Di
solito si desidera vedere in un quadro, in una rappresentazione
grafica, in una stampa, ciò che si ama in realtà. A tutti piace
ammirare in un’opera la bellezza della natura con le sue
espressioni ricche di colori, di fascino e talvolta di mistero, la
celebrazione della storia o la rappresentazione dell’antico che ci
aiuta a ricostruire, nella mente, il passato. Siamo, pertanto,
grati a quegli artisti che nelle loro opere l’hanno conservato e
tramandato fino a noi. |
Non si può, però sperare di comprendere
un’opera d’arte se non si è in grado di immedesimarsi in quel
sentimento di liberazione e di trionfo che l’artista deve aver
provato di fronte all’opera compiuta.
E di sentimenti e di poesia sono cariche le tele del pittore
salernitano Raffaele Vuolo che del paesaggio campano, soprattutto,
è un cantore appassionato e sincero.
La sua pittura si muove in una direzione tesa a conferire alle
visioni un che di nuovo, di reinventato che si ispira al vero,
attraverso colorazioni che conferiscono ai vari temi qualcosa di
bello, di originale e misterioso. |
Vuolo, che dipinge soprattutto per il suo
intimo piacere, coglie gli aspetti della natura e ce li offre con
cordialità e dignità. Egli ci fa vedere ciò che solitamente
vediamo, in aderenza ad una sua precisa convinzione: la necessità
di esprimere non soltanto i sentimenti che hanno motivato la
creazione, ma anche i movimenti, le situazioni miste e sentite
osservando la natura.
Prima che pittore, Vuolo è un ottimo disegnatore. I suoi disegni
pur sempre tormentati e senza false interpretazioni, sia quando
esplodono in riuscitissime fonti di luce sia quando si adagiano
nei giochi delle ombre, destano sensazioni nuove all’osservatore.
Nella sua raccolta “Salerno nei documenti pittorici”, Vuolo ha
saputo non solo rappresentare, ma anche interpretare alcuni
aspetti del cento storico, rendendolo vivo attraverso prospettive
che hanno il fascino dell’ingodibile e caratterizzandolo con una
notevole morbidezza e levità di toni.
L’intera opera, realizzata dall’autore mediante la tecnica della
litografia su pietra a quattro colori, è rappresentata da quattro
splendide opere che riproducono in tutta la loro bellezza alcuni
angoli caratteristici del centro storico della nostra città: “Il
portale del palazzo Ruggi d’Aragona”, “Balconcino sul vicolo
Guaimario IV”, “Scalinata ed archi in Via Porta Rateprandi” e
“Archi e balconcini nel vicolo del pesce”.
La litografia (dal greco lithos e graphes = scrittura su pietra),
è una tecnica che accoglie e riporta su carta la manualità e il
tocco della personalità dell’artista, ove la profondità spaziale,
il vellutato dei suoi colori, la luce che include e rimanda la
vitale armonia della sua composizione, sono il risultato
dell’accordo con cui vengono sollecitati sia gli strumenti, sia le
materie dal “tocco”: l’attimo in cui l’artista desta la forma
nella materia.
Essa si basa sulla naturale repulsione tra i corpi grassi e
l’acqua. Infatti la pietra, disegnata direttamente con matite e
carboncini grassi, viene successivamente inumidita con acqua che
penetra nella grana della pietra ma è respinta dalle parti grosse
disegnate. Con un rullo si passa l’inchiostro che viene respinto
dalle zone precedentemente inumidite e si fissa solo sui segni
lasciati dalla matita. Si forma in tal modo la matrice su cui
viene collocato e pressato il foglio di carta, che assorbe
l’inchiostro trattenuto dalle parti grasse trasferendolo sul
foglio. Nella litografia a colori viene usata una matrice per ogni
passaggio di colore. |