Il
pellegrinaggio al Santuario di Maria Santissima Avvocata sul monte
Falerzio sulla penisola di Capo d’Orso, si svolge ogni anno, il
lunedì successivo al giorno della Pentecoste. Vi partecipano
pellegrini provenienti in gran parte dal Salernitano: Vietri,
Cava, Salerno, i paesi dell’Agro Nocerino e della Costiera
Amalfitana.
Su un piccolo pianoro del monte sorge il Santuario. La leggenda
narra che un giovane pastore di nome Gabriele Cinnamo, nell’anno
1485, mentre pascolava il suo gregge su per le montagne di Maiori,
fu attratto da una forza irresistibile in una grotta del monte
dove era stato guidato da una colomba, gli apparve la Madonna che
gli comandò di edificarle un altare: in cambio Ella gli sarebbe
stata Avvocata. Lasciate le capre, la vita del pastorello fu tutta
un fervore di idee seguite dalla realizzazione di opere a
testimonianza della miracolosa apparizione. |
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Fu nella grotta che edificò, con i fondi
raccolti tra la povera gente, il primo altare alla Madonna; e poi,
avviatosi alla vita di eremita, realizzò la cappella, la chiesetta
a tre navate e il romitorio. Nella grotta possono essere ammirati
gli affreschi della Vergine, della Madonna dell’Annunziata,
dell’Arcangelo Gabriele e della cena degli Apostoli circondata da
angioletti.
Il Santuario fu sede di un gruppo di frati eremiti fino al 1682,
anno in cui passò sotto l’ordine e le regole dei Camaldolesi. Fu
dimesso nel 1807 durante il decennio francese quando le leggi
napoleoniche sancirono la soppressione degli ordini monastici;
successivamente fu saccheggiato e ridotto a presidio militare. La
ricostruzione dell’intero complesso monastico risale alla fine
dell’Ottocento, mentre l’acquisto da parte della Badia di Cava è
del 1913. |
Per chi si reca all’Avvocata in un giorno
qualsiasi dell’anno, prevale il fascino della leggenda: si immerge
in un luogo incantato ove la vetta del monte Falerzio troneggia
sopra le altre cime della costiera a fronte di un mare a perdita
d’occhio; e se il tempo è nuvoloso l’impressione è quella di
trovarsi sopra le nuvole, in una dimensione in cui anche il tempo
sembra sospeso.
Nel giorno della festa prevale invece la storia, una storia di
popolo, ove sul palco costituito dal sacrato chiuso dalle mura di
cinta del Santuario, si muovono attori improvvisati usciti per un
solo giorno dalla vita ordinaria.
I pellegrini arrivano in gruppi, ciascuno con le sue piccole
regole, dopo aver affrontato già dalle prime luci dell’alba il
percorso rapido e scosceso che sale da Maiori o Erchie, o quello
meno impervio che viene dal Corpo di Cava, da Albori, da Dragonea,
o ancora, quello più lungo che proviene dalle frazioni di
Tramonti.
Portano con loro, in una tovaglia annodata per i quattro angoli,
un pasto che la tradizione vuole che si consumi per tre volte:
appena arrivati, subito dopo la processione e al tramonto prima di
rimettersi in viaggio.
Quando la statua della Madonna esce dalla chiesa in una nuvola di
petali di rose, si avverte un momento di grande commozione; la
folla andrà ordinandosi in processione per compiere un tratto di
strada che gira e si ripiega su se stessa fin sotto la grotta a
ridosso del Santuario. Da un braccio della Madonna pendono due
nastri azzurri, sui quali i fedeli appuntano personalmente le loro
offerte.
Questo è tutto ciò che di liturgico propone la chiesa. Tutto il
resto infatti è tradizione laica, arcaica, precedente la
conversione del pastorello alle parole della Vergine: sembra di
rivivere il culto antico della natura, con la gioia del ballo e
del banchetto, ma anche il senso comunitario dello stare insieme. |
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