercitato per più di dieci anni mansioni per le quali erano
stati esposti all'amianto, hanno cambiato attività o impresa, in
dipendenza del rischio asbestosi “, e dove si precisò pure che
“non si possono dimenticare i lavoratori di imprese che nel
frattempo sono fallite, e che si trovano in lista di mobilità.
Solo con un provvedimento che renda loro applicabile la
maggiorazione previdenziale questi lavoratori avranno equità e
giustizia, perché per il solo motivo di avere lavorato l'amianto e per
il carattere morbigeno di tale lavorazione non trovano spazi sul mercato
del lavoro, ormai tutto nominativo”.
- La
legge del 4 agosto 1993 n. 271, di conversione del decreto, non resse
quindi al confronto parlamentare sicché venne eliminato il riferimento
ai lavoratori di “imprese che estraggono o utilizzano amianto come
materia prima “ e si seguì una soluzione che, tenendo conto della
capacità di produrre danni sull'organismo in relazione al tempo di
esposizione, consente una maggiorazione dell’ anzianità contributiva
per tutti i dipendenti che siano esposti all'amianto per più di dieci
anni.
- 3.
Nonostante i ripetuti interventi manipolativi sull'originario testo
dell'art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257, la suddetta disposizione
nel suo vigente testo ha continuato ad alimentare numerose incertezze
interpretative.
- E
il settore, dove forse maggiormente si sono manifestati dubbi tra gli
operatori del diritto, riguarda l'ambito applicativo del comma 8 del
citato articolo 13.
- Ed
invero un primo orientamento, seguito nella sentenza impugnata, dopo
avere sottolineato i diversi campi in cui sono chiamate ad operare la
tutela previdenziale e quella infortunistica, rifiuta ogni riferimento
alla normativa in materia di infortuni e malattie professionali e,
specificamente ogni richiamo alla disciplina riguardante l'INAIL, al
fine di delimitare l’ambito applicativo della norma in esame. Detto
orientamento, conclusivamente, ritiene che destinatari del beneficio
siano dunque tutti indistintamente i lavoratori che siano stati di fatto
esposti ad amianto per più di dieci anni, senza che assuma alcun valore
se l'amianto venga impiegato, ed in che misura, nei cicli produttivi o
se,viceversa, sia genericamente presente negli ambienti di lavoro.
- Un
opposto indirizzo ha, di contro, denunciato l'insostenibilità di
opzioni ermeneutiche, dirette da in lato ad estendere eccessivamente
l'area dei destinatari del beneficio in assenza di ogni attendibile
(anche in ragione del numero non agevolmente calcolabile degli
interessati) previsione di bilancio, e dall'altro a denunziare una
lettura del testo normativa che, per la sua indeterminatezza, avrebbe
potuto condurre a soluzioni ingiuste e prive di coerenza logica.
- 4.
In questo contesto i sostenitori del secondo indirizzo hanno in
particolare evidenziato che una interpretazione dell'art. 13, ottavo
comma, l. 257/1992, diretta ad attribuire a tutti i lavoratori dei quali
sia stata provata una qualunque esposizione ultradecennale all'amianto,
a prescindere dal grado di essa e che
non utilizzi dei precisi standards di riferimento verrebbe a porsi in
contrasto con l'art.3 Cost., perché si tradurrebbe in una applicazione
in sede giudiziaria tale da consentire uguali decisioni per casi di ben
diversa pericolosità o, viceversa, decisioni diverse per casi
sostanzialmente uguali. In
sede amministrativa, poi, l'esecuzione della summenzionata norma
finirebbe per essere affidata alla mera discrezionalità della pubblica
amministrazione.
- E,
sempre nell’ottica di evitare soluzioni dirette a patrocinare
interpretazioni eccessivamente estensive del dato normativo, l'indicato
orientamento ha prospettato dubbi di costituzionalità in termini di
violazione del disposto dell'art. 81, quarto comma, Cost., per non avere
il legislatore previsto - in ragione di quanto emergeva dal procedimento
approvativo della legge e in ragione di quanto sarebbe scaturito da
effetti non facilmente parametrabili in termini di esposizione
finanziaria - la "conseguenziale”copertura
delle spese dello Stato.
- Chiamata
a decidere sulla fondatezza di siffatti dubbi, la Corte costituzionale
con pronunzia del 12 gennaio 200 n. 5
ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità -
sollevate in riferimento all’art. 3 e 81 della Costituzione -
dell'art. 13 comma 8, della legge 27 marzo1992 n. 257 (come modificato
dall'art. 1, comma 1, del d.l. 5 giugno 1993 n. 169, convertito con
modificazioni nella legge 4 agosto 1993 n. 271) in tema di contribuzione
aggiuntiva per i lavoratori che, pur non avendo contratto malattia,
siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni.
- Il
ragionamento seguito dal giudice delle leggi si articola nei seguenti
passaggi: a) l'art. 13, comma può trovare, attraverso la convergenza
degli ordinari criteri ermeneutici (letterale, sistematico e
teleologico) , congrua definizione nella sua portata, in vista della sua
piana e puntuale applicazione, dovendosi escludere che la disposizione
in esame si configuri “in guisa tale da inibire in virtù della
latitudine del suo dettato, ogni possibilità di sua ragionevole
interpretazione ed applicazione, sì da risultare portatrice di una
ingiustificato omologazione di situazioni tra loro diverse”; b) lo
scopo della disposizione va rinvenuto nella finalità di offrire ai
lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile
periodo di tempo (10 anni) un beneficio correlato alla possibile
incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano
potenzialità morbigene; c) il criterio decennale costituisce un dato di
riferimento tutt'altro che indeterminato, specie se si considera il suo
collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema
generale di assicurazione obbligatoria contro le malattia professionali
derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL; d) il concetto di
esposizione ultradecennale, coniugando l'elemento temporale con quello
di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela
previdenziale (art. 1 e 3 del d.p.r. n. 1124 del 1965), viene ad
implicare, necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente di
rischio morbigeno rispetto alle patologie, quale esse siano, che
l'amianto è capace di generare per la presenza nell'ambiente di lavoro;
e) una siffatta evenienza è tanto pregiudizievole da indurre il
legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo
di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che segna la
soglia minima del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto
1991 n. 277 e successive modifiche); f) la disposizione in esame poggia,
dunque, su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal dato di
riferimento temporale sia
da quella nozione di rischio che, come noto, caratterizza il sistema
delle assicurazioni sociali, con l’ulteriore conseguenza che,
essendosi in presenza di “un precetto adeguatamente definito negli
elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto, e congruamente
correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso, non vulnera, in
conclusione, il parametro dell'art. 3 della Costituzione “; g) una
volta accertata l'infondatezza della censura di incostituzionalità,
basata sull'art.3 Cost. e sulle “ulteriori implicazioni derivanti
...... sul piano della supposta indeterminabilità dei destinatari e
della conseguente impossibilità di stabilire l'entità degli oneri
finanziari connessi alla norma”, è destinata a cadere anche la
censura incentrata sulla presunta violazione dell'art. 81, 4 comma, Cost.,
sia perché “non manca nella legge in esame una specifica
disposizione di copertura finanziaria delle spese derivanti dal
denunciato art. 13, comma 8 “, sia perché "la copertura
stessa è stata a suo tempo ritenuta adeguata dalla Corte dei Conti,
nell'esercizio della funzione di referto quadrimestrale del Parlamento
sulle leggi di spesa (vedi delibera n. 6/REF/93 del 5 novembre 1993) “.
- Orbene,
dall'intero contesto motivazionale della decisione della Corte
Costituzionale si ricava il deciso rifiuto - anche per le conseguenze
derivanti, contro il dettato dell'art. 81, comma 4, Cost., in termini di
non calcolabile esposizione della spesa pubblica –di ogni
interpretazione dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 diretta
ad stendere il beneficio della sopravalutazione della contribuzione
previdenziale a tutti indistintamente lavoratori addetti, per oltre
dieci anni, a lavorazioni che comunque li abbiano esposti ad inalazioni
di fibre di amianto. Corollario
di un siffatto rifiuto è poi la necessità, a più riprese avvertita
dai giudici della legge, di agganciare detta esposizione a dei chiari
standards parametrici di rischio, che limitino la platea dei beneficiari
e valgano a fondare la disposizione in esame su ragioni
logico-giuridiche capaci di sottrarla ad ogni applicazione diretta a
violare il fondamentale principio di cui all'art. 3 Cost.
- 5.
La lettura della norma seguita dalla Corte Costituzionale è stata
oggetto di critica sotto due diverse, e contrapposte,ottiche.
- Da
una parte, si è infatti lamentato che il non avere dichiarato
incostituzionale la norma sottoposta allo scrutinio di legittimità
aveva - nonostante le argomentazioni sul punto dalla Corte
Costituzionale – portato ad una estensione pur essa eccessiva del dato
normativo con la conseguenza di una esposizione finanziaria ben al di là
di quella contemplata dal legislatore.
Per di più, la soluzione adottata con il graduare il beneficio
contributivo in ragione del mero riscontro del rischio e non della
concretizzazione di tale rischio con la contrazione del male, veniva ad
alterare il sistema delle assicurazioni sociali gestito dall’ INAIL ed
istituzionalmente rivolto, dapprima a coprire il rischio, a mezzo dei
contributi graduati sull'entità del rischio medesimo, e di poi
a coprire il danno allorquando questo si fosse verificato.
- Sul
versante opposto si sono sollevate riserve alla decisione della Corte
nella parte in cui la stessa ha mostrato di condividere una lettura del
dato normativo volto a parametrare,
al fine del riconoscimento del beneficio previdenziale, la soglia
del rischio sui valori di esposizione all'amianto di cui all'art. 24 del
d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277 (e successive modificazioni),con una
sovrapposizione, qualificata discutibile, di due distinti profili
normativi (l'uno attinente all'an e l'altro al quantum),
ed utilizzando un criterio, ritenuto impraticabile, di preclusioni del
sistema assicurativo – come discrimine tra l’esposizione rilevante e
quella irrilevante ai fini della rivalutazione contributiva.
- In
questa stessa direzione si è, infine, addebitato alla Corte di avere -
con il richiamo al d. lgs. n. 277/1991 e con il fare coincidere,
appunto, l’esposizione rilevante (ai fini del riconoscimento del
beneficio previdenziale) con le regole proprie della legislazione
prevenzionale - finito per neutralizzare l'intervento del D.M. 336/1994,
che ha da ultimo individuato le lavorazioni a rischio, come quelle che
“comunque espongono all'inalazione di fibre di amianto”, ed
alla cui stregua dovrebbe riconoscersi il suddetto beneficio anche a
quei lavoratori, inseriti in realtà produttive nelle quali, pur
verificandosi dispersione di fibre di amianto, si presenta un rischio
inferiore a quello richiesto per rendere operanti gli obblighi
prevenzionali di cui al già menzionato d. lgs. 277/1991.
- 6.
Nell'esame delle indicate critiche,va osservato, in primo luogo che
l'assunto diretto ad assegnare valore al D.M. 336/1994, in luogo del d.
lgs. n. 277/1991, al fine di individuare l'ambito applicativo del
disposto dell’art. 13, comma 8, l. 257/1992, oltre a risultare
infondato ratione temporis, appare insostenibile, anche sul piano
logico-giuridico in quanto tende ad equiparare situazioni non affatto
assimilabili.
- Nel
sistema assicurativo, l'indicazione dell'allegato 8 al d.p.r. 30 giugno
1965 n. 1124 - riguardante i "lavori....che comunque espongano
inalazione di polvere di amianto" - risponde all’esigenza,
sottesa a ciascuna lavorazione tabellata, di far ritenere provato il
nesso eziologico tra malattia professionale e lavorazione.
Altre finalità persegue invece il citato comma ottavo dell'art.
13, atteso che il beneficio pensionistico destinato ad operare in un
diverso contesto fattuale, che prescinde dal verificarsi della malattia,
sicché può affermarsi sinteticamente che mentre quest'ultima
disposizione spiega i suoi effetti antecedentemente all'infermità, che
può anche non manifestarsi, il sistema basato sull'allegato 8 al d.p.r.
n. 1124/1965 è destinato, di contro, ad operare se, ed in quanto, si
manifesti l'infermità tabellata.
- Tutto
ciò rende impraticabile una interpretazione diretta a patrocinare una
soluzione che assegni al D.M. 336/1994 una capacità di incidere in un
ambito diverso da quello suo proprio, e che per di più finisca per
assegnare alla legge n. 257 del 1992 un intento destinato a completarsi
sulla base di interventi normativi futuri.
- Quanto
all'obiezione, poi, secondo cui si sarebbe introdotto a seguito
dell'intervento della Corte Costituzionale una innovazione, diretta a
contraddire tutte le regole sottese alle assicurazioni sociali
perché volta alla monetizzazione del mero rischio e non della
malattia, è agevole rilevare come una siffatta argomentazione non
consenta in alcun modo di considerare illegittimi, e privi di
giustificazione sociale, quei benefici, come quello in oggetto, che
vengono attribuiti - in attuazione dei principi di solidarietà di cui
è espressione l'art. 38 Cost. - in funzione compensativa dell'obiettiva
pericolosità dell'attività lavorativa spiegata.
- 7.
Si è già ricordato che la Corte Costituzionale nella citata decisione
n. 5 del 2000 ha sottolineato come l'interpretazione della norma in
esame debba seguire i generali criteri "letterale, sistematico e
teleologico". Ed una corretta applicazione di detti criteri rende
certa la conclusione cui la Corte stessa è giunta.
- Una
lettura dell'intero articolo 13 l. n. 257/1992 attesta, a fronte
di lavorazioni importanti l'impiego di amianto,
una volontà di parametrare i benefici da
riconoscere agli addetti a tali lavorazioni all' entità del
rischio di esposizione, riconoscendo una posizione privilegiata ai
lavoratori che, per essere stati occupati in imprese che utilizzavano o
estraevano amianto, risultavano maggiormente esposti al rischio di detto
materiale. Ed una tale
lettura, che induce a rifiutare soluzioni dirette ad attribuire benefici
non certo marginali (quali quelli di cui si discute), a tutti
indistintamente i lavoratori addetti ad ogni tipo di lavorazione
comunque importante esposizione a polvere di amianto - e quindi anche ai
lavoratori soggetti ad esposizioni al rischio meno significative - trova
conforto anche nella lettera del comma ottavo dello stesso articolo 13.
Detta disposizione nel richiamare, ai fini del beneficio
pensionistico, il periodo lavorativo soggetto "all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali... gestita
dall’INAIL" non può che avere voluto sottolineare un
collegamento tra tempo di esposizione (ultradecennale) e lavorazioni con
valori di esposizione legislativamente ritenuti a rischio, individuabili
in quelli indicati negli artt. 24 e 31d. lgs. n. 277/1991, il cui
superamento faceva - già in epoca antecedente l'entrata in vigore della
legge n. 257 del 1992 - precisi obblighi di prevenzione a carico degli
imprenditori con lavorazioni interessate da polveri provenienti
dall’amianto(cfr. commi 4,5,6,7 e 8 art. 31, d. lgs. n. 277/1991).
- Ma
anche ulteriori motivi di ordine logico-sistematico militano a favore
della soluzione suggerita dai giudici delle leggi.
- La
legge 27 marzo 1992 n. 257 ha proibito a partire dal
trecentossessantacinquesimo giorno dalla data di entrata in vigore della
legge stessa “l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o
di prodotti contenenti l'amianto, ivi compresi quelli di cui alla
lettere c) e g) della tabella allegata alla presente legge, salvo
diversi tempi previsti per la cessazione della produzione e della
commercializzazione dei prodotti di cui alla medesima tabella”(cfr.
art. 1, comma 1).
- La
stessa legge ha poi previsto espressamente tra le sue finalità anche
“ ... la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica
delle aree interessate all'inquinamento di amianto, per la ricerca
finalizzata alla individuazione di materiali i sostitutivi e alla
riconversione produttiva e per il controllo sull'inquinamento da amianto”(cfr.
art 1, comma 1).
- La
legge stessa ha ancora - anche in previsione delle numerose dismissioni
di imprese, rientranti tra quelle di cui essa stessa vietava l'esercizio
- contemplato con l'articolo 13 meccanismi diretti a
conseguire la pensione di vecchiaia e di anzianità, attraverso
il prepensionamento.
- Come
si evince dalle disposizioni sopra riportate, il legislatore non poteva
non tenere presente che l'attuazione delle finalità previste dalla
legge n. 257 del 1992 non poteva che avvenire con gradualità con una
pluralità di interventi, che andavano dalla chiusura delle imprese a più
esteso rischio(imprese che utilizzavano o impiegavano come materia prima
l'amianto) sino al sostegno ad altre imprese che invece, per presentare
più basse e meno pericolose esposizioni di amianto, potevano continuare
a svolgere la propria attività previa operazioni di “decontaminazione
e bonifica delle aree interessate dall'inquinamento di amianto”.
E risponde a criteri di coerenza logica, da presumersi essere
sottesi ad ogni intervento legislativo, ritenere che il legislatore
abbia tenuto presente - nel momento in cui andava a modellare i suoi
interventi su un assetto industriale caratterizzato da un vasto panorama
di imprese esposte in maniera differenziata al rischio amianto - il già
citato decreto 15 agosto 1991 n. 277 che, in attuazione delle direttive
europee (in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi
derivanti da esposizione di agenti chimici), fissava i limiti di
concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro,
stabilendo, anche, in caso di necessità di svolgimento dell'attività
lavorativa e di impossibilità di rimuovere le cause di inquinamento con
misure adeguate, “tutte le misure di protezione dei lavoratori
addetti e dell'ambiente, tenuto conto del parere del medico competente
“ (cfr. commi 4 e 5 art. 31 d. lgs. 277/1991, cui adde più di
recente in relazione ai valori limite l'art. 16 l. 24 aprile 1998 n.
128, che al d. lgs. n. 277/1991 si richiama).
- Orbene,
sempre nel rispetto di criteri di elementare razionalità da cui partire
nella lettura di ogni disposizione normativa pur priva della necessaria
chiarezza, deve escludersi che il legislatore del 1992, abbia voluto
attribuire il beneficio pensionistico in esame a tutti i lavoratori
comunque esposti ad inalazioni di amianto anche di minima entità, abbia
cioè voluto attribuire detto beneficio anche a coloro, destinati a
spiegare la loro attività in ambienti oggetto dell'opera di bonifica e
delle misure di prevenzione (di cui al decreto legislativo attuativo
delle direttive comunitarie), suscettibili di rendere
"respirabile" - come doveva poi essere espressamente affermato
dall'art. 16, comma 1, l. n. 128 del 1998
- la concentrazione di fibre di amianto destinata a rimanere al
di sotto dei valori limite legislativamente fissati.
- E
questa conclusione riceve un decisivo avallo dalla considerazione che
una interpretazione come quella sostenuta dagli attuali resistenti
finirebbe per legittimare un notevole “sforamento” di
ogni pur attendibile previsione di spesa, che studi di settore
indicavano interessare 1200 lavoratori,con un importo ammontante a circa
72 miliardi.
- 8.
Ma il ricorso risulta fondato anche nella parte in cui invoca una
valutazione soggettiva del rischio di esposizione, tale cioè da
correlarsi alla posizione del singolo lavoratore.
- Ed
invero, la ratio
e le finalità caratterizzanti il beneficio in oggetto importano un
esame che, per quanto attiene al periodo ultradecennale dell'esposizione
al rischio ed alla misura di detta esposizione, deve avere riguardo alla
singola collocazione lavorativa.
- In
tale compito valutativo il
giudice di merito deve, pertanto, muoversi nei limiti già tracciati
dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'assicurazione
per le malattie professionali, e deve pertanto accertare - nel rispetto
dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2967 c.c.
(sempre che non voglia avvalersi dei poteri di ufficio riconosciuti ad
esso nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del
beneficio in esame, dopo avere indicati e provati sia la specifica
lavorazione praticata sia l'ambiente dove ha svolto per più di dieci
anni detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente
presentava una concreta esposizione al rischio delle polveri di amianto
con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto
legislativo n. 277 del 1991 (in tema di assicurazione obbligatoria per
le malattie professionali della silicosi e dell'asbestosi, derivanti da
silice libera e da polveri di amianto, vedi Cass. 28 marzo 1986 n. 2230;
Cass. 17 gennaio 1986 n. 321, cui adde,
più in generale, per la concreta esposizione a rischio ambientale e per
la sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso, Cass.
3 marzo 1997 n. 1875).
- E’
evidente che la necessità della personalizzazione del rischio si
riscontra anche per quanto attiene al computo del periodo ultradecennale
di esposizione, ritenuto dalle legge condizione per il godimento del
beneficio pensionistico. Ed
infatti, pure in relazione al requisito temporale dovrà considerarsi la
posizione lavorativa di ogni singolo lavoratore, con l'avvertenza che
nel periodo in questione dovranno essere computate le pause
"fisiologiche" proprie di tutti i lavoratori (riposi, ferie,
festività), e che rientrano nella normale evoluzione del rapporto in
quanto conseguenti alla rilevanza del tempo delle prestazioni spiegate.
- 9.
Le ragioni sinora esposte portano all'accoglimento del ricorso, con la
conseguente cassazione della impugnata sentenza.
- Alla
stregua dell’art. 384 c.p.c. , essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa va rimessa ad un diverso giudice
d'appello, che si designa nella corte d'appello di Firenze , che
nell'esaminare nuovamente la controversia dovrà attenersi al seguente
principio :”Il disposto del comma 8 dell’art. 13 della legge 27
marzo 1992 n. 257 ("Norme relative alla cessazione dell'impiego
dell'amianto”) va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici
letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso
va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano
valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli
consentiti dagli artt. 24 e 31 d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277.
Nell'esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il
giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di
ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. - se colui che ha
avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la specifica
lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni
(periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche"
proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta
lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una
concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori
limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del
1991”.
- 10.
Al giudice di rinvio va rimessa la statuizione anche sulle spese del
presente giudizio di cassazione.
- P.Q.M.
- la
Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla
Corte d'appello di Firenze anche per le spese del presente giudizio di
cassazione.
- Così
deciso in Roma il 15.1. 2001 depositata
in cancelleria il 3.4.2001
-