COMMENTO  di Mario Meucci

alla sentenza del Tribunale di Roma del 9 febbraio 2001

 
 

dal sito: http://www.pegacity.it/justice/impegno 

Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto: il caso dell'attività prestata nella Sede centrale dell'Istituto Mobiliare Italiano interamente coibentata d'amianto

 

NOTA
Appurato ed incontestato che la lavoratrice ha prestato attività  di impiegata per oltre 10 anni nell’immobile Sede centrale dell’Istituto Mobiliare Italiano realizzato con strutture portanti in  ferro interamente coibentato con pannelli di asbesto sin dall’aprile 1970 – epoca di inaugurazione del palazzo – per il quale le pubbliche autorità sanitarie hanno reiteratamente prescritto, a partire dal 1987, la scoibentazione dell’edificio e la decontaminazione degli ambienti (effettuata da parte dell’azienda solo a fine  del 1991), sussiste  per la lavoratrice ricorrente (esposta all’inalazione di fibre d’amianto disperse nella stanza e nei locali aziendali) il diritto alla maggiorazione  dell’anzianità contributiva a fini pensionistici, di cui all’art. 13, comma 8°, l. n. 257/1992 e successive modificazioni (applicazione del coefficiente 1,5 sull’intero periodo lavorativo caratterizzato dall’esposizione).
Superati i 10 anni di esposizione, siano essi continuativi o per sommatoria di diversi periodi,  il diritto in questione si attualizza indipendentemente dal superamento di un qualsiasi limite di soglia dell’esposizione, atteso che l’amianto è un inquinante ubiquitario che si presenta in concentrazioni variabili a seconda dei luoghi ed è noto che non è possibile scientificamente dimostrare con certezza l’incidenza negativa per l’organismo umano di una tale o di una tal’altra concentrazione (cfr. Pret. Pistoia 31.12.’98, in Riv. crit. dir. lav. 1999, p. 729) - (con nota di commento di Mario Meucci)

 

Principi esatti, applicazione aritmetica sbagliata o superata 
La decisione sopra riportata risulta corretta in pressoché tutte le affermazioni di principio ma inciampa  per modo di dire nell’aritmetica (anche se per effetto dell’unico convincimento di principio errato) riconoscendo 5 anni e 6 mesi di maggiorazione contributiva (in luogo di 10 anni e 6 mesi) alla lavoratrice (esposta all’inalazione di fibre d’amianto nel palazzo Sede centrale dell’IMI per effetto di presenza di pannelli coibentati in amianto entrato in  polverizzazione e, conseguentemente, in circolazione ed inalato dai lavoratori per effetto dell’impianto centralizzato di  immissione negli uffici dell’aria normale, così come dell’aria  calda in inverno dell’aria condizionata in estate) che aveva prestato attività con esposizione all’asbesto per 21 anni (dall’aprile 1970 a dicembre 1991).
Il ragionamento che guida il  procedimento argomentativo  del magistrato è il seguente: atteso che la legge assicura il beneficio a chi si è trovato in esposizione per oltre 10 anni, e considerato che la lavoratrice è stata esposta per 21 anni continuativi (dal 1970 al 1991), il beneficio della maggiorazione opera solo sul periodo “ulteriore” eccedente i 10 anni (cioè a dire sui successivi 11 anni) in ragione del coefficiente di moltiplicazione 1,5  con la conseguenza – inesatta – di dar luogo ad una maggiorazione pari a 5 anni e 6 mesi.
Il magistrato considera cioè, erroneamente, i primi 10 anni in “franchigia”, mentre è oramai pacifico e assodato che il loro superamento è solo una condizione di procedibilità del diritto e dell’azione per il riconoscimento del diritto stesso che, ai sensi della legge, opera retroagendo per l’intero periodo lavorativo (primi 10 anni inclusi) di assoggettamento all’esposizione (nel caso di specie, 21 anni), con la diversa conseguenza della spettanza alla ricorrente di una contribuzione figurativa di 10,6 anni (e non già di soli 5,6 anni).
Dispone inequivocabilmente il comma 8°dell’art.13 della l. n. 257 (nel testo sostituito  dal D. L. 5 giugno 1993, n. 169,  poi convertito nella legge 4 agosto 1993, n. 271) che: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato per il coefficiente 1,5”. Ne consegue che, nel caso di specie, 21 anni di esposizione x 1,5 danno luogo ad una maggiorazione di 10,6 anni (giacché il periodo dei primi 10 anni va incluso nel computo in questione, una volta superato anche per un  solo mese, cosicché chi sia stato esposto ad es. per 10 anni e 6 mesi avrà diritto ad una maggiorazione di 5,3 anni e non già, seguendo il ragionamento del magistrato, a soli 3 mesi!).
La tesi del magistrato trova un vecchio e superatissimo precedente in un parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. I, 24 marzo 1993, n. 271 – parere-  in Cons. Stato, 1994, I, p. 507), immediatamente abbandonata – anche e principalmente a seguito  dell’emanazione del D. L. 5 giugno 1993, n. 169 (convertito con modificazioni nella L. n. 271 del 4 agosto 1993) che chiarì come il beneficio spettasse per “l’intero periodo” di esposizione all’amianto -  da una più corretta  giurisprudenza successiva, pacificamente consolidata in ordine alle modalità di computo ed applicazione del coefficiente di maggiorazione (1,5) sull’intero periodo di esposizione al rischio, nonché dalla stessa prassi amministrativa dell’Inps che ai predetti criteri interpretativi si è dovuto attenere.
Dispiace veramente essersi imbattuti in questa interpretazione applicativa da parte di una sentenza condivisibilissima sul piano dei principi ed aderente ai principi garantistici più recenti quali quelli affermati  nella decisione n. 5 del 13 gennaio del 2000 della Corte Costituzionale (in Lav. prev. Oggi  2000, 993 e ss., con commento critico legittimo in un contesto di pluralismo di opinioni ma nient’affatto condivisibile da parte nostra), che ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità giustappunto dell’art. 13, comma 8°, della legge n. 257 del 27 marzo 1992, come successivamente modificato. La Corte costituzionale si è fatta, invece, a nostro avviso apprezzare per la chiarezza con la quale ha sottolineato:
      a)      che l’ equivocità dell’ originaria  dizione dell’art. 13 , 8° co., l. n. 257/’92 – occasionante divergenti interpretazioni (definite dalla Consulta “incertezze interpretative in ordine all’entità delle agevolazioni accordate dal legislatore”– è stata definitivamente “risolta da una disposizione, contenuta nell’articolo 1, comma 1, del decreto legge 5 giugno 1993, n 169, la quale, in sostituzione del comma 8 dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, stabiliva che ‘per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse, che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione  obbligatoria  contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita  dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5’. In sede di conversione del predetto provvedimento d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271, ha soppresso la locuzione ‘dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposto a procedure fallimentari o fallite o dismesse’, cosi intendendo soddisfare – come si evince dai lavori preparatori – l’esigenza di attribuire centralità, ai fini dell’applicazione  del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni relazione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro”;     
      b)      che “lo scopo della disposizione censurata, secondo quanto si evince dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato  alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene”;
      c)       che “il concetto di esposizione  ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta  al richiamato sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3 del DPR n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (d.lgs. 15 agosto 1991, n. 227 e successive modifiche)”.
Tornando all’errore compiuto dal magistrato nella fattispecie di cui alla decisione in commento, vorrà dire che la ricorrente otterrà un’ applicazione correttiva in sede di appello incidentale, atteso che l’Inps – com’è solito fare– ricorrerà in secondo grado per sperimentare la modifica della sentenza di accoglimento emessa dal Tribunale (in primo grado).
Sul tema dei benefici per l’amianto si veda l'ampio e documentato saggio di  Giometti, L'esposizione ultradecennale ad amianto e la rivalutazione contributiva, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 2000, 29; Id., I benefici previdenziali per l'amianto al vaglio della Corte Costituzionale, ibidem 2000, 318 (nota a Corte cost. 12.1.2000, n. 5);  Niccolai,  Esposizione all’amianto e benefici previdenziali: oneri procedimentali veri e falsi, in Riv. crit. dir. lav. 1996, 1059; Monaco, L’esposizione ultradecennale all’amianto, ibidem 1999,730; Miscione, I benefici previdenziali per l’amianto, in Lav giur. 1996, 977 e ss.; in senso incondivisibilmente restrittivo (attesa anche la qualità di legali a difesa delle aziende, Enichem e Breda in fattispecie, e/o di membri dell’avvocatura dell’Inail): L. Spagnuolo Vigorita, L’orientamento della Cassazione sul tema della contribuzione aggiuntiva per esposizione all’amianto, in Mass. giur. lav. 1998, 978; Id., Rischio amianto. Contribuzione aggiuntiva - Responsabilità dell'impresa, in Alar (Associazione Lavoro e ricerche), Milano 1997; Casuccio, Amianto e benefici previdenziali: i giudici di merito raccolgono il monito della Cassazione, in Lav. prev. Oggi, 1999, 2150 e  Id., Amianto e benefici previdenziali: intervento chiarificatore (ma non troppo) della Corte Costituzionale, ibidem 2000, 1005. Nello stesso senso anche Tofacchi,  Benefici contributivi per l’amianto. I presupposti fissati dalla Corte costituzionale e le questioni irrisolte, in Mass. giur. lav. 2000, 552 (nota a Corte cost. n. 5/2000). Sul tema vedi anche: Verde - Ripanucci, Valutazione dell'esposizione ad amianto ai fini dei benefici previdenziali, in Riv. inf. mal. prof. 1996, I, 419.
Mario Meucci
Roma, 23 marzo 2001
 
Post-scriptum- - Dopo la stesura e la pubblicazione della sopra riportata nota a sentenza, ci è stato fatto prendere visione delle note conclusive redatte dalla difesa della ricorrente e sentiamo  pertanto  (per effetto del  dubbio che ci  è insorto) il dovere di ritirare le considerazioni critiche e gli addebiti di "errato convincimento", rifluente in una errata interpretazione del disposto legislativo, in capo al magistrato estensore (o quanto meno esclusivamente in capo ad esso). In effetti l'errore (o forse si è trattato di una strategia processuale di "captatio benevolentiae"?) è riconducibile alla difesa della ricorrente, la quale nel formulare e precisare le richieste del ricorso ha chiesto che la maggiorazione contributiva  per il coefficiente 1,5 venisse applicata "per il periodo (ulteriore rispetto ai 10 anni di esposizione) che va dall'aprile 1980 fino al 31.12.1991 epoca di ultimazione dei lavori di scoibentazione)...e per l'effetto ordinare all'INPS di maggiorare di 5 anni e mesi 6  l'anzianità contributiva..." in luogo dei dovuti 10 anni e 6 mesi per la doverosa inclusione (esclusa dal difensore della ricorrente) dei primi 10 anni di esposizione all'amianto (considerati  erroneamente in franchigia). Il magistrato avrebbe potuto, in verità  - per sottrarsi  con sicurezza e senza sospetto di dubbio alle nostre critiche - far trapelare nella motivazione un dissenso interpretativo, in linea di diritto,  in ordine alla misura ed entità "ridotta" dei benefici contributivi richiesta della difesa  (in ragione di un errore di interpretazione della legge o meglio della  evoluzione cui la stessa è andata soggetta) ma, probabilmente o la condivideva o non ne  ha sentito il bisogno e si è limitato ad accoglierla integralmente, preoccupandosi solo di  sottrarsi al  vizio  di concedere "ultra petita".