Gillie Mc Pherson
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Gillie Mc Pherson - Common Ground

La più francese delle irlandesi”: così è stata definita la nord-irlandese (è nata a Belfast) Gillie Mc Pherson, cantante-chitarrista e compositrice che ormai da una decina d’anni si è stabilita, per ragioni sentimentali, in Francia, Paese dove ha raggiunto una notevole popolarità grazie all’espressività della propria voce e alla capacità di fondere le atmosfere irlandesi con le calde sonorità della musica mediterranea. Basti considerare ad esempio l’ultimo album della Mc Pherson, Common Ground, felice connubio tra musica irlandese e percussioni africane, una delle proposte in assoluto più interessanti che ci sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi. I brani di Common Ground, in diversi casi dei veri e propri classici dell’Irish music, nella versione della cantante di Belfast acquistano infatti un aspetto nuovo e gradevole, singolare e all’insegna della sperimentazione, rimanendo tuttavia saldamente nell’ambito della musica tradizionale irlandese.

La stessa biografia artistica di Gillie Mc Pherson ci parla del resto di un’artista dallo spirito curioso e irrequieto, pronto a sperimentare con i generi musicali più disparati, dal pop al jazz, dal blues alla musica tradizionale. E molteplici, e di notevole valore, sono state le esperienze artistiche della Mc Pherson, soprattutto nel suo lungo periodo di permanenza (venti anni) a Londra: curiosando tra i nomi dei musicisti con cui la cantante si è esibita, si ha la sensazione di scorrere la Hall of Fame della musica degli ultimi trenta anni.

Gillie, i suoi inizi professionali risalgono alla Belfast della metà degli anni sessanta. Ci racconti qualcosa della scena musicale nord-irlandese di quel periodo. Cosa l’ha spinta ad intraprendere professionalmente la carriera musicale?

“Il panorama musicale della Belfast degli anni sessanta era particolarmente ricco: c’erano moltissimi piccoli music club dove era possibile suonare ed ascoltare folk, blues e rock. E se non ricordo male c’era anche un jazz club, dalle parti dell’università. Il sabato i negozi di dischi erano affollatissimi, e ricordo anche un posto dove vendevano i dischi di seconda mano, in Botanic Avenue: ci andavo spesso, a cercare dischi di folk e di blues.

Ricordo che due miei compagni di classe iniziarono a prendere lezioni di piano, e che ero affascinata dalla loro capacità di eseguire brani di musica classica. Mia madre però non poteva permettersi l’acquisto di un pianoforte, e così dovetti ripiegare su una chitarra classica, l’unico strumento presente all’epoca a casa mia: in realtà quella chitarra era del fidanzato di mia sorella. Così iniziai a imparare gli accordi di base, a comporre alcune canzoni e a cantarle.

All’età di quindici anni entrai a far parte della “Ulster Folk Music Society” e iniziai a cantare in maniera stabile per loro: in altri termini divenni una resident floor singer. Fu proprio per questo motivo che divenni motivata a costruirmi un repertorio legato alla musica folk, e cominciai così a frequentare gli appasionati di questa musica e a seguire i concerti che si tenevano con una certa regolarità alla Belfast Queens University. C’era anche un annuale Belfast folk festival, e il Belfast Arts festival aveva una grande considerazione per gli artisti della folk music.

A parte questo, da sempre mi affascina la magia che si crea nei concerti di musica folk: ho come la sensazione di condividere una parte della vita e delle esperienze degli artisti che si ebiscono. Tutti gli spettatori, anche se in misura variabile, entrano in contatto con le emozioni del musicista che suona dal vivo; è come se le emozioni fossero in movimento. Anche nei nostri concerti mi capita di osservare gente che piange quando canto una canzone triste, o al contrario ballare felice quando la musica diventa veloce e trascinante: sono queste emozioni, o se preferisce questi scambi reciproci di emozioni, che mi spingono a continuare a cantare e a suonare. Quando un concerto è particolarmente ben riuscito, vorremmo tutti continuare a stare insieme, vorremmo che lo spettacolo non finisse mai: in queste situazioni sento addirittura che potrei parlare di qualsiasi cosa con qualsiasi spettatore, come se fossimo diventati vecchi amici, proprio perché siamo riusciti a condividere qualcosa di importante, dal punto di vista emozionale. Mi creda, tutto ciò sta a cuore anche ai musicisti, oltre che al pubblico, e contribuisce in modo determinante alla riuscita di un bel concerto.”

È poi seguito un periodo londinese, nella sua carriera. Cosa le ha dato in termini di esperienza? Guardando all’elenco degli artisti con cui ha suonato in quegli anni si ha quasi la sensazione di scorrere la storia della musica di questi ultimi decenni…Quali sono state le esperienze musicali più importanti di quel periodo?

“Londra ha significato molte cose per me, ed ha giocato un ruolo fondamentale nel formare la mia disposizione nei confronti della vita, oltre che della musica.

Per iniziare, volevo rompere con Belfast e le cattive “usanze nord-irlandesi”. Londra era piena di gente e di culture provenienti dagli angoli più disparati del globo. Avevo bisogno di un modo di sopravvivere in quella metropoli, e l’opportunità mi fu data proprio dalla musica. Jo Lustig, il manager dei Pentangle, mi aveva visto suonare a Belfast quando avevo 18 anni, e mi aveva promesso allora che avrebbe fatto di me una star. Fu così che un giorno bussai alla sua porta, e Jo mi offrì di suonare di supporto a Ralph McTell; fu in seguito a questa prima esperienza che firmai un contratto discografico di tre anni con la RCA. In seguito Lustig mi prese nella sua “scuderia”, fece un ottimo lancio pubblicitario e organizzò per me un lungo tour di folk club e festival in tutta l’Inghilterra; partecipai tra l’altro – era appena uscito il mio primo album, Poets, Painters And Performers Of Blues – al Cambridge Folk Festival e all’Edinburgh Festival.

A produrre questo mio primo LP era stato Danny Thompson, il bassista dei Pentangle. Era il 1971, e ora questo disco è diventato una vera rarità per collezionisti! Era un album molto jazzistico nell’impostazione.

L’ingresso nel mondo della musica in modo professionistico era stato quindi relativamente semplice, ma ero ancora troppo giovane, e avevo ancora molte cose da imparare, da capire. In definitiva sono rimasta a Londra dal 1971 al 1992, e in tutto questo tempo ho partecipato a un gran numero di spettacoli televisivi, radiofonici e ad alcune colonne sonore, naturalmente oltre a centinaia di concerti nei wine-bar, ristoranti, pub e club londinesi. In quegli anni ho formato molte band con eccellenti musicisti, e ho suonato come supporter a grandi come Taj Mahal, Donovan, Mingus Dinasty e Joe Cocker. Avrò composto oltre un centinaio di canzoni, e sono stata sotto contratto con la Rocket Publishing Company di Elton John. Il suo manager, John Reid, mi spinse a registrare un album composto esclusivamente da mie composizioni: a produrre quest’album fu Ken Scott, tecnico di artisti importanti come David Bowie, la Mahavishnu Orchestra, Billy Cobham e Stanley Clarke. A Ken piacevano molto le mie canzoni, e mi regalò un amplificatore per iniziare a esplorare il mondo della musica elettrificata. Mi trovai così tra le mani una Stratocaster, e le mie sonorità si spostarono verso il mondo del rock. Ricordo che il mio ultimo concerto londinese, assieme a Joe Cocker, registrò il tutto esaurito con largo anticipo.

Era evidente che il mondo del business iniziava ad essere interessato al mio potenziale commerciale, ma come la maggior parte degli artisti non tolleravo di essere manipolata, ed il lato economico della mia musica non m’interessava per niente. Di conseguenza mi trovai a fronteggiare una serie di dilemmi intrinseci al mondo dello show business che, le assicuro, è corrotto come qualsiasi altro ambiente in cui circolano molti soldi. È un mondo in cui una serie di personaggi diversissimi tra di loro si ritrovano a percorrere la stessa strada,  pur non perseguendo le stesse direttive. E tutte queste esperienze hanno comunque avuto un’importanza indiretta sul mio approccio odierno alla musica. Ad ogni modo oggi ripenso a quegli anni – per me di apprendimento – in modo positivo: ho avuto il privilegio di vedere, incontrare e lavorare con alcuni grandissimi artisti. E dire che allora quasi non me ne rendevo conto!”

Quindi lei ha suonato rock, blues, jazz…cosa rimane di queste esperienze nella sua musica odierna?

“Le mie esperienze artistiche “extra-folk” erano iniziate già a Belfast, quando facevo parte del gruppo folk “The Folk Union”. Reclamavamo la libertà di suonare brani tradizionali assieme a versioni acustiche di pezzi come ad esempio “Hey Joe” di Jimi Hendrix…funzionava perfettamente, e ci divertivamo da matti!

A Londra, come ho già detto, ho suonato anche la chitarra elettrica, all’interno di generi come il folk-rock, il blues e il jazz, ma anche la stessa chitarra acustica si presta bene a interpretare qualsiasi genere musicale. Così per me è risultato del tutto naturale sperimentare con altri stili musicali: dopo che metti insieme due accordi, poi devi decidere in che modo interpretarli…in modo del tutto spontaneo mi ritrovavo a sperimentare differenti ritmi, accentuazioni, velocità, variazioni di accordi e improvvisazioni vocali solo per soddisfare il mio interesse artistico.

Ad esempio le jig e i reel irlandesi seguono determinati pattern ritmici, e sono di solito in una tonalità maggiore, che si presta in modo particolare alla danza. Un violinista sarà ad esempio sempre a proprio agio in una tonalità di Re, a causa dell’accordatura del suo strumento. E altri strumenti a corda, come il bouzouki e la chitarra, possono essere riaccordati in funzione di questa tonalità, e ciò spiega il motivo per cui alcune tonalità sono più popolari di altre.

Lo stesso dicasi per il blues, in cui la tonalità predominate è il Mi. In questa musica le tonalità minori sono molto usate, per conferire maggiormente quel particolare blues feeling, mentre gli accordi di settima sono adoperati nel blues per dare quel tipico senso di sospensione, in attesa di risolvere verso una tonalità minore o maggiore, a seconda delle intenzioni musicali ed emotive del bluesman. A Londra ho avuto modo di ascoltare molti grandi del blues, e ho fatto concerti assieme ad Alexis Korner, uno dei primi bluesmen inglesi. Andando al jazz, mi sembra che oggi strizzi l’occhio a tanti differenti generi musicali. Si dice spesso che il jazz sia una musica per musicisti che conoscono bene la propria musica. Bene, non mi stupirei se un domani il jazz aprisse sempre più le porte alla world music, con l’intento di mescolare in modo creativo le due forme d’arte.

Il pop: ovviamente i miei primi ricordi del pop hanno a che fare con i Beatles, che rivoluzionarono – letteralmente – il mondo della musica. Ma anche Elvis: mia sorella si iscrisse al suo fan club irlandese, e avevamo tutti i suoi dischi. Andavo ai concerti di Van Morrison e ascoltavo Radio Luxembourg: fu lì che ascoltai i primi dischi di Bob Dylan e di Donovan…e mai avrei immaginato che un giorno avrei suonato in concerto con lui!

La musica folk, infine…negli anni ’60 ho iniziato la mia carriera con essa, e dopo tutte queste esperienze, eccomi di nuovo alle prese con la musica tradizionale. La mia etichetta è di un’artista folk, e così rispetto il tipo di arrangiamenti che si addicono alla musica tipica di una folk band: è vero, ci sono alcune regole da seguire, ma ogni tanto mi diverto a infrangerle per venire incontro alle mie aspirazioni di composizione, come ad esempio in “Equad’or” presente in quest’ultimo mio album, Common Ground. Piace a me, e vedo che piace anche al pubblico. E alla fin fine è ciò che conta maggiormente.”

Una curiosità: come mai si trova a vivere in Francia?

“Quando ero a Londra, la Francia non era minimamente nei miei pensieri. Alla fine degli anni ’80 decisi di iniziare a studiare danza. In una delle classi conobbi un francese particolarmente affascinante e così…eccomi qui! Ormai vivo in Francia dal 1993.”

Andiamo a questo suo ultimo lavoro: la prima cosa che vi si avverte è un riuscito mix tra musica irlandese e colori mediterranei. Tutto ciò deriva in modo naturale dalla sua permanenza in Francia, oppure è un qualcosa da lei ricercato in modo deliberato?

“In realtà desideravo che gli arrangiamenti dei brani su Common Ground fossero in un certo senso aperti nei confronti del mondo: del resto non sono una purista, e tutti gli elementi della mia band sono stati influenzati dai più svariati generi musicali. Ci è piaciuta ad esempio l’idea di mescolare il bodhrán con altre percussioni, così come in alcuni brani abbiamo aggiunto alcune melodie scandinave e romene. Il nostro fiddler, Paul Habourdin, ha suonato con molti musicisti irlandesi, ha un innato senso della melodia e l’interpretazione è il suo punto di forza…ma noi tutti ascoltiamo musica di ogni genere, e vorremmo insistere su questa fusione con la musica etnica di varie parti del mondo: in questo modo abbiamo la duplice opportunità di eseguire queste vecchie tune e song nel modo in cui le suonavano i nostri antenati, oppure di offrirne una nostra reinterpretazione. Io credo molto nella reinterpretazione: apporta nuova linfa alla nostra eredità folk. Ma comunque lo spirito irlandese è fortemente in evidenza in Common Ground: dopo tutto sono cresciuta in Irlanda, e tutti noi della band amiamo la musica irlandese!”

Cosa ci dice di “Never Safe”, il brano che presenta Common Ground ai lettori di Keltika?

“Scrissi “Never Safe” durante il mio periodo londinese. Questa canzone riflette la difficoltà della vita quotidiana a Belfast, negli anni dei tumulti sociali dell’Irlanda del Nord. Di certo lei saprà di cosa sto parlando…la gente non si sentiva al sicuro nemmeno all’interno delle proprie case. Le mura erano ricoperte da graffiti a carattere politico, e gli atti di terrorismo erano all’ordine del giorno. Uomini e donne di entrambi gli schieramenti hanno discusso per anni alla ricerca della pace. La cultura e l’educazione ricevuta dettano la maggior parte dei nostri comportamenti, ma nel caso dell’Irlanda del Nord le differenze tra le culture hanno portato alla diffidenza reciproca e al fanatismo, con le tragiche conseguenze per la società nord-irlandese che tutti conosciamo. Purtroppo non si può cancellare la storia e installare una società che accetti di vivere in pace dall’oggi al domani, ma sarebbe bello! Il testo di “Never Safe” tratta quindi di problematiche serie, ma per contrasto ho preferito scegliere di cantarla in modo abbastanza rilassato.”

Lei ha cantato e suonato in molte nazioni europee. E in Italia?

“In Italia…ancora non ho mai cantato in Italia, ma proprio quest’estate abbiamo suonato al Tesserete Irish festival, in Svizzera, un festival di musica celtica che si svolgeva, in due giorni, vicino Lugano, con oltre diecimila presenze. Siamo stati sommersi da un entusiasmo senza precedenti per la nostra musica, e non mi era mai capitato di autografare tante copie di un mio CD. Ricordo che uno degli spettatori mi disse che non voleva un autografo, perché saremmo comunque rimasti in modo indelebile nel suo cuore! Gli svizzeri-italiani sono caldi e accoglienti, e inoltre hanno un’origine celtica forte come quella degli irlandesi. Nulla di strano, quindi, che si siano mostrati così entusiasti nei confronti della nostra musica!”

Gillie Mc Pherson in definitiva, anche se ormai si esprime in perfetto francese, e pur continuando ad accumulare esperienze artistiche di ogni genere, continua a cantare le sue radici. Il suo gruppo comprende attualmente il violinista Paul Habourdin, Patrick Chanal al bouzouki, Thierry Pigot al bodhrán e Karim Bensalah alle percussioni. Ad essi si aggiungono, in alcune track di Common Ground, Bernard Dépit all’accordion e al mandolino ed Etienne Roche al contrabbasso: musicisti di varia provenienza, ma tutti ugualmente validi e con la medesima gioia di suonare.

Sulla nostra compilation mensile troviamo a presentare questo interessantissimo album della cantante di Belfast un brano tra i più intriganti: “Never Safe”, il cui testo amaro, che ci parla dell’assurda situazione della vita quotidiana nella Belfast degli anni ’60 e ’70 poggia, a rendere ancora più stridente il contrasto, su alcune delle più famose e gioiose tune irlandesi, nella fattispecie “Morrison’s Jig”, “Tom Billy’s Jig” e “Cottage In The Grove”.

Common Ground è distribuito dalla dinamica casa discografica bretone Coop Breizh, una delle realtà in assoluto più importanti per la diffusione della musica celtica. Chi fosse incuriosito dal titolo scelto ne troverà la motivazione nella frase, presente tra le note di copertina: “Un terreno comune, un sentimento comune. Le influenze musicali del nord, del sud, dell’est e dell’ovest ci hanno condotto verso nuovi orizzonti e verso differenti prospettive. Su un percorso lastricato da influenze irlandesi, maghrebine, francesi e dei Paesi dell’Est Gillie Mc Pherson e i suoi musicisti, tutti a un tempo compositori e arrangiatori, vi invitano a scoprire questo terreno comune…

Il sito web ufficiale di Gillie Mc Pherson è www.gilliemcpherson.com, e Gillie può essere contattata all’indirizzo email thpigot@club-internet.fr

 

                                                                                               Intervista di Alfredo De Pietra

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