Corte di cassazione, sezione lavoro
sentenza 15 maggio 2002, n. 7084 |
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SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO Con
due distinti ricorsi, depositati rispettivamente il 2 ed il 29 dicembre 1997,
Mario Corradini e Riccardo Cattolica, premesso di avere lavorato alle
dipendenze della società Gestioni Industriali S.p.A. con sede in Civitanova
Marche e di essere stati esposti all'amianto a causa ed in occasione dello
svolgimento delle prestazioni lavorative, chiedevano che il Pretore di Fermo,
accertata tale situazione, dichiarasse il loro diritto ai benefici
pensionistici di cui all'art. 13, comma 8, l. 257/1992 e, conseguentemente,
dichiarasse l'INAIL e l'INPS, convenuti in giudizio, tenuti agli adempimenti
di rispettiva competenza, con condanna del secondo alla erogazione del
relativo trattamento pensionistico. Entrambi
gli Istituti si costituivano, contestando le domande di cui chiedevano il
rigetto. Con
sentenza n. 110/98 il Pretore, riuniti i giudizi, all'esito della espletata
prova per testi ed alla acquisizione di documentazione, condannava l'INPS ad
applicare ad entrambi i ricorrenti il richiesto beneficio, mentre rigettava la
domanda avanzata nei confronti dell'INAIL. Avverso
tale decisione proponeva appello l'INPS, con ricorso depositato il 30 luglio
1998, deducendo che per il riconoscimento del beneficio pensionistico invocato
non era sufficiente la esposizione all'amianto per oltre dieci anni, come
ritenuto dal Pretore, ma era necessario altresì accertare l'entità della
esposizione subita e, cioè, verificare che la esposizione all'amianto avesse
determinato concretamente la insorgenza di un rischio indennizzabile
dall'INAIL (nella specie, rischio dell'asbestosi). I
lavoratori si costituivano, riportandosi a quanto esposto nel corso del
giudizio di primo grado e chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Si
costituiva anche l'INAIL, dolendosi della formula, adottata dal Pretore, di
rigetto, anche nei propri confronti, della domanda dei ricorrenti, avanzata,
in effetti, solo nei confronti dell'INPS. Con
sentenza del 28 maggio-12 agosto 1999, l'adito Tribunale di Fermo confermava
la sentenza di primo grado, ritenendo sufficiente, ai fini del riconoscimento
dei richiesti benefici, la sola esposizione all'amianto per oltre dieci anni.
Dichiarava, inoltre, l'inammissibilità della richiesta dell'INAIL perché non
proposta nelle forme dell'appello incidentale. Per
la cassazione di tale sentenza ricorre l'INPS con un unico motivo. L'INAIL
resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale
condizionato. Resistono
anche Mario Corradini e Riccardo Cattolica con controricorso. L'INAIL
ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. MOTIVI
DELLA DECISIONE Va
preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art.
335 c.p.c.). Con
l'unico motivo di ricorso, l'INPS, denunciando violazione dell'art. 13, comma
8, della l. n. 257 del 1992, come modificato con d.l. n. 169 del 1993,
convertito in l. n. 271 del 1993, e vizi di motivazione, censura la sentenza
impugnata per aver erroneamente interpretato la disposizione del comma 8, nel
senso che per il riconoscimento del beneficio pensionistico invocato sarebbe
sufficiente la esposizione all'amianto per oltre dieci anni, mentre era
necessario, altresì, accertare l'entità dell'esposizione a rischio e, cioè,
verificare che la esposizione all'amianto avesse determinato concretamente la
insorgenza di un rischio indennizzabile dall'INAIL (nella specie, rischio di
asbestosi). Secondo
l'Istituto, infatti, il legislatore avrebbe previsto la concessione del
beneficio, rivendicato nella presente controversia, per un numero limitato di
lavoratori interessati (circa 2000 per il biennio 1994-95), che effettivamente
avevano subito rischi per la salute a causa di una particolare esposizione
all'amianto, non avendo invece mai ipotizzato la concessione del suddetto
beneficio a tutti i lavoratori che in qualche modo lavorano in luoghi di
esposizione all'amianto. Ne
discende che non sarebbe sufficiente affermare - come affermato dal Tribunale
- che "i sigg.ri Corradini e Cattolica hanno prestato attività
lavorativa consistente nella riparazione e manutenzione di vagoni ferroviari e
quindi di manutenzione nei quali l'amianto era presente (quale materiale
isolante)...", per farne scaturire la conseguenza che tutti i dipendenti
della stessa ditta avevano corso, per tutto il periodo lavorativo ed in
qualunque posto in cui avevano svolto la propria attività, un rischio per la
propria salute, essendo necessario invece dimostrare la concentrazione minima
di tollerabilità, i vari e singoli posti di lavoro (ubicazione o semplice
frequentazione occasione) succedutisi negli anni, nonché il periodo di
effettiva esposizione all'amianto. Ribadisce
anche il ricorrente Istituto che la legge non prevede il beneficio della
rivalutazione contributiva per la semplice esposizione all'amianto, ma
piuttosto per una esposizione tale da dovere essere assicurata dall'INAIL,
dovendosi così fare riferimento quantomeno alla concentrazione media annuale
superiore a 0,1 fibre per cm. buco su otto ore al giorno, sulla base di
criteri di giudizio mutuati dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 277 del 1991. Il
motivo è fondato. Come
è noto, la norma dell'art. 13, comma 8, della l. 27 marzo 1992, n. 257, come
sostituito dall'art. 1 del d.l. 5 giugno 1993, n. 169, a sua volta modificato
dalla legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, su cui si fonda il diritto
azionato, finalizza il beneficio da essa assicurato ai lavoratori che siano
stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, a una più
rapida acquisizione dei requisiti contributivi utili per il conseguimento
delle prestazioni pensionistiche attraverso il meccanismo della
moltiplicazione per il coefficiente 1,5 dell'intero periodo lavorativo
soggetto ad assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL. In
ordine alla sua interpretazione, questa Corte ha avuto modo di chiarire,
attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla pronuncia 12 gennaio
2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non fondatezza delle
questioni di costituzionalità della norma in oggetto, sollevate in
riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera della legge
di conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel testo
originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169
del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o
utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o
sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia
significativa dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione
soggettiva che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività
produttiva del datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità
all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette
all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall'amianto, per la presenza, nel circolo produttivo o, comunque,
nell'ambiente di lavoro, di valori di rischio superiori a quelli consentiti
dagli artt. 24 e 31 del d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277; così riconoscendo il
diritto alla ultravalutazione del periodo lavorativo - ai fini delle
prestazioni pensionistiche - a tutti coloro che, per essere stati a contatto
con polveri di amianto in una concentrazione significativa (in quanto
superiore alla soglia minima indicata dalla legislazione prevenzionale), siano
stati soggetti, in relazione alle mansioni svolte ed al tempo di esposizione,
al rischio (effettivo e non meramente ipotetico) di contrarre le malattie che
la sostanza è capace di generare. Destinatari
della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano perso -
o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di conseguenza
della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, come si è detto, i
lavoratori, quale che sia l'attività produttiva dell'Impresa datrice di
lavoro, che abbiano subito una esposizione "qualificata" (nei sopra
precisati) all'amianto, intendendo la legge assicurare anche a questi soggetti
la possibilità di abbandonare anticipatamente il lavoro attribuendo loro un
trattamento di favore analogo a quello accordato ai lavoratori di cave e
miniere (art. 13, comma 6) e ai lavoratori già riscontrati affetti da
tecnopatia imputabile all'amianto (art. 13, comma 7) (cfr., in particolare,
Cass. 3 aprile 2001, n. 4913). Né
può fondatamente sostenersi - come pur si è sostenuto in dottrina - che una
simile lettura finirebbe per neutralizzare la portata precettiva delle norme
sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, le quali (a partire dal d.P.R. 20 marzo 1956, n. 618, recante
norme modificatrici della l. 12 aprile 1943, n. 455, istitutiva
dell'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi) individuano
le lavorazioni a rischio come quelle che "... comunque espongono alla
inalazione di fibre di amianto" e alla cui stregua, dunque, il beneficio
della rivalutazione contributiva dovrebbe riconoscersi a tutti i lavoratori
inseriti in realtà produttive nelle quali si verifichi in qualche modo una
dispersione di fibre di amianto. Tali
rilievi, infatti, non tengono conto che la l. n. 257/92 stabilisce essa stessa
con specifica disposizione (art. 3) - che richiama, e in parte modifica, i
valori limite indicati nel d.lgs. n. 277/91 - quale sia la concentrazione
massima di fibre di amianto "respirabili" nell'ambiente di lavoro,
mostrando così di ritenere insufficiente, agli effetti delle misure di tutela
apprestate nelle sue varie disposizioni per il caso di "esposizione
all'amianto", la presenza della sostanza in quantità tale da non dar
luogo all'obbligo di adottare misure protettive specifiche. Inserita e letta
in tale contesto, la norma del comma 8 dell'art. 13, nella parte in cui
prevede che la concessa rivalutazione interessi l'"intero periodo
lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita
dall'INAIL", non può essere intesa altrimenti che nel senso di
presupporre lo svolgimento di una delle attività soggette ad assicurazione
obbligatoria all'INAIL (in base al combinato disposto degli artt. 1, 3 e 144
del d.P.R. n. 1124 del 1965) ma con valori di esposizione pari (o superiori) a
quelli che la l. n. 257/92 considera a rischio, senza per questo porsi in
contraddizione con le regole del sistema assicurativo, le quali rispondono
alla esigenza - propria di tale sistema e non comparabile con quella sottesa
all'attribuzione dell'eccezionale trattamento previdenziale di cui si discute
- di tutelare il lavoratore al verificarsi di una malattia professionale. E'
anche da aggiungere che, nelle sue più recenti decisioni (in particolare,
nella sentenza 3 aprile 2001, n. 4913, cit.), questa Corte ha chiarito che
l'accertamento della sussistenza della esposizione a rischio per il periodo
prescritto dalla legge deve essere compiuto dal giudice di merito avendo
riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè - nel
rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 cod.
civ. (o, se del caso, avvalendosi dei poteri di ufficio ad esso riconosciuti
nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui
all'art. 13, comma 8, dopo aver indicato e provato sia la specifica
lavorazione praticata, sia l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni
detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente presentava una
esposizione al rischio delle polveri di amianto superiore ai valori limite
indicati nel ricordato d.lgs. n. 277/91 (come modificato dall'art. 3 della l.
n. 257/92). Il lavoratore, inoltre, sempre nell'ottica della necessaria
personalizzazione del rischio, dovrà dimostrare la sussistenza dell'ulteriore
requisito prescritto dalla legge, vale a dire di essere stato esposto a quel
rischio "qualificato" per un periodo superiore a dieci anni; con
l'avvertenza che, nel periodo in questione, dovranno essere computate le pause
"fisiologiche" di attività (riposi, ferire, festività) che
rientrano nella normale evoluzione del rapporto di lavoro. L'accertamento
in questione non risulta compiuto dalla impugnata sentenza, avendo ritenuto
sufficiente per il riconoscimento del beneficio invocato la esposizione
all'amianto per oltre dieci anni, indipendentemente dall'entità
dell'esposizione. Non
può, invece, trovare accoglimento per difetto d'interesse il ricorso
incidentale con cui l'INAIL, denunciando violazione del principio della
corrispondenza tra dispositivo e motivazione (artt. 132 nn. 4 e 5 c.p.c., 118
disp. att. stesso codice e 429 c.p.c.), nonché motivazione errata e
contraddittoria, si duole che il Tribunale abbia dichiarato inammissibile la
domanda articolata dall'Istituto nella memoria di costituzione, in grado di
appello, senza l'adozione della forma dell'appello incidentale. Invero,
così statuendo, il Giudice a quo ha sostanzialmente confermato la statuizione
del Pretore, la quale, con l'adottata formula di "rigetto", ha,
comunque, escluso ogni responsabilità dell'INAIL nella vicenda oggetto di
giudizio, facendo venir meno ogni interesse ad una diversa declaratoria. Va,
pertanto, accolto il solo ricorso principale, con conseguente cassazione della
impugnata sentenza, restando affidato al giudice di rinvio, che si designa
nella Corte d'appello di Ancora, il compito di esaminare nuovamente la
controversia, attenendosi al seguente principio di diritto: "Il disposto
del comma 8 dell'art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257 ("Norme relative
alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), va interpretato, in ragione
dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il
beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che
presentano valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a
quelli consentiti dal d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277 (come modificato dall'art.
3 della l. n. 257/92). Nell'esame della fondatezza della domanda di detto
beneficio il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di
ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. - se colui che ha
avanzato domanda del beneficio in esame, dopo aver provato la specifica
lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni
(periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche" proprie
di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione,
abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta
esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiore a
quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991 (come modificato
dall'art. 3 della l. n. 257/92)". Al
giudice di rinvio va rimessa la statuizione anche sulle spese del presente
giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Ancona.
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