CORTE COSTITUZIONALE |
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SENTENZA
N.5 ANNO
2000 REPUBBLICA
ITALIANA IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Prof. Giuliano VASSALLI Presidente - Prof. Cesare MIRABELLI Giudice - Prof. Fernando SANTOSUOSSO " - Avv. Massimo VARI " - Dott. Cesare RUPERTO " - Dott. Riccardo CHIEPPA " - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY " - Prof. Valerio ONIDA " - Avv. Fernanda CONTRI " - Prof. Guido NEPPI MODONA " - Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI " - Prof. Annibale MARINI " ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale
dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dal decreto-legge 5
giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore
dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n.
271, promossi con ordinanza emessa il 30 aprile 1998 dal Tribunale di Ravenna
nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'ENICHEM S.p.A. ed altri e Billi
Giacomo ed altri, iscritta al n. 501 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale,
dell'anno 1998, nonché con ordinanza emessa il 24 settembre 1998 dal Pretore di
Vicenza nel procedimento civile vertente tra Mazzonetto Cesare ed altro e la
FERVET S.p.A. ed altro, iscritta al n. 873 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie
speciale, dell'anno 1998. Visti gli atti di costituzione dell'ENICHEM S.p.A., di Billi Giacomo ed altri,
dell'INAIL e dell'INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il Giudice relatore Massimo
Vari; uditi gli avvocati Luciano Spagnuolo Vigorita per l'ENICHEM S.p.A., Michele
Miscione per Billi Giacomo ed altri, Antonino Catania per l'INAIL, Carlo De
Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente
del Consiglio dei ministri. Ritenuto
in fatto 1.¾ Il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 30
aprile 1998 (R.O. n. 501 del 1998) emessa quale giudice di gravame nella causa
fra gli appellanti ENICHEM S.p.A., INPS e INAIL e gli appellati Billi Giacomo
ed altri, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8,
della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego
dell'amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno
1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto),
convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271. La
disposizione prevede, "per i lavoratori che siano stati esposti
all’amianto per un periodo superiore a dieci anni", che "l’intero
periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL",
sia "moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente di 1,5". Il giudice a quo muove dalla
premessa che "l’unica interpretazione tecnicamente corretta" della
disposizione denunciata sia quella "che attribuisce il beneficio a tutti i
lavoratori dei quali sia stata provata una qualunque esposizione ultradecennale
all’amianto, a prescindere dal grado di essa". Interpretazione
ricostruibile, ad avviso del rimettente, oltre che dal tenore letterale della
norma e dal contesto nel quale essa si inserisce (sistema misto di
assicurazione delle malattie professionali), anche in virtù di quanto è dato
desumere, da un lato, dai lavori preparatori della legge n. 271 del 1993, che,
nel convertire il decreto-legge n. 169 del 1993, individuò, per l'appunto, i
beneficiari semplicemente nei "lavoratori che siano stati esposti
all’amianto per un periodo superiore a dieci anni", in tal modo escludendo
"che il beneficio potesse accordarsi a speciali categorie di
lavoratori"; dall’altro, in forza dei "tentativi", posti in atto
da un successivo disegno di legge (n. 2553 del 25 giugno 1997), "di
apportare modifiche alla norma per introdurre delle limitazioni nella platea
dei potenziali destinatari". Sicché, la censurata disposizione è da
reputarsi "svincolata nei suoi presupposti applicativi da qualunque
parametro predeterminato", potendo essere "applicata o disapplicata
sulla base di un solo dato ¾ l’esposizione ultradecennale all’amianto ¾ che senza
alcun’altra specificazione tecnica può essere, in sede giudiziaria, affidata a
valutazioni, sensibilità, risultati probatori, del tutto liberi da standards
di riferimento, tali da consentire uguali decisioni per casi di diversa
pericolosità, o decisioni diverse per casi sostanzialmente uguali"; donde
il suo contrasto con l’art. 3 della Costituzione. Nel rilevare, altresì, che la denunciata
norma affida la sua esecuzione, in sede amministrativa, "alla mera
discrezionalità della pubblica amministrazione, con potenziale lesione del
principio di imparzialità", il rimettente osserva che l’assenza di ogni
riferimento a categorie di lavorazioni e di ogni specificazione circa il tipo
di contatto con le fibre (per inalazione o per ingestione) allarga a dismisura
la platea degli interessati, secondo una casistica che può divenire infinita. Pertanto, "a causa
dell’indeterminabilità di tutti i possibili destinatari del beneficio",
verrebbe meno, ad avviso del giudice a quo, il quale richiama in
proposito le valutazioni ed i calcoli dell'INPS e dell'INAIL riportati nella
relazione al già menzionato disegno di legge, "la possibilità stessa di
indicare la copertura finanziaria della legge", con conseguente violazione
anche dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione. 1.1.¾ Si è costituita in giudizio l’ENICHEM S.p.a. ¾
appellante nel giudizio a quo ¾ la quale, all’esito di ampie e circostanziate
argomentazioni, ha concluso per sentir dichiarare l’incostituzionalità della
disposizione denunciata, "ove la norma stessa non possa essere
interpretata" nel senso che "per titolari del beneficio contributivo
devono intendersi ... i lavoratori per i quali l’azienda ha versato all’INAIL
il premio supplementare per asbestosi, o per i quali sussistono comunque i
presupposti per il versamento", valendo al riguardo il "principio
razionalizzatore" della "graduazione del rischio effettivo, che ha ispirato
l’intera vicenda normativa". Sicché, in assenza del requisito del
"rischio" (con riferimento "ad un periodo decennale continuativo
... e collocato in immediata connessione temporale con la domanda di
riconoscimento" del beneficio), la parte privata sostiene che il censurato
art. 13, comma 8, arreca un vulnus agli artt. 3 e 41, primo comma, della
Costituzione, in virtù della sua irrazionalità e della grave incidenza
"sullo svolgimento della privata iniziativa economica ... e sulla finanza
pubblica". Quanto poi alla violazione dell’art. 81,
quarto comma, della Costituzione, la memoria osserva che "la norma,
irrazionalmente formulata in termini assolutamente generici e totalmente priva
di criteri per il governo del suo processo interpretativo/applicativo",
non consente "di determinare la provvista dei mezzi finanziari per far
fronte agli enormemente rilevanti oneri a carico dello Stato". 1.2.¾ Si è costituito in giudizio anche l’INAIL,
appellante nel giudizio principale, il quale ¾ pur affermando la propria
assoluta estraneità ai giudizi promossi dai lavoratori interessati (stante il
rivestito ruolo che "è unicamente quello certificatorio") ¾ ha, in
ogni caso, concluso per la "declaratoria di fondatezza della
questione". Al riguardo, l’Istituto ¾
eccependo, in via preliminare, il difetto di rilevanza della questione poiché
"tutti gli interessati risulterebbero ancora lavoratori dipendenti e
quindi non in posizione tale da poter far valere diritti pensionistici" ¾ osserva
che l’interpretazione data alla norma dal rimettente (interpretazione che
l'Istituto, peraltro, contesta) verrebbe, come tale, "palesemente a
confliggere con i parametri di cui agli artt. 3 e 81, quarto comma, della
Costituzione". 1.3.¾ L'INPS ha depositato, fuori termine (in data 15
dicembre 1998), una memoria di costituzione. 1.4.¾ Si sono costituiti, altresì, Billi Giacomo ed
altri, appellati nel giudizio principale e già ricorrenti in primo grado, per
sentir dichiarare l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della
questione. Le parti private sostengono, in primo
luogo, che i profili di incostituzionalità prospettati dal giudice a quo risultano
contraddittori fra loro e "finiscono per eliminarsi a vicenda". E ciò
in quanto, il rimettente, muovendo dalla denunciata
"indeterminatezza" della norma, da un lato, desume "una
possibilità di selezione eccessiva", che creerebbe il rischio di
"esclusioni di casi di pericolosità non inferiore ad altri ammessi"
(donde la dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione) e, dall’altro,
"ipotizza tutto il contrario e cioè che mancherebbe la selezione e tutti
potrebbero conseguire i benefici, con la conseguenza di rendere impossibile una
previsione di spesa e la copertura finanziaria". Ad avviso delle medesime parti private,
l’indicazione da parte della legge "di un unico requisito preciso e
rigoroso, qual’è l’esposizione ultradecennale all’amianto, garantisce, non solo
la "determinatezza" della norma, ma anche una grande selezione",
nonché una uniformità di trattamento, tanto da far cadere le prospettate
violazioni degli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione. In realtà ¾ argomentano ancora le parti
costituite ¾ "il Tribunale di Ravenna cade nell’errore di
confondere la genericità con la determinabilità della norma", che
rappresenta il portato di una tecnica legislativa molto diffusa, sia in ambito
penale che di lavoro. Oltretutto, si osserva ancora nella
memoria, "per i benefici dell’amianto, la legge non si limita a dettare
criteri di determinabilità, ma indica direttamente requisiti immodificabili
(esposizione ultradecennale)". Quanto, infine, all’ipotizzata violazione
dell’art. 81 della Costituzione, la difesa delle parti private eccepisce il
difetto di rilevanza della questione, in quanto non risulterebbe dimostrata la
carenza di copertura finanziaria "per il caso sottoposto" al giudizio
del rimettente; elemento, questo, che potrebbe emergere "solo in una fase
di esecuzione della sentenza di condanna, se a quel punto l’Istituto
previdenziale avesse dimostrato di non avere la copertura di bilancio". E
questo a tacer del fatto che, ad avviso delle medesime parti costituite, in
sede di vaglio di costituzionalità, l’art. 81, quarto comma, della
Costituzione, può venire in rilievo unicamente "per la copertura delle
spese dello Stato". 1.5.¾ E’ intervenuto anche il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il
quale, "riservando ogni più ampia difesa", ha chiesto che la
sollevata questione "venga dichiarata inammissibile e comunque
manifestamente infondata". 1.6.¾ In prossimità dell’udienza, le parti private
costituite hanno depositato memorie illustrative. 1.7.¾ L’ENICHEM S.p.A., nel ribadire le conclusioni
rassegnate nell’atto di costituzione, rileva che le istanze presentate ai fini
del riconoscimento dei benefici di cui trattasi sono, nel frattempo,
ulteriormente lievitate, risultando così confermata la mancanza di una seria
copertura degli oneri finanziari. Quanto, poi, alla violazione dell’art. 3
della Costituzione, si sostiene che la dedotta irrazionalità dell’art. 13,
comma 8, trova ulteriore argomento rafforzativo "con riferimento
all’intervento legislativo in punto di "lavori usuranti"",
previsto dall’art. 1, comma 35, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il quale non
solo richiede il requisito della "maggiore penosità nel lavoro, in termini
di rilevante esposizione al rischio e diminuzione delle aspettative di
vita", ma è anche "rigorosamente parametrato sull’arco temporale di
effettivo svolgimento dell’attività lavorativa particolarmente usurante". Detto ultimo requisito emerge ancor più
chiaramente dall’art. 2 del decreto ministeriale 19 maggio 1999, "in cui
sono considerate "particolarmente usuranti" non tutte le attività di
asportazione dell’amianto, ma solo quelle svolte continuativamente, e con
carattere di prevalenza nei confronti di altre mansioni". 1.8.¾ Le altre parti private costituite (e cioè gli
appellati nel giudizio principale) insistono, invece, perché la sollevata
questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Sotto il profilo dell’ipotizzata
violazione dell’art. 3 della Costituzione, si sostiene l'inammissibilità della
questione, attenendo essa "non al contenuto della legge ordinaria in
discussione, ma alla sua eventuale e futura applicazione". Peraltro, non
essendo espressamente denunciata dal rimettente alcuna ingiustificata disparità
di trattamento, ovvero una ingiustificata parificazione di situazioni diverse,
l’ordinanza "si espone altresì alla censura di assoluta genericità". Invero, conclude al riguardo la memoria,
più che alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, il giudice a quo
sembra "alludere ad una pretesa di rigorosi obblighi di tassatività e di
necessaria determinatezza", i quali assumono rilievo in riferimento alle
sole norme penali (art. 25 della Costituzione). In ogni caso, le parti private ¾ nel
ribadire le ragioni già illustrate nell’atto di costituzione ¾ escludono
"che il legislatore fosse vincolato sul piano della razionalità normativa
a fare riferimento ad una ristretta "categoria di lavorazioni" o di
lavoratori", con una delimitazione che, peraltro, avrebbe significato
"ignorare il problema dell’impiego dell’amianto su larga scala ed in
molteplici attività lavorative". Le medesime parti sostengono, inoltre, che
"non esistono limiti al di sotto dei quali possono escludersi patologie da
asbesto", sicché è da negare, anche, che "il legislatore fosse
vincolato sul piano della legittimità costituzionale a delimitare l’area dei
destinatari in funzione di valori limite". Pertanto, aver ancorato l’erogazione del
beneficio al solo fatto dell’esposizione ultradecennale all’amianto
"risulta essere stata una chiara e meditata scelta discrezionale del
legislatore", non sindacabile se non viene indicato "quale sia il
parametro logico, tecnico, scientifico, normativo (di coerenza interna o
esterna) che il legislatore avrebbe violato andando oltre i limiti della sua
discrezionalità". Quanto all’asserita violazione dell’art.
81, quarto comma, della Costituzione, la memoria insiste sulla "carenza di
rilevanza ed inammissibilità per genericità e contraddittorietà della questione
prospettata", avanzando "molte perplessità" in ordine alle
previsioni di spesa formulate dall’ordinanza di rimessione, sulla base di dati
"sprovvisti di qualsiasi riscontro" e di contraddittorie valutazioni
dell’onere finanziario medio pro capite. Le parti private rammentano, infine, sia
la procedura da attivarsi allorché si verifichino "scostamenti rispetto
alle previsioni di spesa", anche nel caso di "sentenze definitive di
organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni
della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri", sia
l’orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 384 del 1991,
n. 12 del 1987 e n. 1 del 1966) in punto di copertura di una spesa
"futura", secondo cui non è richiesta una rigorosa puntualità di
indicazione, tanto più se la spesa, per sua natura, "a priori è
solo determinabile e solo a posteriori determinata nella sua esatta
entità". 2.¾ Con ordinanza in data 24 settembre 1998 (R.O. n.
873 del 1998), anche il Pretore di Vicenza, in funzione di giudice del lavoro,
ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale del menzionato art. 13, comma 8, "nella parte
in cui non indicando un limite quantitativo o qualitativo della esposizione
all’amianto consente l’applicazione del beneficio previdenziale ad una serie
indeterminata di destinatari". Quanto alla rilevanza della sollevata
questione, il rimettente osserva che i ricorrenti nel giudizio principale
"sono dipendenti di datore di lavoro privato assicurato presso l'INAIL;
che l’INAIL e l’INPS hanno riconosciuto l’esposizione a rischio sino al
1985", mentre gli interessati ne chiedono l’accertamento sino al 1998. In punto di non manifesta infondatezza, il
giudice a quo osserva che l'interpretazione letterale della disposizione
censurata "può portare a ritenere che qualsiasi esposizione all'amianto,
prescindendo da limiti quantitativi e qualitativi, e dunque da qualsiasi parametro
di potenziale rischio di malattia (possibile, probabile o effettivo), sia in sé
e per sé sufficiente per godere del beneficio previdenziale, purché
ultradecennale". Ma una siffatta esegesi della norma ¾ osserva
l’ordinanza di rimessione ¾ "in sostanza equipara, sotto il profilo del
godimento dei benefici previdenziali, situazioni di fatto assolutamente non
omogenee ..., atteso che consente il godimento del pensionamento anticipato in
presenza tanto di situazioni di possibile rischio da esposizione all’amianto,
quanto di situazioni di probabile o di sicuro rischio dall’esposizione alle
stesse sostanze morbigene, purché ultradecennale". Donde la prospettata violazione dell’art.
3 della Costituzione, "in forza del quale, se da un lato non possono
essere trattate diversamente situazioni identiche, non possono nemmeno essere
trattate ugualmente situazioni obiettivamente diverse". 2.1.¾ Si è costituito in giudizio l’INPS rilevando,
preliminarmente, che non può essere ritenuta sufficiente, per il godimento dell'eccezionale
beneficio previsto dalla norma, una teorica, o presunta, o pura e semplice
esposizione all'amianto, risultando necessaria una esposizione tale da
comportare effettivo rischio e pericolo per la salute del singolo lavoratore.
Tuttavia, nel richiamare la diversa interpretazione accolta dal rimettente,
l’Istituto ha concluso "per la fondatezza della questione". 2.2.¾ E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per
sentir dichiarare "inammissibile" la proposta questione di
costituzionalità. In proposito la difesa erariale ha
eccepito, anzitutto, "il difetto di congrua motivazione sulla rilevanza
della questione", assumendo che, prima di sollevarla, "il Pretore
avrebbe dovuto verificare se la domanda dei ricorrenti fosse o meno coperta da
giudicato che stabiliva il loro diritto solo nei periodi in cui era stata
superata la soglia minima determinata a norma del decreto legislativo n. 277
del 1991". Evidenzia, inoltre, l’Avvocatura dello
Stato, relativamente alla situazione creatasi a seguito della legge n. 271 del
1993, che "l’onere globale dell’applicazione del comma 8 in questione, non
è evidentemente sorretto da adeguata copertura finanziaria", tanto che
l’impossibilità di contenere il numero dei beneficiari in sede amministrativa
ha determinato la predisposizione, "fin dal 23 maggio 1996", di una
norma di interpretazione dell’art. 13, comma 8. Considerato
in diritto 1.¾ Le ordinanze in epigrafe dubitano della
legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n.
257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato
dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni
urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con
modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271. La disposizione denunciata concede, ai
"lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a
dieci anni", il beneficio, da far valere "ai fini delle prestazioni
pensionistiche", di una rivalutazione dei periodi assicurativi e ciò
attraverso il meccanismo della moltiplicazione, "per il coefficiente di
1,5", dell'"intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione
all’amianto, gestita dall’INAIL". 1.1.¾ Il Tribunale di Ravenna (R.O. n. 501 del 1998),
reputando che "l'unica interpretazione tecnicamente corretta" del
censurato art. 13, comma 8, sia quella che "attribuisce il beneficio a tutti
i lavoratori dei quali sia stata provata una qualunque esposizione
ultradecennale all'amianto, a prescindere dal grado di essa", denuncia,
anzitutto, il contrasto della disposizione in parola con l’art. 3 della
Costituzione, giacché, in assenza di "qualunque parametro
predeterminato", di "specificazioni tecniche" e di "standards
di riferimento", la stessa risulterebbe applicabile, in sede giudiziaria,
in termini "tali da consentire uguali decisioni per casi di diversa
pericolosità o decisioni diverse per casi sostanzialmente uguali". Ciò,
peraltro, non senza rilevare la "potenziale lesione del principio di
imparzialità" derivante dalla circostanza che l’esecuzione della
menzionata norma in sede amministrativa è affidata "alla mera discrezionalità
della pubblica amministrazione". Inoltre, secondo il giudice a quo,
il censurato art. 13, comma 8, pretermettendo ogni riferimento "a
categorie di lavorazioni" e "al tipo di contatto con le fibre",
allarga "a dismisura la possibile platea degli interessati": sicché,
proprio "a causa dell’indeterminabilità" di tutti i potenziali
destinatari del beneficio, verrebbe meno "la possibilità stessa di
indicare la copertura finanziaria della legge", con conseguente violazione
anche dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione. 1.2.¾ Dal suo canto, il Pretore di Vicenza (R.O. n. 873
del 1998), muovendo dall’"interpretazione letterale della disposizione
denunciata", reputa che sia sufficiente, per l’accesso al beneficio della
rivalutazione dei periodi assicurativi, "qualsiasi esposizione
all’amianto", a prescindere da ogni "parametro di potenziale rischio
di malattia"; in tal modo, l’art. 13, comma 8, "nella parte in cui
non indicando un limite quantitativo o qualitativo della esposizione
all’amianto consente l’applicazione del predetto beneficio previdenziale ad una
serie indeterminata di destinatari", verrebbe a provocare ¾ ad avviso
del rimettente ¾ un possibile vulnus all’art. 3 della
Costituzione, a causa dell'irragionevole equiparazione di "situazioni di
fatto assolutamente non omogenee" e cioè quelle "di possibile rischio
da esposizione all’amianto" e quelle "di probabile o di sicuro rischio"
di esposizione alla stessa sostanza morbigena, purché ultradecennale. 2.¾ I giudizi, avendo ad oggetto la medesima
disposizione, rispetto alla quale vengono formulate censure in parte analoghe o
comunque connesse, vanno riuniti per essere decisi con un’unica sentenza. 3.¾ Preliminarmente deve essere rilevata la tardività
della costituzione dell’INPS nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione
del Tribunale di Ravenna (R.O. n. 501 del 1998, pubblicata in Gazzetta
Ufficiale n. 28, prima serie speciale, del 15 luglio 1998), effettuata con
memoria depositata oltre il termine stabilito dagli artt. 25, secondo comma,
della legge n. 87 del 1953, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale; onde l’inammissibilità della costituzione stessa. 4.¾ Ancora in via preliminare, va esaminata
l’eccezione di inammissibilità che l’INAIL ha formulato avverso la questione
proposta dal menzionato Tribunale, evidenziando, in particolare, che
"tutti gli interessati risulterebbero ancora lavoratori dipendenti e quindi
non in posizione tale da poter far valere diritti pensionistici", con
conseguente difetto di rilevanza della questione nel processo pendente dinanzi
al rimettente. Tale eccezione non può essere accolta,
essendo sufficiente rilevare che ¾ come emerge dall’ordinanza di rimessione ¾ il
giudizio a quo ha per oggetto una domanda di accertamento del diritto al
beneficio previdenziale contemplato dalla denunciata disposizione, il cui
eventuale riconoscimento verrebbe ad incidere attualmente sulla posizione
pensionistica degli interessati, in guisa di incremento della contribuzione
utile ai fini di un futuro trattamento pensionistico. 5.¾ Occorre, infine, delibare, sempre preliminarmente,
l’eccezione di inammissibilità avanzata dall’intervenuto Presidente del
Consiglio dei ministri avverso l’ordinanza di rimessione del Pretore di Vicenza
(R.O. n. 873 del 1998), in ordine alla quale si assume la carenza di congrua
motivazione sulla rilevanza della proposta questione, per non aver il giudice a
quo verificato "se la domanda dei ricorrenti fosse o meno coperta da
giudicato che stabiliva il loro diritto solo nei periodi in cui era stata
superata la soglia minima determinata a norma del decreto legislativo n. 277
del 1991". Anche a prescindere dal fatto che la
difesa erariale non chiarisce quale sia il giudicato che, nel pendente giudizio
di primo grado, ostacola l’eventuale riconoscimento del diritto vantato dai
ricorrenti, l’eccezione non può trovare, in ogni caso, accoglimento, dovendosi
a tal fine rilevare, in modo assorbente, che il giudice a quo ¾ alla
stregua di quanto è dato evincere dalla stessa ordinanza di rimessione ¾ ha
adeguatamente esplicitato i fatti e le ragioni del contendere, che fanno leva
sulla necessaria applicazione della disposizione censurata, e ciò tramite una
plausibile motivazione che consente di apprezzare la sussistenza del requisito
della pregiudizialità tra incidente di costituzionalità e giudizio principale. 6.¾ Nel merito le questioni non sono fondate. Onde valutarne compiutamente la portata,
conviene muovere dal contesto normativo in cui esse si collocano, e cioè dalla
legge 27 marzo 1992, n. 257, la quale, preceduta da una disciplina comunitaria,
già da tempo, consapevole della necessità di protezione contro i rischi connessi
all’esposizione ad amianto sul luogo di lavoro (direttiva del Consiglio n. 477
del 1983, modificata dalla direttiva n. 382 del 1991), ha dettato "norme
relative alla cessazione dell’impiego" di tale sostanza, esplicitando, tra
le proprie finalità, quelle della dismissione dalla produzione e dal commercio
dell’amianto medesimo e dei relativi prodotti, nonché della decontaminazione e
della bonifica (art. 1). Il medesimo provvedimento legislativo ha
individuato, altresì, i "valori limite" di concentrazione di fibre di
amianto respirabili nei luoghi di lavoro, rinviando a tal fine a quelli fissati
dall’art. 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, che ha provveduto
essa stessa a modificare tramite l’art. 3, comma 4, a sua volta recentemente
sostituito dall’art. 16 della legge 24 aprile 1998, n. 128. Nella stessa legge n. 257 del 1992 si
rinvengono, inoltre, talune "misure di sostegno per i lavoratori"
(capo IV, art. 13), costituite da una diversificata gamma di benefici
previdenziali, tra i quali sono da rammentare, segnatamente, quelli: 1) dell’accesso, per i lavoratori occupati
in imprese che utilizzano o estraggono amianto, impegnate in processi di
ristrutturazione e riconversione produttiva, al pensionamento anticipato in
costanza di determinati requisiti contributivi, beneficiando di una
maggiorazione dell’anzianità assicurativa e contributiva (comma 2); 2) della rivalutazione, ai fini del
conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori delle
miniere e cave di amianto, del numero di settimane coperto da contribuzione
obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa (comma 6); 3) di analoga rivalutazione per il periodo
di provata esposizione all’amianto in favore dei lavoratori che abbiano
contratto, a causa di detta esposizione, malattie professionali documentate
dall’INAIL (comma 7); 4) della rivalutazione, altresì, dei
periodi assicurativi in favore dei lavoratori che siano stati esposti
all’amianto per un periodo superiore a 10 anni (comma 8). Proprio in riferimento a quest'ultimo
beneficio va, peraltro, segnalato che la norma che lo contemplava ¾
prevedendo che "ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche
i periodi di lavoro soggetti all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'INAIL",
quando superavano i 10 anni, fossero "moltiplicati per il coefficiente di
1,5" ¾ aveva dato luogo ad incertezze interpretative in
ordine all’entità delle agevolazioni accordate dal legislatore; incertezze
risolte attraverso una disposizione, contenuta nell’art. 1, comma 1, del
decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169, la quale, in sostituzione del comma 8
dell’art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, stabiliva che "per i
lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto
come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure
fallimentari o fallite o dismesse, che siano stati esposti all’amianto per un
periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle
prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5". In sede di conversione del predetto
provvedimento d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271, ha soppresso la
locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano
amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a
procedure fallimentari o fallite o dismesse", così intendendo soddisfare ¾ secondo
quanto si evince dai lavori preparatori ¾ l’esigenza di attribuire centralità, ai fini
dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei
lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che potesse
derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di
lavoro. Ne è derivata la disposizione oggetto del
presente scrutinio di costituzionalità, alla quale fa riscontro, sotto il
profilo finanziario (comma 2 del già menzionato art. 1 del decreto-legge n. 169
del 1993, nel testo risultante dalle modifiche adottate in sede di
conversione), uno specifico stanziamento di lire 35 miliardi per il 1994 e di
lire 37 miliardi per il 1995, aggiuntivo di quello a suo tempo previsto dal
comma 12 dell'originario art. 13 della legge n. 257 del 1992 (6 miliardi di
lire per il 1992, 60 miliardi di lire per il 1993 e 44 miliardi di lire per il
1994). 7.¾ Così ricostruite le vicende legislative che sono
alla base della denunciata disposizione, va rilevato che i rimettenti muovono
entrambi dall'assunto che il censurato art. 13, comma 8, delinei una
fattispecie legale attributiva di un beneficio previdenziale, la quale,
concentrandosi sull'unico dato dell'esposizione ultradecennale all'amianto,
sarebbe di per sé insufficiente per una congrua selezione degli aventi diritto.
Donde il denunciato contrasto della disposizione stessa con l’art. 3 della Costituzione. Secondo il Tribunale di Ravenna, a causa
della indeterminabilità di tutti i potenziali destinatari della norma,
risulterebbe, altresì, violato l’art. 81, quarto comma, della Costituzione,
mancando "la possibilità stessa di indicare la copertura finanziaria della
legge". 8.¾ In relazione al primo degli accennati profili di
censura, occorre rilevare che, trattandosi di stabilire se la disposizione sia
tale da determinare la irragionevole equiparazione di situazioni non tutte
meritevoli di eguale tutela, il giudizio richiesto alla Corte si incentra, così
come altra volta rilevato (vedi, in particolare, sentenza n. 89 del 1996), sul
"perché" una determinata disciplina operi, all’interno del tessuto
egualitario dell’ordinamento, quella specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo. Solo nel caso in cui
una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa o ragione della
disciplina introdotta potrà dirsi realizzato un vizio di legittimità
costituzionale della norma, proprio perché fondato sulla irragionevole
omologazione di situazioni diverse. Va da sé, al tempo stesso, che, non essendo
consentito al controllo di costituzionalità di travalicare in apprezzamenti che
sconfinino nel merito delle opzioni legislative, non può ovviamente venire in
considerazione, agli effetti di un ipotetico contrasto con il canone
dell'eguaglianza, qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà che una
determinata previsione normativa possa, sotto alcuni profili o per talune
conseguenze, lasciar trasparire. 9.¾ Ciò posto, è da escludere che la disposizione
denunciata si configuri, contrariamente a quanto ritengono i giudici a
quibus, in guisa tale da inibire, in virtù della latitudine del suo
dettato, ogni possibilità di sua ragionevole interpretazione ed applicazione,
sì da risultare portatrice di una ingiustificata omologazione di situazioni tra
loro diverse. E' da ritenere infatti che il censurato
art. 13, comma 8, possa trovare, attraverso la convergenza degli ordinari
criteri ermeneutici (letterale, sistematico e teleologico), congrua definizione
nella sua portata, in vista della sua piana e puntuale applicazione. Lo scopo della disposizione censurata,
secondo quanto si evince dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda
normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti
all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio
correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche
modo, presentano potenzialità morbigene. Il criterio dell'esposizione decennale
costituisce un dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, specie se si
considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al
sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall’amianto, gestita dall’INAIL. Nell’ambito di tale correlazione, il
concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con
quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela
previdenziale (artt. 1 e 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965), viene ad implicare,
necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno
rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare
per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto
pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a
fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente
lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto
legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche). La disposizione denunciata poggia, quindi,
su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal dato di riferimento temporale
sia da quella nozione di rischio che, come è noto, caratterizza il sistema
delle assicurazioni sociali. Ne consegue che la norma censurata,
esprimendo, nella sua effettiva portata, un precetto adeguatamente definito negli
elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente
correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso, non vulnera, in
conclusione, il parametro dell’art. 3 della Costituzione evocato da entrambi i
rimettenti. 10.¾ Anche l’ulteriore doglianza, avanzata dal
Tribunale di Ravenna, facendo leva sulla pretesa violazione dell’art. 81,
quarto comma, della Costituzione, non merita accoglimento. Una volta accertata l’infondatezza della
prima censura esaminata, non possono non cadere automaticamente anche le
ulteriori implicazioni che detto Tribunale tende a trarne, sul piano della
supposta indeterminabilità dei destinatari e della conseguente impossibilità di
stabilire l'entità degli oneri finanziari connessi alla norma denunciata. E
questo a tacer del fatto che la censura di mancato rispetto dell'art. 81,
quarto comma, della Costituzione, si richiama a dati privi di adeguato
riscontro (in quanto desunti dalla relazione ad un disegno di legge di gran
lunga successivo all’epoca di emanazione della disposizione censurata, il
quale, a sua volta, attinge ad ulteriori fonti). Si tratta perciò di elementi
non utili per quel giudizio di attendibilità che, in tema di copertura degli
oneri finanziari pluriennali, questa Corte è chiamata qui a svolgere (vedi, tra
le altre, sentenze n. 25 del 1993 e n. 384 del 1991); giudizio in vista del
quale, stando ai termini in cui la censura viene prospettata, si è portati
piuttosto a considerare, a smentita dell'assunto del rimettente, sia il fatto
che non manca nella legge una specifica disposizione di copertura finanziaria
delle spese derivanti dal denunciato art. 13, comma 8, sia, infine, che la
copertura stessa è stata a suo tempo ritenuta adeguata anche dalla Corte dei
conti, nell'esercizio della funzione di referto quadrimestrale al Parlamento
sulle leggi di spesa (vedi delibera n. 6/REF/93, del 5 novembre 1993). PER
QUESTI MOTIVI LA
CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1,
del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i
lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella
legge 4 agosto 1993, n. 271, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 81,
quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ravenna, e, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, con le ordinanze
indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2000. F.to:
Giuliano Vassalli, Presidente Massimo Vari, Redattore Giuseppe Di Paola, Cancelliere Depositata in cancelleria il 12 gennaio
2000 Il Direttore della Cancelleria F.to: Di Paola
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