- La
decisione sopra riportata risulta corretta in pressoché tutte le
affermazioni di principio ma inciampa
per modo di dire nell’aritmetica (anche se per effetto
dell’unico convincimento di principio errato) riconoscendo 5 anni e 6
mesi di maggiorazione contributiva (in luogo di 10 anni e 6 mesi) alla
lavoratrice (esposta all’inalazione di fibre d’amianto nel palazzo
Sede centrale dell’IMI per effetto di presenza di pannelli coibentati
in amianto entrato in polverizzazione
e, conseguentemente, in circolazione ed inalato dai lavoratori per
effetto dell’impianto centralizzato di
immissione negli uffici dell’aria normale, così come
dell’aria calda in
inverno dell’aria condizionata in estate) che aveva prestato attività
con esposizione all’asbesto per 21 anni (dall’aprile 1970 a dicembre
1991).
- Il
ragionamento che guida il procedimento
argomentativo del
magistrato è il seguente: atteso che la legge assicura il beneficio a
chi si è trovato in esposizione per oltre 10 anni, e considerato che la
lavoratrice è stata esposta per 21 anni continuativi (dal 1970 al
1991), il beneficio della maggiorazione opera solo sul periodo
“ulteriore” eccedente i 10 anni (cioè a dire sui successivi 11
anni) in ragione del coefficiente di moltiplicazione 1,5 con la
conseguenza – inesatta – di dar luogo ad una maggiorazione pari a 5
anni e 6 mesi.
- Il
magistrato considera cioè, erroneamente, i primi 10 anni in
“franchigia”, mentre è oramai pacifico e assodato che il loro
superamento è solo una condizione di procedibilità del diritto e
dell’azione per il riconoscimento del diritto stesso che, ai sensi
della legge, opera retroagendo per l’intero periodo lavorativo (primi
10 anni inclusi) di assoggettamento all’esposizione (nel caso di
specie, 21 anni), con la diversa conseguenza della spettanza alla
ricorrente di una contribuzione figurativa di 10,6 anni (e non già di
soli 5,6 anni).
- Dispone
inequivocabilmente il comma 8°dell’art.13 della l. n. 257 (nel testo
sostituito dal D. L. 5
giugno 1993, n. 169, poi
convertito nella legge 4 agosto 1993, n. 271) che: “Per i
lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è
moltiplicato per il coefficiente 1,5”. Ne consegue che, nel caso
di specie, 21 anni di esposizione x 1,5 danno luogo ad una maggiorazione
di 10,6 anni (giacché il periodo dei primi 10 anni va incluso nel
computo in questione, una volta superato anche per un
solo mese, cosicché chi sia stato esposto ad es. per 10 anni e 6
mesi avrà diritto ad una maggiorazione di 5,3 anni e non già, seguendo
il ragionamento del magistrato, a soli 3 mesi!).
- La
tesi del magistrato trova un vecchio e superatissimo precedente in un
parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. I, 24 marzo 1993, n.
271 – parere- in Cons.
Stato, 1994, I, p. 507), immediatamente abbandonata – anche e
principalmente a seguito dell’emanazione
del D. L. 5 giugno 1993, n. 169 (convertito con modificazioni nella L.
n. 271 del 4 agosto 1993) che chiarì come il beneficio spettasse per
“l’intero periodo” di esposizione all’amianto -
da una più corretta giurisprudenza
successiva, pacificamente consolidata in ordine alle modalità di
computo ed applicazione del coefficiente di maggiorazione (1,5)
sull’intero periodo di esposizione al rischio, nonché dalla stessa
prassi amministrativa dell’Inps che ai predetti criteri interpretativi
si è dovuto attenere.
- Dispiace
veramente essersi imbattuti in questa interpretazione applicativa da
parte di una sentenza condivisibilissima sul piano dei principi ed
aderente ai principi garantistici più recenti quali quelli affermati
nella decisione n. 5 del 13 gennaio del 2000 della Corte
Costituzionale (in Lav. prev. Oggi
2000, 993 e ss., con commento critico legittimo in un contesto di
pluralismo di opinioni ma nient’affatto condivisibile da parte
nostra), che ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità
giustappunto dell’art. 13, comma 8°, della legge n. 257 del 27 marzo
1992, come successivamente modificato. La Corte costituzionale si è
fatta, invece, a nostro avviso apprezzare per la chiarezza con la quale
ha sottolineato:
-
a)
che l’ equivocità dell’ originaria
dizione dell’art. 13 , 8° co., l. n. 257/’92 –
occasionante divergenti interpretazioni (definite dalla Consulta “incertezze
interpretative in ordine all’entità delle agevolazioni accordate dal
legislatore”– è stata definitivamente “risolta da una
disposizione, contenuta nell’articolo 1, comma 1, del decreto legge 5
giugno 1993, n 169, la quale, in sostituzione del comma 8
dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, stabiliva che
‘per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o
utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione
o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse, che siano
stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni,
l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione
obbligatoria contro
le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto,
gestita dall’Inail, è
moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente 1,5’. In sede di conversione del predetto provvedimento
d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271, ha soppresso la locuzione
‘dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto
come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposto a
procedure fallimentari o fallite o dismesse’, cosi intendendo
soddisfare – come si evince dai lavori preparatori – l’esigenza di
attribuire centralità, ai fini dell’applicazione
del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni relazione
che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività
produttiva del datore di lavoro”;
-
b)
che “lo scopo della disposizione censurata, secondo quanto
si evince dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda
normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori
esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10
anni), un beneficio correlato alla
possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo,
presentano potenzialità morbigene”;
-
c)
che “il
concetto di esposizione ultradecennale,
coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa
soggetta al richiamato
sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3 del DPR n. 1124 del 1965),
viene ad implicare, necessariamente quello di rischio e, più
precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse
siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza
nell’ambiente di lavoro; evenienza tanto pregiudizievole da indurre il
legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo
di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la
soglia limite del rischio di esposizione (d.lgs. 15 agosto 1991, n. 227
e successive modifiche)”.
- Tornando
all’errore compiuto dal magistrato nella fattispecie di cui alla
decisione in commento, vorrà dire che la ricorrente otterrà un’
applicazione correttiva in sede di appello incidentale, atteso che l’Inps
– com’è solito fare– ricorrerà in secondo grado per sperimentare
la modifica della sentenza di accoglimento emessa dal Tribunale (in
primo grado).
- Sul
tema dei benefici per l’amianto si veda l'ampio e documentato saggio
di Giometti, L'esposizione ultradecennale ad amianto e la
rivalutazione contributiva, in D&L, Riv. crit. dir. lav.
2000, 29; Id., I benefici previdenziali per l'amianto al vaglio della
Corte Costituzionale, ibidem 2000, 318 (nota a Corte cost.
12.1.2000, n. 5); Niccolai, Esposizione
all’amianto e benefici previdenziali: oneri procedimentali veri e
falsi, in Riv. crit. dir. lav. 1996, 1059; Monaco, L’esposizione
ultradecennale all’amianto, ibidem 1999,730; Miscione, I
benefici previdenziali per l’amianto, in Lav giur. 1996,
977 e ss.; in senso incondivisibilmente restrittivo (attesa anche la
qualità di legali a difesa delle aziende, Enichem e Breda in
fattispecie, e/o di membri dell’avvocatura dell’Inail): L. Spagnuolo
Vigorita, L’orientamento della Cassazione sul tema della
contribuzione aggiuntiva per esposizione all’amianto, in Mass.
giur. lav. 1998, 978; Id., Rischio amianto. Contribuzione
aggiuntiva - Responsabilità dell'impresa, in Alar (Associazione
Lavoro e ricerche), Milano 1997; Casuccio, Amianto e benefici
previdenziali: i giudici di merito raccolgono il monito della Cassazione,
in Lav. prev. Oggi, 1999, 2150 e
Id., Amianto e benefici previdenziali: intervento
chiarificatore (ma non troppo) della Corte Costituzionale, ibidem
2000, 1005.
Nello stesso senso anche
Tofacchi, Benefici
contributivi per l’amianto. I presupposti fissati dalla Corte
costituzionale e le questioni irrisolte, in Mass. giur. lav.
2000, 552 (nota a Corte cost. n. 5/2000). Sul tema vedi anche: Verde -
Ripanucci, Valutazione dell'esposizione ad amianto ai fini dei
benefici previdenziali, in Riv. inf. mal. prof. 1996, I, 419.
- Mario
Meucci
- Roma,
23 marzo 2001
-
- Post-scriptum-
- Dopo la stesura e la pubblicazione della sopra riportata nota a
sentenza, ci è stato fatto prendere visione delle note conclusive
redatte dalla difesa della ricorrente e sentiamo pertanto
(per effetto del dubbio che ci è insorto) il dovere di
ritirare le considerazioni critiche e gli addebiti di "errato
convincimento", rifluente in una errata interpretazione del
disposto legislativo, in capo al magistrato estensore (o quanto meno
esclusivamente in capo ad esso). In effetti l'errore (o forse si è
trattato di una strategia processuale di "captatio benevolentiae"?)
è riconducibile alla difesa della ricorrente, la quale nel formulare e
precisare le richieste del ricorso ha chiesto che la maggiorazione
contributiva per il coefficiente 1,5 venisse applicata "per
il periodo (ulteriore rispetto ai 10 anni di esposizione) che va
dall'aprile 1980 fino al 31.12.1991 epoca di ultimazione dei lavori di
scoibentazione)...e per l'effetto ordinare all'INPS di maggiorare di 5
anni e mesi 6 l'anzianità contributiva..." in luogo dei
dovuti 10 anni e 6 mesi per la doverosa inclusione (esclusa dal
difensore della ricorrente) dei primi 10 anni di esposizione all'amianto
(considerati erroneamente in franchigia). Il magistrato avrebbe
potuto, in verità - per sottrarsi con sicurezza e senza
sospetto di dubbio alle nostre critiche - far trapelare nella
motivazione un dissenso interpretativo, in linea di diritto, in
ordine alla misura ed entità "ridotta" dei benefici
contributivi richiesta della difesa (in ragione di un errore di
interpretazione della legge o meglio della evoluzione cui la
stessa è andata soggetta) ma, probabilmente o la condivideva o non ne
ha sentito il bisogno e si è limitato ad accoglierla integralmente,
preoccupandosi solo di sottrarsi al vizio di concedere
"ultra petita".