COMMENTO

alla sentenza del  Tribunale di Ravenna  del 13 aprile 2000

 
 

dal sito: http://www.pegacity.it/justice/impegno 

di Michele Miscione, Professore Ordinario di Diritto del lavoro nell'Università di Trieste

 

Il caso dell'amianto, di chi a causa dell'esposizione all'amianto ha subito e continuerà a subire tutta la vita rischi di malattie mortali, avrebbe dovuto creare emozione e anche un pò di rabbia.  Una volta non si sapeva, o si faceva finta di non sapere, ma ora si sa che l'essere stato esposto anche per poco tempo all'amianto comporta rischi delle malattie più terribili che non diminuiscono con il passar del tempo, ma che possono sorgere quando uno meno se lo aspetta, magari dopo venti, trenta o quarant'anni.  L’esposizione per avere benefici pensionistici in base alla L. n. 257/1992 dev'essere durata complessivamente almeno dieci anni effettivi, non un mese o due.

Emozione e rabbia, dunque, ma forse più che altro ignoranza grave, perché fino a pochi anni fa, pochi anni prima della L. n. 257/1992, l'amianto era considerato ancora un materiale prezioso e qualche volta o forse più di qualche volta veniva imposto dagli stessi organi pubblici.  Emozione e rabbia, con responsabilità generalizzate e sempre più gravi, man mano che si prendeva coscienza della pericolosità e dei danni purtroppo irreversibili che si erano già compiuti.

Aver previsto benefici pensionistici a favore di chi è stato esposto all'amianto costituisce dunque una riparazione pubblica, un mea culpa generalizzato, ma l'effetto più importante è stato forse un altro e indiretto: per quei benefici sono emersi i casi passati, ma anche molto vicini, in cui l'amianto era stato utilizzato in modo massiccio, senza scrupoli. Per quei benefici, sono stati tolti dal dimenticatoio casi clamorosi di amianto, è sorta una nuova attenzione e una nuova sensibilità, perché ricordare imponga di pensare al futuro. E’ emerso che, per colpa generale, l'amianto è stato un elemento di inquinamento costante e elevatissimo, nel lavoro e fuori, di cui non si conosce ancora né la portata né gli effetti, ma che è davvero dappertutto.  Chi non ha usato l'eternit, composto da cemento e amianto? 1 serbatoi di eternit per l'acqua erano davvero il massimo e così si beveva anche amianto.  Una mappa d'inquinamento è ancora inimmaginabile, ma, se qualcosa è emerso, è stato proprio per i benefici pensionistici, che hanno fatto sorgere l'interesse a ricordare.

Spesso però si sono visti in quei pochi benefici previdenziali, riconosciuti dalla legge in via successiva e più compensativa che risarcitoria, come una specie di premio gratuito, quasi una sorta di assistenzialismo superfluo. Insomma, davvero spiacevole, quei pochi benefici sono stati quasi criminalizzati, gonfiando a dismisura i costi e dicendo che sarebbero stati un regalo per nulla.  Polemiche spiacevoli, perché non avevano alcuna giustificazione al mondo; i costi erano e sono modesti; i rischi restano sulla propria persona, come sa purtroppo chi si ammala dopo tanti e troppi anni, quando oramai credeva di averla fatta franca.

Polemiche derivanti soprattutto da chi ha fatto lavorare con l'amianto: in fondo, il rimprovero era ed è non tanto agli imprenditori quanto soprattutto alle istituzioni e al legislatore che hanno permesso, autorizzato o addirittura imposto l'uso di questo materiale anche dopo che si era scoperto il suo terribile effetto inquinante.  Oltretutto i benefici pensionistici presuppongono - guai se non fosse così - che l'amianto non dev’essere utilizzato più, né poco né molto, in qualunque posto del mondo, secondo quanto imposto dalle leggi (ma sarà vero?); oggi, dunque, non dovrebbero esserci più nuovi rischi (... ma sarà vero?).

Per i vecchi rischi, le parti private non dovrebbero avere nemmeno interesse a partecipare ai processi, perché i benefici pensionistici previsti dalla L. n. 257/1992 sono riconosciuti per il caso in cui dal rischio non siano derivati danni e se non vi è danno - nella ovvia speranza che non ve ne saranno mai - non c'è da temere una responsabilità.

Si dirà che le parti private partecipano ai processi per immagine, ma non è vero, perché, come ho detto, l'uso dell'amianto era non solo generalizzato, ma ammesso e riconosciuto e addirittura imposto dalle istituzioni: la colpa quindi è di tutti, non solo degli imprenditori, e francamente, ripeto, è maggiore quella delle istituzioni.  Eppure c'è questa opposizione immotivata e illegittima (per carenza di interesse ad agire) che porta spiacevolmente le parti private a tentare di far negare a tutti i costi i benefici dell'amianto a questi disgraziati che hanno subito il rischio e per ora solo il rischio, e che, ripeto, potranno ammalarsi anche dopo decenni.

Ho studiato la questione dell'amianto, in particolare per quanto riguarda i legittimati attivi e passivi, con uno scritto del 1996 (1).  In seguito, i problemi maggiori hanno riguardato il problema della c.d. «soglia» di esposizione all'amianto, perché si volevano condizionare i benefici non a una qualunque esposizione, ma a un'esposizione di particolare o magari notevole intensità.  L'imposizione di queste o questa «soglia», riferita a tempi molto lontani (almeno dieci anni a ritroso dal 1992, salvo casi criminali di esposizioni successive), avrebbe portato a grandi o grandissime difficoltà di prova.  La legge però non prevede alcuna disposizione e, in ogni caso, sarebbe impossibile individuare una «soglia implicita».

Un altro problema, neppure emerso dalle sentenze pubblicate, è quello del computo del tempo di esposizione all'amianto, che per legge  deve essere di almeno dieci anni: il problema è stato risolto subito in modo semplice e sicuro, considerando i dieci anni come tempo normale di lavoro, comprensivo quindi di riposi, ferie, festività, malattie ed escludendo soltanto le assenze che possano essere considerate anomale, come una malattia lunga o un altrettanto lunga assenza per servizio militare.

Lo studio sui problemi applicativi è stato fatto soprattutto dalla giurisprudenza, ma i giudici che se ne sono occupati sono stati pochi, concentrati nelle aree di maggiore esposizione all'amianto: Ravenna con la grande Enichem, Padova, Vicenza.  Il Pretore di Ravenna (R. Riverso) ha emanato una sentenza che costituisce il contributo maggiore per l'interpretazione della L. n. 257/1992, affermando l'inesistenza di qualunque soglia e il diritto ai benefici per un'esposizione ultradecennale di qualsiasi tipo (2).  Pertanto, provata un'effettiva esposizione per oltre dieci anni, non è necessario provare altro e anche una consulenza tecnica sarebbe inutile.  A conclusioni simili era già giunto il Pretore di Padova (G.  Campo) con sentenza del 9 giugno 1997 (3).

Di fronte a queste sentenze e altre conformi (4), sempre da Ravenna è venuto un altro contributo fondamentale per chiarire la vicenda: il Tribunale, in appello alla citata sentenza di primo grado del 4 dicembre 1997, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità sul problema della «soglia» e sulla ipotizzata mancanza di copertura finanziaria (5).

Si sa, nei fatti, una legge nasce in progressione, ha bisogno di una specie di maturazione, che deriva sia dalle interpretazioni di dottrina e giurisprudenza, sia dal frequente vaglio costituzionale sui dubbi che possano nel frattempo sorgere.  Proprio per la L. n. 257/1992, si può dire che la legge nasce non solo dal Parlamento, ma progressivamente dalle interpretazioni e dalla Corte costituzionale: con la decisiva sentenza n. 5 del 12 gennaio 2000, la Corte costituzionale respinge tutte le questioni e afferma che per i benefici dell'amianto non è necessaria alcuna soglia di esposizione ma basta, come dice espressamente la legge, solo l'esposizione per oltre dieci anni.  La Corte costituzionale dice ancora che la copertura finanziaria è garantita senza ombra di dubbi.

La sentenza della Corte costituzionale è benfatta e corretta.  Si sperava che le incertezze e soprattutto quelle spiacevoli polemiche scomparissero e fossero dimenticate.  Nella sentenza della Corte costituzionale vi è però un piccolo inciso in cui si afferma che alcune soglie sono individuate dalla legge a fini solo prevenzionistici.  L'inciso diventa un mezzo per cercare di ribaltare la sentenza e di farle dire tutto il contrario di quello che aveva detto e cioè che vi sarebbero soglie, non definite, anche per il riconoscimento dei benefici previdenziali.  Dopo la Corte costituzionale, una questione identica è tornata davanti allo stesso giudice di Ravenna (R.  Riverso) che, con sentenza qui pubblicata - non da commentare, ma solo da leggere - chiarisce punto per punto tutte le questioni; chiarisce che né la legge, né tanto meno la Corte costituzionale hanno imposto e neppure indicato soglie per il riconoscimento dei benefici pensionistici; spiega che le soglie ai fini prevenzionistici hanno funzioni diverse e non sono applicabili neppure con sforzi interpretativi alla diversa materia pensionistica.

Il Giudice di Ravenna chiarisce bene la nozione di «rischio morbigeno», secondo lo schema logico e normativo utilizzato sia per le assicurazioni infortuni e malattie professionali sia per i particolari benefici per l'amianto: rischio morbigeno ai fini della L. 257/1992 è quello che deriva dall'esposizione non generica ma specifica all'amianto.  Questo è il rischio tipizzato dalla legge.  Le soglie prevenzionistiche servono, come dice sempre il Tribunale di Ravenna, solamente per individuare i punti di allarme, quelli in cui il rischio diventa ultra-intenso ed eccezionale, non quello in cui inizia il rischio.Il «rischio morbigeno» è previsto dalla legge in ogni caso di esposizione: se ne ha la controprova davvero incontestabile nel fatto che la stessa L. n. 257/1992 vieta sempre e comunque l'estrazione, la commercializzazione, soprattutto l'uso dell'amianto, che è ritenuto nocivo senza distinguere gradualità.

Basterà?  Credo nell'ottimismo: il Giudice di Ravenna dovrebbe riuscire a farsi sentire anche da chi non vuole sentire, imponendo una giusta razionalità. Si leggano le numerose «massime» estrapolate dalla sentenza, ma si legga anche il testo per esteso.  Oltre la razionalità, non si debbono dimenticare neppure le parole d'emozione del Giudice di Ravenna, nel ricordare che un collega del ricorrente è morto per mesotelioma pochi anni prima: «tale evento dovrebbe troncare qualsiasi ulteriore discussione sul rischio specifico affrontato sul lavoro dagli esposti all'amianto e sulle idoneità a cagionare l'insorgenza di patologie da asbesto».

 

Note

 

(1)        M. Miscione, I benefici prevídenzíali per l'amianto, in Lav.  Giur., 1996,12, 977.

            (2)        Pret.  Ravenna 4 dicembre 1997, in Lav.  Gíur., 1998, 6, 484, con nota adesiva di F. Rossi, I benefici previdenziali per l'amianto.

(3)        In Lav. Giur., 1998, 6, 481, con nota adesiva di F. Rossi, cit.

(4)        Trib. Firenze 17 novembre 1999, in Lav. prev. oggi, 2000,2,382.

(5)        Corte cost. ord. 4 maggio 1998, per cui un breve resoconto in Lav.  Giur., 1998, 6, 497.