COMMENTO
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dal sito:
http://www.pegacity.it/justice/impegno di
Michele
Miscione, Professore Ordinario di Diritto
del lavoro nell'Università di Trieste Il
caso dell'amianto, di chi a causa dell'esposizione all'amianto ha subito e
continuerà a subire tutta la vita rischi di malattie mortali, avrebbe dovuto
creare emozione e anche un pò di rabbia.
Una volta non si sapeva, o si faceva finta di non sapere, ma ora si
sa che l'essere stato esposto anche per poco tempo all'amianto comporta
rischi delle malattie più terribili che non diminuiscono con il passar del
tempo, ma che possono sorgere quando uno meno se lo aspetta, magari dopo
venti, trenta o quarant'anni. L’esposizione
per avere benefici pensionistici in base alla L. n. 257/1992 dev'essere durata
complessivamente almeno dieci anni effettivi, non un mese o due. Emozione
e rabbia, dunque, ma forse più che altro ignoranza grave, perché fino a
pochi anni fa, pochi anni prima della L. n. 257/1992, l'amianto era
considerato ancora un materiale prezioso e qualche volta o forse più di
qualche volta veniva imposto dagli stessi organi pubblici.
Emozione e rabbia, con responsabilità generalizzate e sempre più
gravi, man mano che si prendeva coscienza della pericolosità e dei danni
purtroppo irreversibili che si erano già compiuti. Aver
previsto benefici pensionistici a favore di chi è stato esposto all'amianto
costituisce dunque una riparazione pubblica, un mea
culpa generalizzato, ma l'effetto più importante è stato forse un altro
e indiretto: per quei benefici sono
emersi i casi passati, ma anche molto vicini, in cui l'amianto era stato
utilizzato in modo massiccio, senza scrupoli. Per quei benefici, sono stati
tolti dal dimenticatoio casi clamorosi di amianto, è sorta una nuova
attenzione e una nuova sensibilità, perché ricordare imponga di pensare al
futuro. E’ emerso che, per colpa generale, l'amianto è stato un elemento di
inquinamento costante e elevatissimo, nel lavoro e fuori, di cui non si
conosce ancora né la portata né gli effetti, ma che è davvero dappertutto.
Chi non ha usato l'eternit,
composto da cemento e amianto? 1 serbatoi di eternit
per l'acqua erano davvero il massimo e così si beveva anche amianto.
Una mappa d'inquinamento è ancora inimmaginabile, ma, se qualcosa è
emerso, è stato proprio per i benefici pensionistici, che hanno fatto sorgere
l'interesse a ricordare. Spesso
però si sono visti in quei pochi benefici previdenziali, riconosciuti dalla
legge in via successiva e più compensativa che risarcitoria, come una specie
di premio gratuito, quasi una sorta di assistenzialismo superfluo. Insomma,
davvero spiacevole, quei pochi benefici sono stati quasi criminalizzati,
gonfiando a dismisura i costi e dicendo che sarebbero stati un regalo per
nulla. Polemiche spiacevoli,
perché non avevano alcuna giustificazione al mondo; i costi erano e sono
modesti; i rischi restano sulla propria persona, come sa purtroppo chi si
ammala dopo tanti e troppi anni, quando oramai credeva di averla fatta franca. Polemiche
derivanti soprattutto da chi ha fatto lavorare con l'amianto: in fondo, il
rimprovero era ed è non tanto agli imprenditori quanto soprattutto alle
istituzioni e al legislatore che hanno permesso, autorizzato o addirittura
imposto l'uso di questo materiale anche dopo che si era scoperto il suo
terribile effetto inquinante. Oltretutto
i benefici pensionistici presuppongono - guai se non fosse così - che
l'amianto non dev’essere utilizzato più, né poco né molto, in qualunque
posto del mondo, secondo quanto imposto dalle leggi (ma
sarà vero?); oggi, dunque, non dovrebbero esserci più nuovi rischi (... ma
sarà vero?). Per
i vecchi rischi, le parti private non dovrebbero avere nemmeno interesse a
partecipare ai processi, perché i benefici pensionistici previsti dalla L. n.
257/1992 sono riconosciuti per il caso in cui dal rischio non siano derivati
danni e se non vi è danno - nella ovvia speranza che non ve ne saranno mai -
non c'è da temere una responsabilità. Si
dirà che le parti private partecipano ai processi per immagine, ma non è
vero, perché, come ho detto, l'uso dell'amianto era non solo generalizzato,
ma ammesso e riconosciuto e addirittura imposto dalle istituzioni: la colpa
quindi è di tutti, non solo degli imprenditori, e francamente, ripeto, è
maggiore quella delle istituzioni. Eppure
c'è questa opposizione immotivata e illegittima (per carenza di interesse ad
agire) che porta spiacevolmente le parti private a tentare di far negare a
tutti i costi i benefici dell'amianto a questi disgraziati che hanno subito il
rischio e per ora solo il rischio, e che, ripeto, potranno ammalarsi anche
dopo decenni. Ho
studiato la questione dell'amianto, in particolare per quanto riguarda i
legittimati attivi e passivi, con uno scritto del 1996 (1).
In seguito, i problemi maggiori hanno riguardato il problema della c.d.
«soglia» di esposizione all'amianto, perché si volevano condizionare i
benefici non a una qualunque esposizione, ma a un'esposizione di particolare o
magari notevole intensità. L'imposizione
di queste o questa «soglia», riferita a tempi molto lontani (almeno dieci
anni a ritroso dal 1992, salvo casi criminali di esposizioni successive),
avrebbe portato a grandi o grandissime difficoltà di prova.
La legge però non prevede alcuna disposizione e, in ogni caso, sarebbe
impossibile individuare una «soglia implicita». Un
altro problema, neppure emerso dalle sentenze pubblicate, è quello del
computo del tempo di esposizione all'amianto, che per legge deve
essere di almeno dieci anni: il problema è stato risolto subito in modo
semplice e sicuro, considerando i dieci anni come tempo normale di lavoro,
comprensivo quindi di riposi, ferie, festività, malattie ed escludendo
soltanto le assenze che possano essere considerate anomale, come una malattia
lunga o un altrettanto lunga assenza per servizio
militare. Lo
studio sui problemi applicativi è stato fatto soprattutto dalla
giurisprudenza, ma i giudici che se ne sono occupati sono stati pochi,
concentrati nelle aree di maggiore esposizione all'amianto: Ravenna con la
grande Enichem, Padova, Vicenza. Il
Pretore di Ravenna (R. Riverso) ha emanato una sentenza che costituisce il
contributo maggiore per l'interpretazione della L. n. 257/1992, affermando
l'inesistenza di qualunque soglia e il diritto ai benefici per un'esposizione
ultradecennale di qualsiasi tipo (2). Pertanto,
provata un'effettiva esposizione per oltre dieci anni, non è necessario
provare altro e anche una consulenza tecnica sarebbe inutile.
A conclusioni simili era già giunto il Pretore di Padova (G.
Campo) con sentenza del 9 giugno 1997 (3). Di
fronte a queste sentenze e altre conformi (4), sempre da Ravenna è venuto un
altro contributo fondamentale per chiarire la vicenda: il Tribunale, in
appello alla citata sentenza di primo grado del 4 dicembre 1997, ha rimesso
alla Corte costituzionale la questione di legittimità sul problema della «soglia»
e sulla ipotizzata mancanza di copertura finanziaria (5). Si
sa, nei fatti, una legge nasce in progressione, ha bisogno di una specie di
maturazione, che deriva sia dalle interpretazioni di dottrina e
giurisprudenza, sia dal frequente vaglio costituzionale sui dubbi che possano
nel frattempo sorgere. Proprio
per la L. n. 257/1992, si può dire che la legge nasce non solo dal
Parlamento, ma progressivamente dalle interpretazioni e dalla Corte
costituzionale: con la decisiva sentenza n. 5 del 12 gennaio 2000, la Corte
costituzionale respinge tutte le questioni e afferma che per i benefici
dell'amianto non è necessaria alcuna soglia di esposizione ma basta, come
dice espressamente la legge, solo l'esposizione per oltre dieci anni.
La Corte costituzionale dice ancora che la copertura finanziaria è
garantita senza ombra di dubbi. La
sentenza della Corte costituzionale è benfatta e corretta.
Si sperava che le incertezze e soprattutto quelle spiacevoli polemiche
scomparissero e fossero dimenticate. Nella
sentenza della Corte costituzionale vi è però un piccolo inciso in cui si
afferma che alcune soglie sono individuate dalla legge a fini solo
prevenzionistici. L'inciso
diventa un mezzo per cercare di ribaltare la sentenza e di farle dire tutto il
contrario di quello che aveva detto e cioè che vi sarebbero soglie, non
definite, anche per il riconoscimento dei benefici previdenziali.
Dopo la Corte costituzionale, una questione identica è tornata davanti
allo stesso giudice di Ravenna (R. Riverso)
che, con sentenza qui pubblicata - non da commentare, ma solo da leggere -
chiarisce punto per punto tutte le questioni; chiarisce che né la legge, né
tanto meno la Corte costituzionale hanno imposto e neppure indicato soglie per
il riconoscimento dei benefici pensionistici; spiega che le soglie ai fini prevenzionistici
hanno funzioni diverse e non sono applicabili neppure con sforzi
interpretativi alla diversa materia pensionistica. Il
Giudice di Ravenna chiarisce bene la nozione di «rischio morbigeno», secondo
lo schema logico e normativo utilizzato sia per le assicurazioni infortuni e
malattie professionali sia per i particolari benefici per l'amianto: rischio
morbigeno ai fini della L. 257/1992 è quello che deriva dall'esposizione non
generica ma specifica all'amianto.
Questo è il rischio tipizzato dalla legge.
Le soglie prevenzionistiche servono, come dice sempre il Tribunale di
Ravenna, solamente per individuare i punti
di allarme, quelli in cui il rischio diventa ultra-intenso ed eccezionale,
non quello in cui inizia il rischio.Il «rischio morbigeno» è previsto dalla
legge in ogni caso di esposizione: se ne ha la controprova davvero
incontestabile nel fatto che la stessa L. n. 257/1992 vieta sempre e comunque
l'estrazione, la commercializzazione, soprattutto l'uso dell'amianto, che è
ritenuto nocivo senza distinguere gradualità. Basterà?
Credo nell'ottimismo: il Giudice di Ravenna dovrebbe riuscire a farsi
sentire anche da chi non vuole sentire, imponendo una giusta razionalità. Si
leggano le numerose «massime» estrapolate dalla sentenza, ma si legga anche
il testo per esteso. Oltre la
razionalità, non si debbono dimenticare neppure le parole d'emozione del
Giudice di Ravenna, nel ricordare che un collega del ricorrente è morto per
mesotelioma pochi anni prima: «tale evento dovrebbe troncare qualsiasi
ulteriore discussione sul rischio specifico affrontato sul lavoro dagli
esposti all'amianto e sulle idoneità a cagionare l'insorgenza di patologie da
asbesto». Note (1)
M. Miscione, I benefici prevídenzíali
per l'amianto, in Lav.
Giur., 1996,12, 977.
(2) Pret.
Ravenna 4 dicembre 1997, in Lav.
Gíur., 1998,
6, 484, con nota adesiva di F. Rossi, I
benefici previdenziali per l'amianto. (3)
In Lav. Giur., 1998, 6, 481,
con nota adesiva di F. Rossi, cit. (4)
Trib. Firenze 17 novembre 1999, in Lav.
prev. oggi, 2000,2,382. (5)
Corte cost. ord. 4 maggio 1998, per cui un breve resoconto in Lav.
Giur., 1998, 6, 497.
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