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CUCCHI Francesco Luigi


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Cucchi Francesco

 

di Piero Capuani

1. - La famiglia e la giovinezza.

Francesco Luigi Cucchi è nato il 17 dicembre 1834 nella città di Bergamo, da nobile famiglia di antico ceppo orobico che si distinse nei pubblici uffici.
Già nel 1253 un Ruggero de Cucchi coprì l'importante carica di console della giustizia e nel 1272 Francesco Guglielmo de Cucchi quella di giudice assessore.
La sua famiglia ebbe diramazioni nella vicina Brescia e possedimenti in Martinengo, appare iscritta infatti dal 1796 nella Reformatio Consilii di Brescia e da un documento del 19 agosto 1788, con pubblico sigillo della città di Bergamo, a firma del Cancelliere, conservato presso la Biblioteca Civica, appare la concessione del titolo di cittadini nobili ai fratelli Giulio, Leone e Antonio de Cucchi e al loro nipote Gabriele ( 1 ).
Tra i personaggi famosi questa famiglia annovera nel '700 un Gaspare, medico e letterato insigne che scrisse la celebre Phiebotomia ( 2 ). Il padre Antonio e la madre Maria Milesi erano anche persone rispettabili per censo tanto da potersi permettere di dare ai figli una
completa ed eletta educazione. Il piccolo Francesco fu avviato al Collegio dei Barnabiti di Lodi ( 3 ) e poi al Collegio di Martinengo ed infine al Ginnasio-Liceo di Bergamo ( 4 ). Aveva circa tredici anni quando passò sul mondo la bufera del '48. Un'età in cui gli avvenimenti restano impressi indelebilmente nella memoria. Anche nella nostra città le cinque giornate di Milano ebbero ripercussione immediata e la rivoluzione rovesciò il Governo austriaco e costrinse a fuga precipitosa lo stesso arciduca Sigismondo.
Dall'alto delle Mura, dove abitava, in via S. Giacomo, egli potò scorgere i bagliori delle fiamme di Milano ed assistere, in Piazza Vecchia, alle manifestazioni dei patrioti bergamaschi ed al costituirsi del primo e purtroppo effimero Governo libero della Città. I giovani sono sempre, nel loro spirito acuto e consequenziale, all'avanguardia dei movimenti ideologici, e il Nostro, che aveva anche nella tradizione familiare un incentivo alla resistenza e alla indipendenza dallo straniero, abbracciò, fin da quel tempo, la nobile causa della liberazione della Patria.
Alla fine di luglio del '48 passarono nella Città Mazzini e Garibaldi .
L'immagine dei due, allora sfortunati eroi, restò certo impressa nel suo cuore.
Come la maggior parte della gioventù di allora il giovane Cucchi si alimentò e si formò sui proclami mazziniani, letti di nascosto e contrabbandati attraverso la vicina frontiera svizzera, proclami che, permeati di misticismo religioso e quasi dettati da sentimento profetico erano atti a scuotere, nei frequenti richiami all'antichità classica ed alle gesta dei grandi, le anime sensibili.
Quando poi potè iscriversi all'Università di Padova, nella facoltà di matematica ( 5 ), trovò tra i suoi compagni di scuola l'ambiente e la palestra per il perfezionamento (della sua educazione storico e civile. Non ci si deve meravigliare che egli si inscrivesse ad una facoltà di scienze, piuttosto che ad una letteraria ed artistica: la scienza era anch'essa una tradizione di famiglia, e sarà questa ad educare la sua mente alla severa, spoglia, positiva scuola dei numeri. Il calcolo freddo, ma concreto, lo accompagnerà sempre negli eventi della sua avventurosa vita, e tempererà per lui  gli ardori romantici e patriottici giovanili, cos; da infondere al suo spirito un equilibrio singolare, un senso esatto delle proporzioni, del limite e della misura. Per questo egli potrà essere oltre che un fervente patriota anche un sagace consigliere, un avveduto politico, un sottile diplomatico a cui l'esperienza aggiungerà prudenza nell'ideazione dei progetti, tatto e scrupolosità nell'eseguirli ed ammirabile sagacia nelle valutazioni complessive delle contingenze storico-politiche del suo tempo.
Egli era di complessione robusta, alto di statura, bello ed aitante nella persona, signorile nel portamento, raffinato nei modi, riservato o quasi chiuso nell'animo. Ebbe, sin da giovane, la passione dei viaggi e un bisogno innato di conoscere da vicino gli uomini e le cose per farsi di ogni questione un giudizio personale.
Così, non appena inscritto all'Università, lasciò Bergamo per visitare parecchi Paesi tra cui la Francia e l'Inghilterra, dove prese contatto con quella diaspora dell'irridentismo, che portò i patrioti italiani, insofferenti di vivere sollo la dominazione straniera, ad espatriare dovunque trovassero rifugio ed ospitalità. A Londra, in cui soggiornò a lungo, ebbe certamente modo di avvicinare Giuseppe Mazzini , maestro d'italianità ed instancabile animatore, se, come ci sembra desumibile dalle amicizie e dall'ambiente in cui visse, il Nostro, fu iscritto, sin d'allora, alla « Giovane Italia » ( 6 ).
Colà lo raggiunse la notizia che Vittorio Emanuele II , per vendicare l'onta subita dal padre a Novara dieci anni prima, aveva sguainata la spada, e si apprestava, con il suo valido alleato, l'Imperatore Napoleone III , a scacciare lo straniero dal sacro suolo della Patria.


2. - La campagna del '59.
Il momento tanto sognato della prova era venuto, l'ora fatidica delle rivendicazioni patriottiche era scoccata. Ancorché egli fosse imbevuto, in quel tempo, d'idealità repubblicane, comprese come la monarchia sabauda, avesse assunto, con un gesto sublime ed audace, su di sè il gravoso compito di liberare la Patria, facendosi, in tal modo, paladina e antesignana del movimento irredentista.
Senza indugio, perciò egli corse, anzi si precipitò, in Piemonte ad arruolarsi come volontario nel Corpo dei « Cacciatori delle Alpi » di Garibaldi , Corpo a cui sarebbe spettato il compito di liberare le città alpine tra le quali anche la sua Bergamo. Raggiunse a Savigliano il 4° Deposito dei Cacciatori delle Alpi e fu assegnato al 3° Reggimento, 2° Battaglione, 5° Compagnia, 1° Squadra.
Sotto il fermo ed audace comando di Nino Bixio , seguì, passo passo, tutte le vicende della campagna, dalle sponde del Lago Maggiore fino ai combattimenti dello Stelvio. Guido Sylva ( 7 ) afferma che il Cucchi partecipò ai combattimenti di Varese e di S. Fermo ed il 15 giugno agli scontri di Rezzato e di Treponti. Quando Garibaldi volse verso il Lago di Garda, il Nostro seguì il distaccamento di Bixio che si diresse verso la Val Camonica per penetrare, attraverso i passi alpini del Tonale e dello Stelvio, nel Trentino ( 8 ).
Di questa campagna ci rimangono diverse lettere indirizzate a Bergamo, al fratello Luigi ( 9 ), in cui il Nostro dimostra il suo ardente patriottismo e il bisogno ch'egli aveva di abbracciare gli avvenimenti nel loro insieme per cogliere lo svolgersi delle operazioni militari. Partecipò attivamente ai combattimenti dello Stelvio dove si distinse per il coraggio ed il valore dimostrati in parecchi scontri tra pattuglie. Si trovava a Breno quando Io raggiunse l'inopinata notizia dell'armistizio di Villafranca.
Una lettera del 16 luglio al fratello Luigi, datata da Breno, o rivelativa del suo stato d'animo: «..."Nei piccoli scontri che ebbimo cogli Austriaci allo Stelvio corsi mille volte pericolo de' quali ne sortii però felicemente. Già da due giorni le notizie politiche mi hanno conturbato in modo che non mi sento molto bene. Ecco
ancora abbandonate, e forse per molto tempo, tante belle speranze.
E la povera Venezia? E la Presidenza del Papa? E i Ducati e la
Toscana dei quali non se ne parla neppure? Basta, è meglio non
parlarne. Non ti dico il malumore che regna nel nostro Corpo... ».
Egli fu di quegli uomini che si abbandonarono all'amore di Patria come ad una struggente passione sì da portare vive nel suo corpo
le dolorose stimmate. L'avversità del destino, i pericoli e le sconfitte
non lo scoraggiarono, ma servirono a lui di aiuto e di sprone a prove sempre più ardue.

3. - Prima missione presso il Re.
Con i preliminari di pace di Villafranca una campagna si chiudeva. Napoleone III, quando ormai sembravano vicine a realizzarsi le più rosee speranze della liberazione delle Venezie, abbandonò il suo alleato Vittorio Emanuele , contro la lettera e lo spirito dei patti firmati. Davanti a simile iattura Cucchi fu uno di quelli che non disarmò, ma volle seguire Garibaldi , che, lasciato l'Esercito Regio ( 10 ), accettava di passare nell'Italia Centrale per muovere con l'Esercito della Lega (Toscana, Romagna, Parma e Modena) alla liberazione delle Marche. Garibaldi , che aveva apprezzato il comportamento del Cucchi sul campo di battaglia, ed aveva avuto modo di conoscere a fondo la fedeltà e le singolari sue doti di organizzatore — forse attraverso i lusinghieri giudizi dei Bergamaschi del suo seguito, soprattutto di Francesco Nullo —, lo chiamò a far parte del suo Stato Maggiore al comando della Divisione Toscana.
Sopravvennero gravi complicazioni diplomatiche, sia nei rapporti tra il Piemonte e la Francia, sia tra il Re e Cavour , sia infine tra Luigi Carlo Farini , dittatore nei Ducati di Parma e Modena e dell'Emilia da una parte, e il Ricasoli e il Cipriani , governatori in Toscana e Romagna, dall'altra, in modo che la situazione restò incerta e sospesa dalla metà di ottobre alla metà di novembre del 1859.
Si attendeva un attacco dell'Esercito pontificio per giustificare, davanti alla Francia e all'Austria, l'invasione delle terre dello Stato Pontificio, ma la provocazione non venne. Garibaldi , impaziente, cercava di promuovere un movimento insurrezionale nelle terre da conquistare, ma era frenato dai capi politici responsabiliche temevano di compromettere tutto precipitando la situazione.
In questa delicata contingenza avvennero parecchi contatti tra i capi militari ed i principali esponenti della politica piemontese, contatti ora palesi ed ora segreti.
Garibaldi mandò, allora, il nostro Cucchi, con una sua lettera portante istruzioni riservate al Re ( 11 ), molto probabilmente per averne un appoggio ai suoi progetti o un autorevole consiglio circa il da farsi.
E' noto come andò a finire la controversia: Garibaldi , dopo un lungo colloquio con il Re in Torino, il 16 novembre, rassegnava le sue dimissioni dall'Esercito della Lega e, da Nizza, dove si ritirò, dettò il celebre Manifesto agli italiani in cui stimmatizzava la « miserabile volpina politica » governativa che turbava il maestoso andamento delle patrie fortune e invitava la nazione intera ad attendere tempi migliori. Francesco Cucchi, emulando l'esempio del suo Capo, abbandonata l'impresa, ritornava a Bergamo presso la famiglia in fidente attesa di nuovi eventi.

4. - Nella spedizione dei Mille.
E l'attesa non doveva essere lunga. Allo scorcio dell'aprile del 1860, viene incaricato da Garibaldi , assieme al Nullo , di arrolare volontari per una spedizione di soccorso all'insurrezione scoppiata in Sicilia contro il Governo borbonico. Guido Sylva ci ha lasciato un vivo quadro di come si svolsero le operazioni di arrolamento in città ( 12 ). Si era costituito un ufficio presso il teatrino dei Filodrammatici, che allora ancora esisteva nel vecchio baraccone in fondo a via Borfuro. Dietro un tavolo sgangherato, rischiarato a mala pena da un lumicino ad olio sedevano il Cucchi ed il Nullo , che prendevano i nomi degli aspiranti e sceglievano quelli che, a loro giudizio, offrivano i migliori requisiti, di età e di robustezza, per l'ardimentosa impresa. Aleggiava intorno a questo ufficio di arrolamento una suggestiva aria di mistero sia perché l'indicazione del luogo veniva ricevuta e trasmessa dai giovani della città in tutta segretezza, sia perché numerosi aspiranti temevano di venire respinti per la loro immatura età e veder così andar naufragato quello che per loro rappresentava un attraente e romantico sogno di avventure.
Le operazioni clandestine di leva furono presto ultimate e più di duecento furono i prescelti. Cucchi partì tosto per Genova a darne l'annuncio a Garibaldi che si trovava alla Villa Spinola ospite dell'amico Augusto Vecchi . Colà giunto, partecipò attivamente ai preparativi della spedizione che da molti era giudicata intempestiva e spericolata — intempestiva perché ormai i ribelli di Sicilia erano stati cacciati da Palermo sulle montagne, spericolata data la sproporzione numerica fra il Corpo di spedizione programmato e le truppe agguerrite che presidiavano l'isola —. Tutto occorreva improvvisare in quei giorni, dall'equipaggiamento alle divise ( 13 ), dall'armamento al vettovagliamento. Difettavano soprattutto le armi e le munizioni. Cucchi, col suo senso pratico, fu un elemento prezioso per Garibaldi .
A lui il Generale volle affidare anche un nuovo ed estremo tentativo in Milano presso il Governatore di Lombardia, Massimo D'Azeglio , per ottenere il permesso di prelevare per la spedizione di Sicilia le ottime carabine svizzere, Enfield, che erano state acquistate con la pubblica sottoscrizione per « Il milione di fucili » bandita dallo stesso Garibaldi ( 14 ). Le precedenti missioni del Pinzi e del Crispi erano fallite. Garibaldi sperò che il tatto diplomatico del Nostro sarebbe riuscito ad aver ragione della cocciuta ostinazione del D'Azeglio . II colloquio tra il messo di Garibaldi ed il D'Azeglio ebbe fasi drammatiche ( 15 ). Il primo stava in piedi davanti al Governatore che lo ricevette con fare altezzoso e sprezzante e non l'invitò neppure ad accomodarsi. Il Nostro non si sgomentò, ma ribatte pacatamente ad una ad una le obiezioni che gli sollevava il D'Azeglio nel rifiutarsi alla consegna, facendo osservare come indebitamente veniva trattenuto un deposito che non era proprietà del Governo, ma di Garibaldi . D'Azeglio , davanti alle stringenti argomentazioni del Cucchi, dovette confessare che egli aveva ricevuto ordine perentorio da Cavour di non consegnare le armi. A questo punto la discussione assunse un tono assai violento poiché Cucchi richiamò il D'Azeglio all'osservanza di quei superiori doveri verso la Patria, da cui nessuno può esimersi e dei quali si e responsabili soltanto di fronte al giudizio della propria coscienza. « Lei non è da meno d'un Governatore austriaco che alcuni mesi fa sedeva al suo posto », concluse il Cucchi allontanandosi indignato e furente ( 16 ).
Francesco Cucchi dovette ritornare da Garibaldi senza i famosi fucili, ma con l'assicurazione, ben più importante, che poco meno di duecento baldi giovani bergamaschi erano pronti a seguirlo dovunque avesse voluto guidarli per la nobile causa della liberazione della Patria.
Egli visse intensamente le giornate precedenti alla partenza della spedizione con le amletiche alternative che ne seguirono. Il 28 aprile scriveva al fratello Luigi che tutto era ormai pronto, che anche « parte della mercé che ci abbisogna è arrivata » [le armi e le munizioni]; ma il giorno dopo, con tono desolato, a seguito di nuove notizie sul fallimento dell'insurrezione di Palermo, annunciava la sospensione dell'ordine di partenza e prevedeva che ormai tutti avrebbero dovuto tornarsene a casa ( 17 ).
Ma Bixio e Crispi vigilavano e seppero operare in tal modo — alterando addirittura i dispacci e le informazioni — da indurre il Generale a tentare la grande avventura. Infatti il 5 maggio il Cucchi salpa da Quarto e attende sino alle 4 del mattino del 6 per imbarcarsi sul « Lombardia » e salpare verso l'isola d'Elba ( 18 ).
A Talamone, nel golfo di Orbetello, la nave si ferma per una breve sosta per caricare carbone, armi, viveri e munizioni e i nostri passano dal « Lombardo » sul « Piemonte » ed hanno così come compagno di viaggio verso l'isola lo stesso Garibaldi . Al Nostro è affidato il delicato incarico di sergente furiere dell'8° Compagnia costituita esclusivamente da Bergamaschi, Compagnia che riuscirà, per la sua omogeneità e compattezza, un duttile strumento di guerra.
Infatti, appena sbarcata a Marsala, essa venne impiegata nei primi duri combattimenti dando luminosa prova del suo valore.
A Calafatimi si coprì di gloria e lasciò parecchi morti sul terreno ( 19 ). Cucchi, ardente tra gli ardenti, si distinse in questi primi combattimenti per sangue freddo e coraggio tanto che a Salemi venne promosso ufficiale ed aggregato al Quartiere Generale di Garibaldi ( 20 ).
Il 28 maggio, mentre presso la Cattedrale di S. Rosalia, in via Toledo, dirigeva la costruzione di una barricata che avrebbe dovuto facilitare l'assalto al Palazzo Reale, fu colpito da una palla di carabina sopra la clavicola della spalla destra. Fortuna volle che la palla rimbalzasse dalla spranga metallica di un fanale a gas e lo colpisse di striscio. Ciò gli salvò la vita, ma contribuì anche a rendere più dolorosa la ferita perché il piombo, scheggiato, si aperse a rosa, penetrando profondamente nelle carni.
A coloro che volevano allontanarlo dal combattimento, appena dopo la ferita, egli si volge dicendo in dialetto bergamasco: l'è nagot, nàgot afacc; lassem chè per intat e seguitè a tegni durr ( 21 ).
(E' nulla, nulla del tutto, lasciatemi qui e continuate a resistere).
Venuto meno fu trasportalo d'urgenza al Convento di S. Domenico dove, visitato poco dopo dal Comandante Bassini , questi, vista l'orribile ferita, gli tirò il lenzuolo sul viso come ad un morto esclamando: Anca quest chi le bel e andà (anche questo è bello e spacciato).
Alle quali parole il Cucchi nel dormiveglia non potè che protestare mentalmente ( 22 ).
Più di tre mesi durò la degenza presso il Convento di San Domenico, assistito amorevolmente dai frati e dal celebre chirurgo Francesco Leone Faldella . In un primo tempo si temette di dovergli amputare il braccio, ma poi si ricorse ad un intervento chirurgico alla spalla destra per estrarre le schegge della pallottola.
Neppure la lunga degenza a Palermo riuscì a lui infeconda: dal suo capezzale seguì con grande ansia, ma con fede sicura, le fortunate vicende della Campagna e potò studiare la reale situazione politica dell'isola all'indomani della liberazione.
La sua mente fu sempre scevra di fanatismo di ogni sorta, lucida e chiaroveggente, tanto da indovinare con perspicacia il corso dei futuri eventi. Le lettere di quel tempo rivelano in lui una maturità di giudizio superiore alla sua età.
Il 4 giugno descrive, sempre al fratello Luigi , sia la situazione di Palermo dove le forze garibaldine, ridotte a soli 700 uomini, attendevano di giorno in giorno rinforzi, sia i tristi e deprimenti effetti sulla popolazione del bombardamento navale con le ultime inaudite crudeltà dei borbonici.
La chiusa della lettera è profetica: « I Borboni non entreranno
più a Palermo ».
Egli riceve nella sua camera gli amici di passaggio nella città e con loro si intrattiene a lungo a colloquio fino ad esserne spossato. L'11 giugno Vittore Tasca gli comunica la promozione a capitano per decreto dittatoriale. Sebbene debole e dolorante egli non vede l'ora di potersi levare dal giaciglio e ritornare a combattere. Il suo cuore è con Garibaldi e Io segue continuamente in ispirito nelle sue trionfali tappe verso Napoli.
Finalmente, alla fine di agosto, i medici Io lasciano partire.
Salpa col piroscafo, e sbarca a Napoli dove raggiunge il quartiere generale di Garibaldi . Chiede ed ottiene di essere inviato in prima
linea al seguito di Stefano Türr ( 23 ). Gli ho conferito sul campo il grado di maggiore e segue da vicino le operazioni. Ecco, in una lettera del 24 settembre al fratello Luigi, la descrizione della situazione militare, quale si presenta al suo acuto senso di osservazione: « Ti scrivo dal campo sotto Capua, ove giunsi fin da ieri e ripresi servizio.
La mia Brigata ( 24 ) trovasi ad un miglio sulla diritta di Caserta, ed ebbe due giorni di riposo poiché o reduce dai faticosissimi avamposti presso Santa Maria. La scorsa notte fui anch'io a visitarli. Essi trovansi appena fuori di Santa Maria vicinissimi agli avamposti che tengono i Borbonici al di qua del Volturno...... «
L'Esercito che abbiamo sotto Capua monterà a circa 25.000 uomini; saranno dai 16 ai 18.000 i Borbonici di Capua, e dai 30 ai 35.000 in tutto, compresi quelli di Sessa e Gaeta.
Quanto prima ci aspettiamo un fatto decisivo... Questa mattina, decivasi che i nostri avessero nuovamente occupato Cajazzo, ma tale voce venne più tardi smentita. Cajazzo preso dai nostri il giorno 19 e ripreso il 20 dai Regi con forze imponenti contro alcune poche e deboli nostre Compagnie, trovasi tuttora in loro potere e venne munito di 40 pezzi d'artiglieria. Fu grave danno l'aver noi persa questa posizione che ci assicurava il libero passaggio del Volturno.
Se i Piemontesi però entrano nel Regno per gli Abruzzi, tutto sarà finito, ed all'armata regia stretta davanti e di dietro non resterà che d'arrendersi. Il generale Türr è molto sofferente, sputa sangue quasi giornalmente, ed infine dà assai a temere ». Türr e il Cucchi sono due ammalati indomiti: l'uno emette sangue dalla bocca, l'altro, quasi spallato, deve reggere la spada con la sinistra, eppure partecipano attivamente alla lotta contro le truppe borboniche che tentano di sferrare contro gli assalitori i loro ultimi disperati attacchi. Prendono parte alla battaglia di Cajazzo e a quella decisiva del Volturno ( 25 ).
Avviene quindi l'intervento delle truppe piemontesi, e, come il Cucchi aveva previsto, è la capitolazione dei nemici, la fuga del Re Francesco II e la fine delle ostilità.

5. - AI governo di Napoli.
Ma il compito del Nostro non è finito, anzi, incomincia allora il suo vero lavoro: quello politico. Mazzini era giunto a Napoli sperando di persuadere Garibaldi ad alzare la bandiera della Repubblica e marciare su Roma. Il Cucchi e ricevuto più volte dal Mazzini e a fianco del prodittatore, marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio , si presta efficacemente a persuaderlo di lasciare Napoli per non frapporre ostacoli al Plebiscito.
Impossibile seguire il Nostro in queste missioni segrete in cui si appalesa tutto il suo tatto ed il suo talento, perché egli non parla nè scrive nè confida ad alcuno i suoi incarichi ed i suoi giudizi.
Egli ha appreso che la segretezza ed il silenzio, anche presso gli intimi, sono armi indispensabili per ogni successo.
Il Quartiere Generale di Garibaldi in Caserta, in quei mesi decisivi di settembre ed ottobre, si era trasformalo in centro d'azione ed iniziativa politica dove vennero a collisione i vari partiti, le sette e le tendenze dell'epoca. Era la prima volta che, in effetti, il partito radicale italiano, quello rivoluzionario, operava su un terreno vergine, cioè aveva giurisdizione piena ed incontrollata su parte del territorio italiano.
La rivoluzione aveva trionfato: Mazzini , Cattaneo , Ferrari e Bertani potevano contrastare seriamente la politica dei Gabinetti e dei Ministeri, svolgere una propaganda senza controllo, aprire le proprie idee al popolo in tutto il loro fascino avveniristico ed utopistico. I
progetti erano molti, forse troppi, le ambizioni smisurate e tali da far spesso perdere di vista la metà immediata da raggiungere: l'unità
e l'indipendenza della Patria prima della emancipazione del popolo e il riscatto delle plebi.
Roma, le Venezie, il dominio temporale dei Papi, il bisogno di apppoggi all'estero mentre le Cancellerie d'Austria, di Russia e perfino di Francia congiuravano ai nostri danni, i rapporti fra volontari garibaldini e truppe piemontesi, dopo l'intervento di Cavour in Umbria, erano altrettanti problemi che attendevano una soluzione immediata.
Plebiscito o Assemblea costituente per il Napoletano e la Sicilia, annessione al Piemonte o autonomia regionale, libera federazione o Regno Unito, costituivano impellenti dilemmi che avrebbero deciso l'avvenire della Nazione intera. E Garibaldi divenne allora l'arbitro della politica italiana. Un arbitro sprovveduto per la bisogna perché il grande Eroe era tutto fuorché un politico: impulsivo e generoso di natura, egli agiva per lo più secondo l'umore del momento ed era facilmente suggestionabile ( 26 ).
Perciò grande influenza ebbero su lui le persone che lo circondavano: radicali estremisti e repubblicani erano parecchi elementi della sua segreteria, pur valorosi sul campo di battaglia, pochi invece i moderati che sapevano studiare i problemi nell'insieme, scalare il possibile, ponderare le mosse, unire all'audacia la prudenza : Francesco Cucchi fu tra quest'ultimi ( 27 ).
Anche l'infortunio della ferita e la lunga degenza all'ospedale l'avevano obbligato alla riflessione, alla ponderazione, alla pacatezza: nobile di schiatta, signorile per temperamento, non perseguì sogni riformisti.
Le sue amicizie bergamasche, per Federico Alborghetti e per Andrea Moretti dimostrano le sue tendenze politiche: egli, già
da allora e per sempre, fu fedele al programma lealmente accettato da Garibaldi ed espresso nella formula « Italia e Vittorio Emanuele ». La vicinanza di Stefano Türr , il brillante generale ungherese, la consuetudine di vita con lui e con il Pallavicino ( 28 ) non fecero che rassodare le sue convinzioni e legarlo vieppiù alla tendenza politica moderata e monarchica. Türr , tra il seguito di Garibaldi , era quello più vicino a Cavour , non solo per le sue idee politiche e perché era in gioco la sua futura carriera nell'Esercito piemontese, ma anche perché Cavour stava saggiando segretamente la possibilità di un'alleanza con il popolo ungherese contro l'impero d'Austria ( 29 ).
Quanta e quale parte ebbe il nostro Cucchi nell'aiutare Türr nella realizzazione dei suoi propositi è difficile, ancora oggi, stabilire, ma il fatto è che Garibaldi seguì i loro consigli, accettò il Plebiscito e confermò la sua fiducia nei prodittatori di Napoli, Pallavicino e di Sicilia, Mordini, ritirandosi dalla scena politica per lasciar partita vinta ai moderati.
Garibaldi , in definitiva, come recenti studi hanno dimostrato ( 30 ) non faceva, operando in tal modo, con felice intuito dell'avvenire, che far propria, sanzionandola, l'opinione pubblica, che paventava gli estremismi e richiedeva, per quel tempo, una politica attendista di ordine e di assestamento.
La partenza di Garibaldi per Caprera, l'arrivo dell'Esercito regolare, l'insediamento di un'ordinaria amministrazione in Napoli, sollevarono difficoltà di ogni genere cui Türr , coadiuvato dal Cucchi, cercò di ovviare. Spinosissima fu la pratica per l'inquadramento dei Garibaldini nell'Esercito regolare ed ancor più scottante quella dell'inserimento degli ufficiali dell'Esercito borbonico che si erano resi disertori militando tra le file dei volontari. Pare che il Nostro si destreggiasse bravamente in simili frangenti: la politica, più che dal lato tecnico-amministrativo, l'attraeva per il suo valore umano, per l'esigenza di soccorso e di assistenza da persona a persona ad essa intrinseca.
Per questo egli abbandonò la carriera militare e non volle accettare di passare nell'ufficialità del l'Esercito regolare ( 31 ). Anche la guerra, per lui come per Garibaldi , era una forma di manifestare il proprio spirito umanitario di aiuto ai fratelli oppressi, un bisogno per riscattare gli spiriti, per redimere gli uomini dalle oppressioni delle tirannidi,
nelle loro diverse specie, in definitiva, un necessario anche se deprecabile strumento per il progresso e l'incivilimento umano. I veri scopi della guerra, nell'intendimento del Cucchi, si perseguono nella politica e nell'arte diplomatica attraverso la propaganda, il convincimento e Io studio delle possibilità di espansione e di unione dei popoli e delle nazioni. Il movimento di liberazione aveva bisogno allora di allargarsi a tutti i popoli per diventare un valore spirituale irresistibile : un acquisto per sempre. Era necessario, allora più che mai, farsi banditori, presso i popoli oppressi dalla tirannide autocratica, di una crociata di liberazione che li incitasse ad una azione concordata ed unitaria. Questa la missione a cui il Cucchi, abbandonato l'Esercito, si dedicò per spezzare le ultime resistenze e gli ultimi ostacoli alla liberazione totale della Patria.

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NOTE
(1) Cfr.: Registro delle ducali della Cancelleria di Bergamo, conservato presso la Civica Biblioteca; il documento, riguardante i privilegi della famiglia Cucchi, ha la seguente segnatura di catalogo: Cassapanca V, Cassetto F, N. 8 (2)..
(2) Si tratta dell'opera Phlebotomia assoluta ad postulationes iustitiae et charitates, edita dai Fratelli Rossi in Bergamo nell'anno 1720. Il volume, che riflette Io stato della scienza del tempo, è una difesa del salasso. Fu molto lodato dai contemporanei. Cfr.: B. BELOTTI, Storia di Berciamo e dei Bergamaschi, Ed. Ceschina, Milano, 1940, Vol. II, pagine 749 e 785.
(3) Da questo collegio uscirono, nel 1848, alcuni giovani che fecero parte della « Legione Manara » e, l'anno dopo, parteciparono alla difesa di Roma; Francesco Cucchi, senza dubbio, vide partire questi suoi compagni più anziani come volontari per i campi di battaglia ed il loro esempio restò scolpito per sempre nel suo cuore.
(4) Tra i documenti dell'archivio di famiglia è conservato un attestato di maturità, rilasciato dal Liceo di Bergamo, del 7 settembre 1853), a firma del direttore Luigi Cristini e dei professori Carlo Bravi, Giovanni Mancngo, Giuseppe Venanzio e Giovanbattista Tiraboschi con lusinghieri giudizi sul profitto dell'alunno Francesco Cucchi, durante l'anno scolastico e per gli esami sostenuti. E' da notare che figura come suo professore di lilosofia l'Abate Carlo Bravi, insigne patriota bergamasco, ardente fautore di idee liberali. Cfr.: B. BELOTTI, opera citata, volume III, pagine 203 e 375.
(5) Dall'archivio dell'Università di Padova risulta che Francesco Cucchi fu iscritto regolarmente alla Facoltà di Matematica durante gli anni scolastici 1853-1854 e 1854-1855. All'atto di iscrizione aveva diciotto anni e venne presentato in qualità di tutore, dal conte bergamasco Pietro Moroni. Prese alloggio in quella città nella contrada Coppa d'Oro al n. 954. Tra i documenti di famiglia sono conservati due certificati rilasciati in data 6 novembre 1855, in cui si comprova la sua frequenza alle seguenti materie: statistica teorica europea ed austriaca, introduzione enciclopedica politico-legale, diritto naturale, diritto e procedura penale.
(6) Il Cucchi, sin da giovane, fu amico degli insigni patrioti bergamaschi Federico Alborghetti ed Andrea Moretti, entrambi iscritti alla « Giovane Italia » di Mazzini . In una sua breve biografìa, probabilmente scritto dal fratello Luigi nel 1867, conservata tra le carte dell'archivio di famiglia in Bergamo, e detto che Francesco Cucchi trovandosi a Londra nel 1859 « aveva stretto conoscenza con Giuseppe Mazzini ».
(7) G. SYLVA , Cinquant'anni dopo la prima Spedizione in Sicilia, Ed. Isnenghi, Bergamo, 1910, pag. 44.
(8) Enrico E. Ximenes, di lui scrive, appunto della Campagna del 1859, sulla « Illustrazione Internazionale » del 15 gennaio 1914: « Nelle faticose marce della Val Sabbia, della Val Camonica e della Valtellina, dopo poche ore di riposo sulla dura terra, venivano chiamati uomini di buona volontà per andare in pattuglie avanzate, ed il Cucchi era sempre fra i primi ad alzarzi per partire. Dopo una di queste marce, il nostro bravo soldato erasi ritirato in un angolo di una chiesa dove il Reggimento a cui apparteneva era stato inviato a passarvi la notte, quando uno dei compagni meravigliato del ritardo ch'egli poneva a mettersi in rango per andare a cena, lo mandò a cercare e lo trovò che si stava medicando i suoi piedi sanguinanti. In tutta quella campagna, il Cucchi affrontò più volte, con coraggio, il pericolo della morte, e senza essere un Giobbe, non mosse mai un lamento per le fatiche ed i dolori sofferti. Terminò quella campagna come l'aveva comùùinciata e cioè come semplice milite, benché gli fossero offerti gradi più e più volte ».
(9) Due lettere del Cucchi, indirizzate al fratello Luigi, esistenti nell'archivio della famiglia in Bergamo, sono datate 2 e 6 giugno dalle località di Intra ed Arona. Poiché le battaglie di Varese e di S. Fermo avvennero rispettivamente il 26 e il 27 maggio dovremmo escludere una diretta partecipazione del Nostro a questi celebri fatti d'armi. Molto verosimilmente trattasi soltanto di località convenzionali per il fermo-posta militare. Comunque anche la partecipazione a questi scontri è ammessa indistintamente da tutti gli studi biografici sul Cucchi.
Cfr: Francesco Cucchi nell'epopea garibaldina, a cura di L. I. Agazzi,
L. Sinistri, G. Sylva , A. Zoppa, Tip. E. Isnenghi, Bergamo, 1913, pag. 6.
P. FORMENTINI: Francesco Cucchi, in « Rivista d'Italia », 15 luglio 1925, fase. VII, pag. 962.
G. LOCATELLI MILESI: Francesco Cucchi, in « Bergomum », 1933, n. 5, pag. 1 e seguenti.
A. CAPUANI: Francesco Luigi Cucchi, nel volume Bergamo e i Mille, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1932.
(10) In quell'occasione da Lovere, Garibaldi rivolse un proclama agli « Italiani del Centro », datato il 23 luglio 1859, in cui, rinnovando la sua fedeltà al programma laconicamente espresso nel motto a Italia e Vittorio Emanuele », assicurava l'appoggio della sua spada alla liberazione delle popolazioni del Centro. Il proclama si apriva con questa significativa promessa: « I vostri fratelli di tutte le province hanno giurato di vincere o di morire con voi ».
(11) Francesco Cucchi nell'epopea garibaldina, opera citata, pag. 6; G. SVLVA, opera citata, pag. 44.
(12) G. SYLVA , opera citata, pag. 17.
(13) Bergamo, in quei giorni, provvide anche a fornire il colore, fatto di fiamma e di sangue, della divisa garibaldina: la camicia rossa. Infatti l'industriale, Giovan Battista Flor, s'incaricò di tingere le camicie nella Tintoria degli scarlatti nella Valle del Prato Servalli in Gandino. Cfr. B. BELOTTI, op. cit.. Vol. III, pag. 349.
(14) Francesco Cucchi aveva fatto parte, insieme a Carlo Ginami, èrcole Baglioni, Luigi Goggi, Antonio Curò ed altri, della Commissione di Bergamo per la raccolta delie offerte per il « Milione di fucili ». La sottoscrizione venne iniziata da Garibaldi con una lettera del o settembre 1859 al Municipio di Genova. Bergamo raccolse una cospicua somma clic venne versata, per espresso ordine di Garibaldi , al Comitato Centrale di Milano. Nell'occasione Garibaldi scriveva in data 30 aprile a Vittore Tasca , che era stato incaricato dai concittadini di chiedere istruzioni a lui per il versamento, la seguente lettera: « Carissimo, ho la vostra lettera del 26 e vi ringrazio in nome della Patria della sollecitudine de' vostri per raccogliere mezzi per la compera di fucili di cui pure avremo bisogno presto. Sono d'accordo: vadano le somme raccolte alla Direzione di Milano. Un saluto a tutti, credetemi per la vita.
G. Garibaldi ». Cfr.: Notizie Patrie, anno 1883, pag. 85.
(15) G. E. CURATULO: Garibaldi , Vittorio Emanuale , Cavour nei fatti della Patria, Bologna, Zanichelli, 1911, cap. Vili, pag. 135 e segg.
(16) Il D'Azeglio , ancorché sia stato un emerito patriota e un distinto studioso, ben si meritava la dura lezione inflittagli dal nostro Cucchi perche, nella sua miopia politica, sempre osteggiò il partito garibaladino come sovversivo e rivoluzionarlo non riuscendo a comprendere come le stesse imprese dei garibaldini avrebbero potuto un giorno tornare a vantaggio del Piemonte e della stessa Casa Reale alla quale egli si professò in ogni occasione devoto e scrupoloso servitore. Tanta fu infatti la sua caparbietà che allorché Cavour addivenne nella determinazione di consegnare i fucili del deposito di Santa Teresa alla seconda spedizione di soccorso in Sicilia al comando di Giacomo Medici , egli si dimise proprio per non eseguire quest'ordine. Per allora Garbaldi dovette lasciare i fucili buoni e accontentarsi delle carabine quasi inservibili della Società Nazionale tanto che dovette fermarsi a Talamone per rifornirsi di armi, dopo l'increscioso incidente delle barche introvabili. Ne tutto tornò a danno della spedizione perché, nel primo scontro di Calatafimi con le truppe borboniche, Garibaldi , visto che sarebbe stato inutile impresa gareggiare con le carabine del nemico, diede ordine di assalire alla baionetta, ciò che contribuì ai successo della battaglia. Cfr.: G. CURATULO, op. cit., pag. 135.
(17) Si veda la lettera di Francesco Cucchi, datata da Genova il 29 aprile, indirizzata al fratello Luigi, conservata nell'archivio di famiglia Cucchi in Bergamo, qui riferita a pag. 14. In essa il Cucchi invia i suoi saluti a mezzo del fratello agli amici; al patriota bergamasco Federico Alborghetti iscritto alla « Giovane Italia », fervente mazziniano che, dall'ottobre del 1848 al novembre dello stesso anno, organizzò sui monti nei pressi della città, la « Guerriglia di Palazzago » contro gli Austriaci e al conte Andrea Moretti, uomo colto e spirito ardente di scrittore d'avanguardia, aderenti al partito radicale che furono entrambi tra gli elementi monarchici moderati ed ebbero un ruolo importante nella vita pubblica della loro città (il secondo fu anche onorevole al Parlamento per parecchie legislature). Cfr. B. BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Milano, Ceschina, 1940, Vol. III, pag. 259 e seg. Cfr. P. CAPUANI, La guerriglia di Palazzago (« Rivista di Bergamo », aprile 1959, pagg. 5-11).
(18) Come risulta da lettera di Francesco Cucchi, indirizzata al fratello Luigi, da Talamone l'8 maggio 1860, alle tre del pomeriggio. Si veda qui a pag. 18. Nella lettera il Cucchi sottolinea, come nella precedente, i presunti accordi segreti di Garibaldi con il Governo Piemontese. I recenti studi sulle relazioni intercorse tra Garibaldi e Cavour ritengono invece che tali accordi, almeno al momento della partenza, non esistevano, e che Cavour , in realta, d'astuto diplomatico, si comportò sempre in modo di far abilmente credere ai patrioti clic egli li aiutasse in segreto. Cfr.: D. MACK SMITH, Garibaldi e Cavour nel 1860, Einaudi, Torino, 1958, pag. 47 e segg.
(19) Per la storia dell'VIII Compagnia, cfr.: G. SYLVA , op. cit., e G. LOCATELLI MILESI: L'VIII Compagnia dei Mille, in « Bergomum », 1933, pagine 240 e seguenti.
(20) F. Cucchi nell'epopea garibaldina, op. cit., pag. 8.
(21) G. LOCATELLI-MILESI, op. cit., pag. 244. Presso il Museo del Risorgimento di Bergamo si conserva la divisa di garibaldino che Francesco Cucchi indossava quando venne ferito a Palermo. La giacca della divisa presenta un largo foro all'altezza della spalla destra. Il cimelio storico venne regalato dalla famiglia Cucchi al nostro Museo insieme alla divisa di Cacciatore delle Alpi di Luigi Cucchi.
(22) G. SYLVA , op. cit., pag. 44.
(23) Stefano Türr , generale, ungherese di nascita, è unaùigure più caratteristiche tra i comandanti garibaldini. « Figura tagliata nel ferro ", lo definì Benedetto Cairoli . Sulla vita del Türr cfr.: STEFANIA TURR, L'opera di Stefano Türr nel Risorgimento italiano descritta dalla figlia, II vol., Torino, 1922.
I rapporti tra il Cucchi ed il Türr furono strettissimi e si mantennero a lungo. Profondi contrùisero più tardi Türr da Garibaldi , soprattutto per le relazioni con Napoleone III di cui il Türr sposò una parente. Al riguardo è sintomatica la seguente lettera del Cucchi all'amico, datata da Bergamo il 18 luglio 1865: «
Generale, ho visto la lettera che vi diresse Garibaldi e ne fui contentissimo perché in tal modo furono dimostrate completamente false tutte le asserzioni che in quell'infame libello riguardavano i vostri rappori con Garibaldi . Ciò servirà per dimostrare ad ognuno quale credenza possano mai meritare tutte le rimanenti infamie che vennero scagliate contro di voi. Tale
atto di giustizia di Garibaldi onora lui e voi. Credetemi sempre di cuore.
Vostro affezionatissimo F. C. ».
(Lettera conservata nel Museo Centrale del Risorgimento di Roma, busta 221, n. 42). Come vedremo in seguito in varie occasioni il Cucchi direttamente intervenì ad appianare dissidi e incomprensioni tra il Türr e Garibaldi .
(24) E' la Brigata Eber , a cui fu, in un primo tempo, aggregato, nel Reggimento Cossovich .
(25) A riguardo di queste battaglie il Cucchi si duole di non poter dare tutto il suo contributo di combattente. Il primo di ottobre deve lasciare la prima linea per farsi estrarre un'altra scheggia dalla ferita della spalla.
Ma egli scene lo stesso le operazioni e le vede svolgersi nelle loro linee principali. E' interessante quanto scrive il 6 ottobre al fratello Luigi da Napoli: « Il colpo tentato dai Borbonici il primo di ottobre era precisamente eguale nel suo piccolo a quello di Solferino. Se riusciva rientravano in Napoli, come l'anno scorso gli Austriaci avrebbero ripreso Milano. Fingendo con forte attacco su tutta la linea, volevano forzare la nostra posizione a Santa Maria, e di là per la strada di Caserta e Maddaloni, ovvero per quella d'Aversa piombare sopra Napoli. Infatti giunsero a sole quattro miglia da Aversa e Napoli, durante alcune ore di quella giornata, fu in grave pericolo. Ciò a detta dello stesso Ministro Sardo Villamarina , il quale non esitò a prendere sopra di se la responsabilità di spedire verso il campo le poche truppe piemontesi che trovavansi in Napoli, facendole prima passare nel centro della città onde rassicurare i cittadini. Si crede generalmente che l'Esercito regio fosse comandato dallo spagnolo Cardova: ma Villamarina ebbe a dire l'altro ierisera, a persona di sua intimità, che ritiene per certo e spera averne le prove, che il piano d'attacco venne dato da un generale ùo che giù da alcuni giorni trovavasi in Capua ed era tra le file borboniche anche durante il combattimento. Del resto, in tutta confidenza, di questa violazione dei diritti internazionali, non possiamo lagnarcene molto; poiché avendo Garibaldi gran bisogno d'artiglieri, e raccomandatesi in proposito al comandante inglese Elliot, questi spedì a Caserta un centinaio dei suoi artiglieri di marina, i quali fingendo di trovarsi cola a caso per visitare quella magnifica villa reale, non appena sentirono il fuoco, corsero come dilettanti alle artiglierie che diressero con straordinaria abilità. Non conosciamo ancora i rapporti ufficiali sulle perdite nostre purtroppo gravi, nò su quelle del nemico die furono straordinarie. La loro cavùquasi più non esiste. Il magnifico Reggimento dei lancieri, spintosi fin sotto le bocche d'una nostra batteria che li lascio avvicinare, ed avviluppato sui fianchi dai nostri bersaglieri imboscati, venne letteralmente distrutto... ". (Lettera conservata presso l'archivio della famiglia Cucchi in Bergamo).
(26) « Debole come una donna, si fa abbindolare dal primo venuto », scrive di Garibaldi , Francesco Crispi in una lettera a Rosolino Pilo nel 1851. Cfr. G. CASTELLINI, Francesco Crispi , Ed. Le Monier, Firenze, pag. 50.
(27) Valga, come prova della chiarezza delle idee del Nostro, in questo cruciale e decisivo periodo della politica italiana, la seguente lettera, datata da Napoli il 29 settembre 1<SRO, indirizzata al fratello Luigi:
« Caro Giggio,
giunsi iersera da Caserta con Ginami e Comin che mi vennero a prendere iermattina. Col pretesto, purtroppo vero, della mia ferita, ho almeno il vantaggio d'andare a mia voglia avanti e indietro da Napoli a Caserta senza alcun disturbo. A Maddaloni, Caserta, ed ai nostri avamposti di Santa Maria nulla di nuovoùsulla più stretta difensiva fino all'arrivo di parte almeno del Corpo di Cialdini . Allora soltanto, stretta Capua da tutte le parti, si farà l'intimazione della resa che succederà certo colle buone o colle cattive. A ciò accenna anche l'ultimo ordine del giorno di Garibaldi , sul quùime i più caldi e sinceri sentimenti per l'Armata piemontese. Il povero Garibaldi è ora circondato ed assediato da genti di tutti i colori: Mazzini , Cattaneo , Ferrari , Bertani , Asproni , Crispi , Saliceti , Depretis , Castelloni ecc.
(28) G. LOCATELLI MILESI: L'Epopea garibaldina del 1860, in « Tridentium », maggio 1910, pag. 210.
(29) D. MACK SMITH, op. cit., pag. 459.
(30) D. MACK SMITH, op. cit., pag. 462.
(31) In data 19 dicembre 1860 gli viene accordata libertà dal servizio militare. Il documento del Comando dell'Esercito Meridionale, a firma del generale Sirtori , porta il n. 1010 ed o datato da Napoli. Trovasi tra i documenti dell'archivio privato della famiglia Cucchi in Bergamo.
-----------------

continua

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