Si è sempre tentati da una definizione
onnicomprensiva quando si parla di cinema, come se si volesse ridurre in
un’unica competenza le infinite potenzialità del cinema per gli autori che lo
hanno realizzato, per gli attori che lo hanno interpretato, i produttori che lo
producono, i tecnici che lo assemblano, le sale che lo ospitano. Il cinema è
stato, per molti della mia generazione, l’alternativa e la compensazione della
letteratura, come guardare un romanzo o leggere
un film.
Le strutture narrative di un romanzo venivano trasferite e
talvolta aumentate di significato nelle sequenze di racconto di un film e la
musica, i dialoghi, i primi piani, i
rumori di fondo ci facevano ritenere di essere entrati, né più né meno, in
quella vita illusoria ma accattivante che sulle pagine di un libro e davanti
allo schermo di un cinema facevamo nostra, lasciandoci poi andare ad una
suadente identificazione.
Personalmente sono stato fortunato: sono andato a cinema,
ogni giorno, dall’età di dodici fino ai diciannove anni (dal ’59 al ’66) e ho
visto di tutto, tutto quello che c’era da vedere, dai colossal ai film impegnati,
dai western alle commedie. Imparavo i nomi degli attori e dei registi
dai titoli di testa ma mi soffermavo un po’ su tutta la troupe del film.
Leggevo, è il caso di dire, tutti i titoli che annunciavano
il film: dalla casa di produzione agli interpreti, dagli sceneggiatori ai
registi, dagli scenografi ai costumisti, dagli autori delle musiche ai tecnici
di montaggio. Erano per la maggior parte film americani e mi divennero
familiari nomi come la costumista Edith Head, lo scenografo Cedric Gibbons, il
truccatore Ben Nye, l’art director Hal Pereira, il titolista Saul Bass, per non
parlare poi di attori, di attrici, comprimari, sceneggiatori, registi. Il mio
personale archivio di cineasti diventava sempre più folto, spaziando dal cinema
americano a quello francese, inglese, giapponese e, ovviamente, italiano.
Nomi che cito alla rinfusa, così come me li presenta la
memoria: Eraldo Da Roma, Silla Bottini, Nino Baragli, Pasqualino De Santis,
Umberto Spadaro, Guglielmo Inglese, Gabriele Ferzetti, Mario Bava, Dorian Gray…
Attori che prestavano la loro formidabile voce, i doppiatori: Emilio Cigoli, Gualtiero
De Angelis, Tina Lattanzi, Carlo Romano, Rita Savagnone, Lauro e Nando Gazzolo,
Sergio Graziani, Pino Locchi, Giuseppe Rinaldi, Ferruccio Amendola, Renato
Turi, Gianfranco Bellini…
Michael Rennie/Klaatu in
ultimatum alla
terra
Alfred
Hitchcock
Vivien Leigh e Clark Gable
Michelangelo
Antonioni Luchino
Visconti Pier Paolo
Pasolini
E poi ancora Serge Reggiani, Folco Lulli, Lorella De Luca,
Renato Salvatori, Anouk Aimée, Annie Girardot, Jean Sorel, Anna Maria Ferrero,
Jeanne Moreau, Sterling Hayden, Ernest Borgnine, Montgomery Clift, Richard
Widmark, Lee Marvin, Victor Mature, John Carradine, Jack Palance, Robert
Mitchum, Tony Curtis, Marylin Monroe, Jack Lemmon, Grace Kelly, James Stewart,
Humphrey Bogart, Cary Grant, Max von Sydow, Sven Nykvist, Gianni Di Venanzo,
Fernandel, Gino Cervi, Alain Delon, Jean-Louis Trintignant, Yves Montand,
Philippe Noiret, Giancarlo Giannini,
Duilio Del Prete, Silvana Mangano, Claudia Cardinale, Vittorio Gassman,
Marcello Mastroianni.
Ma il cinema per me – e perdonatemi la sfacciata faziosità –
è un solo nome…
Ho amato e amo tutti i
film di Fellini, li ho visti tutti e mi hanno accompagnato dalla prima adolescenza
alla maturità. Il film che considero il più grande, il più bello, l’inimitabile
ed eterno è…
8 ½ è
la storia di tutti gli artisti che cercano nella vita e nella creazione estetica
motivi e ragioni di stimolo e di analisi. È il film di ogni artista-creatore,
di ogni uomo che fa i conti con tutte le stagioni della sua vita, di ogni
individuo che, tra incanto e disincanto, risorge e rilegge le avventure che lo
hanno fatto crescere e innamorare, riflettere e compiacersi. 8 ½ è il film che tutti
avremmo voluto scrivere ma Fellini lo realizzò in modo tale da farci
partecipare alla sua trascinante bellezza, come fantasmi di personaggi, come
doppi di se stesso.
Ho amato La dolce vita, Amarcord, La
strada, E la nave va e
tutti, tutti i film di Fellini mi hanno sempre consolidato quelle certezze che
a volte traballano nel lavoro dello scrittore e dell’artista.
Tanti autori hanno scritto e diretto grandi film (Antonioni, Ford,
Bergman, Buñuel, Kurosawa, Visconti, Hitchcock, Wilder) che ci hanno fatto
diventare uomini: Federico Fellini, per la mia personale esperienza di
scrittore, mi ha insegnato a credere che la realtà debba essere sempre
raccontata, sia che riguardi il sogno sia che si trasformi in sogno, sia quando
resta quella che è, sia quando riusciamo a farla vivere con passione.
Il cinema di Federico Fellini è un romanzo dove tutti abbiamo
scritto qualche pagina ed è un film che ci fa riscoprire le storie e le
suggestioni che talvolta stentiamo a guardare, a vivere e a rivivere.
è
Leggete il libro di Tullio Kezich su Federico Fellini: è fondamentale. ç
Tullio
Kezich, FELLINI, Camunia, Milano 1987
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