NOTA

alla Sentenza del Tribunale di Roma, sezione lavoro del  3 agosto 2002

 

 
 

dal sito: http://www.pegacity.it/justice/impegno 

Il punto nodale è quello di stabilire dei criteri razionali ed accettabili per distinguere tra esposizione "significativa" e quella minima, che il legislatore ha inteso non meritevole di considerazione, partendo dal rilievo non di poco conto che lo stesso legislatore ha volutamente omesso di fissare rigidi parametri di valutazione. L'omissione, ad avviso del giudicante, ha inteso lasciare all'interprete dì apprezzare prudentemente e caso per caso la soglia di esposizione da tutelare, in ragione del fatto che si tratta di valutare situazioni non più attuali ma risalenti nel tempo (vista la progressiva dismissione dell'amianto) con l'ovvia conseguenza dell'impossibilità dì procedere ex post a verifiche tecniche. In altri termini il legislatore si è reso conto che volere ancorare il beneficio all'accertamento di una precisa concentrazione di amianto dell'ambiente lavorativo, in modo costante e per almeno dieci anni, andando a riscontrare luoghi ormai modificati o inesistenti, sarebbe equivalso a rendere inapplicabile la disposizione medesima. Per tale motivo il giudicante - pur essendo consapevole della contraria opinione della giurisprudenza di legittimità (v. Cass 4913/’01), ritiene preferibile non  fare riferimento ai parametri fissati dal DLS 277/'91 (1 o 0,2 fibra per CM3) – che  sono obbiettivamente impossibili da verificare per tutto un arco di almeno un decennio - quanto piuttosto ad altri elementi presuntivi che conducono a considerare non trascurabile la concentrazione di amianto nell'ambiente del singolo lavoratore (nel caso,  le testimonianze, la diffida della Usl alla bonifica dei locali, le sanzioni irrogate, i lavori di bonifica la cui durata triennale induce alla presunzione di una concentrazione significativa).