8.9. APPUNTI SU SALERNO DI ALFREDO PLACHESI

Nell’ambito delle ricerche che la cattedra di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna, della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno, va conducendo ormai da svariati decenni, va inserita la cartella di disegni ed acquerelli “Appunti su Salerno” di Alfredo Plachesi, un salernitano di adozione amante della nostra città che, da anni, si dedica allo studio del nostro centro storico e alla ricerca in merito.

Questa cartella, che ricostruisce, attraverso disegni di indubbio valore artistico e schede rigorose, storia, avventure e disavventure dei luoghi del centro storico salernitano, oltre che integrazione di una meritoria attività di ricerca, ha una sua specificità e si propone come momento documentati e come strumento divulgativo per la conoscenza fisica di una realtà che in tanti ignoriamo.
Basta, infatti, ripercorrere in sequenza le immagini della chiesa di Montevergine, di Sant’Apollonia, di Santa Maria della Consolazione, della torre Guaiferio, di palazzo De Ruggiero, di S. Andrea de Lavina, dell’Annunziatella e, in particolare dell’atrio del Duomo, per accorgersi che, accanto a cose note, appaiono monumenti meno conosciuti, scorci inediti, come se la città vecchia, splendente ed abbandonata, avesse gelosamente nascosti i suoi piccoli tesori per preservarli dalla distruzione e dall’incuria degli uomini. La fortuna di Plachesi, come afferma in una nota Luigi Kalby, sta nella capacità di saper leggere le architetture e di riuscire a tradurre le sue emozioni in immagini colorate rendendone visibile la storia.
Poiché saper rendere, con immediatezza e con tratti essenziali, il valore dell’insieme e dei particolari è fare vera storia nel senso non solo artistico ma sociale. E’ sufficiente la lettura dei suoi splendidi disegni per vedere, improvvisamente illuminati, particolari che abbiamo quotidianamente innanzi a noi e che pure sono rimasti inosservati e sconosciuti.
Il desiderio è quello di recuperare, anzitutto, un modo di guardare e leggere affidato agli occhi e alla mano, alla duttilità di un sapere artigianale: al disegno e all’acquerello e non alla fotografia o a qualunque strumento elettronico, come sarebbe stato più semplice, perché di queste chiese e di questi edifici, delle ombre che proiettano e della luce che li sfiora, Plachesi non è tanto interessato a restituirci un ritratto puntuale, quanto il sentimento del tempo e le erranze dello sguardo. Così all’occhio meccanico ed elettronico Plachesi continua a preferire, in questi suoi fogli di ricordi fatti a matita e acquerello, il vacillare del suo occhio e il fremito della sua mano. Alla pellicola antepone la carta, ai miscugli della chimica il nero intenso e morbido della matita e l’acqua che, unita ai colori, crea trasparenza e indizi leggeri: per farci scoprire le tracce, simili ed insieme diversissime, di un pezzo di mondo riacceso dall’acutezza della vista, dalle incertezze della mano, della matita, dell’acqua diluita con i colori.

Figura 8. 62. Alfredo Plachesi
Figura 8. 63. Alfredo Plachesi