Nell’ambito
delle ricerche che la cattedra di Storia dell’Arte Medioevale e
Moderna, della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di
Salerno, va conducendo ormai da svariati decenni, va inserita la
cartella di disegni ed acquerelli “Appunti su Salerno” di Alfredo
Plachesi, un salernitano di adozione amante della nostra città
che, da anni, si dedica allo studio del nostro centro storico e
alla ricerca in merito. |
Questa cartella, che ricostruisce, attraverso
disegni di indubbio valore artistico e schede rigorose, storia,
avventure e disavventure dei luoghi del centro storico
salernitano, oltre che integrazione di una meritoria attività di
ricerca, ha una sua specificità e si propone come momento
documentati e come strumento divulgativo per la conoscenza fisica
di una realtà che in tanti ignoriamo.
Basta, infatti, ripercorrere in sequenza le
immagini della chiesa di Montevergine, di Sant’Apollonia, di Santa
Maria della Consolazione, della torre Guaiferio, di palazzo De
Ruggiero, di S. Andrea de Lavina, dell’Annunziatella e, in
particolare dell’atrio del Duomo, per accorgersi che, accanto a
cose note, appaiono monumenti meno conosciuti, scorci inediti,
come se la città vecchia, splendente ed abbandonata, avesse
gelosamente nascosti i suoi piccoli tesori per preservarli dalla
distruzione e dall’incuria degli uomini. La fortuna di Plachesi, come afferma in una
nota Luigi Kalby, sta nella capacità di saper leggere le
architetture e di riuscire a tradurre le sue emozioni in immagini
colorate rendendone visibile la storia.
Poiché saper rendere, con
immediatezza e con tratti essenziali, il valore dell’insieme e dei
particolari è fare vera storia nel senso non solo artistico ma
sociale. E’ sufficiente la lettura dei suoi splendidi disegni per
vedere, improvvisamente illuminati, particolari che abbiamo
quotidianamente innanzi a noi e che pure sono rimasti inosservati
e sconosciuti.
Il desiderio è quello di recuperare, anzitutto,
un modo di guardare e leggere affidato agli occhi e alla mano,
alla duttilità di un sapere artigianale: al disegno e
all’acquerello e non alla fotografia o a qualunque strumento
elettronico, come sarebbe stato più semplice, perché di queste
chiese e di questi edifici, delle ombre che proiettano e della
luce che li sfiora, Plachesi non è tanto interessato a restituirci
un ritratto puntuale, quanto il sentimento del tempo e le erranze
dello sguardo. Così all’occhio meccanico ed elettronico Plachesi
continua a preferire, in questi suoi fogli di ricordi fatti a
matita e acquerello, il vacillare del suo occhio e il fremito
della sua mano. Alla pellicola antepone la carta, ai miscugli
della chimica il nero intenso e morbido della matita e l’acqua
che, unita ai colori, crea trasparenza e indizi leggeri: per farci
scoprire le tracce, simili ed insieme diversissime, di un pezzo di
mondo riacceso dall’acutezza della vista, dalle incertezze della
mano, della matita, dell’acqua diluita con i colori.
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