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MAZZINI Giuseppe - Doveri dell'uomo

GIUSEPPE MAZZINI


Doveri dell'uomo

Capitolo primo

Agli operai italiani Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come
il  core  mi  detta,  delle  cose  più  sante,  che  noi  conosciamo,  di   Dio,
dell'umanità, della Patria, della Famiglia. Ascoltatemi  con  amore,  com'io  vi
parlerò con amore. La mia parola è parola di convinzione maturata da lunghi anni
di dolori e di osservazioni e di studi. I doveri che io vi indicherò, io cerco e
cercherò, finché io viva,  adempierli  quanto  le  mie  forze  concedono.  Posso
ingannarmi,  ma  non  ingannarvi.  Uditemi   dunque   fraternamente:   giudicate
liberamente tra voi medesimi, se vi pare che io vi dica la verità: abbandonatemi
se vi pare che io predichi errore; ma seguitemi e operate  a  seconda  dei  miei
insegnamenti, se mi trovate  apostolo  della  verità.  L'errore  è  sventura  da
compiangersi, ma conoscere la verità e non uniformarvi le azioni, è delitto  che
cielo e terra condannano. Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi
dei vostri diritti?  Perché,  in  una  società  dove  tutti,  volontariamente  o
involontariamente, vi  opprimono,  dove  l'esercizio  di  tutti  i  diritti  che
appartengono all'uomo vi è costantemente rapito, dove tutte le  infelicità  sono
per voi e ciò che si chiama felicità è per  gli  uomini  dell'altre  classi,  vi
parlo io di sacrificio e non di conquista? di virtù,  di  miglioramento  morale,
d'educazione, e non di benessere materiale? È questione  che  debbo  mettere  in
chiaro, prima di andare innanzi, perché in questo appunto sta la differenza  tra
la nostra scuola e molt'altre che vanno predicandosi oggi in Europa; poi, perché
questa è dimanda che  sorge  facilmente  nell'anima  irritata  dell'operaio  che
soffre. Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di  miglioramenti  materiali,
di libertà, di felicità. Diteci se siamo  condannati  a  sempre  soffrire  o  se
dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il Dovere a' nostri  padroni,  alle
classi che ci stanno sopra e che trattando noi come  macchine,  fanno  monopolio
dei beni che spettano a tutti. A noi parlate di  dritti:  parlate  dei  modi  di
rivendicarceli; parlate della nostra potenza.  Lasciate  che  abbiamo  esistenza
riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrifizio. Così  dicono  molti
fra i nostri operai, seguono dottrine ed  associazioni  corrispondenti  al  loro
desiderio; non dimenticando che una sola cosa, ed è: che il linguaggio  invocato
da essi s'è tenuto da cinquanta anni in poi, senza aver fruttato un  menomo  che
di miglioramento materiale alla condizione degli operai. Da  cinquanta  anni  in
poi, tutto quanto s'è operato  pel  progresso  e  pel  bene  contro  ai  governi
assoluti o contro l'aristocrazia del sangue, s'è operato  in  nome  dei  Diritti
dell'uomo, in nome della libertà come mezzo e  del  benessere  come  scopo  alla
vita. Tutti gli atti della Rivoluzione Francese e dell'altre che la seguirono  e
la imitarono furono conseguenza d'una  "Dichiarazione  dei  Diritti  dell'uomo".
Tutti i lavori dei Filosofi che la prepararono furono fondati sopra  una  teoria
di libertà, sull'insegnamento dei propri diritti ad  ogni  individuo.  Tutte  le
scuole rivoluzionarie predicarono all'uomo che egli è nato per la felicità,  che
ha diritto di ricercarla con tutti i suoi  mezzi,  che  nessuno  ha  diritto  di
ostacolarlo in questa ricerca, e che egli ha quello di rovesciare  gli  ostacoli
incontrati sul suo cammino. E gli ostacoli  furono  rovesciati:  la  libertà  fu
conquistata: durò per anni in molti paesi: in alcuni ancora dura. La  condizione
del popolo ha migliorato? I milioni che vivono alla giornata  sul  lavoro  delle
loro braccia hanno forse acquistato una  menoma  parte  del  benessere  sperato,
promesso? No: la condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato  anzi  e
peggiora in quasi tutti i paesi. Specialmente qui, dove  io  scrivo,  il  prezzo
delle cose necessarie alla vita è andato progressivamente aumentando, il salario
dell'operaio  in  molti  rami  d'attività  progressivamente  diminuendo,  e   la
popolazione moltiplicando. In quasi tutti i paesi,  la  sorte  degli  uomini  di
lavoro è diventata più incerta, più precaria; le crisi che  condannano  migliaia
d'operai  all'inerzia  per  un  certo  tempo  si  son   fatte   più   frequenti.
L'accrescimento annuo delle emigrazioni di paese in paese, e d'Europa alle altre
parti del mondo, e la cifra sempre  crescente  degli  istituti  di  beneficenza,
delle tasse pei poveri, dei provvedimenti per la mendicità bastano  a  provarlo.
Questi ultimi provano anche che l'attenzione pubblica va più sempre svegliandosi
sui mali del popolo; ma la loro inefficacia a diminuire visibilmente  quei  mali
dimostra un aumento egualmente progressivo di miseria nelle  classi  alle  quali
tentano provvedere. E nondimeno, in questi  ultimi  cinquant'anni,  le  sorgenti
della ricchezza sociale e la massa dei beni materiali sono andate crescendo.  La
produzione ha raddoppiato. Il commercio, attraverso crisi continue,  inevitabili
nell'assenza assoluta d'organizzazione, ha conquistato più  forza  d'attività  e
una sfera più estesa alle sue  operazioni.  Le  comunicazioni  hanno  acquistato
pressoché dappertutto sicurezza e rapidità; è diminuito, quindi, col prezzo  del
trasporto, il prezzo  delle  derrate.  E,  d'altra  parte,  l'idea  dei  diritti
inerenti alla natura umana è oggimai generalmente accettata; accettata a  parole
e ipocritamente anche da chi  cerca,  nel  fatto,  eluderla.  Perché  dunque  la
condizione del popolo non ha migliorato? Perché il consumo dei prodotti,  invece
di  ripartirsi  equamente  fra  tutti  i  membri  delle  società  europee,   s'è
concentrato nelle mani di pochi uomini appartenenti a  una  nuova  aristocrazia?
Perché il nuovo impulso comunicato all'industria e al commercio ha  creato,  non
il benessere dei più, ma il lusso smodato di alcuni? La risposta  è  chiara  per
chi vuol internarsi un po' nelle cose. Gli uomini son creature  d'educazione,  e
non operano che a seconda del principio d'educazione che loro è dato. Gli uomini
che promossero le rivoluzioni anteriori s'erano fondati  sull'idea  dei  diritti
appartenenti all'individuo: le rivoluzioni  conquistarono  la  libertà:  libertà
individuale, libertà d'insegnamento, libertà di credenze, libertà di  commercio,
libertà di ogni cosa e per tutti. Ma che mai importavano i diritti  riconosciuti
a chi non avea mezzo d'esercitarli? Che importava la  libertà  d'insegnamento  a
chi non aveva né tempo, né mezzi per profittarne? Che importava  la  libertà  di
commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in  commercio,  né  capitali,  né
credito? La società si componeva, in tutti i paesi  dove  quei  principi  furono
proclamati, d'un piccol numero d'individui possessori del terreno, del  credito,
dei capitali; e di vaste  moltitudini  di  uomini  non  aventi  che  le  proprie
braccia, forzati a darle, come arnesi di lavoro, a  quei  primi  e  a  qualunque
patto, per vivere. Forzati a spendere in fatiche materiali e  monotone  l'intera
giornata, che cosa era per essi, costretti a combattere colla fame, la  libertà,
se  non  una  illusione,  un'amara  ironia?  Perché  nol  fosse,  sarebbe  stato
necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a  ridurre  il
tempo dell'opera, a  crescerne  la  retribuzione,  a  procacciare  un'educazione
uniforme  gratuita  alle  moltitudini,  a  rendere  gl'istrumenti   del   lavoro
accessibili a tutti, a costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltà  e
di buone intenzioni. Or perché lo avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo
supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose  desiderabili  innanzi  a
tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S'aiuti adunque  chi
può. Quando la società assicura ad ognuno che  possa  lo  esercizio  libero  dei
diritti spettanti alla umana natura, fa quanto è richiesto di fare. Se v'è  chi,
per fatalità della propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e
non incolpi nessuno. Era naturale che così dicessero infatti. E questo  pensiero
delle classi privilegiate di  fortuna,  riguardo  alle  classi  povere,  diventò
rapidamente pensiero di ogni individuo verso ogni individuo. Ciascun uomo  prese
cura dei propri diritti e del  miglioramento  della  propria  condizione,  senza
cercare di provvedere all'altrui; e quando i proprii  diritti  si  trovarono  in
urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di  sangue,  ma  d'oro  e  di
insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita,
nella quale i forti  per  mezzi  schiacciano  inesorabilmente  i  deboli  o  gli
inesperti. In questa guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo e alla
avidità dei beni materiali esclusivamente. La libertà  di  credenza  ruppe  ogni
comunione di fede. La libertà di educazione generò l'anarchia morale. Gli uomini
senza vincolo comune, senza unità di credenza religiosa e di scopo,  chiamati  a
godere e non altro, tentarono ognuno la propria via, non badando  se  camminando
su quella non calpestassero le teste dei loro  fratelli,  fratelli  di  nome  ma
nemici nel fatto. A questo siamo oggi, grazie alla  teoria  dei  diritti.  Certo
esistono diritti; ma dove i diritti di un  individuo  vengono  a  contrasto  con
quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in  armonia,  senza
ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti. E dove  i  diritti  di  un
individuo, di molti individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a  che
tribunale  ricorrere?  Se  il  diritto  al  benessere,  al  più  gran  benessere
possibile, spetta a tutti i viventi, chi scioglierà la questione tra l'operaio e
il capo manifatturiere? Se il diritto alla  esistenza  è  il  primo  inviolabile
diritto di ogni  uomo,  chi  può  comandare  il  sacrificio  dell'esistenza  pel
miglioramento d'altri  uomini?  Lo  comanderete  in  nome  della  Patria,  della
Società, della moltitudine dei vostri fratelli! Cos'è la Patria, per  l'opinione
della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti individuali sono
più sicuri? Cos'è la Società, se non un convegno d'uomini i quali hanno pattuito
di mettere la forza di molti in appoggio dei diritti di ciascuno?  E  voi,  dopo
avere insegnato per cinquanta anni all'individuo che la Società è costituita per
assicurargli l'esercizio dei suoi diritti, vorrete dimandargli  di  sacrificarli
tutti alla Società, di  sottomettersi,  occorrendo,  a  continue  fatiche,  alla
prigione, all'esilio, per migliorarla? Dopo avergli predicato per tutte  le  vie
che lo scopo della vita è il benessere, vorrete a un tratto ordinargli di perder
il benessere e la vita stessa per liberare il proprio paese dallo  straniero,  o
per procacciare condizioni migliori a una classe che non è la sua? Dopo  avergli
parlato per anni  in  nome  degli  interessi  materiali,  pretendere  che  egli,
trovando davanti a sé ricchezza e potenza, non stenda  la  mano  ad  afferrarle,
anche a scapito dei suoi fratelli? Operai italiani, questa non è opinione venuta
senza appoggio di fatti nella nostra mente; è storia, storia dei  nostri  tempi,
storia le cui pagine grondano sangue del popolo. Interrogate  tutti  gli  uomini
che cangiarono la rivoluzione del 1830(1) in  una  sostituzione  di  persone  ad
altre persone, e, a modo d'esempio, fecero dei cadaveri dei vostri  compagni  di
Francia, morti  combattendo  nelle  tre  giornate,  uno  sgabello  alla  propria
potenza: tutte le loro dottrine, prima del 1830,  erano  fondate  sulla  vecchia
idea dei diritti(2) non sulla credenza nei doveri dell'uomo. Voi li chiamate  in
oggi traditori ed apostati, e non furono che  conseguenti  alla  loro  dottrina.
Combattevano con sincerità il governo  di  Carlo  X,  perché  quel  governo  era
direttamente nemico alla classe d'onde essi uscivano,  e  violava  e  tendeva  a
sopprimere i loro diritti. Combattevano in nome di quel benessere,  ch'essi  non
possedevano quanto pareva loro di  meritare.  Alcuni  erano  perseguitati  nella
libertà del pensiero; altri, ingegni potenti, si vedevano negletti,  allontanati
dagli impieghi, che occupavano uomini di capacità inferiore  alla  loro.  Allora
anche i mali del popolo li irritavano. Allora scrivevano arditamente e di  buona
fede intorno ai diritti che appartengono a ogni uomo. Poi, quando i loro diritti
politici e intellettuali si trovarono assicurati, quando la via agli impieghi fu
loro aperta, quando ebbero conquistato il benessere che cercavano, dimenticarono
il popolo, dimenticarono che i milioni, inferiori ad essi per educazione  e  per
desideri, cercavano l'esercizio d'altri  diritti  e  la  conquista  di  un'altro
benessere, posero l'animo in pace e non si curarono d'altro che  di  sé  stessi.
Perché li chiamate traditori? Perché non  chiamate  invece  traditrice  la  loro
dottrina? Viveva e scriveva nello stesso tempo in Francia un uomo che non dovete
dimenticare, più potente d'ingegno che essi tutti non erano: era  allora  nemico
nostro; ma credeva nel dovere di sacrificare l'intera esistenza al bene  comune,
alla ricerca e al trionfo della Verità: studiava attento gli uomini e  i  tempi,
non si lasciava sedurre dagli applausi, né avvilire dalle delusioni:  tentata  e
fallita una via, ritentava sopra un'altra il miglioramento dei più: e  quando  i
tempi cangiati gli mostrarono un solo  elemento  capace  d'operarlo,  quando  il
popolo si mostrò sull'arena più virtuoso e credente che non tutti coloro i quali
avevano preteso trattar la sua causa, egli,  Lamennais,  l'autore  delle  Parole
d'un credente(3) che avete lette voi tutti, divenne il migliore  apostolo  della
causa nella quale siamo fratelli. Eccovi, in lui e negli  uomini  dei  quali  ho
parlato, rappresentata la differenza tra gli  uomini  dei  diritti  e  quei  del
Dovere. Ai primi la conquista  dei  loro  diritti  individuali,  togliendo  ogni
stimolo, basta perché s'arrestino: il lavoro dei secondi non  s'arresta  qui  in
terra che colla vita. E tra i popoli interamente schiavi, dove la lotta  ha  ben
altri pericoli, dove ogni passo che si move verso il bene è segnato  dal  sangue
d'un martire, dove il lavoro contro l'ingiustizia dominatrice è  necessariamente
segreto e privo dei conforti della pubblicità e della lode, quale obbligo, quale
stimolo alla costanza può mantenere sulla via del bene gli uomini  che  riducono
la santa guerra sociale che noi sosteniamo a un combattimento pei loro  diritti?
Parlo, s'intende, della generalità e non delle eccezioni che esistono  in  tutte
le dottrine. Perché, sedato il tumulto di spiriti e  il  movimento  di  reazione
contro la tirannide che trascina  naturalmente  alla  lotta  la  gioventù,  dopo
qualche anno di sforzi, dopo delusioni inevitabili in impresa  siffatta,  quegli
uomini non si stancherebbero? Perché non preferirebbero il riposo comunque a una
vita irrequieta, agitata di contrasti e pericoli, che può un  giorno  o  l'altro
finire in una prigione, sul patibolo, o nello esilio? È storia  pur  troppo  dei
più fra gli Italiani d'oggidì, imbevuti come sono delle vecchie  idee  francesi:
tristissima storia; ma come interromperla se non cangiando il principio  da  cui
partono per dirigersi? Come e in nome di chi convincerli che  i  pericoli  e  le
delusioni devono farli più forti, che hanno a combattere non per alcuni anni, ma
per tutta la loro vita? Chi può dire ad un uomo: segui  a  lottare  per  i  tuoi
diritti, quando lottare per essi gli costa più caro che  non  l'abbandonarli?  E
chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che non le  attuali,
convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti,  ch'egli  ha  da
mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo  al  pensiero  sociale?
Ponete che ei si ribelli; ponete che egli si senta forte e  vi  dica:  rompo  il
patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove;  ho  diritto
sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in  guerra  contro  tutti:  quale
risposta potrete voi dargli stando alla  dottrina?  Che  diritto  avete  voi  di
punirlo perché siete maggiorità,  d'imporgli  ubbidienza  a  leggi  che  non  si
accordano coi suoi desiderii, colle sue  aspirazioni  individuali?  Che  diritto
avete voi di punirlo quand'ei le viola? I diritti appartengono  eguali  ad  ogni
individuo: la convivenza sociale non può crearne uno solo.  La  Società  ha  più
forza, non più diritti dell'individuo. Come dunque proverete  voi  all'individuo
ch'ei deve confondere la sua volontà  colla  volontà  de'  suoi  fratelli  nella
Patria e nell'umanità?  Col  carnefice,  colle  prigioni?  Le  Società  fin  ora
esistenti hanno  fatto  così.  Ma  questa  è  guerra,  e  noi  vogliam  pace:  è
repressione tirannica, e noi vogliamo educazione. EDUCAZIONE, abbiamo detto;  ed
è la gran parola che racchiude tutta quanta la  nostra  dottrina.  La  questione
vitale che s'agita nel nostro secolo è una questione di  Educazione.  Si  tratta
non stabilire un nuovo  ordine  di  cose  colla  violenza;  un  ordine  di  cose
stabilito colla violenza è sempre tirannico foss'anche migliore del vecchio:  si
tratta di rovesciare colla forza la forza brutale che s'oppone in  oggi  a  ogni
tentativo di miglioramento, di proporre al  consenso  della  Nazione,  messa  in
libertà, d'esprimere la sua volontà, l'ordine che par migliore e di educare  con
tutti i mezzi possibili gli uomini  a  svilupparlo,  ad  operare  conformemente.
Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli  ostacoli;  ma  non
fondare forte e durevole l'armonia di  tutti  gli  elementi  che  compongono  la
Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo  alla
vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che  porteranno  le
vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta
dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria, che  guidi
gli uomini al meglio, che insegni  loro  la  costanza  nel  sacrificio,  che  li
vincoli a' loro fratelli senza farli dipendenti  dall'idea  d'un  solo  o  dalla
forza di tutti. E questo principio è il DOVERE. Bisogna  convincere  gli  uomini
ch'essi, figli d'un solo Dio, hanno ad essere qui in terra esecutori d'una  sola
legge - che ognuno d'essi deve vivere, non per sé, ma per gli  altri  -  che  lo
scopo della loro vita non è quello d'essere più o meno felici, ma di rendere  sé
stessi e gli altri migliori - che  il  combattere  l'ingiustizia  e  l'errore  a
benefizio dei loro fratelli e dovunque si trova, è  non  solamente  diritto,  ma
dovere: dovere da non negligersi senza colpa - dovere di tutta la  vita.  Operai
Italiani, fratelli miei! intendetemi bene. Quand'io dico, che la conoscenza  dei
loro diritti non basta agli uomini per operare  un  miglioramento  importante  e
durevole, non chiedo che rinunzino a questi diritti; dico soltanto che non  sono
se non una conseguenza di doveri adempiti e che bisogna cominciare da questi per
giungere a quelli. E quand'io dico, che  proponendo  come  scopo  alla  vita  la
felicità, il benessere, interessi materiali, corriamo rischio di creare egoisti,
non intendo che non dobbiate occuparvene;  dico  che  gli  interessi  materiali,
cercati soli, proposti non come mezzi ma come  fine,  conducono  sempre  a  quel
tristissimo risultato. Quando, sotto  gli  imperatori,  gli  antichi  Romani  si
limitavano a chiedere pane e divertimenti, erano la razza più abietta che dar si
possa; e dopo aver  subita  la  tirannia  stolida  e  feroce  degli  Imperatori,
cadevano vilmente schiavi dei Barbari che invadevano. In  Francia  e  altrove  i
nemici d'ogni progresso sociale hanno seminato la corruzione e tentano sviare le
menti dall'idea di mutamento, cercando sviluppo all'attività  materiale.  E  noi
aiuteremo  il  nemica  colle  nostre  mani?  I  miglioramenti   materiali   sono
essenziali, e  noi  combatteremo  per  conquistarceli;  ma  non  perché  importi
unicamente agli uomini d'essere  ben  nudriti  e  alloggiati;  bensì  perché  la
coscienza della vostra dignità e il vostro sviluppo morale non possono  venirvi,
finché vi state com'oggi in un continuo duello colla miseria! Voi lavorate dieci
o dodici ore della giornata: come potete trovar tempo per educarvi?  I  più  tra
voi guadagnano appena tanto da sostenere sé e la  loro  famiglia:  come  possono
trovar mezzi per educarsi? La precarietà e le interruzioni del vostro lavoro  vi
fanno trapassare dalla eccessiva operosità  alle  abitudini  dello  sfaccendato:
come potreste acquistar le tendenze all'ordine, alla regolarità,  all'assiduità?
La scarsezza del vostro guadagno sopprime ogni speranza di risparmio efficace  e
tale che possa un giorno giovare ai  vostri  figli  o  agli  anni  della  vostra
vecchiaia: come potreste educarvi ad abitudini d'economia? Molti  fra  voi  sono
costretti dalla miseria a separare i fanciulli, non diremo dalle  cure  -  quali
cure d'educazione possono dare ai figli le  povere  mogli  degli  operai?  -  ma
dall'amore e dallo sguardo delle madri, cacciandoli, per alcuni soldi, ai lavori
nocivi delle manifatture; come possono,  in  condizione  siffatta,  svilupparsi,
ingentilirsi i sentimenti di  famiglia?  Non  avete  diritti  di  cittadini,  né
partecipazione alcuna d'elezione e di voto alle leggi che regolano i vostri atti
e la vostra vita: come potreste avere coscienza di cittadini e zelo per lo Stato
e affetto sincero alle leggi? La giustizia è inegualmente distribuita fra voi  e
l'altre classi: d'onde imparereste il rispetto  e  l'amore  alla  giustizia?  La
Società vi tratta senz'ombra di  simpatia:  d'onde  imparereste  a  simpatizzare
colla Società? Voi  dunque  avete  bisogno  che  cangino  le  vostre  condizioni
materiali, perché possiate svilupparvi moralmente:  avete  bisogno  di  lavorare
meno per  poter  consacrare  alcune  ore  della  vostra  giornata  al  progresso
dell'anima vostra: avete bisogno di una retribuzione di lavoro che vi  ponga  in
grado  di  accumulare  risparmi,   d'acquietarvi   l'animo   sull'avvenire,   di
purificarvi sopra  tutto  d'ogni  sentimento  di  reazione,  d'ogni  impulso  di
vendetta, d'ogni pensiero d'ingiustizia verso chi vi fu ingiusto. Dovete  dunque
cercare, e otterrete questo come mutamento; ma dovete cercarlo come  mezzo,  non
fine: cercarlo per senso di dovere, non  unicamente  di  diritto:  cercarlo  per
farvi migliori, non unicamente per farvi materialmente felici.  Dove  no,  quale
differenza sarebbe tra voi e i  vostri  tiranni?  Essi  son  tali  precisamente,
perché non  guardano  che  al  benessere,  alle  voluttà,  alla  potenza.  Farvi
migliori: questo ha da essere lo scopo della vostra vita. Farvi stabilmente meno
infelici, voi noi potete, se non migliorando. I tiranni sorgerebbero a mille tra
voi, se voi non combatteste che in nome degli interessi materiali, o d'una certa
organizzazione. Poco importa che mutiate  le  organizzazioni,  se  lasciate  voi
stessi e gli altri colle passioni e coll'egoismo  dell'oggi:  le  organizzazioni
sono come certe piante che danno veleno o rimedio a seconda delle operazioni  di
chi le ministra. Gli uomini buoni  fanno  buone  le  organizzazioni  cattive,  i
malvagi fanno triste le buone. Si tratta di render migliori e convinte dei  loro
doveri le classi ch'oggi, volontariamente o involontariamente,  v'opprimono;  né
potete riescirvi se non cominciando a fare, quanto  è  possibile,  migliori  voi
stessi. Quando dunque udite dirvi dagli uomini, che predicano la necessità  d'un
cangiamento sociale,  ch'essi  lo  produrranno  invocando  unicamente  i  vostri
diritti, siate loro riconoscenti delle  buone  intenzioni,  ma  diffidate  della
riuscita. I mali del povero sono noti, in parte almeno, alle classi agiate; noti
ma non sentiti.  Nell'indifferenza  generale  nata  dalla  mancanza  d'una  fede
comune, nell'egoismo, conseguenza inevitabile della predicazione  continuata  da
tanti anni del benessere materiale, quei che non soffrono si sono a poco a  poco
avvezzi a considerare quei mali come una triste necessità dell'ordine sociale  o
a lasciare la cura dei rimedi alle generazioni che verranno. La difficoltà non è
nel convincerli; è nel riscoterli dall'inerzia, nel ridurli, convinti che siano,
ad  agire,  ad  associarsi,   ad   affratellarsi   con   voi   per   conquistare
l'organizzazione sociale, che porrà fine, per quanto le condizioni  dell'Umanità
lo concedono, ai vostri mali e ai loro terrori. Ora questa è l'opera della fede,
della fede nella missione che Dio ha dato alla creatura umana qui  sulla  Terra,
nella responsabilità che pesa su tutti coloro che non la  compiono,  nel  Dovere
che impone a ciascuno di operare continuamente e  con  sacrifizio  a  norma  del
Vero. Tutte le dottrine possibili  di  diritti  e  di  benessere  materiale  non
potranno che condurvi a  tentativi  che,  se  rimarranno  isolati  o  unicamente
appoggiati sulle vostre forze, non riesciranno: non potranno  che  preparare  il
più grave dei delitti sociali: una guerra civile fra  classe  e  classe.  Operai
italiani! fratelli miei! Quando Cristo venne e cangiò la faccia  del  mondo,  ei
non parlò dei diritti ai ricchi, che non avevano  bisogno  di  conquistarli;  a'
poveri, che ne avrebbero forse abusato  ad  imitazione  dei  ricchi:  non  parlò
d'utile o d'interessi a una gente, che gl'interessi e l'utile avevano  corrotto:
parlò di Amore, di Sacrificio, di Fede; disse che quegli solo sarebbe  il  primo
fra tutti, che avrebbe giovato a tutti coll'opera sua. Quelle parole  sussurrate
nell'orecchio  ad  una  società  che  non  aveva  più  scintilla  di  vita,   la
rianimarono, conquistarono i milioni, conquistarono il mondo e fecero progredire
d'un passo l'educazione del genere umano. Operai Italiani! noi siamo in un epoca
simile a quella di Cristo. Viviamo in mezzo a una Società incadaverita, come era
quella  dell'Impero  Romano,  col   bisogno   nell'animo   di   ravvivarla,   di
trasformarla, d'associare tutti i membri e i lavori in una sola fede, sotto  una
sola legge, verso uno scopo: sviluppo libero progressivo di tutte le facoltà che
Dio ha messo in germe nella sua creatura. Cerchiamo che Dio  regni  sulla  terra
siccome nel Cielo, o meglio che la terra sia una preparazione  al  Cielo,  e  la
Società un tentativo di avvicinamento progressivo al pensiero  Divino.  Ma  ogni
atto di Cristo rappresentava la fede che ei predicava, e intorno a  lui  v'erano
apostoli che incarnavano nei loro atti la fede che essi avevano accettata. Siate
tali e vincerete. Predicate il Dovere agli uomini delle  classi  che  vi  stanno
sopra, e compite, per quanto è possibile, i doveri vostri: predicate  la  virtù,
il sacrifizio, l'amore; e siate virtuosi e pronti  al  sacrifizio  e  all'amore.
Esprimete coraggiosamente i vostri bisogni e le vostre idee; ma senz'ira,  senza
reazione, senza minaccia: la più potente minaccia, se v'è chi ne abbia  bisogno,
è la fermezza, non l'irritazione del linguaggio, mentre propagate tra  i  vostri
compagni l'idea dei loro futuri destini, l'idea d'una  nazione,  che  darà  loro
nome, educazione, lavoro e retribuzione proporzionata  e  coscienza  e  missione
d'uomini mentre infondete in essi il sentimento della  lotta  inevitabile,  alla
quale essi devono prepararsi per conquistarla contro le forze dei tristi  nostri
governi e dello straniero(4) -  cercate  istruirvi,  migliorare,  educarvi  alla
piena conoscenza e alla pratica dei vostri doveri. È lavoro  questo  impossibile
in gran parte d'Italia per le moltitudini: nessun  piano  d'educazione  popolare
può verificarsi tra noi senza un  cangiamento  nella  condizione  materiale  del
popolo, e senza una rivoluzione politica: chi s'illude a sperarlo e  lo  predica
come preparativo  indispensabile  ad  ogni  tentativo  d'emancipazione,  predica
l'inerzia, non altro. Ma i pochi tra voi, ai quali le circostanze corrono un po'
migliori  e  il  soggiorno  in  paesi  stranieri  concede   mezzi   più   liberi
d'educazione, lo possono, quindi lo devono. E i  pochi  tra  voi,  imbevuti  una
volta dei veri principii dai quali dipende l'educazione d'un Popolo,  basteranno
a spargerli fra le migliaia, a dirigerlo sulla via e proteggerlo dai  sofismi  e
dalle false dottrine che verranno a insidiarlo.



Capitolo secondo Dio L'origine dei vostri Doveri sta in Dio. La definizione  dei
vostri DOVERI sta nella sua Legge.  La  scoperta  progressiva  e  l'applicazione
della sua Legge appartengono  all'Umanità.  Dio  esiste.  Noi  non  dobbiamo  né
vogliamo provarvelo: tentarlo ci sembrerebbe bestemmia,  come  negarlo,  follia.
Dio esiste  perché  noi  esistiamo.  Dio  vive  nella  nostra  coscienza,  nella
coscienza dell'Umanità, e nell'Universo che ci circonda. La nostra coscienza  lo
invoca nei momenti più solenni  di  dolore  e  di  gioia.  L'Umanità  ha  potuto
trasformarne, guastarne, non  mai  sopprimerne  il  santo  nome.  L'Universo  lo
manifesta coll'ordine, coll'armonia, colla intelligenza dei suoi  moti  e  delle
sue leggi. Non vi sono atei fra voi: se ve ne fossero, sarebbero  degni  non  di
maledizione, ma di compianto. Colui che può negare  Dio  davanti  ad  una  notte
stellata, davanti alla sepoltura de' suoi  più  cari,  davanti  al  martirio,  è
grandemente infelice o grandemente colpevole. Il primo ateo fu senz'alcun dubbio
un uomo che avea celato un delitto agli altri uomini  e  cercava,  negando  Dio,
liberarsi dell'unico testimonio a cui non poteva celarlo e soffocare il  rimorso
che lo tormentava: forse fu un  tiranno  che  avea  rapito  colla  libertà  metà
dell'anima a' suoi  fratelli  e  tentava  sostituire  l'adorazione  della  Forza
brutale alla fede nel Dovere e nel Diritto immortale. Dopo lui,  vennero  qua  e
là, di secolo in secolo, uomini che per  aberrazione  di  filosofia  insinuarono
l'ateismo, ma pochissimi e vergognosi: - vennero, in momenti non lontani da noi,
moltitudini,  che  per  irritazione  contro  un'idea  di  Dio   falsa,   stolta,
architettata a proprio benefizio da una casta o da un potere tirannico, negarono
Dio medesimo; ma fu un istante, e  in  quell'istante  adorarono,  tanto  avevano
bisogno di Dio, la dea Ragione, la dea Natura. Oggi, vi sono uomini che aborrono
da ogni religione, perché vedono la corruzione  nelle  credenze  attuali  e  non
indovinano la purità di quelle dell'avvenire; ma nessun tra loro osa dirsi ateo:
vi sono preti che prostituiscono il nome di Dio ai calcoli della venalità, o  al
terrore dei potenti: vi sono tiranni che lo imposturano invocandolo a protettore
delle loro tirannidi; ma perché la luce del sole ci  viene  spesso  offuscata  e
guasta da sozzi vapori, negheremo il sole o la  potenza  vivificatrice  del  suo
raggio sull'universo? Perché  dalla  libertà  i  malvagi  possono  talvolta  far
sorgere l'anarchia, malediremo alla libertà? La fede in Dio  brilla  d'una  luce
immortale attraverso tutte le imposture e le corruttele che gli uomini addensano
intorno a quel nome. Le imposture e  le  corruttele  passano,  come  passano  le
tirannidi: Dio resta, come resta il Popolo, immagine di Dio sulla terra. Come il
popolo, attraverso schiavitù, patimenti e miserie, conquista  a  grado  a  grado
coscienza, forza, emancipazione, il nome santo di Dio  sorge  dalle  rovine  dei
culti corrotti a splendere, circondato d'un culto più puro, più  fervido  e  più
ragionevole. Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l'esistenza, o  per
dirvi che dovete adorarlo: voi lo adorate, anche non nominandolo, ogni qualvolta
voi sentite la vostra vita e la vita degli esseri che vi stanno intorno: ma  per
dirvi come dovete adorarlo; per ammonirvi intorno a  un  errore  che  domina  le
menti di molti tra gli uomini delle classi che vi dirigono, e, per esempio loro,
di molti tra voi: errore grave e rovinoso quanto è l'ateismo. Questo errore è la
separazione più o meno dichiarata, di Dio  dall'opera  sua,  dalla  Terra  sulla
quale voi dovete compire un periodo della vostra vita. Avete, da una parte,  una
gente che vi dice: "Sta bene: Dio esiste; ma voi non potete più  che  ammetterlo
ed adorarlo. La relazione tra  lui  e  gli  uomini,  nessuno  può  intenderla  o
dichiararla. È questione da dibattersi fra Dio medesimo e la  vostra  coscienza.
Pensate intorno a questo ciò che volete, ma non proponete la vostra credenza  ai
vostri simili; non cercate d'applicarla alle cose di questa terra. La politica è
una cosa, la religione un'altra. Non le confondete. Lasciate le cose  del  Cielo
al potere  spirituale  stabilito,  qualunque  ei  siasi,  salvo  a  voi  di  non
credergli, se vi pare ch'ei tradisca la sua missione: lasciate che ognuno  pensi
e creda a suo modo; voi non dovete occuparvi in  comune  che  delle  cose  della
terra.  Materialisti   o   spiritualisti,   credete   voi   nella   libertà,   o
nell'eguaglianza degli uomini? volete il ben essere per la maggiorità? volete il
suffragio universale? Riunitevi per ottenere codesto intento; non avete  bisogno
per questo d'intendervi sulle quistioni che riguardano il cielo." Avete  d'altra
parte uomini che vi dicono: "Dio esiste; ma  così  grande,  troppo  superiore  a
tutte le cose create, perché voi  possiate  sperar  di  raggiungerlo  coll'opere
umane. La terra è fango. La vita è un giorno. Distaccatevi  dalla  prima  quanto
più potete: non date valore che non merita alla seconda. Che sono mai tutti  gli
interessi terreni a fronte della vita immortale  dell'anima  vostra?  Pensate  a
questa: guardate al Cielo. Che v'importa se voi vivete quaggiù in un modo  o  in
un altro? Siete destinati a morire; e Dio vi giudicherà secondo i  pensieri  che
avrete dato, non alla terra, ma a Lui. Soffrite?  Benedite  al  Signore  che  vi
manda quei patimenti. L'esistenza  terrena  è  una  prova.  La  vostra  è  terra
d'esilio. Sprezzatela ed innalzatevi. Di mezzo ai patimenti, alla miseria,  alla
schiavitù, voi potete rivolgervi a Dio, e santificarvi nell'adorazione  di  Lui,
nella preghiera, nella fede in un avvenire che vi compenserà largamente,  e  nel
disprezzo delle cose mondane." Di quei che così vi parlano, i  primi  non  amano
Dio; i secondi non lo conoscono. L'uomo è uno, direte ai primi. Voi  non  potete
troncarlo in due, e far sì ch'egli concordi con voi  nei  principii  che  devono
regolare l'ordinamento della Società  quand'ei  differisca  intorno  all'origine
sua, ai suoi destini e alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni governano il
mondo. Quando gli uomini dell'India  credevano  d'essere  nati,  gli  uni  dalla
testa, altri dalle braccia, altri dai piedi di Brama, Divinità loro,  ordinavano
la Società secondo la divisione degli uomini  in  caste,  assegnavano  agli  uni
ereditariamente il lavoro intellettuale, ad altri la milizia, ad altri le  opere
servili, e si condannavano a una immobilità che ancor dura e durerà,  finché  la
credenza in quel principio non cada. Quando i Cristiani dichiararono  al  mondo,
che gli uomini erano tutti figli di Dio e fratelli di Lui, tutte le dottrine dei
legislatori e dei teosofi dell'antichità, che  stabilivano  l'esistenza  di  due
nature negli uomini, non valsero ad impedire  l'abolizione  della  schiavitù,  e
quindi un ordinamento radicalmente diverso  nella  Società.  Ad  ogni  progresso
delle credenze religiose, noi  possiamo  mostrarvi  corrispondente  alla  storia
dell'Umanità un progresso sociale: alla vostra dottrina d'indifferenza in  fatto
di religione, voi non potete mostrarci altra  conseguenza  che  l'anarchia.  Voi
avete potuto distruggere, non  mai  fondare:  smentiteci,  se  potete.  A  forza
d'esagerare  un  principio  contenuto  nel  Protestantesimo,  e  che   oggi   il
Protestantesimo, pur sente il bisogno di abbandonare - a forza di dedurre  tutte
le vostre idee unicamente dall'indipendenza dell'individuo - voi siete giunti, a
che? all'anarchia, cioè all'oppressione del debole, che non ha mezzi, né  tempo,
né istruzione  per  esercitare  i  propri  diritti,  nell'ordinamento  politico;
all'egoismo, cioè all'isolamento e alla rovina del debole che non  può  aiutarsi
da sé nella morale. Ma noi vogliamo Associazione: come ottenerla sicura  se  non
da fratelli che credono negli stessi principii regolatori, che s'uniscono  nella
stessa fede, che giurino nell'istesso nome? Vogliamo educazione:  come  darla  o
riceverla, se non in virtù  d'un  principio  che  contenga  l'espressione  delle
nostre credenze sull'origine, sul fine, sulla legge di vita dell'uomo su  questa
terra? Vogliamo educazione comune:  come  darla  o  riceverla,  senza  una  fede
comune? Vogliamo formare Nazione: come riescirvi, se non credendo in  uno  scopo
comune, in un dovere comune? E donde possiamo noi dedurre un dovere  comune?  se
non dall'idea che ci formiamo di Dio e della sua relazione con  noi?  Certo:  il
suffragio universale è cosa eccellente; è il solo  mezzo  legale  col  quale  un
paese possa, senza crisi  violente  ogni  tanto,  governarsi;  ma  il  suffragio
universale in un paese dominato da una fede darà l'espressione  della  tendenza,
della volontà nazionale; in un paese privo di credenze comuni,  cosa  mai  potrà
esprimere se non l'interesse numericamente più forte e  l'oppressione  di  tutti
gli altri? Tutte le riforme politiche in ogni paese irreligioso, o  non  curante
di religione, dureranno  quanto  il  capriccio  o  l'interesse  degli  individui
vorranno e non più. L'esperienza degli ultimi cinquanta anni ci ha addottrinati,
su questo punto, abbastanza. Agli altri che vi parlano del Cielo, scompagnandolo
dalla Terra, voi direte che cielo e terra sono, come la via e il  termine  della
via, una cosa sola. Non dite che la terra è fango: la terra è Dio: Dio la creava
perché per essa salissimo a Lui. La terra non è un soggiorno di espiazione o  di
tentazione: è il luogo del nostro lavoro  per  un  fine  di  miglioramento,  del
nostro sviluppo verso un grado d'esistenza superiore. Dio ci creava non  per  la
contemplazione, ma per l'azione: ci creava ad immagine sua, ed egli  è  Pensiero
ed Azione, anzi non v'è in lui pensiero  che  non  si  traduca  in  azione.  Noi
dobbiamo, dite, sprezzare tutte le cose mondane e calpestare  la  vita  terrena,
per occuparci della celeste; ma cos'è la vita terrena, se non un preludio  della
celeste, un avviamento  a  raggiungerla?  non  v'avvedete  che  voi  benedicendo
l'ultimo gradino  della  scala  per  la  quale  noi  tutti  dobbiamo  salire,  e
maledicendo al primo, ci troncate la vita? La vita d'un'anima è sacra,  in  ogni
suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che  seguiranno;  bensì,  ogni
periodo dev'essere preparazione all'altro, ogni sviluppo temporaneo deve giovare
allo sviluppo continuo ascendente  alla  vita  immortale  che  Dio  trasfuse  in
ciascuno di noi e nella Umanità complessiva che cresce coll'Opera di ciascuno di
noi. Or Dio v'ha messo quaggiù sulla terra: v'ha messo intorno milioni di esseri
simili a  voi,  il  cui  pensiero  si  alimenta  del  vostro  pensiero,  il  cui
miglioramento progredisce col vostro, la cui vita si feconda della vostra  vita:
v'ha dato, a salvarvi dai  pericoli  dell'isolamento,  bisogni  che  non  potete
soddisfar soli, e istinti predominanti sociali che dormono nei bruti  e  che  vi
distinguono da essi: v'ha steso intorno quel mondo  che  voi  chiamate  Materia,
magnifico di bellezza, pregno di vita, d'una vita che, non dovete  dimenticarlo,
si mostra per ogni dove tanto che vi si  vegga  il  segno  di  Dio,  ma  aspetta
nondimeno l'opera  vostra,  dipende  nelle  sue  manifestazioni  da  voi,  e  si
moltiplica di potenza quanto più la vostra attività si  moltiplica:  v'ha  posto
dentro simpatie inestinguibili, la pietà per chi geme, la gioia per chi sorride,
l'ira contro  chi  opprime  la  creatura,  il  desiderio  incessante  del  Vero,
l'ammirazione pel Genio che scopre qualche parte del vero, l'entusiasmo per  chi
lo traduce in azione giovevole a tutti, la venerazione religiosa  per  chi,  non
potendo  farlo  trionfare,  muore   martire,   portando   col   proprio   sangue
testimonianza per esso - e voi negate, sprezzate  questi  indizii  della  vostra
missione che Dio v'ha profuso d'intorno, anzi cacciate l'anatema sui segni suoi,
chiamandoci a concentrare tutte le nostre forze in una  opera  di  purificazione
interna, imperfetta, impossibile quando è solitaria! Or Dio non punisce  chi  la
pensa così? Non degrada egli  lo  schiavo?  Non  sommerge  egli  negli  appetiti
sensuali, negli  istinti  ciechi  di  quella  che  voi  chiamate  materia,  metà
dell'anima  del  povero  giornaliero   costretto   a   consumare,   senza   lume
d'educazione, in una serie d'atti fisici, la vita divina? Trovate fede religiosa
più viva nel servo Russo che non nel  Polacco  combattente  le  battaglie  della
patria e della Libertà? Trovate amore più fervente di Dio nel  suddito  avvilito
d'un Papa e d'un Re tiranno, che non nel repubblicano  Lombardo  del  dodicesimo
secolo e nel repubblicano Fiorentino del decimoquarto? Dov'è lo spirito  di  Dio
ivi è la libertà, ha detto uno dei più potenti Apostoli che noi conosciamo; e la
religione  ch'ei  predicava  decretò  l'abolizione  della  schiavitù;  chi   può
intendere e adorare  convenientemente  Dio  strisciandosi  ai  piedi  della  sua
creatura? La vostra non è religione, è setta d'uomini che hanno  dimenticato  la
loro origine, le battaglie che  i  loro  padri  sostennero  contro  una  società
incadaverita, e le vittorie che riportarono trasformando  quel  mondo  terrestre
ch'oggi voi, o contemplatori, sprezzate. Qualunque forte credenza sorga  fra  le
rovine delle vecchie  esaurite,  trasformerà  l'ordinamento  sociale  esistente,
perché ogni forte credenza cerca applicarsi a tutti i rami dell'attività  umana;
perché la terra ha cercato sempre, in ogni epoca, conformarsi al  cielo  in  cui
essa credeva; perché tutta intera la storia  dell'Umanità  ripete,  sotto  forme
diverse e a gradi diversi, secondo i tempi, la parola registrata nella  Orazione
Domenicale del Cristianesimo: Venga il tuo regno sulla terra, o Signore, siccome
è nel cielo. Venga il regno di Dio sulla terra, siccome è nel cielo: sia questa,
o fratelli miei, meglio intesa e applicata che non fu per l'addietro, la  vostra
parola di fede, la vostra preghiera: ripetetela e operate perché  si  verifichi.
Lasciate ch'altri tenti persuadervi  la  rassegnazione  passiva,  l'indifferenza
alle cose terrene, la sommissione  ad  ogni  potere  temporale  anche  ingiusto,
replicandovi, male intesa, quell'altra parola: "Rendete a  Cesare  ciò  ch'è  il
Cesare e ciò ch'è di Dio a Dio". Possono dirvi cosa che non sia di Dio? Nulla  è
di Cesare se non quanto è conforme alla Legge Divina. Cesare,  ossia  il  potere
temporale, il governo civile non è che il mandatario, l'esecutore, quanto le sue
forze e i tempi concedono, del disegno di  Dio:  dove  tradisce  il  mandato,  è
vostro, non diremo diritto, ma dovere mutarlo. A che siete quaggiù, se  non  per
affaticarvi a sviluppare coi vostri mezzi e nella vostra sfera  il  concetto  di
Dio? A che professare  di  credere  nell'unità  del  genere  umano,  conseguenza
inevitabile dell'Unità di Dio, se non  lavorate  a  vivificarla  combattendo  le
divisioni arbitrarie, le inimicizie  che  separano  tuttavia  le  diverse  tribù
formanti l'Umanità?  A  che  credere  nella  Libertà  umana,  base  della  umana
responsabilità, se non ci  adoperiamo  a  distruggere  tutti  gli  ostacoli  che
impediscono la prima e viziano la seconda? A che  parlare  di  Fratellanza,  pur
concedendo che i nostri fratelli siano ogni dì conculcati,  avvinti,  sprezzati?
La terra è la nostra lavoreria: non bisogna maledirla; bisogna santificarla.  Le
forze materiali che ci troviamo d'intorno sono i nostri strumenti di lavoro; non
bisogna ripudiarli, bisogna costantemente, ardentemente dirigerli  al  bene.  Ma
questo, voi, senza Dio, non potete. V'ho parlato di Doveri: v'ho  insegnato  che
la sola conoscenza dei vostri Diritti non basta a  guidarci  durevolmente  sulle
vie del bene, non basta a darvi quel miglioramento progressivo, continuo,  nella
vostra condizione, che voi cercate: or bene, senza Dio, donde il  Dovere?  senza
Dio, voi, a qualunque sistema civile vogliate appigliarvi,  non  potete  trovare
altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica.  Di  qui  non  s'esce.  O  lo
sviluppo delle cose umane dipende da una legge  di  provvidenza  che  noi  tutti
siamo incaricati di scoprire  e  di  applicare,  o  è  affidato  al  caso,  alle
circostanze del momento, all'uomo che sa meglio avvalersene. O dobbiamo obbedire
a Dio, o servire ad uomini, uno o più non porta. Se non regna una mente  suprema
su tutte le menti umane, chi  può  salvarci  dall'arbitrio  dei  nostri  simili,
quando  si  trovino  più  potenti  di  noi?  Se  non  esiste  una  Legge  santa,
inviolabile, non creata dagli uomini, quale norma avremo  per  giudicare  se  un
atto è giusto o non lo è? In nome di chi, in nome  di  che  protesteremo  contro
l'oppressione e l'ineguaglianza? Senza Dio, non  v'è  altro  dominatore  che  il
Fatto: il Fatto davanti al quale i materialisti s'inchinano sempre,  abbia  nome
Rivoluzione o Bonaparte: il Fatto del quale i materialisti anch'oggi, in  Italia
ed altrove, si fanno scudo per  giustificare  l'inerzia  anche  dove  concordano
teoricamente coi nostri principii.  Or,  comanderemo  noi  loro  sacrificio,  il
martirio  in  nome  delle  nostre  opinioni  individuali?  Cangeremo,  in  virtù
solamente dei nostri interessi, la teorica in pratica, il principio astratto  in
azione? Disingannatevi. Finché parleremo a  individui,  in  nome  di  quanto  il
nostro intelletto  individuale  ci  suggerisce,  avremo  quel  ch'oggi  abbiamo:
adesione a parole, non opera. Il grido che suonò in tutte le grandi rivoluzioni,
il grido Dio lo vuole!  Dio  lo  vuole!  delle  Crociate,  può  solo  convertire
gl'inerti  in  attivi,  dar  animo  ai  paurosi,  entusiasmo  di  sacrifizio  ai
calcolatori, fede a chi respinge col dubbio ogni umano  concetto.  Provate  agli
uomini che l'opera d'emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale  voi  li
chiamate, stia nel disegno di  Dio:  nessuno  si  ribellerà.  Provate  loro  che
l'opera terrestre da compirsi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro  vita
immortale:  tutti  i  calcoli  del  momento  spariranno  davanti  all'importanza
dell'avvenire. Senza Dio, voi potete  imporre,  non  persuadere:  potete  essere
tiranni od oppressori alla volta vostra,  non  Educatori  ed  Apostoli.  Dio  lo
vuole, Dio lo vuole! È grido di popolo, o fratelli; è grido del  vostro  popolo,
grido nazionale Italiano. Non vi lasciate ingannare,  o  voi  che  lavorate  con
sincerità d'amore per la vostra Nazione, da chi vi dirà forse  che  la  tendenza
Italiana non è che tentazione politica, e che lo spirito religioso s'è dipartito
da essa. Lo spirito religioso non si dipartì mai  dall'Italia  finché  l'Italia,
comunque divisa, fu grande ed attiva; si dipartì, quando nel secolo decimosesto,
caduta Firenze, caduta sotto le armi straniere di Carlo V, e sotto i raggiri dei
Papi ogni libertà di vita Italiana, noi cominciammo a perdere tendenze nazionali
e  a  vivere  spagnuoli,  tedeschi  e  francesi.  Allora  i   nostri   letterati
incominciarono a far da buffoni ai principi e ad accarezzare la svogliatezza dei
padroni, ridendo di tutti e di tutto. Allora i nostri preti, vedendo impossibile
ogni applicazione di verità religiosa, incominciarono a far bottega del culto, e
a pensare a se stessi, non al popolo ch'essi dovevano illuminare e proteggere. E
allora il popolo,  sprezzato  dai  letterati,  tradito  e  spolpato  dai  preti,
esiliato da ogni influenza nelle cose pubbliche, cominciò a  vendicarsi  ridendo
dei letterati, diffidando dei preti, ribellandosi a tutte le credenze,  poi  che
vedeva corrotta l'antica e non poteva presentire più in là.  Da  quel  tempo  in
poi, noi ci trasciniamo tra le  superstizioni  comandate  dall'abitudine  o  dai
governi e la incredulità, abietti e impotenti. Ma noi vogliamo risorgere  grandi
ed onorati. E ricorderemo la tradizione Nazionale. Ricorderemo che col  nome  di
Dio sulla bocca e colle insegne della loro fede nel centro  della  battaglia,  i
nostri fratelli lombardi vincevano, nel dodicesimo secolo, gl'invasori tedeschi,
e riconquistavano le loro libertà  manomesse.  Ricorderemo  che  i  repubblicani
delle città toscane si radunavano al  parlamento  nei  templi.  Ricorderemo  gli
Artigiani Fiorentini che, respingendo  il  partito  di  sottomettere  all'impero
della famiglia Medici la loro libertà democratica, elessero, per  voto  solenne,
Cristo capo della Repubblica - e il frate Savonarola predicante a  un  tempo  il
dogma di Dio e quello del popolo - e i Genovesi del 1746 liberatori, a furia  di
sassate, e del nome di Maria protettrice, della loro città dall'esercito tedesco
che la occupava, e una catena d'altri  fatti  simili  a  questi,  ne'  quali  il
pensiero religioso protesse e  fecondò  il  pensiero  popolare  Italiano.  E  il
pensiero religioso dorme, aspettando sviluppo,  nel  nostro  popolo:  chi  saprà
suscitarlo, avrà fatto più per la Nazione che non  con  venti  sette  politiche.
Forse all'assenza di  questo  pensiero  negli  imitatori  delle  costituzioni  e
tattiche   monarchiche   forestiere   che   condussero   i   tentativi   passati
d'insurrezione in Italia,  tanto  quanto  all'assenza  d'uno  scopo  apertamente
popolare, è dovuta  la  freddezza  con  che  il  popolo  guardò  finora  a  quei
tentativi. Predicate dunque, o fratelli, in nome di Dio. Chi ha  cuore  italiano
vi seguirà. Predicate in nome di Dio. I  letterati  sorrideranno:  dimandate  ai
letterati che cosa hanno fatto per la loro patria. I preti  vi  scomunicheranno:
dite ai preti che voi conoscete Dio più ch'essi non fanno, e che tra  Dio  e  la
sua Legge, voi  non  avete  bisogno  d'intermediari.  Il  popolo  v'intenderà  e
ripeterà con voi: "Crediamo in  Dio  Padre  Intelletto  ed  amore,  Creatore  ed
Educatore dell'Umanità". E in quella parola, voi e il Popolo vincerete.

Capitolo terzo La Legge Voi avete vita: dunque avete una legge di vita. Non  c'è
vita senza legge. Qualunque cosa esiste, esiste in un certo modo, secondo  certe
condizioni, con una certa legge. Una legge d'aggregazione  governa  i  minerali:
una legge di sviluppo governa le piante: una legge di moto  governa  gli  astri:
una legge governa voi e la vostra vita: legge tanto più nobile  ed  alta  quanto
più voi siete superiori a tutte le cose create sulla terra. Svilupparvi,  agire,
vivere secondo la vostra legge è il primo, anzi l'unico vostro dovere. Dio  v'ha
dato la vita; Dio v'ha dunque data la legge; Dio  è  l'unico  Legislatore  della
razza umana. La sua legge è l'unica alla quale voi dobbiate ubbidire.  Le  leggi
umane non sono valide e buone se non in quanto vi si uniformano, spiegandola  ed
applicandola: sono tristi ogni qualvolta la contradicono o se ne discostano:  ed
è non solamente vostro diritto, ma vostro dovere disubbidirle  e  abolirle.  Chi
meglio spiega ed applica ai casi umani la legge di Dio, è vostro capo legittimo:
amatelo e seguitelo. Ma da Dio in fuori, non avete, né potete, senza tradirlo  e
ribellarvi da lui, avere padrone. Nella coscienza della vostra  legge  di  vita,
della LEGGE DI DIO, sta dunque il  fondamento  della  morale,  la  regola  delle
vostre azioni e dei vostri doveri, la misura  della  vostra  responsabilità:  in
essa sta pure la vostra difesa contro le leggi ingiuste che l'arbitrio d'un uomo
o di più uomini può tentare d'imporvi. Voi non potete, senza conoscerla, prender
nomi o diritti d'uomini. Tutti i diritti hanno la loro origine in una  legge,  e
voi, ogni qualvolta non potete invocarla, potete essere tiranni o  schiavi,  non
altro: tiranni se siete forti, schiavi dell'altrui forza  se  siete  deboli.  Ad
essere uomini, vi bisogna conoscere la legge che distingue la  natura  umana  da
quella dei bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi  le  vostre  azioni.
Or, come conoscerla? È questa la dimanda che  in  tutti  i  tempi  l'Umanità  ha
indirizzato a quanti hanno pronunziato la parola: legge, doveri; e  le  risposte
sono anch'oggi diverse. Gli uni hanno risposto mostrando un Codice, un  libro  e
dicendo: "Qui dentro è tutta la legge morale." Gli altri hanno detto: "Ogni uomo
interroghi il proprio core; ivi sta la definizione del bene e del  male."  Altri
ancora,  rigettando  il  giudizio  dell'individuo,  ha  invocato   il   consenso
universale, e dichiarato che dove l'umanità concorda in una credenza,  quella  è
la vera. Erravano tutti. E la storia del genere umano dichiarava impotenti,  con
fatti irrecusabili, tutte queste risposte. Quei che  affermano  trovarsi  in  un
libro o sulla bocca d'un solo uomo tutta quanta la legge morale, dimenticano che
non v'è codice dal quale l'Umanità, dopo una credenza  di  secoli,  non  si  sia
scostata per cercarne e ispirarne un'altro migliore, e che non v'è ragione, oggi
specialmente, di credere che l'Umanità cangi di metodo. A quel che sostengono la
sola coscienza dell'individuo essere la norma del vero e del  falso,  ossia  del
bene e del male, basta ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse,  è
stata senza eretici,  senza  dissidenti  convinti  e  presti  ad  affrontare  il
martirio in nome della loro coscienza.  Oggi  il  Protestantesimo  si  divide  e
suddivide  in  mille  sette  tutte   fondate   sui   diritti   della   coscienza
dell'individuo; tutte accanite a farsi guerra tra loro, e perpetuanti l'anarchia
di credenze, vera e sola sorgente della discordia  che  tormenta  socialmente  e
politicamente i popoli dell'Europa. E d'altra parte, agli uomini  che  rinnegano
la testimonianza della coscienza dell'individuo per  richiamarsi  unicamente  al
consenso dell'Umanità in una credenza, basta ricordare come tutte le grandi idee
che migliorano l'Umanità, cominciarono a manifestarsi in opposizione a  credenze
che l'Umanità consentiva, e furono predicate da individui che l'Umanità  derise,
perseguitò, crocefisse. Ciascuna  dunque  di  queste  norme  è  insufficiente  a
ottenere la conoscenza della  LEGGE  DI  DIO,  della  Verità!  E  nondimeno,  la
coscienza dell'individuo è santa: il consenso comune  dell'Umanità  è  santo:  e
chiunque rinunzia a interrogare questo o quella, si priva d'un mezzo  essenziale
per conoscere la verità. L'errore generale fin qui è  stato  quello  di  volerla
raggiungere con un solo  di  questi  mezzi  esclusivamente:  errore  decisivo  e
funestissimo nelle  conseguenze,  perché  non  si  può  stabilire  la  coscienza
dell'individuo, sola norma della verità, senza cadere nell'anarchia; non si  può
invocare come inappellabile il consenso  generale  in  un  momento  dato,  senza
soffocare la libertà umana e rovinare nella tirannide.  Così  -  e  cito  questi
esempi per mostrare come da queste prime basi dipenda, più che generalmente  non
si crede, tutto quanto l'edifizio sociale  -  così  gli  uomini,  servendo  allo
stesso errore,  hanno  ordinato  la  società  politica,  gli  uni  sul  rispetto
unicamente dei diritti  dell'individuo,  dimenticando  interamente  la  missione
educatrice  della  società;  gli  altri   unicamente   sui   diritti,   sociali,
sacrificando la libertà e l'azione dell'individuo(5). E la Francia dopo  la  sua
grande rivoluzione, e l'Inghilterra segnatamente, c'insegnarono  come  il  primo
sistema non conduca  che  alla  ineguaglianza  e  all'oppressione  dei  più;  il
Comunismo, fra gli altri, ci mostrerebbe, se potesse mai trapassare  allo  stato
di fatto, come il secondo condanni a pietrificarsi la società  togliendone  ogni
moto e ogni facoltà di progresso. Così  gli  uni,  considerando  che  i  pretesi
diritti  dell'individuo  hanno  ordinato,  o  meglio,  disordinato  il   sistema
economico,  gli  danno  per  unica  base  la  teoria  della  libera  concorrenza
illimitata; mentre gli altri, non guardando che  all'unità  sociale,  vorrebbero
fidare al governo il monopolio di tutte le forze produttrici  dello  Stato:  due
concetti, il primo de' quali ci ha dato tutti i mali dell'anarchia,  il  secondo
ci darebbe l'immobilità e tutti  i  mali  della  tirannide.  Dio  v'ha  dato  il
consenso dei vostri fratelli e la vostra coscienza, come due ale per  innalzarvi
quanto è possibile sino  a  lui.  Perché  v'ostinate  a  troncarne  una?  Perché
isolarvi, assorbirvi nel mondo? Perché voler soffocare la voce del genere umano?
Ambe sono sacre: Dio parla in ambe. Dovunque  s'incontrano,  dovunque  il  grido
della vostra coscienza è ratificato dal consenso dell'Umanità, ivi  è  Dio,  ivi
siete certi di avere in pugno la verità: l'uno è la verificazione dell'altro. Se
i vostri doveri non fossero che negativi, se consistessero  unicamente  nel  non
fare il male, nel non nuocere ai vostri fratelli, forse, nello stato di sviluppo
in cui oggi  sono  anche  i  meno  educati,  il  grido  della  vostra  coscienza
basterebbe a dirigervi. Siete nati al  bene,  e  ogni  qual  volta  voi  operate
direttamente contro la Legge, ogni qual volta voi commettete ciò che gli  uomini
chiamano delitto, v'è tal cosa in voi che v'accusa, tale una voce di  rimprovero
che voi potrete dissimulare agli altri, ma non a voi stessi.  Ma  i  vostri  più
importanti doveri sono positivi. Non basta il non fare: bisogna fare. Non  basta
limitarsi a non operare contro la Legge: bisogna operare a seconda della  Legge.
Non basta il non nuocere, bisogna giovare ai vostri fratelli. Pur troppo  finora
la morale s'è presentata ai più fra gli uomini in una  forma  più  negativa  che
affermativa.  Gl'interpreti  della  Legge  hanno  detto:   "non   ruberai,   non
ammazzerai";  nessuno  o  pochi,  hanno  insegnato  gli  obblighi  che  spettano
all'uomo, e il come egli debba giovare ai suoi simili e al disegno di Dio  nella
creazione. Or questo è il primo scopo della Morale; né l'individuo,  consultando
unicamente  la  propria  coscienza,   può   raggiungerlo   mai.   La   coscienza
dell'individuo parla in ragione della sua educazione, delle sue tendenze,  delle
sue abitudini, delle sue passioni. La coscienza dell'Irochese selvaggio parla un
linguaggio  diverso  da  quello  dell'Europeo  incivilito  del  XIX  secolo.  La
coscienza dell'uomo libero suggerisce doveri che la coscienza dello schiavo  non
sospetta nemmeno. Interrogate il povero giornaliero Napoletano  o  Lombardo,  al
quale un cattivo prete fu l'unico apostolo di morale,  al  quale,  s'ei  pur  sa
leggere, quella del catechismo Austriaco fu l'unica lettura  concessa,  egli  vi
dirà che i suoi doveri sono lavoro assiduo a ogni prezzo per  sostenere  la  sua
famiglia, sommissione illimitata senza esame alle leggi quali esse siano,  e  il
non nuocere altrui: a chi gli parlasse di doveri che lo  legano  alla  patria  e
all'Umanità, a chi gli dicesse: "voi nuocete ai nostri fratelli,  accettando  di
lavorare per un prezzo inferiore all'opera, voi  peccate  contro  Dio  e  contro
all'anima vostra, obbedendo a leggi che sono ingiuste", ei  risponderebbe,  come
chi non intende, inarcando le ciglia. Interrogate l'operaio Italiano,  al  quale
circostanze migliori o il contatto con uomini di più  educato  intelletto  hanno
insegnato più parte del vero; ei vi dirà che la sua patria è schiava, che i suoi
fratelli sono ingiustamente condannati a vivere in miseria materiale e morale, e
ch'ei sente il dovere di protestare, potendo, contro questa ingiustizia.  Perché
tanto divario fra i suggerimenti della coscienza in due individui  dello  stesso
tempo e dello stesso paese? Perché fra dieci individui appartenenti in  sostanza
alla stessa credenza, quella che impone lo sviluppo e il progresso  della  razza
umana, troviamo dieci convinzioni diverse sui modi d'applicare la credenza  alle
azioni, cioè sui doveri? Evidentemente, il grido della coscienza  dell'individuo
non basta, in ogni stato di cose e senz'altra norma, a rivelargli la  Legge.  La
coscienza basta solo a insegnarvi che una legge esiste, non  quali  sono  questi
doveri. Per questo il martirio non s'è mai, e comunque  l'egoismo  predominasse,
esiliato dall'Umanità; ma  quanti  martiri  non  sacrificarono  l'esistenza  per
presunti doveri, a beneficio  d'errori  oggi  patenti  a  ciascuno!  V'è  dunque
bisogno d'una scorta alla vostra coscienza, d'un lume che le rompa d'intorno  la
tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne diriga gl'istinti. E questa  norma  è
l'Intelletto e l'Umanità. Dio ha dato intelletto a ciascun  di  voi,  perché  lo
educhiate a conoscere la sua Legge. Oggi, la miseria, gli errori  inveterati  da
secoli e la volontà dei  vostri  padroni,  vi  contrastano  fin  la  possibilità
d'educarlo; e per questo v'è necessario rovesciare quegli ostacoli colla  forza.
Ma quand'anche gli ostacoli saranno tolti di mezzo, l'intelletto di  ciascun  di
voi sarà insufficiente a  conoscere  la  legge  di  Dio,  se  non  appoggiandosi
all'intelletto  dell'umanità.  La  vostra  vita  è  breve:  le  vostre   facoltà
individuali sono deboli, incerte, e abbisognano d'un punto  d'appoggio.  Or  Dio
v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, e le  cui  facoltà  sono  la
somma di tutte le facoltà individuali che si sono, da forse quattrocento secoli,
esercitate; un essere che attraverso gli  errori  e  le  colpe  degli  individui
migliora sempre in sapienza e moralità:  un  essere  nel  cui  sviluppo  Dio  ha
scritto e scrive ad ogni  epoca  una  linea  della  sua  Legge.  Quest'essere  è
l'Umanità. L'Umanità, ha detto un pensatore del secolo scorso,  è  un  uomo  che
impara sempre. Gl'individui muoiono; ma  quel  tanto  di  vero  che  essi  hanno
pensato, quel tanto di buono ch'essi hanno operato  non  va  perduto  con  essi:
l'Umanità lo raccoglie e gli uomini che  passeggiano  sulla  loro  sepoltura  ne
fanno lor pro. Ognuno di noi nasce in oggi in una atmosfera d'idee e di credenze
elaborata da tutta l'Umanità anteriore: ognuno di noi porta, senza pur  saperlo,
un elemento  più  o  meno  importante  alla  vita  dell'Umanità  successiva.  La
educazione dell'Umanità progredisce come si inalzano in Oriente quelle  piramidi
alle quali ogni viandante aggiunge una  pietra.  Noi  passiamo,  viandanti  d'un
giorno,  chiamati  a  compiere  la  nostra   educazione   individuale   altrove;
l'educazione dell'Umanità si mostra  a  lampi  in  ciascuno  di  noi,  si  svela
lentamente, progressivamente, continuamente nell'Umanità. L'Umanità è  il  Verbo
vivente di Dio. Lo spirito di Dio la feconda, e si manifestò  sempre  più  puro,
sempre più attivo d'epoca in epoca in essa, un giorno per mezzo d'un  individuo,
un altro per mezzo d'un popolo. Di lavoro in lavoro, di  credenza  in  credenza,
l'Umanità conquista via via una nozione più chiara  della  propria  vita,  della
propria missione, di Dio  e  della  sua  Legge.  Dio  s'incarna  successivamente
nell'umanità. La legge di Dio è una, sì come è Dio; ma noi lo scopriamo articolo
per articolo, linea per linea, quanto  più  s'accumula  l'esperienza  educatrice
delle generazioni che precedono, quanto più cresce in ampiezza  e  in  intensità
l'associazione fra le razze, fra i popoli, fra gl'individui. Nessun uomo, nessun
popolo, nessun secolo può presumere di scoprirla intera:  la  legge  morale,  la
legge di vita dell'umanità tutta quanta raccolta in associazione,  quando  tutte
le forze, tutte le facoltà che costituiscono l'umana natura saranno sviluppate e
in  azione.  Ma  intanto,  quella  parte   dell'Umanità   ch'è   più   inoltrata
nell'educazione c'insegna col suo sviluppo parte della legge che noi  cerchiamo.
Nella sua storia leggiamo il disegno di Dio; ne' suoi bisogni i  nostri  doveri:
doveri che mutano o per dir meglio crescono coi bisogni, perché il nostro  primo
dovere sta nel concorrere a  che  l'Umanità  salga  prontamente  quel  grado  di
miglioramento e di educazione al quale Dio e  i  tempi  l'hanno  preparata.  Voi
dunque, a conoscere la legge di Dio, avete bisogno d'interrogare  non  solamente
la vostra coscienza, ma la coscienza, il consenso dell'Umanità;  a  conoscere  i
vostri doveri, avete bisogno d'interrogare i bisogni  attuali  dell'Umanità.  La
morale è progressiva come l'educazione del genere umano e di voi. La morale  del
Cristianesimo non era quella dei tempi Pagani: la morale del secolo nostro non è
quella di diciotto secoli addietro. Oggi i vostri  padroni,  colla  segregazione
dell'altre classi, col divieto d'ogni associazione, colla doppia censura imposta
alla stampa procacciano di  nascondervi,  coi  bisogni  dell'Umanità,  i  vostri
doveri. E nondimeno, anche  prima  del  tempo  in  cui  la  Nazione  v'insegnerà
gratuitamente dalle scuole di educazione generale  la  storia  dell'Umanità  nel
passato e i suoi bisogni presenti, voi potete, volendo, imparare in parte almeno
la prima e indovinare i secondi. I  bisogni  attuali  dell'Umanità  emergono  in
espressioni più o meno imperfette, dai fatti che occorrono ogni giorno nei paesi
ai quali non è legge assoluta l'immobilità del silenzio. Chi vi vieta,  fratelli
delle terre schiave, saperli? Qual forza di sospettosa tirannide può  lungamente
contendere a milioni d'uomini, moltissimi dei quali viaggiano fuori  d'Italia  e
rimpatriano, la conoscenza dei fatti europei? Se le  associazioni  pubbliche  vi
sono in quasi tutta Italia vietate(6), chi può  vietar  le  segrete,  quand'esse
fuggano i simboli e le organizzazioni complicate, e  non  consistano  che  d'una
catena fraterna stesa di paese in paese fino a toccare alcuno tra  gli  infiniti
punti della frontiera? Non  troverete  voi  sopra  ogni  punto  della  frontiera
terrestre e marittima, uomini vostri, uomini che i vostri padroni hanno cacciato
fuori di patria per aver voluto giovarvi, che vi saranno apostoli di verità, che
vi diranno con amore ciò che gli studi e le tristi  facilità  dell'esilio  hanno
loro insegnato sui voti  presenti  e  sulla  tradizione  dell'Umanità?  Chi  può
impedirvi, solo che voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti che i  vostri
fratelli stampano qui nell'esilio per voi?  Leggeteli  e  ardeteli,  sì  che  il
giorno dopo, l'inquisizione dei vostri padroni non li trovi fra le vostre mani e
non ne faccia argomento di colpa  alle  vostre  famiglie;  ma  pur  leggeteli  e
ripetete, quel tanto che avrete potuto serbare a mente, ai più fidati dei vostri
amici.  Aiutateci  colle  offerte  ad  allargare  la  sfera  dell'Apostolato,  a
compilare, a stampare per voi manuali di storia generale  e  di  storia  patria.
Aiutateci, moltiplicando le comunicazioni, a diffonderli. Convincetevi che senza
istruzione, voi non potete conoscere i vostri doveri: convincetevi che  dove  la
Società vi contende ogni insegnamento, la  responsabilità  d'ogni  colpa  è  non
vostra, ma sua: la vostra incomincia dal giorno in cui una  via  qualunque  allo
insegnamento v'è aperta, e la negligete: dal giorno in cui vi si mostrano  mezzi
per mutare una società che vi condanna  all'ignoranza,  e  voi  non  pensate  ad
usarne.  Non  siete  colpevoli  perché  ignorate;  siete  colpevoli  perché   vi
rassegnate a ignorare - perché mentre la vostra coscienza v'avverte che Dio  non
v'ha dato facoltà senza imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire  nell'anima
vostra tutte le facoltà del pensiero - perché, mentre pur sapete che Dio non può
avervi  dato  l'amore  del  vero  senza  darvi  i  mezzi  di  conseguirlo,  voi,
disperando, rinunziate a farne ricerca e  accettate,  senza  esame,  per  verità
l'affermazione del potente e del sacerdote venduto al  potente.  Dio,  Padre  ed
educatore  dell'Umanità,  rivela  nello  spazio  e  nel  tempo  la   sua   legge
all'Umanità. Interrogate la tradizione  dell'Umanità,  il  Consenso  dei  vostri
fratelli, non nel cerchio ristretto di un secolo o d'una setta, ma  in  tutti  i
secoli e nella maggiorità degli uomini passati e presenti. Ogni volta che a quel
consenso corrisponde la voce della vostra coscienza, voi siete certi  del  vero,
certi d'avere una linea della legge di  Dio.  Noi  crediamo  nell'Umanità,  sola
interprete della legge di Dio  sulla  terra;  e  dal  consenso  dell'umanità  in
armonia colla nostra coscienza, deduciamo quanto andrò via via dicendovi intorno
ai vostri doveri.

Capitolo quarto Doveri verso l'umanità I vostri  primi  doveri,  primi  non  per
tempo ma per importanza e perché senza intendere quelli non potete  compiere  se
non imperfettamente gli altri, sono verso l'Umanità. Avete doveri di  cittadini,
di figli, di sposi e di padri, doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a
lungo tra poco; ma ciò che fa santi e inviolabili quei doveri, è la missione, il
Dovere che la vostra natura d'uomini vi comanda. Siete padre per educare  uomini
al culto e allo sviluppo della Legge di Dio. Siete cittadini, avete una  Patria,
per potere facilmente, in una sfera limitata, con concorso di gente già  stretta
a voi per lingua, per tendenze, per abitudini, operare, a beneficio degli uomini
quanti sono e saranno, ciò che mal potreste operare perduti, voi soli e  deboli,
nell'immenso numero dei vostri simili. Quei che v'insegnano morale, limitando la
nozione dei vostri doveri alla famiglia o alla patria, v'insegnano, più  o  meno
ristretto, l'egoismo, e vi conducono al male per gli altri e per  voi  medesimi.
Patria e Famiglia son come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li
contiene; come due gradini d'una scala senza i quali non potreste salire più  in
alto, ma sui quali non  è  permesso  arrestarvi.  Siete  uomini:  cioè  creature
ragionevoli, socievoli e capaci, per mezzo  unicamente  dell'associazione,  d'un
progresso, a cui nessuno può assegnar limiti: e questo è  quel  tanto  che  oggi
sappiamo dalla Legge di vita data all'Umanità. Questi caratteri costituiscono la
umana natura, che vi distingue dagli altri esseri che  vi  circondano  e  che  è
fidata a ciascuno di voi come un seme da far fruttare. Tutta la vostra vita deve
tendere all'esercizio e allo sviluppo ordinario di queste  facoltà  fondamentali
della vostra natura. Qualunque volta voi sopprimete o  lasciate  sopprimere,  in
tutto o in parte, una di queste facoltà, voi scadete dal rango d'uomini fra  gli
animali inferiori o violate la legge della vostra vita, la Legge di Dio. Scadete
fra i bruti e violate la Legge di Dio, qualunque volta voi sopprimete o lasciate
sopprimere una delle facoltà che costituiscono l'umana natura in voi o in altri.
Ciò che Dio vuole, è non già che la sua legge s'adempia in voi  individui  -  se
Dio non avesse voluto che questo, ei vi avrebbe creato soli - ma  che  s'adempia
su tutta quanta la terra, fra tutti gli esseri ch'egli creava  a  immagine  sua.
Ciò ch'egli vuole è che il pensiero di perfezionamento e d'amore, da  lui  posto
nel mondo, si riveli e splenda più sempre adorato  e  rappresentato.  La  vostra
esistenza terrestre, individuale, limitatissima com'è per tempo e  per  facoltà,
non può rappresentarlo che imperfettissimo e a lampi. L'Umanità  sola,  continua
per generazioni e per intelletto, che si nutre dell'intelletto di tutti  i  suoi
membri, può svolgere via via quel divino pensiero e applicarlo  e  glorificarlo.
La vita vi fu dunque data da Dio perché  ne  usiate  a  benefizio  dell'Umanità,
perché dirigiate le vostre facoltà individuali allo sviluppo delle  facoltà  dei
vostri fratelli, perché aggiungiate con l'opera  vostra  un  elemento  qualunque
all'opera  collettiva  di  miglioramento  e  di  scoperta  del  vero,   che   le
generazioni, lentamente ma continuamente promuovono. Dovete educarvi ed educare,
perfezionare. Dio è in voi, non v'è dubbio; ma Dio è pure in  tutti  gli  uomini
che popolano con voi questa terra: Dio è nella vita di tutte le generazioni  che
furono, sono e saranno, e hanno migliorato e miglioreranno  progressivamente  il
concetto che l'Umanità si forma di Lui, della sua Legge, e  dei  nostri  Doveri.
Dovete adorarlo e glorificarlo per tutto ov'Egli è. L'Universo è il suo  Tempio.
Ed ogni profanazione non combattuta, non espiata, del Tempio di Dio,  ricade  su
tutti quanti i credenti. Poco importa che voi possiate dirvi puri: quando  anche
poteste, isolandovi, rimanervi tali, se avete a due passi la  corruzione  e  non
cercate  combatterla,  tradite  i  vostri  doveri.  Poco  importa  che  adoriate
nell'anima nostra la Verità: se l'errore governa i vostri fratelli in  un  altro
angolo di questa terra che ci è  madre  comune,  e  voi  non  desiderate  e  non
tentate, per quanto le forze vostre vel concedono, rovesciarlo, tradite i vostri
doveri. L'immagine di Dio è sformata nell'anime immortali dei vostri simili. Dio
vuole essere adorato nella sua Legge, e  la  sua  Legge  è  fraintesa,  violata,
negata d'intorno a voi. L'umana natura è falsata nei milioni d'uomini ai  quali,
siccome a voi, Dio ha fidato l'adempimento  concorde  del  suo  disegno.  E  voi
rimanendovi inerti, osereste pure chiamarvi credenti? Un popolo,  il  Greco,  il
Polacco, il Circasso,  sorge  con  una  bandiera  di  patria  e  d'indipendenza,
combatte, vince, o muore per quella. Cos'è che fa battere  il  vostro  cuore  al
racconto delle sue battaglie, che lo solleva nella gioia alle sue vittorie,  che
lo contrista alla sua caduta? Un uomo, vostro o straniero, si leva, nel silenzio
comune, in un angolo della terra, preferisce alcune idee, ch'ei crede  vere,  le
mantiene nella persecuzione e fra i ceppi, e muore, senza rinnegarle, sul palco.
Perché lo onorate col nome di Santo e  di  Martire?  Perché  rispettate  e  fate
rispettare dai vostri figli la sua memoria?  E  perché  leggete  con  avidità  i
miracoli di amor patrio registrati nelle storie Greche e li  ripetete  ai  figli
vostri con un senso d'orgoglio quasi fossero storie dei vostri padri? Quei fatti
Greci son vecchi di due mila anni, e appartengono a un'epoca d'incivilimento che
non è la vostra, né lo sarà mai. Quell'uomo che chiamate Martire,  moriva  forse
per idee che non sono le vostre, e troncava a ogni modo colla morte ogni via  al
suo progresso individuale quaggiù. Quel popolo che  ammirate  nella  vittoria  o
nella caduta, e popolo  straniero  a  voi,  forse  pressoché  ignoto;  parla  un
linguaggio diverso, e il modo della sua esistenza non influisce visibilmente sul
vostro: che importa a voi se chi lo domina è il Sultano o il Re di  Baviera,  il
Russo o un governo escito dal consenso della nazione? Ma nel vostro cuore è  una
voce che grida: "Quegli uomini di due mila  anni  addietro,  quelle  popolazioni
ch'oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee del  quale  voi  non
morreste, furono, sono fratelli vostri:  fratelli  non  solo  per  comunioni  di
origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di scopo. Quei  Greci  antichi
passarono; ma l'opera loro non passò, e senza quella voi non avreste  oggi  quel
grado di sviluppo intellettuale e morale che avete raggiunto. Quelle popolazioni
consacrarono col loro sangue una idea di libertà  nazionale  per  la  quale  voi
combattete. Quel martire insegnava morendo che l'uomo deve sacrificare ogni cosa
e, occorrendo, la vita a quel che egli crede  essere  la  Verità.  Poco  importa
ch'egli e quanti altri segnano col loro sangue la fede tronchino qui sulla terra
il proprio sviluppo individuale: Dio  provvede  altrove  per  essi.  Importa  lo
sviluppo dell'Umanità. Importa che la  generazione  ventura  sorga,  ammaestrata
dalle vostre pugne e dai vostri sacrifici, più alta e più potente  che  voi  non
siete nella intelligenza della Legge, nell'adorazione della Verità. Importa che,
fortificata dagli esempi, la natura umana migliori e  verifichi  più  sempre  il
disegno di Dio sulla  terra.  E  in  qualunque  luogo  la  natura  migliori,  in
qualunque luogo si conquisti una verità, in qualunque parte  si  mova  un  passo
sulla via dell'educazione, del progresso, della morale, è passo, è conquista che
frutterà presto o tardi a tutta  quanta  l'Umanità.  Siete  tutti  soldati  d'un
esercito che move per vie diverse, diviso in nuclei diversi, alla conquista d'un
solo intento. Oggi, voi non guardate che ai vostri capi  immediati;  le  diverse
assise,  le  diverse  parole  d'ordine,  le  distanze  che  separano   i   corpi
d'operazione, le montagne che celano gli uni al guardo  degli  altri,  vi  fanno
spesso  dimenticare  questa  verità  e  concentrano  esclusivamente  la   vostra
attenzione sul fine che v'è più prossimo. Ma v'è più  alto  di  tutti  voi,  chi
abbraccia l'insieme e dirige le mosse. Dio solo ha il segreto della battaglia  e
saprà raccogliervi tutti in un campo e sotto una sola bandiera. Quanta  distanza
tra questa credenza che fermenta nelle anime nostre  e  sarà  base  alla  morale
dell'Epoca che sta per sorgere, e quelle che davano per base alla loro morale le
generazioni che oggi chiamano antiche! E com'è stretto il legame che  passa  fra
l'idea che noi ci formiamo del Principio Divino e quella  che  ci  formiamo  dei
nostri doveri! I primi uomini sentivano Dio,  ma  senza  intenderlo,  senza  più
cercare d'intenderlo nella sua  Legge:  lo  sentivano  nella  sua  potenza,  non
nell'amore: concepivano confusamente  una  relazione  qualunque  fra  Lui  e  il
proprio individuo, non altro. Poco atti a staccarsi dalla  sfera  degli  oggetti
sensibili, lo sostanziavano in uno di  quelli,  nell'albero  che  avevan  veduto
colpito dal fulmine, nella pietra presso alla quale avevano  innalzata  la  loro
tenda, nell'animale che s'era offerto prima al loro occhio.  Era  il  culto  che
nella storia della religione si distingue col nome di feticismo.  E  allora  gli
uomini non conobbero che la  famiglia,  riproduzione  in  certo  modo  del  loro
individuo: oltre il cerchio della famiglia, non v'erano  che  stranieri,  o  più
generalmente, nemici; giovare a sé e  alla  famiglia,  era  l'unica  base  della
morale. Più appresso, l'idea di Dio s'ampliò.  Dagli  oggetti  sensibili  l'uomo
risali timidamente all'astrazione: generalizzò. Dio non  fu  più  il  protettore
della famiglia, ma dell'associazione di più famiglie, della città, della  gente.
Al feticismo successe il politeismo, culto di molti Dei. Allora la morale ampliò
anch'essa il suo cerchio d'azione. Gli uomini riconobbero l'esistenza dei doveri
più estesi  della  famiglia  e  lavorarono  all'incremento  della  gente,  della
nazione. Pur nondimeno, l'Umanità s'ignorava. Ogni nazione chiamava barbari  gli
stranieri, li trattava siccome tali, e ne cercava colla  forza  e  coll'arte  la
conquista o l'abbassamento. Ogni nazione aveva stranieri o barbari nel suo seno,
uomini, milioni di uomini, non ammessi ai riti religiosi dei cittadini,  creduti
di natura diversa, e schiavi fra i liberi. L'unità del genere umano  non  poteva
essere ammessa che come  conseguenza  dell'unità  di  Dio.  E  l'unità  di  Dio,
indovinata da alcuni rari pensatori  dell'antichità,  manifestata  altamente  da
Mosè, ma colla restrizione funesta che un solo popolo era l'eletto di  Dio,  non
fu riconosciuta che verso lo scioglimento  dell'impero  Romano,  per  opera  del
Cristianesimo; Cristo pose  in  fronte  alla  sua  credenza  queste  due  verità
inseparabili: non v'è che un solo Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e  la
promulgazione di queste due verità cangiò aspetto al mondo e ampliò  il  cerchio
morale sino ai confini delle terre abitate. Ai doveri verso la famiglia e  verso
la patria, s'aggiunsero i doveri  verso  l'Umanità.  Allora  l'uomo  imparò  che
dovunque ei trovava un suo simile, ivi era un  fratello  per  lui,  un  fratello
dotato d'un'anima immortale come la sua, chiamata a ricongiungersi al  Creatore,
e ch'ei gli dovea amore, partecipazione della  fede,  e  aiuto  di  consiglio  e
d'opera,  dov'egli  ne  abbisognasse.  Allora,  presentimento   d'altre   verità
contenute in germe nel  Cristianesimo,  s'udirono  sulla  bocca  degli  Apostoli
parole sublimi, inintelligibili all'antichità, male intese o tradite  anche  dai
successori; siccome in un corpo sono molte membra, e  ciascun  membro  eseguisce
una diversa funzione, così, benché molti, noi siamo un corpo solo, e membra  gli
uni degli altri(7). E vi sarà un solo ovile e un solo pastore(8). Ed oggi,  dopo
diciotto secoli di studi ed esperienze e fatiche, si tratta di dare  sviluppo  a
quei germi: si  tratta  d'applicare  quella  verità,  non  solamente  a  ciascun
individuo, ma a tutto quell'insieme di facoltà e forze umane e presenti e future
che si chiama l'UMANITÀ: si tratta di promulgare non solamente che l'Umanità,  è
un corpo solo e deve essere governato  da  una  sola  legge,  ma  che  il  primo
articolo di questa Legge è: Progresso, progresso qui sulla terra  dove  dobbiamo
verificare quanto più possiamo  del  disegno  di  Dio  ed  educarci  a  migliori
destini. Si tratta d'insegnare agli uomini che, se l'Umanità è  un  corpo  solo,
noi tutti, siccome membra di quel corpo, dobbiamo lavorare al suo sviluppo  e  a
farne più armonica, più attiva e più potente la vita. Si tratta  di  convincersi
che non possiamo salire a Dio, se non per l'anime dei  nostri  fratelli,  e  che
dobbiamo migliorarle e purificarle  anche  dov'esse  nol  chiedano.  Si  tratta,
dacché l'Umanità intera può sola compiere quella parte del disegno di Dio  ch'ei
volle si compiesse quaggiù,  di  sostituire  all'esercizio  della  carità  verso
gl'individui, un  lavoro  d'associazione  tendente  a  migliorar  l'insieme,  di
ordinare a siffatto scopo la famiglia e la patria. Altri  doveri  più  vasti  si
riveleranno a noi, nel futuro, secondo che acquisteremo una idea meno imperfetta
e più chiara della nostra Legge di vita. Così Dio Padre, per mezzo d'una  lenta,
ma continua educazione religiosa, guida al meglio l'Umanità, e in quel meglio il
nostro individuo migliora anch'esso.  Migliora  in  quel  meglio,  né  senza  un
miglioramento comune voi potete sperare che migliorino le  condizioni  morali  o
materiali del vostro individuo. Voi, generalmente parlando, non  potete,  quando
anche il voleste, separare la vostra vita da  quella  dell'Umanità,  vivente  in
essa, d'essa, per essa.  L'anima  vostra,  salve  le  eccezioni  dei  pochissimi
straordinariamente potenti, non può svincolarsi dalla influenza  degli  elementi
fra i quali si esercita; come il corpo, comunque  costituito  robustamente,  non
può sottrarsi all'azione d'un'aria corrotta che  lo  circondi.  Quanti  fra  voi
vorranno, colla sicurezza di cacciarli incontro  alle  persecuzioni,  educare  i
figli ad una sincerità senza limiti, dove la tirannide e lo spionaggio impongono
di tacere o mentire i due terzi delle proprie opinioni? Quanti vorranno educarli
al disprezzo delle ricchezze in una società dove l'oro  è  l'unica  potenza  che
ottenga  onori,  influenza,  rispetto,  anzi  che   protegga   dall'arbitrio   e
dall'insulto dei padroni e dei loro agenti? Chi è di voi che per amore  e  colle
migliori intenzioni del mondo non  abbia  mormorato  ai  suoi  cari  in  Italia:
diffidate degli uomini; l'uomo onesto deve concentrarsi in sé stesso  e  fuggire
la vita Pubblica; la carità comincia da casa; e sì fatte  massime  evidentemente
immorali, ma suggeritevi dall'aspetto generale della società?  Qual'è  la  madre
che, sebbene appartenente a una fede che  adora  la  Croce  di  Cristo,  martire
volontario dell'umanità, non abbia cacciato le  braccia  intorno  al  collo  del
figlio, e tentato svolgerlo da tentativi pericolosi pel bene de' suoi  fratelli?
E dov'anche trovaste in voi la forza d'insegnare il contrario, la società intera
non distruggerebbe essa colle mille sue voci, coi mille suoi tristissimi esempi,
l'effetto della vostra parola? Potete voi stessi purificare,  innalzare  l'anima
vostra, in un'atmosfera di contaminazione  e  d'avvilimento?  E  scendendo  alle
vostre condizioni materiali, pensate possano migliorare  stabilmente  per  altra
via che quella del miglioramento comune? Milioni di  lire  sterline  sono  spese
annualmente qui in  Inghilterra,  ov'io  scrivo,  dalla  carità  dei  privati  a
sollievo degli individui caduti in miseria; e la miseria cresce  annualmente,  e
la carità verso gli individui è provata  impotente  a  sanar  le  piaghe,  e  la
necessità di rimedi organici collettivi è  più  sempre  universalmente  sentita.
Dove il paese è minacciato continuamente in virtù delle leggi  ingiuste  che  lo
governano, d'una lotta violenta fra  gli  oppressori  e  gli  oppressi,  credete
possono rifluire i capitali e abbondare le imprese vaste, lunghe, costose?  Dove
i dazi e le proibizioni stanno nel capriccio d'un governo assoluto  che  non  ha
chi lo moderi, e le cui spese di eserciti di spie. d'impiegati o  di  pensionati
crescono coi bisogni della sua sicurezza, credete  l'attività  dell'industria  e
della  manifattura  possa   ricevere   uno   sviluppo   progressivo,   continuo?
Risponderete che basta ordiniate meglio il governo e le condizioni sociali nella
patria vostra? Non basta. Nessun popolo vive in oggi esclusivamente  dei  propri
prodotti. Voi vivete di cambi, di importazioni  e  d'esportazioni.  Una  nazione
straniera che impoverisca, nella quale diminuisca la cifra dei consumatori, è un
mercato di meno per voi. Un commercio straniero che, in conseguenza dei  cattivi
ordinamenti, soggiaccia a crisi o a rovina, produce crisi o rovina nel vostro. I
fallimenti d'Inghilterra o d'America trascinano fallimenti Italiani. Il  credito
è in oggi istituzione non nazionale, ma Europea. E inoltre,  ogni  tentativo  di
miglioramento nazionale che  voi  farete  avrà  nemici,  in  virtù  delle  Leghe
contratte dai principi, primi ad accorgersi che la quistione è in oggi generale,
di tutti i governi. Né v'è speranza per voi se non nel miglioramento universale,
nella fratellanza fra tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa,  dell'umanità.
Voi dunque, o fratelli, per dovere e per utile vostro,  non  dimenticherete  mai
che i primi vostri doveri, doveri, senza compiere i quali voi non potete sperare
di compiere quei che la patria e la famiglia comandano, sono verso l'Umanità. La
parola e l'opera vostra siano per tutti, sì come per tutti è Dio, nel suo  amore
e nella sua Legge. In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo  combatte  pel
diritto, pel giusto, pel vero, ivi  è  un  vostro  fratello:  dovunque  un  uomo
soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia,  dalla  tirannide,  ivi  è  un
vostro fratello, Liberi e schiavi SIETE TUTTI FRATELLI. Una è la vostra origine,
una la legge, uno il fine per tutti voi. Una sia la credenza, una l'azione,  una
la bandiera sotto cui militate. Non dite:  il  linguaggio  che  noi  parliamo  è
diverso: le lagrime, l'azione, il martirio formano  linguaggio  comune  per  gli
uomini quanti sono, e che voi tutti intendete.  Non  dite:  l'Umanità  è  troppo
vasta, e noi troppo deboli. Dio non misura le forze,  ma  le  intenzioni.  Amate
l'Umanità. Ad ogni opera vostra nel  cerchio  della  Patria  o  della  famiglia,
chiedete a voi stessi: se questo ch'io fo fosse fatto  da  tutti  e  per  tutti,
gioverebbe o nuocerebbe all'Umanità? e se la coscienza vi risponde:  nuocerebbe,
desistete, desistete quand'anche vi sembri che dall'azione vostra  escirebbe  un
vantaggio immediato per la Patria e per la Famiglia. Siate  apostoli  di  questa
fede, apostoli della fratellanza delle Nazioni e della unità,  oggi  ammessa  in
principio, ma nel fatto negata, del genere umano. Siatelo  dove  potete  e  come
potete. Né Dio né gli uomini possono esigere più da  voi.  Ma  io  vi  dico  che
facendovi tali - facendovi tali, dov'altro non possiate, in  voi  stessi  -  voi
gioverete all'umanità. Dio misura i gradi  di  educazione  ch'ei  fa  salire  al
genere umano sul numero e sulla  purità  dei  credenti.  Quando  sarete  puri  e
numerosi, Dio che vi conta, v'aprirà il varco all'azione.


Capitolo quinto Doveri verso la Patria I primi vostri Doveri, primi  almeno  per
importanza, sono, com'io vi dissi, verso l'Umanità. Siete uomini prima  d'essere
cittadini o padri. Se non abbracciaste del vostro  amore  tutta  quanta  l'umana
famiglia - se non confessaste la fede nella sua umanità, conseguenza  dell'unità
di Dio, e nell'affratellamento dei Popoli  che  devono  ridurla  a  fatto  -  se
ovunque geme un vostro simile, ovunque la dignità della natura umana  è  violata
dalla menzogna o dalla tirannide, voi non foste pronti,  potendo,  a  soccorrere
quel meschino o non vi sentiste chiamati, potendo, a combattere per  risollevare
gli ingannati o gli oppressi - voi tradireste la vostra  legge  di  vita  e  non
intendereste la religione che benedirà l'avvenire. Ma che cosa può  ciascuno  di
voi, colle sue forze isolate,  fare  pel  miglioramento  morale,  pel  progresso
dell'Umanità? Vi potete esprimere, di tempo  in  tempo,  sterilmente  la  vostra
credenza;  potete  compiere,  qualche  rara  volta,  verso   un   fratello   non
appartenente alle vostre terre, un'opera di carità; ma non altro. Ora la  carità
non  è  la  parola  della  fede  avvenire.  La  parola  della  fede  avvenire  è
l'associazione,  la  cooperazione  fraterna  verso  un  intento  comune,   tanto
superiore alla carità, quanto l'opera di molti fra voi che s'uniscono a inalzare
concordi un edifizio per abitarvi insieme è superiore a  quella  che  compireste
innalzando ciascuno una casupola separata e limitandovi a  ricambiarvi  gli  uni
cogli altri aiuto di pietre, di mattoni, di calce. Ma  quest'opera  comune  voi,
divisi di lingua, di tendenze, d'abitudini, di  facoltà,  non  potete  tentarla.
L'individuo è troppo debole e l'Umanità troppo vasta. Mio Dio, - prega, salpando
il marinaio della Bretagna - proteggetemi: il mio battello è  sì  piccolo  e  il
nostro Oceano così grande! E quella preghiera riassume la condizione di  ciascun
di voi, se non si trova un mezzo di  moltiplicare  indefinitivamente  le  vostre
forze, la vostra potenza d'azione: Questo mezzo Dio lo trovava per  voi,  quando
vi dava una Patria, quando, come un saggio direttore di lavori  distribuisce  le
parti diverse a seconda delle capacità, ripartiva in gruppi, in nuclei  distinti
l'Umanità sulla faccia del nostro globo e cacciava il  germe  delle  nazioni.  I
tristi governi hanno guastato il disegno di Dio che voi  potete  vedere  segnato
chiaramente, per quello almeno che riguarda la  nostra  Europa,  dai  corsi  dei
grandi fiumi, dalle curve degli alti monti e dalle altre condizioni geografiche:
l'hanno guastato colla conquista, coll'avidità, colla gelosia dell'altrui giusta
potenza; guastato di tanto che oggi, dall'Inghilterra e dalla Francia in  fuori,
non v'è forse Nazione i cui confini  corrispondano  a  quel  disegno.  Essi  non
conoscevano e non conoscono Patria,  fuorché  la  loro  famiglia,  la  dinastia,
l'egoismo di casta. Ma il disegno divino si compirà senza  fallo.  Le  divisioni
naturali, le  innate  spontanee  tendenze  dei  popoli,  si  sostituiranno  alle
divisioni arbitrarie sancite dai tristi governi. La Carta d'Europa sarà rifatta.
La Patria del Popolo risorgerà delimita dal voto dei liberi, sulle rovine  della
Patria dei re,  delle  caste  privilegiate.  Tra  quelle  patrie  sarà  armonia,
affratellamento. E allora, il lavoro dell'umanità verso il miglioramento comune,
verso la scoperta e l'applicazione della propria  legge  di  vita,  ripartito  a
seconda delle capacità locali e associato, potrà compirsi per  via  di  sviluppo
progressivo, pacifico: allora, ciascuno di voi, forte degli effetti e dei  mezzi
di molti  milioni  d'uomini  parlanti  la  stessa  lingua,  dotati  di  tendenze
uniformi, educati dalla stessa tradizione  storica,  potrà  sperare  di  giovare
coll'opera propria a tutta quanta l'Umanità. A voi, uomini nati in  Italia,  Dio
assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita dell'Europa. In altre
terre, segnate con limiti più incerti o interrotti, possono insorgere  questioni
che il voto pacifico di tutti scioglierà un  giorno,  ma  che  hanno  costato  e
costeranno forse ancora lagrime e sangue:  sulla  vostra,  no.  Dio  v'ha  steso
intorno linee di confini sublimi, innegabili: da  un  lato,  i  più  alti  monti
d'Europa: l'Alpi; dall'altro: il  Mare,  l'immenso  Mare.  Aprite  un  compasso:
collocate una punta al  nord  dell'Italia,  su  Parma;  appuntate  l'altra  agli
sbocchi del Varo e segnate con essa, nella direzione delle Alpi, un semicerchio:
quella  punta  che  andrà,  compito  il  semicerchio,  a  cadere  sugli  sbocchi
dell'Isonzo, avrà segnato la frontiera che Dio vi dava. Sino a quella  frontiera
si parla, s'intende la vostra lingua: oltre quella, non  avete  diritti.  Vostre
sono innegabilmente la Sicilia, la Sardegna,  la  Corsica,  e  le  isole  minori
collocate fra quelle e la terra ferma d'Italia. La forza brutale può ancora  per
poco contendervi quei confini, ma il consenso segreto dei  popoli  li  riconosce
d'antico, e il giorno in cui, levati unanimi  all'ultima  prova,  pianterete  la
vostra bandiera tricolore su quella frontiera, l'Europa intera acclamerà,  sorta
e accettata nel consorzio delle Nazioni, l'Italia. A quest'ultima  prova  dovete
tendere con tutti gli sforzi. Senza Patria, voi non avete  nome,  né  segno,  né
voto, né diritti, né battesimo di  fratelli  tra  i  popoli.  Siete  i  bastardi
dell'umanità. Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete
fede né protezione: non avrete mallevadori. Non v'illudete a compiere, se  prima
non  vi  conquistate  una  Patria,  la  vostra  emancipazione  da  una  ingiusta
condizione sociale: dove non è Patria, non è  Patto  comune  al  quale  possiate
richiamarvi: regna solo l'egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba,
dacché non v'è  tutela  comune  a  propria  tutela.  Non  vi  seduca  l'idea  di
migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre  condizioni
materiali:  non  potrete  riuscirvi.  Le  vostre  associazioni  industriali,  le
consorterie di  mutuo  soccorso  son  buone  com'opera  educatrice,  come  fatto
economico:  rimarranno  sterili  finché  non  abbiate  un'Italia.  Il   problema
economico esige principalmente aumento di capitale e di produzione; e finché  il
vostro paese è smembrato in frazioni - finché,  separati  da  linee  doganali  e
difficoltà artificiali d'ogni sorta, non avete se non mercati ristretti  dinanzi
a voi - non potete sperar quell'aumento. Oggi - non v'illudete - voi  non  siete
la classe operaia d'Italia: siete frazione di quella classe: impotenti, ineguali
al grande intento che vi proponete. La vostra emancipazione non potrà  iniziarsi
praticamente, se non quando un Governo Nazionale, intendendo i segni dei  tempi,
avrà inserito, da Roma, nella dichiarazione di Principii, che  sarà  norma  allo
sviluppo della vita Italiana, le parole: Il lavoro è  sacro  ed  è  la  sorgente
della ricchezza d'Italia. Non vi sviate dunque dietro a  speranze  di  progresso
materiale che, nelle vostre condizioni dell'oggi sono illusioni. La Patria sola,
la vasta e ricca patria Italiana, che si stende dalle Alpi all'ultima  terra  di
Sicilia, può compiere quelle speranze. Voi non potete ottenere ciò che è  vostro
diritto se non obbedendo a ciò che vi comanda il Dovere. Meritate ed avrete.  Oh
miei fratelli! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che  Dio  ci
ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e  che  noi  amiamo,
colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non  con  altri,  e
che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura  omogenea  degli
elementi che essa possiede, è chiamata a un genere speciale d'azione. La  Patria
è la nostra lavoreria; i prodotti della  nostra  attività  devono  stendersi  da
quella a beneficio di tutta la terra; ma  gli  istrumenti  del  lavoro  che  noi
possiamo meglio e più  efficacemente  trattare,  stanno  in  quella  e  noi  non
possiamo rinunziarvi senza tradire l'intenzione di  Dio  e  senza  diminuire  le
nostre forze. Lavorando, secondo i veri principii per la Patria,  noi  lavoriamo
per l'Umanità: la patria è il punto  d'appoggio  della  leva  che  noi  dobbiamo
dirigere a vantaggio  comune.  Perdendo  quel  punto  d'appoggio,  noi  corriamo
rischio di riuscire inutili alla Patria e all'Umanità. Prima d'associarsi  colle
Nazioni che  compongono  l'Umanità,  bisogna  esistere  come  Nazione.  Non  v'è
associazione  che  tra  gli  eguali;  e  voi  non  avete  esistenza   collettiva
riconosciuta. L'Umanità è un grande esercito, che move alla conquista  di  terre
incognite, contro nemici potenti e avveduti. I popoli  sono  diversi  corpi,  le
divisioni di quell'esercito. Ciascuno ha  un  posto  che  gli  si  è  confidato:
ciascuno ha un'operazione particolare da eseguire; e la vittoria comune  dipende
dall'esattezza colla quale le diverse operazioni saranno  compite.  Non  turbate
l'ordine della battaglia. Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque
vi trovate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per
la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come  Italiani,
così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a voi solamente,  ma
alla vostra Patria. E Italiano  sia  il  pensiero  continuo  dell'anime  vostre:
Italiani siano gli atti della vostra  vita:  Italiani  i  segni  sotto  i  quali
v'ordinate a lavorare  per  l'Umanità.  Non  dite:  io,  dite:  noi.  La  Patria
s'incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si senta, si  faccia  mallevadore
dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far si che in lui sia rispettata  ed
amata la Patria. La Patria, è una, indivisibile. Come i  membri  d'una  famiglia
non hanno gioia della mensa comune se un d'essi è  lontano,  rapito  all'affetto
fraterno, così voi non abbiate gioia e riposo finché una frazione del territorio
sul quale si parla la vostra lingua è divelta dalla  Nazione.  La  Patria  è  il
segno della missione che Dio v'ha dato da compiere nell'umanità. Le facoltà,  le
forze di tutti i suoi figli devono associarsi pel compimento di quella missione.
Una certa somma di doveri e di diritti comuni spetta ad ogni uomo  che  risponde
al chi sei? degli altri popoli: sono Italiano. Quei doveri e  quei  diritti  non
possono essere rappresentati che da un solo Potere uscito dal  vostro  voto.  La
patria deve aver dunque un solo Governo. I politici che si chiamano federalisti,
e che vorrebbero far dell'Italia una fratellanza di Stati diversi, smembrano  la
Patria e non ne intendono l'Unità.  Gli  stati  nei  quali  si  divide  in  oggi
l'Italia non sono creazione del nostro popolo: uscirono da  calcoli  d'ambizione
di principi o di conquistatori stranieri, e non giovano che  ad  accarezzare  la
vanità delle  aristocrazie  locali,  alle  quali  è  necessaria  una  sfera  più
ristretta della  grande  Patria.  Ciò  che  voi,  popolo,  creaste,  abbelliste,
consacraste coi vostri affetti, colle  vostre  gioie,  coi  vostri  dolori,  col
vostro sangue, è la Città, il Comune, non la Provincia o lo Stato. Nella  Città,
nel comune dove dormono i vostri padri e vivranno i nati da voi, s'esercitano le
vostre  facoltà,  i  vostri  diritti  personali,  si  svolge  la   vostra   vita
d'individuo. È della vostra Città che ciascuno di voi può dire ciò che cantano i
Veneziani della loro: Venezia la xe nostra: - l'avemo fatta nu.  In  essa  avete
bisogno di libertà, di Comune e Unità di patria, sia dunque la vostra fede.  Non
dite Roma e Toscana, Roma e Lombardia, Roma e Sicilia, dite Roma e Firenze, Roma
e Siena, Roma e Livorno, e così per tutti i comuni d'Italia: Roma per tutto  ciò
che rappresenta la vita italiana, la vita della Nazione; il  vostro  comune  per
quanto  rappresenta  la  vita  individuale.  Tutte  le  altre   divisioni   sono
artificiali, e non s'appoggiano sulla vostra tradizione Nazionale. La  Patria  è
una comunione di liberi e d'uguali affratellati in concordia di lavori verso  un
unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale. La Patria non è un aggregato,  è
una associazione. Non v'è dunque veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non
v'è Patria dove l'uniformità di quel Diritto è violata dall'esistenza di  caste,
di privilegi, d'ineguaglianze - dove l'attività d'una  porzione  delle  forze  e
facoltà individuale è cancellata o  assopita  -  dove  non  è  principio  comune
accettato, riconosciuto, sviluppato da tutti; vi è non Nazione, non  popolo,  ma
moltitudine, agglomerazione fortuita d'uomini che le circostanze riunirono,  che
circostanze diverse separeranno. In nome  del  vostro  amore  alla  Patria,  voi
combatterete senza tregua l'esistenza d'ogni  privilegio,  d'ogni  ineguaglianza
sul suolo che v'ha dato vita. Un solo privilegio è legittimo: il privilegio  del
genio, quando il Genio si mostri  affratellato  colla  Virtù;  ma  è  privilegio
concesso da Dio e non dagli uomini - e quando voi lo riconoscerete seguendone le
ispirazioni, lo riconoscerete liberamente  esercitando  la  vostra  ragione,  la
vostra scelta. Qualunque privilegio pretende sommessione da voi in  virtù  della
forza, dell'eredità, d'un diritto che non sia diritto comune, è  usurpazione,  è
tirannide; e voi dovete combatterla e spegnerla. La Patria deve essere il vostro
Tempio. Dio al vertice, un Popolo d'eguali alla base; non abbiate altra formola,
altra legge morale,  se  non  volete  disonorare  la  Patria  e  voi.  Le  leggi
secondarie che devono via via  regolare  la  vostra  vita  siano  l'applicazione
progressiva di quella Legge suprema. E perché lo siano, è necessario  che  tutti
contribuiscano a farle. Le leggi fatte da una sola  frazione  di  cittadini  non
possono, per  natura  di  cose  e  d'uomini,  riflettere  che  il  pensiero,  le
aspirazioni, i desideri, di quella frazione: rappresentano, non la Patria, ma un
terzo, un quarto, una classe, una zona della patria.  La  legge  deve  esprimere
l'aspirazione generale, promuovere l'utile di tutti, rispondere a un battito del
core della  Nazione.  La  Nazione  intera  dev'essere,  dunque,  direttamente  o
indirettamente, legislatrice.  Cedendo  a  pochi  uomini  quella  missione,  voi
sostituite l'egoismo d'una classe alla Patria, che è l'unione di  tutte  classi.
La Patria non è un territorio; il territorio non ne  è  la  base.  La  Patria  è
l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il  senso  di  comunione  che
stringe in uno tutti i figli di quel territorio. Finché un  solo  tra  i  vostri
fratelli non  è  rappresentato  dal  proprio  voto  nello  sviluppo  della  vita
nazionale - finché un solo vegeta ineducato fra gli educati - finché  uno  solo,
capace e voglioso di lavoro, langue per mancanza di lavoro nella miseria  -  voi
non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di  tutti,  la  patria  per
tutti. Il voto, l'educazione, il lavoro, sono le tre colonne fondamentali  della
Nazione; non  abbiate  posa  finché  non  siano  per  opera  vostra  solidamente
innalzate. E quando lo saranno - quando avrete assicurato a voi  tutti  il  pane
del corpo e quello dell'anima - quando liberi, uniti, intrecciate le destre come
fratelli intorno a una madre amata, moverete  in  bella  e  santa  armonia  allo
sviluppo delle vostre facoltà e della missione Italiana - ricordatevi che quella
missione è  l'unità  morale  d'Europa:  ricordatevi  gl'immensi  doveri  ch'essa
v'impone. L'Italia è la sola terra che abbia due volte gettato la grande  parola
unificatrice alle nazioni disgiunte. La vita d'Italia  fu  vita  di  tutti.  Due
volte Roma fu la Metropoli, il Tempio del mondo Europeo:  la  prima,  quando  le
nostre aquile percorsero conquistatrici da un punto all'altro le terre cognite e
le prepararono all'Unità colle istituzioni civili; la  seconda,  quando,  domati
dalla potenza della natura, dalle grandi memorie e dall'ispirazione religiosa, i
conquistatori settentrionali, il genio d'Italia s'incarnò nel Papato e adempì da
Roma la solenne missione, cessata da quattro secoli,  di  diffondere  la  parola
Unità nell'anima ai popoli del mondo Cristiano.  Albeggia  oggi  per  la  nostra
Italia una terza missione: di tanto più vasta quanto più grande  e  potente  dei
Cesari e dei Papi sarà il POPOLO ITALIANO, la Patria Una e Libera che voi dovete
fondare. Il presentimento di questa missione agita l'Europa e  tiene  incatenati
all'Italia l'occhio ed il pensiero delle  Nazioni.  I  vostri  doveri  verso  la
Patria stanno in ragione dell'altezza di questa missione. Voi dovete  mantenerla
pura d'egoismo, incontaminata di  menzogna  e  delle  arti  di  quel  gesuitismo
politico, che chiamano diplomazia. La politica della  patria  sarà  fondata  per
opera vostra sull'adorazione a' principii non  sull'idolatria  dell'Interesse  o
dell'opportunità. L'Europa ha paesi pei quali la Libertà è sacra al  di  dentro,
violata sistematicamente al di fuori: popoli che dicono: altro è il Vero,  altro
l'Utile, altra cosa è la teorica, altra è  la  pratica.  Quei  paesi  espieranno
lungamente, inevitabilmente la loro colpa  nell'isolamento,  nell'oppressione  e
nell'anarchia. Ma voi sapete la missione della nostra Patria e  seguirete  altra
via. Per voi l'Italia avrà, sì come un solo Dio nei cieli, una sola verità,  una
sola fede, una sola norma di vita politica sulla  terra.  Sull'edifizio  che  il
popolo d'Italia innalzerà più  sublime  del  Campidoglio  e  del  Vaticano,  voi
pianterete la bandiera della Libertà e dell'Associazione, sì che  rifulga  sugli
occhi a tutte le Nazioni, né la velerete mai per terrore di despoti  o  libidine
d'interessi d'un giorno. Avrete audacia sì come fede. Confesserete altamente  il
pensiero che fermenta in core alla Italia davanti al  mondo  e  a  quei  che  si
dicono padroni del mondo. Non rinnegherete mai le Nazioni sorelle. La vita della
Patria si svolgerà per voi bella e forte, libera di paure servili e di scettiche
esitazioni, serbando per base il popolo,  per  norma  le  conseguenze  dei  suoi
principii logicamente dedotte e energicamente applicate, per forza la  forza  di
tutti, per risultato il miglioramento di tutti, per  fine  il  compimento  della
missione che Dio le dava. E perché voi sarete pronti a morire per l'Umanità,  la
vita della Patria sarà immortale.


Capitolo sesto Doveri verso la famiglia La famiglia è la Patria del core. V'è un
Angiolo nella Famiglia che rende, con una misteriosa  influenza  di  grazie,  di
dolcezza e d'amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le
sole gioie pure e non miste di tristezza che sia dato all'uomo  di  goder  sulla
terra, sono, merce quell'Angiolo, le gioie della Famiglia. Chi  non  ha  potuto,
per fatalità di circostanze, vivere, sotto l'ali dell'Angiolo,  la  vita  serena
della famiglia, ha un'ombra di mestizia stesa sull'anima,  un  vuoto  che  nulla
riempie nel core! ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite  Iddio
che creava quell'Angiolo, o voi che avete  le  gioie  e  le  consolazioni  della
Famiglia. Non la tenete in poco conto, perché vi sembri di poter trovare altrove
gioie più ferventi o consolazioni più rapide ai vostri dolori. La famiglia ha in
sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata. Gli affetti, in essa,
vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli siccome l'ellera
intorno alla pianta: vi seguono d'ora in ora: s'immedesimano taciti colla vostra
vita. Voi spesso non li discernete, poiché fanno parte  di  voi;  ma  quando  li
perdete, sentite come un  non  so  che  d'intimo,  di  necessario  a  vivere  vi
mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio! potete  ancora  procacciarvi  brevi
gioie o conforti; non il conforto supremo, la  calma,  la  calma  dell'onda  del
lago, la calma del sonno della fiducia, del sonno che il bambino dorme sul  seno
materno. L'Angiolo della Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella, la donna  è
la carezza della vita, la soavità dell'affetto diffusa  sulle  sue  fatiche,  un
riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole  che  veglia  sull'umanità:
sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che bastano ad ammorzare  qualunque
dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di  noi  l'iniziatrice  dell'avvenire.  Il
primo bacio materno insegna al bambino l'amore. Il  primo  santo  bacio  d'amica
insegna all'uomo la speranza, la fede nella vita; e l'amore e la fede creano  il
desiderio del meglio, la potenza di raggiungerlo a  grado  a  grado,  l'avvenire
insomma, il cui simbolo vivente è il bambino, legame tra noi  e  le  generazioni
future. Per essa, la Famiglia, col suo mistero divino di  riproduzione,  accenna
all'eternità. Abbiate dunque, o  miei  fratelli,  sì  come  santa  la  Famiglia.
Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni assalto che
potesse venirle mosso da uomini imbevuti di  false  e  brutali  filosofie  o  da
incauti che irritati in vederla sovente nido d'egoismo e di  spirito  di  casta,
credono, come il barbaro, che  il  rimedio  al  male  sia  nel  sopprimerla.  La
Famiglia è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non può sopprimerla.  Come
la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un  elemento  della  vita.  Ho
detto più assai che la Patria. La Patria sacra in oggi, sparirà forse un  giorno
quando  ogni  uomo  rifletterà  nella  propria   coscienza   la   legge   morale
dell'umanità; la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa è  la  culla  dell'umanità.
Come ogni elemento della vita umana,  essa  deve  essere  aperta  al  Progresso,
migliorare d'epoca in epoca le sue tendenze,  le  sue  aspirazioni;  ma  nessuno
potrà cancellarla. Far la famiglia più sempre santa e inanellata più sempre alla
Patria, è questa la vostra missione. Ciò che  la  Patria  è  per  l'umanità,  la
Famiglia deve esserlo per la Patria. Come io  v'ho  detto  che  la  parte  della
Patria è quella d'educare gli uomini, così la parte della Famiglia è  quella  di
educare i cittadini: Famiglia e Patria sono  i  due  punti  estremi  d'una  sola
linea. E dove non è così, la Famiglia diventa  Egoismo,  tanto  più  schifoso  e
brutale quanto più prostituisce, sviandola dal vero scopo, la  cosa  più  santa:
gli affetti. Oggi, l'egoismo  regna  spesso  pur  troppo  e  forzatamente  nella
Famiglia. Le tristi istituzioni sociali lo generano. In una società  fondata  su
spie, birri, prigioni e patiboli, la  povera  madre,  tremante  ad  ogni  nobile
aspirazione del figlio, è sospinta ad insegnargli la diffidenza, a dirgli: bada!
l'uomo che ti  parla  di  Patria  di  Libertà  d'Avvenire,  e  che  tu  vorresti
stringerti al petto non è forse che un traditore! In una società nella quale  il
merito è pericoloso, e  la  ricchezza  è  la  sola  base  della  potenza,  della
sicurezza, della difesa  contro  la  persecuzione  e  il  sopruso,  il  padre  è
trascinato dall'affetto a dire al giovane anelante la Verità: bada! la ricchezza
è la tua tutela: la Verità sola non può esserti  scudo  contro  l'altrui  forza,
contro l'altrui corruttela. Ma io vi parlo d'un tempo in cui, col vostro  sudore
e col vostro sangue, avrete fondato ai figli una Patria  di  liberi,  costituita
sul merito, sul bene che ciascuno di voi avrà fatto ai  suoi  fratelli.  Fino  a
quel tempo, voi pur troppo non avete innanzi che una sola via di  miglioramento,
un solo supremo dovere  da  compiere:  ordinarvi,  prepararvi,  scegliere  l'ora
opportuna e combattere a conquistarvi coll'insurrezione la vostra Italia. Allora
soltanto potrete soddisfare senza gravi e continui ostacoli  agli  altri  vostri
doveri. E allora, mentr'io sarò probabilmente  sotterra,  rileggete  queste  mie
pagine: i pochi consigli fraterni ch'esse contengono  vengono  da  un  core  che
v'ama e sono scritti colla coscienza del vero. Amate, rispettate la  donna.  Non
cercate in essa solamente  un  conforto,  ma  una  forza,  una  ispirazione,  un
raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali  e  morali.  Cancellate  dalla
vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio
ha creato, con una educazione disuguale e  una  perenne  oppressione  di  leggi,
quell'apparente inferiorità intellettuale,  dalla  quale  oggi  argomentano  per
mantenere l'oppressione. Ma la storia delle oppressioni non  v'insegna  che  chi
opprime si appoggia sempre sopra un  fatto  creato  da  lui?  Le  caste  feudali
contesero a voi, figli del popolo, fin quasi  ai  nostri  giorni,  l'educazione;
poi, dalla mancanza d'educazione, argomentarono e  argomentano  anche  oggi  per
escludervi dal santuario della città, dal recinto dove si fanno  le  leggi,  dal
diritto di voto che inizia la vostra missione sociale. I  padroni  dei  Neri  in
America dichiarano radicalmente inferiore e incapace  d'educazione  la  razza  e
perseguitano intanto qualunque s'adoperi a educarla. Da mezzo secolo  i  fautori
delle famiglie affermano noi italiani mal atti alla libertà, e  intanto  con  le
leggi e con la forza brutale d'eserciti assoldati mantengono  chiusa  ogni  via,
perché possa da noi vincersi, se pure esistesse l'ostacolo, come se la tirannide
potesse mai essere educazione alla libertà. Or noi tutti fummo e siamo  tuttavia
rei d'una colpa simile verso la donna. Allontanate da voi fin l'ombra di  quella
colpa; però che non è colpa più grave davanti a Dio, di quella che divide in due
classi l'umana famiglia e impone  o  accetta  che  l'una  soggiaccia  all'altra.
Davanti a Dio Uno e Padre non v'è uomo né donna ma l'essere umano, l'essere  nel
quale, sotto l'aspetto d'uomo o di donna, s'incontrano  tutti  i  caratteri  che
distinguono l'Umanità dall'ordine  degli  animali:  tendenza  sociale,  capacità
d'educazione, facoltà di progresso. Dovunque si rivelano questi  caratteri,  ivi
esiste l'umana natura, uguaglianza quindi di diritti e doveri. Come due rami che
muovono distinti da uno stesso tronco, l'uomo e la donna muovono  varii  da  una
base comune, che è l'umanità. Non esiste disuguaglianza fra l'uno e l'altra;  ma
come spesso accade fra due uomini, diversità di tendenze, di vocazioni speciali.
Son due note d'un accordo musicale, disuguali o di natura diversa!  La  donna  e
l'uomo sono due note senza le quali  l'accordo  umano  non  è  possibile;  hanno
doveri e diritti generali  diversi  due  popoli  chiamati  dalle  loro  tendenze
speciali o dalle condizioni in  cui  vivono,  l'uno  a  diffondere  il  pensiero
dell'associazione  umana  per  via  di  colonie,  l'altro  a  predicarlo   colla
produzione di capolavori d'arte o di letteratura universalmente  ammirati!  Ambi
quei Popoli sono apostoli, consapevoli  o  no,  dello  stesso  concetto  divino,
eguali e fratelli in esso. L'uomo e  la  donna  hanno,  come  quei  due  Popoli,
funzioni distinte  nell'Umanità;  ma  quelle  funzioni  sono  sacre  egualmente,
necessarie allo sviluppo  comune;  ambe  rappresentanze  del  Pensiero  che  Dio
poneva, come anima, nell'universo. Abbiate dunque la Donna  siccome  compagna  e
partecipe, non solamente delle vostre gioie e dei vostri dolori, ma delle vostre
aspirazioni, dei vostri pensieri, dei vostri studi e  dei  vostri  tentativi  di
miglioramento sociale. Abbiatela eguale nella vostra  vita  civile  e  politica.
Siate le due ali dell'anima umana verso l'ideale che  dobbiamo  raggiungere.  La
Bibbia Mosaica ha detto: Dio creò l'uomo e dall'uomo  la  donna,  ma  la  vostra
Bibbia, la Bibbia dell'avvenire dirà:  Dio  creò  l'Umanità,  manifestata  nella
donna e nell'uomo. Amate i figli che la Provvidenza  vi  manda;  ma  amateli  di
vero, profondo, severo amore; non  dell'amore  snervato,  irragionevole,  cieco,
ch'è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro,  non
dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni  future,  che  avete  verso
quell'anime che vi sono affidate, verso l'umanità, verso Dio,  la  più  tremenda
responsabilità che l'essere umano possa conoscere:  voi  dovete  iniziarle,  non
alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita  stessa,  ai  suoi  doveri,
alla Legge morale che la governa. Poche madri, pochi  padri,  in  questo  secolo
irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità
della missione educatrice:  poche  madri,  pochi  padri  pensano  che  le  molte
vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi son frutto  in
gran parte dell'egoismo innestato  trenta  anni  addietro  nell'animo  da  madri
deboli o da padri incauti, i quali lasciarono che i loro figli s'avvezzassero  a
considerare la vita non come dovere e missione, ma come  ricerca  di  piacere  e
studio del proprio benessere. Per  voi,  uomini  del  lavoro,  i  pericoli  sono
minori; i più fra i nati da voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni.  E
minori sono d'altra parte in voi, costretti dalla povera  condizione  sociale  a
continue fatiche, le possibilità  d'educare  come  importerebbe.  Pur  nondimeno
potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo  potete  coll'esempio  e
colla parola. Lo potete com'esempio. "I vostri figli sono simili a voi, corrotti
o virtuosi, secondo  che  sarete  voi  stessi  virtuosi  o  corrotti.  Come  mai
sarebbero essi onesti, pietosi, umani, se voi mancate di probità, se siete senza
viscere pei vostri fratelli? come reprimerebbero i loro grossolani appetiti,  se
vi vedono abbandonati all'intemperanza? come  serberebbero  intatta  l'innocenza
nativa, se voi non temete d'oltraggiare davanti  ad  essi  il  pudore  con  atti
indecenti o con oscene parole? Voi siete il vivente modello sul quale si formerà
la pieghevole loro natura. Dipende da voi che i vostri figli riescano  uomini  o
bruti(9)." E potete educare colla parola. Parlate loro di Patria, di ciò ch'essa
fu, di ciò che deve essere. Quando, la sera, dimenticate, fra il  sorriso  della
madre e l'ingenuo favellio dei  fanciulli  seduti  sulle  vostre  ginocchia,  le
fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei popolani delle antiche
nostre repubbliche; insegnate loro i nomi dei buoni che amarono  l'Italia  e  il
suo popolo e per una via di sciagura, di calunnie e di  persecuzioni,  tentarono
migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani cuori, non l'odio contro  gli
oppressori, ma l'energia di proposito contro l'oppressione. Imparino dal  vostro
labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello il seguire le vie  della
Virtù, come sia grande il piantarsi Apostoli della verità,  come  sia  santo  il
sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli.  Infondete  nelle  tenere  menti,
insieme ai germi della ribellione contro  ogni  autorità  usurpata  e  sostenuta
dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica Autorità, l'autorità della  Virtù
coronata dal Genio. Fate che crescano,  avversi  egualmente  alla  tirannide  ed
all'anarchia, nella religione della coscienza inspirata,  non  incatenata  dalla
tradizione. La Nazione deve aiutarvi in quest'opera. E voi avete,  in  nome  dei
vostri figli,  diritto  di  esigerlo.  Senza  educazione  Nazionale  non  esiste
veramente Nazione. Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia
mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Pur troppo  sovente  i  nuovi
vincoli allentano gli antichi, mentre non dovrebbero  essere  se  non  un  nuovo
anello nella catena d'amore che deve  annodare  in  uno  tre  generazioni  della
Famiglia. Circondate d'affetti teneri e rispettosi  sino  all'ultimo  giorno  le
teste canute della madre, del padre. Infiorate  ad  essi  la  via  della  tomba.
Diffondete colla continuità dell'amore sulle loro anime stanche  un  profumo  di
fede e d'immortalità. E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia  pegno
di quello che vi serberanno i nati da voi. Parenti, sorelle e  fratelli,  sposa,
figli, siano per voi come rami collocati in ordine diverso sulla stessa  pianta.
Santificate la Famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un Tempio  dal  quale
possiate congiunti sacrificare alla Patria. Io non so se sarete felici;  ma  che
così facendo, anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerà per voi un  senso
di pace serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni
prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.

Capitolo settimo Doveri verso se stesso PRELIMINARI Io  v'ho  detto:  voi  avete
vita; dunque avete una legge di vita... Svilupparsi, agire,  vivere  secondo  la
legge di vita, è il primo, anzi l'unico vostro  Dovere.  Vi  ho  detto  che  per
conoscere quale sia la legge della vostra vita, Dio  v'ha  dato  due  mezzi:  la
vostra coscienza e la coscienza dell'Umanità, il consenso dei  vostri  fratelli.
V'ho detto che ogni qualvolta, interrogando la vostra  coscienza,  troverete  la
sua voce in armonia colla grande voce del genere umano trasmessavi dalla storia,
voi siete certi d'avere la verità eterna, immutabile in pugno. Voi  potete  oggi
difficilmente interrogare a dovere la grande  voce  che  l'umanità  vi  tramanda
attraverso la Storia: vi mancano  finora  libri  buoni  davvero  e  popolarmente
scritti, e vi manca il tempo; ma gli uomini che per ingegno e  coscienza  meglio
rappresentano, da oltre  un  mezzo  secolo,  gli  studi  storici  e  la  scienza
dell'Umanità, hanno raccolto da quella voce alcuni caratteri della nostra  Legge
di Vita;  hanno  raccolto  che  la  natura  umana  è  essenzialmente  adunabile,
essenzialmente sociale: hanno raccolto che, come non vi è né può esservi che  un
solo Dio, non v'è né può esservi che una sola Legge per l'uomo individuo  e  per
l'umanità collettiva, hanno raccolto che il carattere  fondamentale,  universale
di questa Legge, è  PROGRESSO.  Da  queste  verità  oggimai  innegabili,  perché
confermate da tutti i rami dell'umano sapere, scendono  tutti  i  vostri  doveri
verso voi stessi, e scendono pure tutti i vostri diritti,  i  quali  sommano  in
uno: il diritto di non essere menomamente inceppati  e  d'essere,  dentro  certi
limiti, aiutati nel compimento dei vostri doveri. Voi siete e vi sentite liberi.
Tutti i sofismi d'una misera filosofia, che vorrebbe sostituire una dottrina  di
non so quale fatalismo al grido della coscienza umana, non valgono a  cancellare
due testimonianze invincibili a favore della libertà: il rimorso e il  martirio.
Da Socrate a Gesù, da Gesù fino agli  uomini  che  muoiono  ogni  tanto  per  la
Patria, i Martiri  di  una  Fede  protestano  contro  quella  servile  dottrina,
gridandovi: "noi amavamo la vita; amavamo esseri che ce la facevano cara  e  che
ci supplicavano di cedere: tutti gl'impulsi del nostro cuore  dicevano  vivi!  a
ciascuno di noi,  ma  per  la  salute  delle  generazioni  avvenire,  scegliemmo
morire". Da Caino alla spia volgare dei nostri  giorni,  i  traditori  dei  loro
fratelli, gli uomini che si son messi sulla via  del  male,  sentono  nel  fondo
dell'anima una condanna, una irrequietezza, un rimprovero  che  dice  a  ciascun
d'essi: perché t'allontanasti dalle vie del bene?  Voi  siete  liberi  e  quindi
responsabili. Da questa libertà morale scende il  vostro  diritto  alla  libertà
politica, il vostro dovere di conquistarvela e mantenerla inviolata,  il  dovere
altrui di non menomarla. Voi siete educabili. Esiste in ciascun di voi una somma
di  facoltà,  di  capacità  intellettuali,  di  tendenze  morali,   alle   quali
l'educazione sola può dar  moto  e  vita,  e  che,  senza  quella,  giacerebbero
sterili,  inerti,  non  rivelandosi  che  a  lampi,  senza  regolare   sviluppo.
L'educazione è il pane dell'anima.  Come  la  vita  fisica,  organica,  non  può
crescere e svolgersi senza alimenti, così  la  vita  morale,  intellettuale,  ha
bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle influenze  esterne  e  d'assimilarsi
parte  almeno  delle  idee,  degli  effetti,  delle  altrui  tendenze.  La  vita
dell'industria s'innalza, come la pianta, varietà dotata d'esistenza  propria  e
di caratteri speciali, sul terreno comune, si nutre degli  elementi  della  vita
comune. L'individuo è un rampollo dell'UMANITÀ e alimenta e rinnova  le  proprie
forze  nelle   sue.   Quest'opera   alimentatrice,   rinnovatrice,   si   compie
coll'Educazione che trasmette  direttamente  o  indirettamente  all'individuo  i
risultati dei progressi di tutto quanto il genere umano. È dunque non  solamente
come necessità della vostra vita, ma come una santa comunione con tutti i vostri
fratelli, con tutte le generazioni che  vissero:  cioè  pensarono  ed  operarono
prima della vostra, che voi  dovete  conquistarvi,  nei  limiti  del  possibile,
educazione: educazione morale ed intellettuale, che abbracci e fecondi tutte  le
facoltà che Dio vi dava siccome deposito da far fruttare,  e  che  istituisca  e
mantenga un  legame  tra  la  vostra  vita  individuale  e  quella  dell'Umanità
collettiva. E perché quest'opera educatrice si compisse più rapidamente,  perché
la vostra vita individuale s'inanellasse più certamente e più intimamente  colla
vita collettiva di  tutti,  colla  vita  dell'Umanità,  Dio  v'ha  fatto  esseri
essenzialmente sociali. Ogni essere al disotto di voi  può  vivere  da  per  sé,
senz'altra comunione che colla natura, cogli elementi del mondo fisico: voi  nol
potete. Avete a ogni passo necessità dei vostri fratelli e non potete soddisfare
ai più semplici bisogni della vita senza giovarvi dell'opera loro. Superiori  ad
ogni altro essere mercé l'associazione coi vostri  simili,  siete,  se  isolati,
inferiori di forza a molti animali, e deboli e incapaci di sviluppo e  di  piena
vita. Tutte le più nobili aspirazioni del vostro core come l'amor della  Patria,
e anche le meno virtuose  come  il  desiderio  di  gloria  e  dell'altrui  lode,
accennano alla tendenza ingenita in voi ad accomunare la vostra vita colla  vita
dei  milioni  che  vivono   intorno   a   voi.   Voi   siete   dunque   chiamati
all'associazione. Essa centuplica le vostre forze: fa  vostre  le  idee  altrui,
vostro l'altrui progresso; e innalza, migliora  e  santifica  la  vostra  natura
cogli affetti e col sentimento crescente dell'unità dell'umana famiglia.  Quanto
più sarà vasta la vostra associazione coi vostri fratelli, quanto più  intima  e
complessiva, tanto più innanzi sarete sulla via  del  vostro  miglioramento.  La
Legge della vita non può compirsi tutta se non dal lavoro riunito di tutti. E ad
ogni grande progresso, ad  ogni  scoperta  di  un  frammento  di  quella  Legge,
corrisponde nella Storia un allargamento dell'associazione  umana,  un  contatto
più vasto fra popolo e popoli. Quando i primi  Cristiani  vennero  a  proclamare
l'unità della natura umana di fronte alla filosofia  pagana  che  ammetteva  due
nature, di padroni e di schiavi, il popolo Romano aveva portato le sue aquile  a
passeggiare fra tutti i popoli noti d'Europa. Prima che il Papato -  dannoso  in
oggi, utile nei primi secoli  dell'istituzione  -  venisse  a  dire:  il  potere
spirituale è superiore al temporale, gli invasori chiamati Barbari avevano messo
in contatto violento il mondo Germanico col mondo Latino. Prima  che  l'idea  di
Libertà applicata ai popoli promovesse il concetto di nazionalità che  agita  in
oggi l'Europa e trionferà, le guerre della  Rivoluzione  e  dell'Impero  avevano
suscitato e chiamato in azione un elemento  fino  allora  appartato,  l'elemento
Slavo. Voi siete,  finalmente,  esseri  progressivi.  Questa  parola  PROGRESSO,
ignota all'antichità, sarà d'ora innanzi una parola sacra  per  l'Umanità.  Essa
racchiude tutta una trasformazione sociale,  politica,  religiosa.  L'antichità,
gli uomini delle vecchie religioni Orientali e  del  Paganesimo,  credevano  nel
Fato, nel Caso, in una  Potenza  arcana,  inintelliggibile,  padrona  arbitraria
delle cose umane, creatrice e distruggitrice alternativamente senza  che  l'uomo
potesse intenderne,  promoverne,  o  accelerarne  i  bisogni.  Credevano  l'uomo
impotente a fondare  cosa  alcuna  durevole,  permanente,  sulla  nostra  terra.
Credevano  che  i  popoli,  condannati  ad  aggirarsi  nel   cerchio   descritto
dagl'individui quaggiù,  sorgessero,  salissero  a  potenza,  poi  volgessero  a
vecchiaia, e fatalmente, irrevocabilmente, perissero. Con un orizzonte d'idee  e
di fatti assai ristretto davanti e senza conoscenza di Storia fuorché della loro
nazione e spesso della loro città, guardavano al genere umano unicamente come un
aggregato di uomini, senza vita  e  legge  propria,  e  non  derivavano  i  loro
pensieri fuorché dalla contemplazione dell'individuo. La conseguenza di siffatte
dottrine era una tendenza ad accettare  i  fatti  predominanti  senza  curare  o
sperar  di  mutarli.  Dove  le  circostanze   avevano   impiantato   una   forma
repubblicana, gli uomini di quei tempi erano repubblicani; dove signoreggiava il
dispotismo, erano schiavi  noncuranti  di  progresso  e  sommessi.  Ma  poi  che
dappertutto, sotto la forma repubblicana  come  sotto  la  tirannide,  trovavano
divisa la famiglia umana o in quattro caste, come  in  Oriente,  o  in  due,  di
cittadini liberi e di schiavi, come nella Grecia, accettavano la divisione delle
caste o la credenza in due  nature  diverse  d'uomini;  e  l'accettarono  i  più
potenti intelletti del mondo Greco, Platone e Aristotele. L'emancipazione  della
vostra classe era, tra  siffatti  uomini,  una  impossibilità.  Gli  uomini  che
fondarono, sulla parola di Gesù, una Religione superiore a tutte le credenze del
vecchio Oriente e del Paganesimo, intravidero, non conquistarono, la santa  idea
contenuta in questa parola:  Progresso.  Intesero  l'unità  della  razza  umana,
intesero l'unità della Legge, intesero il dovere di  perfezionamento  nell'uomo:
non intesero la potenza data da Dio all'uomo per compirlo,  né  la  via  per  la
quale si compie. Si limitarono essi pure a desumere le norme  della  vita  dalla
contemplazione dell'individuo: l'Umanità  come  corpo  collettivo,  rimase  loro
ignota. Conobbero la Provvidenza e la sostituirono  alla  cieca  Fatalità  degli
antichi; ma  la  conobbero  come  protettrice  dell'individuo,  non  come  Legge
dell'Umanità. Collocati fra  l'immensità  dello  scopo  di  perfezionamento  che
intravedevano e la breve povera vita dell'individuo, sentirono il  bisogno  d'un
termine intermediario tra l'uno e l'altro, fra l'Uomo e Dio,  e  non  possedendo
l'idea  dell'Umanità  collettiva,   ricorsero   a   una   incarnazione   divina:
dichiararono che la Fede in essa era sorgente unica  di  salute,  di  forza,  di
grazia, all'uomo. Non sospettando la rivelazione  continua  che  scende  da  Dio
sull'uomo attraverso l'Umanità, credettero in una rivelazione immediata,  unica,
scesa ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale di  Dio.  Videro  il
legame che annoda gli uomini in Dio, non videro quello che li annoda  qui  sulla
terra nell'umanità. Poco importava la serie delle generazioni a chi non  sentiva
come  l'una  agisse  sull'altra;  s'avvezzarono  dunque  a   non   contemplarle;
s'adoprarono a staccar l'uomo dalla  terra,  dalle  cose  concernenti  l'Umanità
intera, e finirono per mettere in opposizione la  terra,  che  abbandonarono  ad
ogni Potere di fatto e che chiamarono soggiorno d'espiazione, e il cielo  a  cui
l'uomo poteva, per virtù di grazia e di fede, salire e dal quale esiliarono  per
sempre chi ne mancasse. La rivelazione essendo per essa immediata ed unica in un
dato periodo, ne dedussero che nulla poteva aggiungervisi e che i depositari  di
quella rivelazione erano infallibili. Dimenticavano che il fondatore della  loro
religione  era  venuto,  non  ad  annientare  la   Legge   ma   a   continuarla,
aggiungendovi. Dimenticavano che in un solenne momento  e  con  sublime  istinto
dell'avvenire, Gesù aveva detto: Io vi dico le  cose  che  voi  potete  in  oggi
intendere e praticare; ma verrà dopo me lo spirito di verità, e vi  parlerà  per
autorità  propria  ma  raccogliendo  l'ispirazione   da   tutti,   l'ispirazione
collettiva(10). È in quelle parole la profezia dell'idea del Progresso  e  della
rivelazione continua del Vero per mezzo  dell'Umanità:  v'è  la  giustificazione
della formola che Roma ridesta propose all'Italia colle parole Dio e il  popolo,
scritte in fronte a' suoi decreti repubblicani. Ma gli uomini delle credenze del
medioevo non potevano intenderla. Non erano maturi  i  tempi.  Tutto  l'edifizio
delle credenze che successero al Paganesimo posa, a ogni modo, sulle basi or ora
accennate. È chiaro che neppur su queste poteva fondarsi la vostra emancipazione
qui sulla terra. Mille trecento anni a un dipresso dopo le  parole  di  Gesù  or
citate, un uomo Italiano, il più grande  fra  gl'Italiani  che  io  mi  conosca,
scriveva le verità seguenti: "Dio è  uno;  l'Universo  è  un  pensiero  di  Dio;
l'Universo è dunque uno esso pure. Tutte le cose partecipano, più o meno,  della
natura divina, a seconda del fine pel quale sono create.  L'uomo  è  nobilissimo
fra tutte le cose:  Dio  ha  versato  in  lui  più  della  sua  natura  che  non
sull'altre. Ogni cosa che viene da Dio tende  al  perfezionamento  del  quale  è
capace. La capacità di perfezionamento nell'uomo è indefinita. L'Umanità è  Una.
Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità,  deve  esistere  uno
scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compiersi per opera d'essi tutti.
Il  genere  umano  dovrebbe  dunque  lavorare  unito,  sì  che  tutte  le  forze
intellettuali diffuse in esso, ottengano il più alto  sviluppo  possibile  nella
sfera del pensiero e dell'azione. Esiste dunque una Religione  universale  della
natura umana". Quell'uomo aggiungeva che  questa  religione  universale,  questa
Unità del mondo doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma, la Città
Santa, le di cui pietre, ei diceva, erano meritevoli di  riverenza.  L'uomo  che
scriveva quelle idee aveva nome DANTE. Ogni città d'Italia quando l'Italia  sarà
libera ed una, dovrebbe innalzargli una statua, però che quelle idee  contengono
in germe la Religione dell'Avvenire. Egli le scriveva in libri latini e italiani
che s'intitolavano: Della Monarchia e Convito, difficili a  intendersi  ed  oggi
negletti anche dagli uomini che si dicono letterati. Ma le  idee,  cacciate  una
volta che siano nel mondo dell'intelletto, non muoiono più. Altri le  raccoglie,
anche dimenticandone la sorgente. Gli uomini ammirano la quercia: chi  pensa  al
germe dal quale esciva? Il germe che Dante cacciava fruttò. Raccolto e fecondato
di tempo in tempo da qualche potente intelletto, si svolse in pianta sul  finire
del secolo passato. L'idea del Progresso siccome  Legge  della  Vita  accettata,
sviluppata, verificata sulla storia, confermata dalla scienza, diventò  bandiera
dell'avvenire. Oggi non v'è ingegno severo che non lo ponga a cardine  dei  suoi
lavori. Oggi sappiamo che  la  legge  della  Vita  è  PROGRESSO.  Progresso  per
l'individuo, progresso per l'Umanità. L'Umanità compie quella Legge sulla terra;
l'individuo sulla terra ed altrove. Un solo Dio; una sola  Legge.  Quella  legge
s'adempie lentamente, inevitabilmente, nell'Umanità fin dal primo  suo  nascere.
La verità non s'è  mai  manifestata  tutta  o  ad  un  tratto.  Una  rivelazione
continua, manifestata d'epoca in epoca, un frammento della  Verità,  una  parola
della Legge. Ognuna di quelle  parole  modifica  profondamente,  sulla  via  del
Meglio, la vita  umana  e  costituisce  una  credenza,  una  Fede.  Lo  sviluppo
dell'idea religiosa è dunque indefinitamente progressivo; e quasi  colonne  d'un
Tempio, le credenze successive, svolgendo e purificando più  sempre  quell'idea,
costituiranno un giorno il Panteon della nostra Terra. Gli uomini  benedetti  da
Dio di Genio e di singolare Virtù ne sono gli  Apostoli:  il  Popolo,  il  senso
collettivo dell'umanità,  ne  è  l'interprete;  accetta  quella  rivelazione  di
Verità,  la  trasmette  da  una  generazione  all'altra,  e  la  rende  pratica,
applicandola ai diversi rami, alle  diverse  manifestazioni  della  vita  umana.
L'Umanità è simile ad un uomo che vive indefinitamente e che impara sempre.  Non
v'è dunque, né può esservi casta privilegiata di depositari ed interpreti  della
Legge: non v'è, né può esservi  necessità  d'intermediario  tra  Dio  e  l'uomo,
dall'Umanità infuori. Dio, prefiggendo un  disegno  provvidenziale  d'Educazione
progressiva all'Umanità, ponendo l'istinto del progresso nel core  d'ogni  uomo,
ha messo pure nell'umana natura le facoltà e le forze  necessarie  a  compierlo.
L'uomo individuo, creatura libera  e  responsabile,  può  usarne  e  abusarne  a
seconda ch'ei si mantiene sulla via del Dovere, o  cede  alle  cieche  seduzioni
dell'Egoismo; ei può indugiare o accelerare il proprio progresso; ma il  disegno
provvidenziale non può cancellarsi da  forza  umana.  L'educazione  dell'umanità
deve compiersi;  noi  vediamo  quindi  escire  dalle  invasioni  barbariche  che
sembravano spegnere la civiltà, un nuovo incivilimento  superiore  all'antico  e
diffuso su più ampia zona di terra: vediamo dalla  tirannide,  esercitata  dagli
individui, escire subito dopo un più rapido sviluppo di libertà.  La  legge,  il
Progresso, devono compirsi, come altrove, qui sulla terra. Non  v'è  opposizione
fra terra e cielo; ed è bestemmia il  supporre  che  l'opera  di  Dio,  la  casa
ch'egli ci ha dato, possa, senza peccato, sprezzarsi,  abbandonarsi  ai  Poteri,
quali essi siano, alle influenze del Male, dell'Egoismo e  della  Tirannide.  La
Terra non è soggiorno di espiazione; è soggiorno di lavoro  a  prò  dell'ideale,
del Vero e del Giusto che ciascun di noi ha in germe nell'anima;  gradino  verso
un  Miglioramento  che  noi  non  possiamo  raggiungere  se  non   glorificando,
coll'opere, Iddio nell'Umanità, e consacrandoci a tradurre in fatto  quanta  più
parte possiamo del suo disegno. Il giudizio che s'adempirà su ciascun di noi,  e
che ci farà  inoltrare  sulla  scala  del  Perfezionamento  o  ci  condannerà  a
trascinarci nuovamente nello  stadio  tristamente  e  sterilmente  percorso,  si
fonderà sul bene che avremo fatto ai nostri fratelli, sul grado di progresso che
avremo aiutato altri a salire. L'associazione  più  sempre  intima,  più  e  più
sempre vasta, coi nostri simili è il mezzo per cui  si  moltiplicano  le  nostre
forze, il campo sul quale si compiono i nostri Doveri, la  via  per  ridurre  in
atto il Progresso. Noi dobbiamo tendere a far dell'intera Umanità una  Famiglia,
ogni membro della quale rappresenti in sé, a beneficio  degli  altri,  la  Legge
morale. E come il perfezionamento dell'umanità si compie d'epoca  in  epoca,  di
generazione  in  generazione,  il  perfezionamento  dell'individuo   si   compie
d'esistenza in esistenza, più o meno rapidamente a  seconda  dell'opere  nostre.
Son queste alcune delle verità contenute in quella parola Progresso, dalla quale
escirà la  Religione  dell'Avvenire.  In  essa  solo  può  compiersi  la  vostra
emancipazione.

Capitolo ottavo Libertà Voi vivete. La vita ch'è in voi non è opera del Caso; la
parola Caso non ha senso alcuno, e non fu trovata che ad  esprimere  l'ignoranza
degli uomini su certe cose. La vita ch'è in voi viene da Dio e  rileva  nel  suo
sviluppo  progressivo  un  disegno  intelligente.  La  vostra  vita  ha   dunque
necessariamente un fine, uno scopo. Il fine ultimo, pel quale fummo creati, ci è
tuttora ignoto, e non può essere altrimenti; né per questo dobbiamo negarlo.  Sa
il  bambino  lo  scopo  a  cui  dovrà  tendere  nella  Famiglia,  nella  Patria,
nell'umanità? No: ma lo scopo esiste,  e  noi  cominciamo  a  saperlo  per  lui.
L'Umanità è il bambino di Dio:  sa  Egli  il  fine  verso  il  quale  essa  deve
svilupparsi.  L'Umanità  comincia  oggi  appena  a  intendere  che  la  legge  è
Progresso: comincia appena a intendere incertamente qualche  cosa  dell'Universo
che ha intorno; e la maggior parte degl'individui che la compongono  è  tuttavia
inadatta, per barbarie, servitù o mancanza assoluta d'educazione, allo studio di
quella Legge, all'esame dell'universo, che bisogna intendere  prima  d'intendere
noi stessi. Una minoranza degli uomini che popolano la piccola nostra  Europa  è
sola capace di sviluppare  verso  lo  scopo  della  conoscenza  le  sue  facoltà
intellettuali. In voi stessi, privi i più d'istruzione e soggiogati tutti  dalla
fatalità d'un lavoro fisico male ordinato, dormono mute senza poter portare alla
piramide della scienza il loro  tributo.  Come  potremmo  dunque  pretendere  di
conoscere in oggi ciò che richiede l'opera associata di tutti?  Come  ribellarci
contro il nostro non avere  raggiunto  ancora  ciò  che  costituirebbe  l'ultimo
gradino del nostro Progresso terrestre, quando cominciamo appena  a  balbettare,
pochi e non associati, quella  sacra  e  feconda  parola?  Rassegniamoci  dunque
all'ignoranza sulle cose che ci sono per lungo tempo ancora inaccessibili, e non
abbandoniamo, fanciullescamente irritati,  lo  studio  di  quelle  che  possiamo
scoprire. La scoperta del Vero esige modestia e temperanza di  desiderio  quanto
esige costanza. L'impazienza, l'orgoglio umano, han perduto o sviato  dal  retto
sentiero molte più anime che non la deliberata tristizia. E  questa  verità  che
l'Antichità ha voluto insegnarci, quando ci narrava che il Despota  voglioso  di
raggiungere il cielo non seppe innalzare se non una Torre di confusione, e che i
Giganti assalitori  dell'Olimpo  giacciono,  fulminati,  sotto  i  nostri  monti
vulcanici. Ciò di cui importa conviverci è questo che,  qualunque  sia  il  fine
verso cui tendiamo, noi non potremo  scoprirlo  e  raggiungerlo,  se  non  collo
sviluppo progressivo e coll'esercizio delle  nostre  facoltà  intellettuali.  Le
nostre facoltà sono gli strumenti di lavoro che Dio ci dava. È dunque necessario
che il loro sviluppo sia promosso  e  aiutato;  il  loro  esercizio  protetto  e
libero. Senza libertà voi non potete compiere  alcuno  dei  vostri  doveri.  Voi
dunque avete diritto alla Libertà, e Dovere di conquistarla ad ogni modo  contro
qualunque Potere la neghi. Senza libertà non esiste Morale, perché non esistendo
libera scelta tra il bene ed il male, tra la devozione al progresso comune e  lo
spirito d'egoismo, non esiste società vera, perché tra liberi e schiavi non  può
esistere associazione; ma solamente dominio degli uni sugli altri. La libertà  è
sacra come l'individuo, del quale essa rappresenta la vita. Dove non è  libertà,
la vita è ridotta ad una pura funzione organica. Lasciando che  la  sua  libertà
sia violata, l'uomo tradisce la propria natura e si ribella contro i decreti  di
Dio. Non v'è libertà dove una casta, una  famiglia,  un  uomo  s'assuma  dominio
sugli altri in virtù d'un preteso  diritto  divino,  in  virtù  d'un  privilegio
derivato dalla nascita, o in virtù di ricchezza. La libertà dev'essere per tutti
e davanti a tutti. Dio non delega la sovranità ad alcun individuo; quella  parte
di sovranità che può essere rappresentata sulla nostra terra  è  da  Dio  fidata
all'umanità, alle Nazioni, alla Società.  Ed  anche  quella  cessa  e  abbandona
quelle frazioni collettive dell'Umanità, quand'esse non  la  dirigono  al  bene,
all'adempimento del disegno previdenziale Non esiste dunque Sovranità di diritto
in alcuno; esiste una sovranità dello scopo e degli atti che  vi  si  accostano.
Gli atti e lo scopo verso cui camminiamo devono essere sottomessi al giudizio di
tutti. Non v'è dunque né può esservi sovranità  permanente.  Quella  istituzione
che si chiama Governo non è se non  una  Direzione:  una  missione  affidata  ad
alcuni per raggiungere più sollecitamente lo scopo della Nazione;  e  se  quella
missione è tradita, il potere di direzione fidato a  quei  pochi  deve  cessare.
Ogni uomo chiamato al Governo è un  amministratore  del  pensiero  comune:  deve
essere eletto,  e  sottomesso  a  revoca  ogni  qualvolta  ei  lo  fraintenda  o
deliberatamente lo combatta. Non può esistere dunque, ripeto, casta  o  famiglia
che ottenga il  Potere  per  diritto  proprio,  senza  violazione  della  vostra
libertà. Come potreste chiamarvi liberi davanti ad  uomini  ai  quali  spettasse
facoltà di  comando  senza  vostro  consenso?  la  Repubblica  è  l'unica  forma
legittima e logica di Governo. Voi non avrete padrone fuorché Dio nel cielo e il
Popolo sulla terra. Quando avete scoperto una linea della Legge, dei  voleri  di
Dio, dovete, benedicendo, eseguirla. Quando il Popolo, l'unione  collettiva  dei
vostri fratelli, dichiara che tale è la sua credenza, dovete piegar la  testa  e
astenervi da ogni atto di ribellione. Ma vi son cose che costituiscono il vostro
individuo e sono essenziali alla vita umana. E su queste neppure  il  popolo  ha
signoria. Nessuna maggioranza, nessuna forza collettiva può rapirvi ciò  che  vi
fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretar la  tirannide  e  spegnere  o
alienare la propria libertà. Contro il popolo suicida che ciò facesse,  voi  non
potete usar la forza, ma vive e vivrà eterno in ciascun di  voi  il  diritto  di
protesta nei modi che le circostanze vi suggeriranno. Voi dovete  avere  libertà
in tutto ciò ch'è indispensabile ad alimentare, moralmente e  materialmente,  la
vita. Libertà personale: libertà di locomozione: libertà di credenza  religiosa:
libertà d'opinione su tutte le cose: libertà d'esprimere colla stampa o in  ogni
altro modo pacifico il vostro pensiero:  libertà  di  associazione  per  poterlo
fecondare col contatto  nel  pensiero  altrui:  libertà  di  traffico  pei  suoi
prodotti son tutte cose che nessuno può togliervi, salvo alcune rare  eccezioni,
ch'or non importa il dire, senza grave ingiustizia, senza che sorga  in  voi  il
dovere di protestare. Nessuno ha diritto, in nome della Società, d'imprigionarvi
e di sottomettervi a restrizioni  personali  o  invigilamento,  senza  dirvi  il
perché,  senza  dirvelo   col   minore   indugio   possibile,   senza   condurvi
sollecitamente davanti al potere  giudiziario  del  paese.  Nessuno  ha  diritto
d'inceppare con restrizioni di passaporti od  altro  il  vostro  trasferirvi  di
parte in  parte  della  terra  che  è  vostra  Patria.  Nessuno  ha  diritto  di
persecuzione, d'intolleranza, di legislazione esclusiva  sulle  vostre  opinioni
religiose: nessuno, fuorché la grande pacifica voce dell'umanità, ha diritto  di
frapporsi fra Dio e la vostra coscienza. Dio vi ha dato il Pensiero: nessuno  ha
diritto di vincolarlo o sopprimerne l'espressione, ch'è la comunione  dell'anima
vostra coi vostri fratelli e l'unica via di progresso  che  abbiamo.  La  stampa
dev'essere illimitatamente libera: i diritti dell'intelletto  sono  inviolabili,
ed ogni censura preventiva è tirannide: la Società  può,  come  tutte  le  altre
colpe, punire  soltanto  le  colpe  di  stampa:  la  predicazione  del  delitto,
l'insegnamento dichiaratamente immorale: la punizione  in  virtù  d'un  giudizio
solenne è  conseguenza  della  responsabilità  umana,  mentre  ogni  intervenuto
anteriore è negazione della libertà. L'associazione pacifica  è  santa  come  il
pensiero: Dio ne poneva in voi la tendenza come avviamento perenne al  progresso
e pegno dell'Unità che la famiglia umana  deve  un  giorno  raggiungere:  nessun
potere ha diritto d'impedirla o di limitarla. Ciascun di  voi  ha  dover  d'usar
della vita che Dio gli diede, di serbarla, di  svilupparla;  a  ciascun  di  voi
corre quindi debito di lavoro, solo mezzo di sostenerla materialmente: il lavoro
è sacro:  nessun  ha  diritto  di  vietarlo,  d'incepparlo  o  di  renderlo  con
regolamenti arbitrari impossibile: nessuno ha diritto di restringere  il  libero
traffico de' suoi prodotti: la terra che v'è  Patria  è  il  vostro  mercato,  e
nessuno può limitarlo. Ma quando avrete ottenute che queste libertà siano sacre,
quando avrete finalmente costituito lo Stato sul voto di tutti  e  in  modo  che
l'individuo abbia schiuse davanti a lui tutte le vie che possono  condurre  allo
sviluppo delle sue facoltà - allora, ricordatevi che al di sopra di  ciascun  di
voi sta lo scopo che è vostro dovere raggiungere: perfezionamento morale  vostro
e d'altrui, comunione più sempre  intima  e  vasta  fra  tutti  i  membri  della
famiglia umana, sì che un giorno essa non riconosca che  una  sola  Legge.  "Voi
dovete formare la famiglia universale, edificare la Città di  Dio,  tradurre  in
fatto progressivamente,  con  un  continuo  lavoro,  l'opera  sua  nell'umanità.
Quando,  amandovi  gli  uni  cogli  altri  come  fratelli,  voi  vi   tratterete
reciprocamente sì come tali, e ciascuno, cercando il proprio bene  nel  bene  di
tutti, i propri interessi negl'interessi di tutti, pronto sempre a  sacrificarsi
per tutti i membri della comune famiglia, egualmente pronti a  sacrificarsi  per
lui, i più tra i mali che pesano in oggi sulla razza umana  spariranno,  come  i
vapori addensati all'orizzonte spariscono al levarsi del sole:  e  ciò  che  Dio
vuole si compirà: però che è suo decreto che l'amore, unendo a poco  più  sempre
strettamente gli elementi dispersi dell'umanità, e ordinandoli in un sol  corpo,
essa sia una com'egli è uno".(11) Le parole or citate d'un uomo che visse e mori
santamente e amò il popolo e il suo avvenire d'immenso amore,  non  v'escano,  o
miei fratelli, mai dalla mente. La libertà non è che un mezzo; guai a voi  e  al
vostro avvenire  se  v'avvezzaste  mai  a  guardarla  siccome  fine!  Il  vostro
individuo ha doveri e diritti propri  che  non  possono  essere  abbandonati  ad
alcuno; ma guai a voi ed al vostro avvenire se il rispetto che dovete avere  per
ciò che costituisce la vostra vita individuale  potesse  mai  degenerare  in  un
fatale egoismo! La vostra libertà non è  la  negazione  d'ogni  autorità;  è  la
negazione d'ogni autorità che non rappresenti lo scopo collettivo della Nazione,
e che presuma impiantarsi e mantenersi sovr'altra base che su quella del  libero
spontaneo vostro consenso. Dottrine di sofisti  hanno  in  questi  ultimi  tempi
pervertito il santo concetto della Libertà: gli uni l'hanno ridotto a un  gretto
immorale individualismo, hanno detto che l'io è tutto e che il  lavoro  umano  e
l'ordinamento  sociale  non  devono  tendere  che  al  sodisfacimento  dei  suoi
desiderii: gli altri hanno dichiarato che ogni governo, ogni autorità è un  male
inevitabile, ma da restringersi, da vincolarsi quanto più si può, che la libertà
non ha limiti; che lo scopo d'ogni Società è  unicamente  quello  di  promoverla
indefinitamente; che un uomo ha diritto d'usare e abusare della libertà,  purché
questa non ridondi direttamente nel male altrui: che un governo non ha  missione
fuorché quella d'impedire che un individuo non nuoccia all'altro. Respingete,  o
miei fratelli, queste false dottrine: son  esse  che  indugiano  anche  in  oggi
l'Italia sulle vie  della  sua  grandezza  avvenire.  Le  prime  hanno  generato
l'egoismo di classe, le seconde fanno d'una società che deve, se  ben  ordinata,
rappresentare il vostro scopo e la vostra vita  collettiva,  non  altro  che  un
birro o un soldato di polizia incaricato di mantenere una pace apparente;  tutte
trascinano la libertà ad essere un'anarchia: cancellano l'idea di  miglioramento
morale collettivo; cancellano la missione educatrice, la missione  di  Progresso
che la società deve assumersi. Se voi potete intendere a questo modo la Libertà,
voi meritereste di perderla, e, presto o tardi, la perdereste. La vostra Libertà
sarà santa, perché si svilupperà sotto il predominio dell'idea del Dovere, della
Fede nel perfezionamento comune. La vostra Libertà fiorirà  protetta  da  Dio  e
dagli uomini, perch'essa non sarà il diritto  d'usare  e  abusare  delle  vostre
facoltà nella direzione che a voi piaccia di scegliere, ma  perch'essa  sarà  il
diritto di scegliere liberamente, a seconda delle vostre tendenze, i  mezzi  per
fare il bene.


Capitolo nono Educazione Dio v'ha  fatti  educabili.  Voi  dunque  avete  dovere
d'educarvi per quanto  è  in  voi,  e  diritto  a  che  la  società  alla  quale
appartenete non v'impedisca nella vostra opera educatrice, v'aiuti in essa e  vi
supplisca, quando i mezzi d'educazione vi manchino. La vostra libertà, i  vostri
diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali ingiuste, la missione che
ciascun di voi deve compiere qui sulla terra dipendono dal grado  di  educazione
che vi è dato raggiungere. Senza educazione voi non potete scegliere giustamente
fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza dei vostri  diritti,  non
potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza della quale  non
riuscirete ad emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra  missione.
L'Educazione è il pane delle anime vostre. Senz'essa, le vostre facoltà  dormono
assiderate, infeconde, come  la  potenza  di  vita  che  cova  nel  germe  dorme
sterilita,  s'esso  è  cacciato  in  terreno  non  dissodato,  senza   benefizio
d'irrigazione e cure d'assiduo coltivatore. Oggi, voi, o non avete educazione  o
l'avete da uomini e da poteri che nulla rappresentano fuorché se stessi  e,  non
servendo a un principio regolatore, sono condannati essenzialmente a mutilarla o
falsarla. I meno tristi fra i vostri educatori credono aver sodisfatto al debito
loro, quando hanno inegualmente aperto  sul  territorio  che  reggono  un  certo
numero di scuole dove  i  vostri  figli  possono  ricevere  un  grado  qualunque
d'insegnamento  elementare.  Questo  insegnamento  consiste  principalmente  nel
leggere, scrivere e computare. Insegnamento siffatto  si  chiama  istruzione;  e
differisce dall'educazione quanto i  nostri  organi  differiscono  dalla  nostra
vita. I nostri organi non sono la vita; non ne sono  che  semplici  stromenti  e
mezzi di manifestarla; non la signoreggiano, non la dirigono:  possono  tradurre
in fatti la vita più santa e la più corrotta. Così  l'istruzione  somministra  i
mezzi per praticare ciò  che  l'educazione  insegna:  ma  non  può  tener  luogo
dell'educazione. L'educazione s'indirizza alle facoltà morali; l'Istruzione alle
intellettuali. La prima sviluppa nell'uomo la conoscenza  dei  suoi  doveri;  la
seconda rende  l'uomo  capace  di  praticarli.  Senza  istruzione,  l'educazione
sarebbe troppo sovente inefficace; senza educazione  l'istruzione  sarebbe  come
una leva mancante d'un punto d'appoggio. Voi sapete leggere: che monta,  se  non
sapete in quali libri si  trovi  l'errore,  in  quali  la  verità?  Voi  sapete,
scrivendo, comunicare i vostri pensieri ai vostri fratelli: che importa,  quando
i vostri pensieri  non  accennassero  che  ad  egoismo?  L'istruzione,  come  la
ricchezza, può essere sorgente di bene e di  male  a  seconda  delle  intenzioni
colle quali s'adopra: consacrata al progresso di tutti, è mezzo di incivilimento
e di libertà; rivolta  all'utile  proprio,  diventa  mezzo  di  tirannide  e  di
corruttela. Oggi in Europa l'istruzione, scompagnata da un grado  corrispondente
di educazione morale, è piaga gravissima che mantiene l'ineguaglianza fra classe
e classe d'uno stesso popolo e inchina gli animi al calcolo,  all'egoismo,  alle
transazioni fra il giusto e l'ingiusto, alle false dottrine. La distinzione  fra
gli uomini i quali vi offrono più o meno istruzione  e  quei  che  vi  predicano
educazione, è più grave che voi non pensate, e merita  ch'io  vi  spenda  alcune
parole. Due dottrine, due scuole, dividono il campo di quei che  combattono  per
la libertà contro il dispotismo. La prima  dichiara  che  la  sovranità  risiede
nell'individuo: la seconda sostiene ch'essa  vive  unicamente  nella  società  e
prende a norma il consenso manifestato dalla maggioranza. La  prima  crede  aver
compiuto la propria missione quando ha proclamato  i  diritti  creduti  inerenti
alla natura umana e tutelato la libertà; la seconda guarda quasi  esclusivamente
all'associazione, e  desume  dal  patto  che  la  costituisce  i  doveri  d'ogni
individuo. La prima non vede più in là di ciò che io chiamai istruzione,  perché
l'istruzione tende infatti a dare facilità di sviluppo,  senza  norma  generale,
alle facoltà individuali: la seconda intende la necessità  d'un'educazione  ch'è
per essa la manifestazione del programma sociale. La prima guida inevitabilmente
all'anarchia morale, la seconda, se dimentica i  diritti  della  libertà,  corre
rischio di cadere nel dispotismo della maggioranza. Alla prima apparteneva tutta
quella generazione di uomini  chiamati  in  Francia  dottrinari,  che  tradì  le
speranze  del  Popolo  dopo  la  rivoluzione  del  1830,  e   gridando   libertà
d'istruzione e  non  altro,  perpetuò  il  monopolio  governativo  nella  classe
borghese che ha più mezzi per dare sviluppo alle proprie facoltà individuali: la
seconda non è sventuratamente rappresentata  in  oggi  che  da  Sette  e  Poteri
appartenenti a vecchie credenze, ostili al dogma  dell'avvenire,  il  Progresso.
Tutte due quelle scuole peccano  di  tendenze  anguste,  esclusive.  Il  vero  è
questo: La sovranità è in Dio, nella Legge morale,  nel  disegno  provvidenziale
che governa il mondo e  ch'è  via  via  rivelato  dalle  ispirazioni  del  Genio
virtuoso e dalle tendenze dell'Umanità nelle epoche diverse della  sua  vita:  e
nello scopo che bisogna raggiungere, nella missione che bisogna compiere. Non  è
sovranità nello individuo, non è nella società, se non in quanto l'uno è l'altra
s'uniformino a quel disegno, a quella Legge, e si dirigono a  quello  scopo.  Un
individuo o è il migliore interprete della Legge morale e governa in suo nome, o
è  un  usurpatore  da  rovesciarsi.  Il  semplice  voto  d'una  maggioranza  non
costituisce sovranità, se avversa evidentemente alle  norme  morali  supreme,  o
chiuda deliberatamente la  via  al  Progresso  futuro.  Bene  sociale,  Libertà,
Progresso: al di fuori  di  questi  tre  termini  non  può  esistere  sovranità.
L'educazione  insegna  qual  sia  il   Bene   sociale.   L'istruzione   assicura
all'individuo la libera scelta dei mezzi per ottenere  un  progresso  successivo
nel concetto del bene. A voi importa prima d'ogni altra cosa che i vostri  figli
imparino quale insieme di principii e credenze diriga la vita dei loro  fratelli
nel tempo in cui sono chiamati a vivere e nella terra ch'è stata loro assegnata:
quale sia il programma morale, sociale e politico della loro Nazione: - quale lo
spirito della legislazione dalla quale le opere loro debbono venire giudicate: -
quale  il  grado  del  progresso  raggiunto  dall'Umanità:  -  quale  quello  da
raggiungersi. E v'importa ch'essi sentano fin dai primi anni giovanili di essere
stretti in uno spirito d'eguaglianza e d'amore  verso  un  intento  comune,  coi
milioni di fratelli dati loro da Dio. L'educazione,  che  deve  dare  ai  vostri
figli  insegnamento  siffatto,  non  può  venire  che   dalla   Nazione.   Oggi,
l'insegnamento morale è anarchia. Lasciato esclusivamente ai padri, è nullo dove
la miseria e la necessità d'un lavoro materiale quasi continuo tolgono  ad  essi
tempo per educare e mezzi per sostituire  educatori  a  se  stessi,  tristo,  se
l'egoismo e  la  corruttela  hanno  pervertita  e  contaminata  la  famiglia.  I
fanciulli sono dati a tendenze superstiziose o materialiste,  di  libertà  o  di
rassegnazione codarda, di aristocrazia  o  di  reazione  contr'essa,  a  seconda
dell'istitutore prete o laico, che le tendenze paterne  scelgono  dove  esistono
mezzi. Come possono, cresciuti a gioventù, affratellarsi in concordia d'opere  e
rappresentare in sé l'unità del paese? La società  li  chiama  a  promuovere  lo
sviluppo d'una idea comune alla quale non furono iniziati  mai.  La  società  li
punisce per violazioni di leggi talora ignote, e delle quali  lo  spirito  e  lo
scopo non sono insegnati mai dalla società al cittadino. La società desidera  da
essi cooperazione e sacrificio per un fine che nessuna  scuola  svolge  ad  essi
sull'aprirsi della loro vita civile. Strano a dirsi: gli uomini della  dottrina,
alla quale ho accennato poc'anzi riconoscono in  ciascun  individuo  il  diritto
d'ammaestrare i giovani: non lo riconoscono nell'associazione  di  tutti,  nella
Nazione. Il  loro  grido,  libertà  d'insegnamento  disereda  la  Patria  d'ogni
direzione morale. Dichiarano importantissima l'unità del sistema monetario e dei
pesi; l'unità dei principii sui quali la vita nazionale deve avere fondazione  e
sviluppo, è nulla per essi. Voi non dovete lasciarvi adescare da quel grido  che
tutti quasi i fautori moderni di Costituzioni ripetono l'uno dopo l'altro. Senza
Educazione Nazionale non esiste moralmente Nazione. La coscienza  nazionale  non
può uscir che da quella. Senza Educazione Nazionale comune a tutti i  cittadini:
eguaglianza di doveri e di diritti è formola vuota di senso, la  conoscenza  dei
doveri, la possibilità dell'esercizio dei diritti, sono lasciate al  caso  della
fortuna e all'arbitrio di chi sceglie l'educatore. Gli uomini che si  dichiarano
avversi all'unità della educazione invocano la  libertà.  Libertà  di  chi?  Dei
padri o dei figli? La  libertà  dei  figli  è  violata,  nel  loro  sistema  dal
dispotismo paterno:  la  libertà  delle  giovani  generazioni  sacrificate  alle
vecchie: la libertà di progresso diventa  illusione.  Le  credenze  individuali,
false forse ed avverse al progresso, sono trasmesse sole e autorevoli, di  padre
in figlio, nell'età in cui l'esame è impossibile: più  tardi,  nelle  condizioni
dei più tra voi, la fatalità d'un  lavoro  materiale  di  tutte  l'ore,  vieterà
all'anima  giovane,  nella  quale  si  saranno  stampate  quelle  credenze,   di
raffrontarle con altre e modificarle. In nome di quella  libertà  menzognera  il
sistema anarchico del quale io vi parlo tende a fondare o perpetuare il  pessimo
fra i dispotismi, la casta  morale.  Ciò  che  quel  sistema  protegge  ha  nome
arbitrio non libertà. Libertà vera non esiste senza eguaglianza, e l'eguaglianza
non può esistere fra chi non move da una base, da un principio  comune,  da  una
coscienza uniforme del Dovere. La libertà non si esercita che al di là di quella
coscienza. Io vi dissi poche pagine addietro che la Libertà  vera  non  consiste
nel diritto di scegliere il male, ma nel diritto di scegliere  fra  le  vie  che
conducono al bene. La libertà che invocano quei falsi filosofi è l'arbitrio dato
al padre di scegliere il male pel  figlio.  Che?  Se  un  padre  minacciasse  di
mutilazione, di un guasto qualunque il  corpo  del  suo  fanciullo,  la  società
interverrebbe invocata da tutti; e l'anima, la mente di  quell'essere,  sarà  da
meno del corpo?  La  società  non  potrà  proteggerla  dalla  mutilazione  delle
facoltà, l'ignoranza dalla deviazione del senso morale, la  superstizione?  Quel
grido di libertà d'insegnamento sorgeva giovevole un  tempo  e  sorge  giovevole
anch'oggi dovunque l'educazione morale è un monopolio  d'un  governo  dispotico,
d'una casta retrograda,  d'un  sacerdozio  avverso,  per  natura  di  dogma,  al
Progresso: fu un'arme contro la tirannide; una parola d'emancipazione imperfetta
ma indispensabile. Giovatevene ovunque siete schiavi. Ma io vi parlo d'un  tempo
in cui la fede religiosa avrà scritto sulle porte del tempio la parola PROGRESSO
e  tutte  le  istituzioni  ripeteranno  sotto  varie  forme  quella  parola,   e
l'Educazione Nazionale dirà sul  finire  dell'insegnamento  all'allievo:  a  te,
destinato a vivere sotto un Patto comune fra  noi;  noi  abbiam  detto  le  basi
fondamentali di quel Patto, i Principii nei quali crede in oggi la tua  Nazione;
ma bada che il primo fra quei principii è Progresso; bada che  la  tua  missione
d'uomo e di cittadino è quella di migliorare, ove tu possa, la mente e  il  core
dei tuoi fratelli: va, esamina, raffronta; e se scopri verità superiore a quella
che noi crediamo di possedere, promulgala arditamente  e  avrai  la  benedizione
della  tua  Patria.  Allora,  non  prima,  respingete  quel  grido  di   libertà
d'insegnamento come ineguale ai vostri bisogni e funesto all'Unità della Patria;
chiedete, esigete, l'impianto  d'un  sistema  d'educazione  nazionale  gratuita,
obbligatoria per tutti. La Nazione deve ad ogni cittadino  la  trasmissione  del
suo programma. Ogni cittadino deve ricevere nelle scuole l'insegnamento morale -
un  corso  di  nazionalità  comprendente  un  quadro  sommario   dei   progressi
dell'Umanità, la Storia  Patria  e  l'esposizione  popolare  dei  principii  che
reggono la legislazione del paese - e l'istruzione elementare intorno alla quale
non v'è dissenso. Ogni cittadino deve imparare in esse l'eguaglianza e  l'amore.
Trasmesso quel programma, la libertà ripiglia  i  suoi  diritti.  Non  solamente
l'insegnamento della famiglia, ma ogni altro  è  sacro.  Ogni  uomo  ha  diritto
illimitato di comunicare  ad  altri  le  proprie  idee:  ogni  uomo  ha  diritto
d'ascoltarlo. La Società deve proteggere, incoraggiare la libera espressione del
pensiero, sotto ogni forma; e aprire ogni via perché il programma sociale  possa
svilupparsi e modificarsi pel bene.



Capitolo decimo Associazione - Progresso Dio v'ha fatti sociali  e  progressivi.
Voi dunque avete dovere d'associarvi e di progredire quanto  comporta  la  sfera
d'attività, nella quale le circostanze vi collocarono, e avete diritto a che  la
società alla quale appartenete non v'impedisca nella vostra opera d'associazione
e di progresso, v'aiuti in essa e vi supplisca, quando i mezzi d'associazione  e
di progresso vi manchino. La libertà vi dà facoltà di scegliere fra il  bene  ed
il male, cioè fra il dovere e l'egoismo. L'educazione deve insegnarvi la scelta.
L'associazione deve darvi le forze colle quali potrete  tradurre  la  scelta  in
atto. Il progresso è il fine a cui dovete mirare scegliendo, ed è ad  un  tempo,
quando è visibilmente compito, la prova che non v'ingannaste nella scelta.  Dove
una sola di queste  condizioni  è  tradita  o  negletta,  non  esiste  uomo,  né
cittadino o esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.  Voi  dunque  dovete
combattere per tutte, e segnatamente pel diritto d'Associazione, senza il  quale
la Libertà e l'Educazione riescono inutili. Il diritto d'Associazione  è  sacro,
come la Religione ch'è l'associazione delle anime. Voi siete tutti figli a  Dio:
siete dunque fratelli: e chi  può  senza  delitto  limitare  l'associazione,  la
comunione  fra  fratelli?  Questa   parola   comunione,   ch'io   ho   proferita
pensatamente, vi fu detta dal Cristianesimo, che gli  uomini  dichiararono,  nel
passato, religione immutabile e non è  se  non  un  gradino  sulla  scala  delle
manifestazioni religiose dell'Umanità. Ed è una santa parola. Essa  diceva  agli
uomini che erano una sola famiglia d'eguali in Dio; e riuniva il  signore  e  il
servo in un solo pensiero di salvezza, di speranza e di amore pel Cielo. Era  un
immenso progresso sui  tempi  anteriori,  quando  popolo  e  filosofi  credevano
l'anime dei cittadini e degli schiavi essere di diversa  natura.  E  bastava  al
Cristianesimo quella missione. La comunione era il  simbolo  dell'eguaglianza  e
della fratellanza dell'anime; e spettava all'Umanità d'ampliare e sviluppare  la
verità nascosta in quel simbolo. La Chiesa nol  poteva  e  nol  fece.  Timida  e
incerta a principio, alleata coi signori e col potere temporale più  appresso  e
imbevuta, anche per utile proprio, d'una tendenza all'aristocrazia che  non  era
nello spirito  del  fondatore,  essa  smarrì  di  tanto  la  via,  che  diminuì,
retrocedendo, il valore della Comunione, limitandola pei  laici  alla  comunione
nel solo pane e serbando ai sacerdoti la comunione sotto le due specie. D'allora
in poi, il grido di quanti sentivano  il  diritto  d'una  comunione  illimitata,
senza distinzione fra ecclesiastici e laici, per tutta quanta la famiglia umana,
fu: comunione sotto le due specie al popolo: il calice al popolo! Nel XV secolo,
quel grido fu grido di moltitudini sollevate, preludio  alla  Riforma  religiosa
santificato dal martirio. Un santo uomo, Giovanni Huss di Boemia, capo  di  quel
moto, perì tra le fiamme accese dall'Inquisizione. Oggi i più tra  voi  ignorano
la storia di  quelle  lotte  e  le  credono  lotte  di  fanatici  per  questioni
semplicemente teologiche. Ma quando, la Storia, fatta  popolare  dell'Educazione
Nazionale, v'avrà  insegnato  come  ogni  progresso  nella  questione  religiosa
trascini un progresso corrispondente nella vita civile,  intenderete  il  giusto
valore di quelle contese, e onorerete la memoria di quei martiri come di  vostri
benefattori. Noi dobbiamo a questi martiri e a quei che li precedettero se  oggi
sappiamo che non v'è casta privilegiata tra Dio e gli uomini; che i migliori per
virtù e per sapienza di cose divine ed umane possono  e  devono  consigliarci  e
dirigerci sulle vie del bene, ma senza monopolio  di  potenza  o  supremazia  di
classe; e che il diritto di comunione è eguale per tutti. Ciò che  è  santo  nel
Cielo è santo sulla Terra. E la Comunione degli  uomini  in  Dio  porta  con  sé
l'associazione degli uomini nella vita terrestre. L'associazione religiosa delle
anime genera il diritto dell'associazione nelle facoltà e nell'opere  che  fanno
realtà del pensiero. Sia dunque l'associazione dovere e diritto per voi. Taluni,
a limitarne il diritto fra i cittadini,  vi  diranno  che  l'associazione  è  lo
Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete esserne tutti membri: e che  quindi
ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato  o  superflua.  Ma  lo
Stato, la Nazione non rappresentano  se  non  l'associazione  dei  cittadini  in
quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che  ne  sono
parte. Esistono tendenze e fini  che  non  abbracciano  tutti  i  cittadini,  ma
solamente un certo numero d'essi. E come le tendenze e il fine  comune  a  tutti
generano la Nazione, le tendenze e il fine comune a  parecchi  fra  i  cittadini
devono generare l'associazione speciale. Poi - e questa è base  fondamentale  al
diritto d'associazione - l'associazione è  la  mallevadoria  del  Progresso.  Lo
Stato rappresenta una certa somma, un  certo  insieme  di  principii  nei  quali
l'università dei cittadini consente nel periodo  in  cui  lo  Stato  è  fondato.
Ponete che un nuovo e vero principio, un  nuovo  e  ragionevole  sviluppo  delle
verità che danno vita allo Stato, s'affaccino a taluni  fra  i  cittadini:  come
potranno diffonderne, senza associarsi, la conoscenza? Ponete che in conseguenza
di scoperte scientifiche, di nuove comunicazioni aperte fra popoli  e  popoli  o
d'altra cagione, si manifesti, per un certo numero  d'uomini  appartenenti  allo
Stato,  un  nuovo  interesse:  come  potranno  quei  che  lo   intendono   primi
conquistargli luogo fra gli interessi da lungo esistenti se non affratellando  i
propri mezzi, le proprie forze? L'inerzia, il riposo nella  condizione  di  cose
esistente e sancita dal comune consenso, sono  troppo  connaturali  agli  animi,
perché  un  solo  individuo  possa,  colla  sua  parola,  scoterli  e  vincerli.
L'associazione  d'una  minoranza  di  giorno  in  giorno   crescente   lo   può.
L'associazione  è  il  metodo  dell'avvenire.  Senz'essa,  lo  Stato  rimarrebbe
immobile, incatenato al grado raggiunto di civiltà. L'associazione  deve  essere
progressiva nel fine a cui tende, non  contraria  alle  verità  conquistate  per
sempre dal consenso universale dell'Umanità e della  Nazione.  Una  associazione
che s'impiantasse per agevolare il furto dell'altrui proprietà, una associazione
che facesse obbligo  a'  suoi  membri  della  poligamia,  una  associazione  che
dichiarasse doversi sciogliere la  Nazione  o  predicasse  lo  stabilimento  del
Dispotismo sarebbe illegale. La Nazione ha diritto di dire a' suoi  membri:  noi
non possiamo tollerare che si diffondano in mezzo a noi dottrine  violatrici  di
ciò che costituisce la natura umana, la Morale, la Patria.  Escite  e  stabilite
fra voi al di là dei nostri confini, l'associazione che le  vostre  tendenze  vi
suggeriscono. L'associazione deve essere pacifica. Essa non può avere  altr'arme
che l'apostolato della parola: deve proporsi di persuadere, non di  costringere.
L'associazione deve essere pubblica. Le associazioni  segrete,  arme  di  guerra
legittima dove non è Patria, né Libertà, sono illegali e possono essere  sciolte
dalla Nazione quando  la  Libertà  è  diritto  riconosciuto,  quando  la  Patria
protegge lo sviluppo e l'inviolabilità  del  pensiero.  Se  l'associazione  deve
schiudere la via  al  Progresso,  essa  dev'essere  sottomessa  all'esame  e  al
giudizio di tutti. E finalmente  l'Associazione  deve  rispettare  in  altrui  i
diritti  che  sgorgano  dalle  condizioni  essenziali  dell'umana  natura.   Una
associazione che violasse, come le corporazioni del medio evo,  la  libertà  del
lavoro  o  tendesse  direttamente  a  restringere  la   libertà   di   coscienza
potrebb'essere respinta, governativamente, dalla Nazione. Da  questi  limiti  in
fuori, la libertà d'associazione fra' cittadini è sacra,  inviolabile,  come  il
progresso che ha vita  in  essa.  Ogni  governo  che  s'attentasse  restringerla
tradirebbe la missione  sociale:  il  popolo  dovrebbe,  prima  ammonirlo,  poi,
esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo. E son queste, o miei fratelli,  le  basi
principali sulle quali  poggiano  i  vostri  Doveri,  le  sorgenti  dalle  quali
scendono i vostri Diritti. Infinite  sono  le  questioni  speciali  che  possono
sorgere nella vostra vita civile; ma non è parte di questo lavoro  prevederle  e
aiutarvi a scioglierle.  Intento  unico  del  mio  lavoro  era  additarvi,  come
fiaccole sulla via, i principii che devono predominare su tutte e  nella  severa
applicazione dei quali troverete sempre modo di scioglierle.  E  parmi  d'averlo
fatto. V'ho additato Dio come sorgente del Dovere e pegno d'eguaglianza tra  gli
uomini: - la legge morale come sorgente  d'ogni  legge  civile,  e  base  d'ogni
vostro giudizio sulla condotta di chi  fa  le  legge  -  il  popolo,  voi,  noi,
l'universalità dei cittadini che formano la  Nazione,  come  il  solo  legittimo
interprete della legge e sorgente d'ogni potere  politico.  V'ho  detto  che  il
carattere fondamentale della legge è Progresso: progresso, indefinito,  continuo
d'epoca  in  epoca:  progresso  in  ogni  ramo   d'attività   umana,   in   ogni
manifestazione del pensiero,  dalla  religione  fino  all'industria,  fino  alla
distribuzione della ricchezza. V'ho accennato quali sono i vostri  doveri  verso
l'Umanità, verso la Patria, verso la Famiglia, verso Voi stessi.  E  ho  desunto
quei doveri dalle condizioni che costituiscono la creatura umana e ch'è  obbligo
vostro di  sviluppare.  Quelle  condizioni,  inviolabili  in  ogni  uomo,  sono:
libertà, edificabilità, socialità, capacità, necessità di progresso. E  da  quei
caratteri senza i quali non esiste  uomo  né  cittadino,  ho  desunto  i  vostri
diritti e le condizioni generali del Governo che voi dovete cercare alla Patria.
Non dimenticate mai quei principii. Vigilate a ciò che non  siano  violati  mai.
Incarnateli in voi. Sarete liberi e migliorerete. Il lavoro ch'io ho impreso per
voi sarebbe dunque compito,  se  una  tremenda  obbiezione  non  sorgesse  dalle
viscere della società com'è oggi ordinata  contro  la  possibilità  di  compiere
doveri, d'esercitar  quei  diritti:  l'ineguaglianza  dei  mezzi.  Per  compiere
doveri, per esercitare diritti, sono necessari: tempo,  sviluppo  intellettuale,
certezza di vita fisica. Or,  moltissimi  fra  voi  non  hanno  in  oggi  questi
elementi di progresso. La  loro  vita  è  una  continua  incerta  battaglia  per
conquistare i mezzi di sostenere l'esistenza materiale. Non si tratta  per  essi
di progredire; si tratta di vivere. Esiste dunque un vizio  radicale,  profondo,
nella società com'è in oggi ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile  s'io  non
definissi quel vizio e non v'additassi  la  via  di  correggerlo.  La  questione
economica sarà dunque soggetto di una ultima parte del mio lavoro.


Capitolo undicesimo Questione economica § 1°

Molti, troppi fra voi, sono poveri. Per i tre quarti  almeno  degli  uomini  che
appartengono alla classe operaia, agricola o industriale, la vita  è  una  lotta
d'ogni giorno  per  conquistarsi  i  mezzi  indispensabili  all'esistenza.  Essi
lavorano colle loro  braccia  dieci,  dodici,  talvolta  quattordici  ore  della
giornata, e da questo assiduo, monotono, penoso  lavoro,  ritraggono  appena  il
necessario alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di  progredire,  parlar
loro di vita  intellettuale  e  morale,  di  diritti  politici,  di  educazione,
nell'ordine sociale attuale, è una vera ironia. Essi non hanno  tempo  né  mezzi
per progredire. Spossati, affranti, pressoché istupiditi da una vita spesa in un
cerchio di poche operazioni meccaniche,  essi  v'imparano  un  muto,  impotente,
spesso ingiusto rancore contro la classe degli uomini, che l'impiegano;  cercano
l'oblio dei dolori presenti e dell'incertezza del  domani  negli  stimoli  delle
forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali  è  meglio  adatto  il  nome  di
covile che non quello di stanza, per  ridestarsi  allo  stesso  esercizio  delle
forze fisiche. È tristissima condizione e bisogna mutarla. Voi siete  uomini,  e
come tali avete facoltà, non solamente fisiche, ma intellettuali e morali, che è
vostro dovere di sviluppare:  dovete  essere  cittadini,  e  come  tali,  dovete
esercitare, pel bene di tutti, diritti i quali  richiedono  un  certo  grado  di
educazione, una certa somma di tempo. È chiaro che voi  dovete  lavorar  meno  e
guadagnare più che oggi non fate. Figli tutti di Dio e fratelli  in  Lui  e  tra
noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande famiglia. In  questa  famiglia
possono esistere disuguaglianze generate dalle diverse abitudini, dalle  diverse
capacità, dal diverso desiderio di lavoro; ma un principio deve  signoreggiarla:
qualunque è disposto a dare pel bene di tutti, ciò ch'ei  può  di  lavoro,  deve
ottenere compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria
vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono.  È  questo  l'ideale  al  quale
dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci più sempre di secolo in  secolo.  Ogni
mutamento, ogni rivoluzione che non vi s'accosti  d'un  passo,  che  non  faccia
corrispondere al progresso politico un progresso sociale, che non promuova  d'un
grado il miglioramento materiale delle classi più povere, viola  il  disegno  di
Dio, si riduce  a  una  guerra  di  fazioni  contro  fazioni  in  cerca  di  una
dominazione illegittima: è una menzogna  ed  un  male.  Ma  fino  a  qual  punto
possiamo raggiungere oggi lo scopo? E come, per quali vie possiamo raggiungerlo?
Taluni fra i vostri più timidi amici hanno cercato  il  rimedio  nella  moralità
dell'operaio. Fondando casse di risparmio  o  altre  simili  istituzioni,  hanno
detto agli operai: recate qui il vostro soldo: economizzate: astenetevi da  ogni
eccesso nella bevanda o in altro: emancipatevi dalla miseria colle privazioni. E
sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione  dell'operaio,  senza  la
quale tutte le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono la questione di miseria
intorno alla quale io vi parlo, né tengono  conto  alcuno  del  dovere  sociale.
Pochissimi tra voi possono economizzare quel soldo. E quei  pochissimi  possono,
accumulando lentamente, provvedere in parte agli anni della vecchiaia, mentre la
quistione economica deve mirare a provvedere agli anni  virili,  allo  sviluppo,
all'espansione possibile della vita quando è attiva  e  potente  e  può  giovare
efficacemente al progresso della Patria e dell'Umanità. Perciò  che  riguarda  i
beni  materiali,  la  questione  sta  nel  come  accrescere  la  ricchezza,   la
produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società  che  vive
del lavoro e chiede, ogni qualvolta è minacciata, tributo di sangue ai figli del
popolo ha debiti sacri verso di loro. Altri, non nemici,  ma  poco  curanti  del
popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli  uomini  del  lavoro,
paurosi  d'ogni  innovazione  potente,  e  legati  a  una  scuola  detta   degli
economisti, che combatté con merito e con vantaggio  tutte  le  battaglie  della
libertà, dell'industria, ma senza por mente alla necessità  di  progresso  e  di
associazione,  inseparabili  anch'esse  dalla   natura   umana,   sostennero   e
sostengono, come i filantropi dei quali ora parlai, che ciascuno può anche nella
condizione  di  cose  attuale,  edificare  colla  propria  attività  la  propria
indipendenza; che ogni  mutamento  nella  costituzione  del  lavoro  riuscirebbe
superfluo o dannoso; e che la formola ciascuno  per  sé,  libertà  per  tutti  è
sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d'agi e conforti
fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffici interni, libertà
di commercio fra le nazioni, abbassamento  progressivo  delle  tariffe  daziarie
specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle  grandi
imprese industriali, alla  moltiplicazione  delle  vie  di  comunicazione,  alle
macchine che rendono più attiva la produzione:  questo  è  quanto,  secondo  gli
economisti, può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là è,  per  essi,
sorgente di male. Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe  insanabile;
e Dio tolga, o fratelli miei, che io possa mai gittare, convinto, come  risposta
ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata,  atea,
immorale. Dio ha statuito per  voi  un  migliore  avvenire,  che  non  è  quello
contenuto nei rimedi degli economisti. Quei rimedi non  mirano  infatti  che  ad
accrescere possibilmente e per un certo tempo la produzione della ricchezza, non
a farne più equa la distribuzione. Mentre i  filantropi  contemplano  unicamente
l'uomo e s'affannano a renderlo più morale senza farsi carico d'accrescere,  per
dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti non guardano che
a fecondare le sorgenti della produzione senza  occuparsi  dell'uomo.  Sotto  il
regime esclusivo di libertà ch'essi predicano e che ha più o  meno  regolato  il
mondo economico nei tempi a noi  più  vicini,  i  documenti  più  innegabili  ci
mostrano aumento  d'attività  produttrice  e  di  capitali,  non  di  prosperità
universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La
libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non  potendo  risparmiare
sulla giornata, non ha  di  che  iniziare  la  concorrenza,  è  menzogna,  com'è
menzogna la libertà politica per chi mancando di  educazione,  d'istruzione,  di
mezzo e di tempo, non può esercitarne i diritti. L'accrescimento della  facilità
dei traffichi, i progressi nei modi di comunicazione, emanciperebbero a  poco  a
poco il lavoro dalla tirannide del commercio  della  classe  intermedia  fra  la
produzione e i consumatori: ma non giovano a  emanciparlo  dalla  tirannide  del
capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un'equa
distribuzione della ricchezza,  d'un  più  giusto  riparto  dei  prodotti,  d'un
aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia  dal
suo vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece  di
spandersi tutto nella circolazione, si  dirige  verso  la  produzione  d'oggetti
superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione
degli oggetti di prima necessità per la vita o  si  avventura  in  pericolose  e
spesso immorali speculazioni. Oggi il capitale -  e  questa  è  la  piaga  della
Società economica attuale - è despota del lavoro.  Delle  tre  classi  che  oggi
formano economicamente la Società - capitalisti,  cioè  detentori  dei  mezzi  o
strumenti  del   lavoro,   terre,   fattorie,   numerario,   materie   prime   -
intraprenditori,  capilavoro,  commercianti,  che  rappresentano  o   dovrebbero
rappresentare l'intelletto - e operai che rappresentano il lavoro manuale  -  la
prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere,  indugiare,  accelerare
verso certi fini il lavoro. E la sua parte negli utili del  lavoro,  nel  lavoro
della produzione, è comparativamente determinata: la locazione  degli  strumenti
del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino  a  un
certo segno almeno, è suo, non in balìa  dell'assoluto  bisogno.  La  parte  dei
secondi è incerta, dipendente dal  loro  intelletto,  dalla  loro  attività,  ma
segnatamente  dalle  circostanze,  dallo  sviluppo  maggiore  o   minore   della
concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili,
dei capitali. La parte degli ultimi, degli  operai,  è  il  salario  determinato
anteriormente al lavoro e senza  riguardi  agli  utili  maggiori  o  minori  che
esciranno dall'impresa; e i limiti fra  i  quali  il  salario  si  aggira,  sono
determinati dalla relazione che  esiste  fra  il  lavoro  offerto  e  il  lavoro
richiesto, in altri termini, tra la popolazione degli operai ed il capitale.  Or
la prima tendendo all'aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse
che di poco, l'aumento del secondo,  il  salario  tende,  ove  altre  cause  non
s'infrappongano, a scendere. E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le  crisi
finanziarie e politiche, la  subita  applicazione  di  nuove  macchine  ai  rami
diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella  produzione  e  il  suo
frequente soverchio accumularsi in unica  direzione  inseparabile  da  una  poco
illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei  lavoranti  su  certi
punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo  il  lavoro,
non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un  lato  sta
per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione d'ogni patto che gli venga
proposto. Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé d'una piaga che
bisogna curare. I rimedi proposti dagli economisti sono inefficaci per questo. E
nondimeno,  v'è  progresso  nella  condizione  della  classe  alla   quale   voi
appartenete: progresso storico, continuo, che ha superato ben altre  difficoltà.
Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi assalariati. V'emancipaste
dalla schiavitù, dal servaggio; perché non v'emancipereste dal giogo del salario
per diventare  produttori  liberi,  padroni  della  totalità  del  lavoro  della
produzione ch'esce da voi? Perché tra l'opera vostra e  l'opera  della  Società,
che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la  più
grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come  base
economica al consorzio umano il lavoro, come base alla proprietà  i  frutti  del
lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione e il
consumo, senza distinzione di classi, senza  predominio  tirannico  d'uno  degli
elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della stessa madre, la PATRIA?

§ 2°

Il senso di dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al  quale  ho  accennato
finora, andava, mercé sopratutto la predicazione repubblicana,  crescendo  negli
animi e assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero  negli
ultimi  trent'anni,  in  Francia  segnatamente,  alcune  scuole  d'uomini  buoni
generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di  sistema  e
da  vanità  individuale,  che  sotto  nome  di  socialismo  proposero   dottrine
esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già  conquistata  dall'altre
classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine  dei  piccoli
borghesi e suscitando diffidenza  fra  ordini  e  ordini  di  cittadini,  fecero
retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano. In Francia, il
primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile  colpo  di
Stato. Io non posso esaminare con voi ad uno ad uno quei  diversi  sistemi,  che
furono chiamati Sansimonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome.  Fondati
quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla  Fede
del Progresso, le guastavano o le cancellavano coi  mezzi  di  applicazione  che
proponevano falsi o tirannici. Ed è necessario ch'io v'accenni brevemente in che
cosa peccavano, perché le promesse affacciate al popolo  da  quei  sistemi  sono
così splendide che potrebbero  facilmente  sedurvi  e  voi  correreste  rischio,
abbracciandole, di ritardare  un  avvenire  d'emancipazione  infallibile  e  non
lontano. Vero è - e questo  dovrebbe  bastare  a  svegliare  un  dubbio  potente
nell'animo vostro - che quando le circostanze chiamarono al  potere  taluni  fra
quegli uomini, essi neppur tentarono l'applicazione pratica delle loro dottrine:
giganti d'audacia nelle loro pagine,  retrocessero  davanti  alla  realtà  delle
cose. Se esaminando un giorno attentamente quei  sistemi,  ricorderete  le  idee
fondamentali ch'io sono andato finora indicandovi  e  i  caratteri  inseparabili
della natura umana, voi troverete ch'essi violano tutti la Legge del  Progresso,
il modo con cui questo si compie nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà
che costituiscono l'Uomo. Il Progresso si compie per legge che  nessuna  potenza
umana può rompere, grado a grado, collo sviluppo  colla  modificazione  perpetua
degli elementi che manifestano l'attività della vita. Gli uomini  hanno  spesso,
in certe epoche, in certi paesi, e sotto l'influenza di certi  pregiudizi  e  di
certi errori, dato il nome d'elementi, di condizioni della vita sociale, a  cose
che non hanno radice nella natura, ma solamente  nelle  abitudini  convenzionali
d'una società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là  dei  limiti  di  quei
paesi, spariscono. Ma voi potete scoprire quali  veramente  siano  gli  elementi
inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi, gli istinti
dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi,  di  tutti  i
paesi, se quei vostri istinti siano  stati  sempre  gl'istinti  dell'Umanità.  E
quelli, che una voce ingenita in voi (è la grande  voce  dell'Umanità)  v'addita
come elementi costitutivi  della  vita,  devono  essere  modificati,  sviluppati
sempre d'epoca in epoca ma non possono essere aboliti mai. Tra  questi  elementi
della vita umana, oltre  la  Religione,  la  Libertà,  l'Associazione  ed  altri
accennati nel corso  di  questo  lavoro  è  pure  la  Proprietà.  Il  principio,
l'origine della Proprietà, sta nella natura umana  e  rappresenta  la  necessità
della vita materiale dell'individuo ch'egli ha dovere  di  mantenere.  Come  per
mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo  è  chiamato  a
trasformare, a migliorare, a padroneggiare il  mondo  morale  ed  intellettuale,
egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del
lavoro  materiale,  il  mondo  fisico.  E  la   proprietà   è   il   segno,   la
rappresentazione del compimento di quella missione, della quantità di lavoro col
quale l'individuo ha trasformato, sviluppato, accresciute le  forze  produttrici
della natura. La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi  la  trovate
esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza dell'umanità. Ma i modi
coi quali la proprietà si governa sono mutabili, destinati a subire, come  tutte
l'altre manifestazioni della vita umana,  la  legge  del  Progresso.  Quei  che,
trovando la  proprietà  costituita  in  un  certo  modo,  dichiarano  quel  modo
inviolabile e combattono quanti  intendono  a  trasformarlo,  negano  dunque  il
Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente a due epoche  diverse,
per trovarvi un cangiamento nella  costituzione  della  Proprietà.  E  quei  che
trovandola in una certa epoca mal costituita, dichiarano che  bisogna  abolirla,
cancellarla dalla società, negando un elemento della umana natura, se  potessero
mai riescire, ritarderebbero il  Progresso,  mutilando  la  Vita:  la  proprietà
riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente  sotto  la  forma
che aveva al tempo della sua abolizione. La proprietà è in oggi mal  costituita,
perché l'origine del riparto attuale sta  generalmente  nella  conquista,  nella
violenza colla quale, in tempi lontani da  noi,  certi  popoli  e  certe  classi
invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti d'un lavoro non  compito  da
essi. La proprietà è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti  d'un
lavoro compito dal proprietario e  dall'operaio,  non  sono  fondate  sopra  una
giusta  eguaglianza  proporzionata  al  lavoro  stesso.  La  proprietà   è   mal
costituita, perché conferendo a chi l'ha, diritti  politici  e  legislativi  che
mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile  ai  più.
La proprietà è mal costituita, perché il sistema delle tasse è mal costituito, e
tende a mantenere un privilegio di ricchezza  nel  proprietario,  aggravando  le
classi povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio. Ma se,  invece  di
correggere vizi e modificare lentamente  la  costituzione  della  Proprietà  voi
voleste abolirla,  sopprimereste  una  sorgente  di  ricchezza,  di  emulazione,
d'attività, e somigliereste al selvaggio, che per cogliere  il  frutto  troncava
l'albero. Non bisogna abolire la proprietà  perché  oggi  è  di  pochi;  bisogna
aprire la via  perché  i  molti  possano  acquistarla.  Bisogna  richiamarla  al
principio che la renda legittima, facendo si che il lavoro solo possa produrla.

Bisogna avviare  la  società  verso  basi  più  eque  di  rimunerazione  tra  il
proprietario o capitalista e l'operaio. Bisogna mutare il sistema  delle  tasse,
tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita  e  lascino  al  popolano
facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà. E perché ciò avvenga,
bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla proprietà, e  far  sì  che
tutti contribuiscano all'opera legislativa. Or tutte queste cose sono  possibili
e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con  insistenza,  poi  a  volerle,
potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione  della  proprietà,  cerchereste
una impossibilità, fareste un'ingiustizia verso chi l'ha conquistata col proprio
lavoro e diminuireste la produzione invece di accrescerla.

§ 3°

L'abolizione della proprietà individuale nondimeno  è  il  rimedio  proposto  da
parecchi tra i sistemi di socialisti dei quali  vi  parlo,  e  segnatamente  del
comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il concetto religioso, il  concetto  di
patria  falsati  dagli  errori  religiosi,  dagli  uomini   del   privilegio   e
dall'egoismo delle dinastie,  chiedono  l'abolizione  d'ogni  religione,  d'ogni
governo, d'ogni nazionalità. È procedere di fanciulli o di  barbari.  Perché  in
nome  delle  malattie  generate  da  un'aria  corrotta,  non   tenterebbero   la
soppressione d'ogni gaz respirabile? L'idea  di  chi  vorrebbe,  in  nome  della
libertà,  fondar  l'anarchia  e  cancellar  la  società  per  non  lasciare  che
l'individuo co' suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di  confutazione  da  me;
tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri,
fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo. Ma
il  sogno  di  quei  che,  limitandosi  alla   quistione   economica,   chiedono
l'abolizione della proprietà individuale e l'ordinamento  del  comunismo,  tocca
l'estremo opposto, nega l'individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso
e impietra per così dire la Società. La formola  generale  del  comunismo  è  la
seguente:  la  proprietà  d'ogni  cosa  che  produce  terre,  capitali,  mobili,
strumenti di lavoro, sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua  parte
di lavoro, a ciascuno; lo Stato assegni a  ciascuno  una  retribuzione,  secondo
alcuni, con assoluta eguaglianza, e secondo altri, a seconda dei  suoi  bisogni.
Questa, se fosse possibile, sarebbe vita di castori non d'uomini. La libertà, la
dignità, la coscienza dell'individuo spariscono in un  ordinamento  di  macchine
produttrici. La vita fisica può esservi soddisfatta: la  vita  morale,  la  vita
intellettuale sono cancellate, e con esse l'emulazione,  la  libera  scelta  del
lavoro,  la  libera  associazione,  gli  stimoli  a  produrre,  le  gioie  della
proprietà, le cagioni tutte che inducono a progredire. La famiglia umana  è,  in
quel sistema, un armento al quale  basta  essere  condotto  ad  una  sufficiente
pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto? L'eguaglianza  è
conquistata, dicono. Quale? L'eguaglianza  nella  distribuzione  del  lavoro?  È
impossibile. I lavori sono di natura diversa, non  calcolabile  sulla  durata  o
sulla somma di lavoro compita in un'ora, ma sulla  difficoltà,  sulla  minore  o
maggiore spiacevolezza del lavoro, sul dispendio di vitalità  che  trascina  con
se, sull'utile conferito da esso alla società. Come  calcolar  l'eguaglianza  di
un'ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare  l'acqua  corrotta  di
una palude, con un'ora passata in un  filatoio?  La  impossibilità  di  siffatto
calcolo è tale, che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi  l'idea  di
far che ciascuno debba compiere alla volta sua un certo ammontar  di  lavoro  in
ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà
dei prodotti senza giungere a sopprimere l'ineguaglianza tra  il  debole  ed  il
robusto, tra il capace ed il lento nell'intelletto, tra l'uomo  di  temperamento
linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro facile e gradito all'uno è
grave  e  difficile  all'altro.  L'eguaglianza  nel  riparto  dei  prodotti?   È
impossibile. O  l'eguaglianza  sarebbe  assoluta  e  costituirebbe  una  immensa
ingiustizia,  non   distinguendo   tra   i   bisogni   diversi,   il   risultato
dell'organismo, né tra le forze e la capacità acquistate per un senso di  dovere
e le forze e  la  capacità  ricevute,  senza  merito  alcuno,  dalla  natura.  O
l'eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi;  e  non  tenendo
conto della produzione individuale, violerebbe i diritti  di  proprietà  che  il
lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro. Poi, chi  sarebbe  arbitro  di
decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato? Operai,  fratelli  miei,
siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi  padroni  nella  proprietà
comune, padroni dello spirito per mezzo d'una educazione esclusiva, padroni  dei
corpi per mezzo della determinazione dell'opera, della  capacità,  dei  bisogni?
Non è per questo il rinnovamento dell'antica schiavitù? Non sarebbero quei  capi
trascinati  dalla  teoria  d'interesse   che   rappresenterebbero,   e   sedotti
dall'immenso potere concentrato  nelle  loro  mani,  fondatori  della  dittatura
ereditaria delle antiche caste? No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra
gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione  -  ch'è  la  grande  necessità
dell'oggi - perché fatta sicura la vita la natura  umana,  come  s'incontra  nei
più,  è  soddisfatta,  e  l'incentivo  a  un  accrescimento  di  produzione   da
diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non  basta  a
scotere le facoltà(12); non migliora i prodotti; non conforta il progresso nelle
invenzioni; non sarà mai aiutata  dalla  incerta,  ignara  direzione  collettiva
dell'ordinamento. Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha
che un rimedio per proteggerli dalla fame. Or non  può  farsi  questo,  non  può
assicurarsi il diritto alla vita ed  al  lavoro  dell'operaio  senza  sovvertire
tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la produzione,  senza  inceppare
il progresso, senza cancellare la libertà dell'individuo e  incatenarlo,  in  un
ordinamento soldatesco tirannico?

§ 4°

Il rimedio alle vostre condizioni non può trovarsi in  organizzazioni  generali,
arbitrarie, architettate di pianta da uno  o  altro  intelletto,  contraddicenti
alle basi universali adottate nel viver civile e impiantate subitamente per  vie
di decreti. Noi non siamo quaggiù per  creare  l'Umanità,  ma  per  continuarla:
possiamo e dobbiamo modificarne, ordinare meglio gli elementi  costitutivi;  non
possiamo sopprimerli. L'Umanità è e sarà sempre ribelle a disegni  siffatti.  Il
tempo che voi spendereste intorno  a  quelle  illusioni,  sarebbe  dunque  tempo
perduto.  Non  può  trovarsi  in  aumenti  di  salarii   imposti   dall'autorità
governativa, senz'altri cangiamenti che aumentano i  capitali:  l'aumento  delle
spese di salarii, cioè l'aumento delle spese  di  produzione,  trascinerebbe  il
rincarimento dei prodotti, la diminuzione del consumo e quella quindi del lavoro
per gli operai. Non può  trovarsi  in  cosa  alcuna  che  cancelli  la  libertà,
consacrazione e stimolo del lavoro: né in cosa alcuna che diminuisca i capitali,
strumenti del lavoro e della produzione. Il rimedio  alle  vostre  condizioni  è
l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse  mani.  Quando  la  società  non
conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori o meglio  quando  ogni
uomo sarà produttore e consumatore - quando  i  frutti  del  lavoro,  invece  di
ripartirsi tra quella serie d'intermediari che, cominciando  dal  capitalista  e
scendendo sino al venditore a minuto, accresce sovente del cinquanta  per  cento
il prezzo del prodotto, rimarranno interi al lavoro - le cagioni  permanenti  di
miseria spariranno per voi. Il vostro  avvenire  è  nella  vostra  emancipazione
dalle esigenze d'un capitale arbitro in oggi d'una produzione alla quale  rimane
straniero. I1 vostro avvenire materiale e morale.  Guardatevi  intorno.  Ovunque
voi trovate il capitale e il lavoro riunito nelle stesse mani - ovunque i frutti
del lavoro sono non foss'altro, ripartiti fra quanti lavorano,  in  ragione  del
loro aumento, in ragione dei loro benefizi all'opera collettiva  -  voi  trovate
diminuzione di miseria e a un tempo aumento di moralità. Nel Cantone di  Zurigo,
nell'Engadina,  in  molte  altre  parti  della  Svizzera  dove  il  contadino  è
proprietario, e terra, capitale, lavoro, sono congiunti in un solo  individuo  -
in  Norvegia,  nelle  Fiandre,  nella  Frisia  Orientale,   nell'Holstein,   nel
Palatinato Germano, nel Belgio, nell'isola di Guernesey sulle coste inglesi -  è
visibile una prosperità comparativamente superiore a  quella  di  tutte  l'altre
parti d'Europa dove manca al coltivatore la proprietà  della  terra.  Una  razza
d'agricoltori popola quelle contrade notabili per onestà, dignità,  indipendenza
e modi schiettamente leali. Le abitudini dei lavoranti nelle miniere di  Cornwal
in Inghilterra come quelle dei navigatori Americani che trafficano colla China e
sono addetti alla pesca delle balene, fra i quali è in vigore la  partecipazione
agli utili dell'impresa, sono riconosciuti, da documenti ufficiali, migliori che
non  quelle  dei  lavoranti  sottomessi  unicamente  alla  legge   del   salario
predeterminato. Il lavoro associato, il riparto dei fratti del lavoro, ossia del
ricavato della vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione  del  lavoro
compiuto e dal valore di quel lavoro; è questo il futuro sociale. In questo  sta
il segreto della vostra emancipazione. Foste schiavi un tempo:  poi  servi:  poi
assalariati: sarete fra non molto,  purché  il  vogliate,  liberi  produttori  e
fratelli nell'associazione. Associazione libera, volontaria, ordinata  su  certe
basi da voi medesimi, tra uomini che si conoscono e s'amano e  si  stimano  l'un
l'altro, non forzata, non imposta dall'autorità governativa, non ordinata  senza
riguardo ad affetti e vincoli  individuali,  tra  uomini  considerati  non  come
esseri liberi e spontanei, ma come cifre e  macchine  produttrici.  Associazione
amministrata con fratellanza repubblicana  da  vostri  delegati  e  dalla  quale
potrete, volendo, ritirarvi: non soggiacente al dispotismo dello Stato  e  d'una
gerarchia costituita arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle  vostre
attitudini. Associazione di nuclei formati a seconda delle vostre tendenze,  non
come vorrebbero gli autori dei sistemi ch'io vi accennai, di  tutti  gli  uomini
appartenenti a un dato ramo d'attività industriale o agricola. Il concentramento
di tutti gl'individui addetti, nello Stato o anche in una sola città, ad un'arte
in una sola società  produttrice,  ricondurrebbe  l'antico  tirannico  monopolio
delle Corporazioni, renderebbe i produttori  arbitri  dei  prezzi  a  danno  dei
consumatori; darebbe forma legale all'oppressione delle  minoranze;  esilierebbe
l'operaio malcontento da  ogni  possibilità  di  lavoro,  e  sopprimerebbe  ogni
necessità di progresso spegnendo ogni rivalità  di  lavoro,  ogni  stimolo  alle
invenzioni. L'Associazione tentata timidamente e in circostanze  sfavorevoli  in
Francia negli ultimi venti anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e coronata  di
successo dovunque fu tentata con fermo volere e spirito di sagrificio,  contiene
il segreto di tutta una trasformazione sociale  che  dovrebbe,  in  virtù  delle
vostre tradizioni e dell'iniziativa di progresso sociale che fu sempre  in  voi,
compirsi in Italia. E questa trasformazione, emancipandovi dalla  schiavitù  del
salario, avviverebbe a un tempo, a pro di  tutte  le  classi,  la  produzione  e
migliorerebbe  lo  stato  economico  del  paese.  Oggi,  il  capitalista   tende
generalmente a guadagnare quanto più può per ritirarsi  dall'arena  del  lavoro:
sotto l'ordinamento dell'associazione, voi non tendereste che  ad  accertare  la
continuità del lavoro, cioè della  produzione.  Oggi,  il  capo,  direttore  dei
lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di
capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace: una associazione, diretta da
delegati, invigilata da tutti i suoi membri,  non  correrebbe  rischi  siffatti.
Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione  d'oggetti  superflui,  non
necessari: mercé l'ineguaglianza capricciosa e ingiusta  delle  retribuzioni,  i
lavoranti abbondano in  un  ramo,  fanno  d'attività  e  difetto  in  un  altro;
l'operaio, limitato a una mercede determinata,  non  ha  motivo  per  consacrare
all'opera sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l'attività colla quale  ei
potrebbe  moltiplicare  o  migliorare  i  prodotti.  E  l'associazione  porrebbe
evidentemente rimedio a queste ed altre cagioni il perturbazione o d'inferiorità
nella  produzione.  Libertà  di  ritirarsi,  senza  nuocere  all'associazione  -
eguaglianza dei socii nell'elezione d'amministratori a tempo o meglio soggetti a
revoca - ammessione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza di  capitale
da versarsi e costituzione d'un  prelevamento,  a  pro  del  fondo  comune,  sui
benefizi dei primi tempi - indivisibilità, perpetuità del capitale collettivo, -
retribuzione per tutti, eguale alla necessità della vita, - riparto degli  utili
a seconda della quantità e della qualità del lavoro di ciascuno - son queste  le
basi generali che voi, se volete far opera di avvenire per l'elemento  al  quale
appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni.  Ciascuna  di  queste  basi,
quella segnatamente che riguarda la perpetuità del capitale collettivo,  vincolo
e pegno  d'emancipazione  tra  voi  e  la  generazione  futura,  meriterebbe  un
capitolo.  Ma  un  lavoro  speciale  sulle  associazioni   operaie   non   entra
nell'economia del presente scritto. Forse, se Dio mi presta ancora qualche  anno
di vita, io lo farò separatamente e con amore per voi. Intanto, abbiate certezza
che l'indicazione di quelle norme è in me frutto d'esame  meditato  e  severo  e
merita attenta considerazione da voi. Ma il  capitale?  Il  capitale  primo  col
quale potrà iniziarsi l'associazione? Da dove ritrarlo? È grave questione; né io
posso qui trattarla come vorrei. Ma vi accennerò sommariamente il dovere  vostro
e l'altrui. La prima  sorgente  di  quel  capitale  sta  in  voi,  nelle  vostre
economie, nel vostro spirito di sagrificio. Io so la condizione dei più tra voi;
pur non manca a taluni la possibilità, per ventura di lavoro  non  interrotto  o
meglio retribuito, di raccogliere,  economizzando,  fra  diciotto  o  venti,  la
piccola somma che vi basterebbe  a  iniziare  il  lavoro  per  vostro  conto.  E
dovrebbe sostenervi in questa economia  la  coscienza  di  compiere  un  solenne
dovere e di  meritare  l'emancipazione  invocata.  Potrei  citarvi  associazioni
industriali, or potenti di mezzi, che s'iniziarono in Inghilterra col versamento
d'un soldo per giorno da un certo numero di operai. Potrei  ripetervi  parecchie
storie di sagrifici eroicamente durati  in  Francia  ed  altrove  da  nuclei  di
operai, oggi possessori di capitali considerevoli, simili a quella  sulla  quale
troverete alcuni  particolari  in  calce  a  questo  volumetto.  Non  v'è  quasi
difficoltà che una volontà ferma mantenuta dalla coscienza di fare il bene,  non
superi. Voi potete contribuire coi vostri  risparmi  e  dare  al  piccolo  fondo
primitivo un aiuto in danaro o un  po'  di  materiale  o  qualche  stromento  da
lavoro. Potete,  mercé  una  condotta  che  frutti  stima,  raccogliere  piccoli
imprestiti da parenti o compagni, i quali diventerebbero semplicemente azionisti
nell'associazione e non riceverebbe l'ammontare del loro  imprestito  che  sugli
utili dell'impresa. Per molte delle vostre  industrie,  nelle  quali  il  prezzo
delle materie prime è tenue,  il  capitale  richiesto  per  iniziare  il  lavoro
indipendente è piccola cosa. Lo avrete volendo. E sarà  meglio  per  voi  se  la
formazione di quel piccolo capitale sarà tutta vostra, frutto del  sudore  della
fronte o del credito che avrete, operando  bene,  acquistato.  Come  le  Nazioni
serbano  meglio  la  libertà  che  conquistarono  col  loro  sangue,  le  vostre
associazioni troveranno migliore e più prudente profitto dal  capitale  raccolto
nella veglia e nell'economia che non da quello largito d'altra sorgente. È legge
di cose. Le associazioni operaie che, in  Parigi,  nel  1848,  ebbero,  al  loro
fondarsi,  sovvenzioni  governative,  prosperarono  assai  meno  di  quelle  che
formarono il capitale primitivo col sagrificio. Ma perch'io, amandovi davvero  e
non adulando servilmente a debolezze che  sono  o  possono  essere  in  voi,  vi
consiglio il sagrificio non scema  il  dovere  in  altrui.  Gli  uomini  che  le
circostanze  hanno  forniti  di  ricchezze,  dovrebbero  intenderlo:  dovrebbero
intendere che la vostra emancipazione è parte d'un disegno di Provvidenza, e che
si compirà inevitabilmente o con essi o contr'essi. Parecchi tra quelli  uomini,
o segnatamente gli uomini di fede repubblicana, intendono questo  fin  d'ora;  e
tra essi, se darete loro prove di volontà e d'onesto intelletto, troverete aiuti
all'impresa. Essi potranno - e lo faranno appena s'avvedranno  che  la  tendenza
all'associazione è, non capriccio d'un'ora ma fede  di  maggioranza  tra  voi  -
spianarvi le vie del credito, sia con anticipazioni,  sia  fondando  Banchi  che
accreditino il lavoro futuro; la forza collettiva degli operai, sia ammettendovi
a partecipazione nei benefizi delle  loro  imprese,  stadio  intermedio  fra  il
presente  e  l'avvenire,  dal  quale  raccogliereste  probabilmente  il  piccolo
capitale che occorre all'associazione indipendente. Nel Belgio più  che  altrove
esistono già, sotto nome di Banchi  d'anticipazione  o  di  Banchi  del  Popolo,
istituzione siffatte. Nella Scozia è dato da parecchi Banchi credito a ogni uomo
di nota probità che impegni l'onore e presenti  mallevadore  un'altro  individuo
d'onestà egualmente specchiata. E l'ammessione degli operai alla  partecipazione
negli utili è norma adottata con successo da parecchi Capi d'arte(13).



CONCHIUSIONE § 1°

Ma lo Stato, il Governo - istituzione legittima soltanto quando è fondata  sopra
una missione d'educazione e di progresso  oggi  ancora  fraintesa  -  ha  debito
solenne verso voi che potrà  facilmente  compiere  se  sarà  un  giorno  Governo
Nazionale davvero, di Popolo libero  ed  Uno.  Una  vasta  serie  d'aiuti  potrà
scendere allora dal Governo al Popolo,  che  risolverebbe  il  problema  sociale
senza spogliazioni, senza violenze, senza manomettere  la  ricchezza  acquistata
anteriormente dai cittadini, senza  suscitare  quell'antagonismo  tra  classe  e
classe ch'è ingiusto, immorale, fatale  alla  Nazione  e  che  ritarda  in  oggi
visibilmente il progresso  francese.  E  aiuti  potenti  sarebbero:  L'influenza
morale  esercitata  a  pro  delle  Associazioni  coll'approvazione   manifestata
pubblicamente dagli agenti governativi, colla  frequente  discussione  sul  loro
principio fondamentale nell'Assemblea, colla  legalizzazione  data  a  tutte  le
Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra: Miglioramenti
nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto inceppa ora il  trasporto  dei
prodotti: Istituzione di magazzini o luoghi di  deposito  pubblici,  dai  quali,
accertato il valore approssimativo delle merci consegnate,  si  rilascerebbe  un
documento o bono simile a un biglietto bancario,  ammesso  alla  circolazione  e
allo sconto, tanto da render capace l'Associazione di poter continuare nei  suoi
lavori e di non essere strozzata dalla necessità d'una  vendita  immediata  e  a
ogni patto: Concessione dei lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di
patti, alle Associazioni: Semplificazione delle forme giudiziarie, oggi rovinose
e spesso inaccessibili al povero: Facilità legislative date alla  mobilizzazione
della proprietà fondiaria: Mutamento radicale nel sistema dei tributi  pubblici:
sostituzione d'un solo tributo sul reddito all'attuale, complesso,  dispendioso,
sistema di tributi diretti e indiretti; e sanzione data al principio che la vita
è sacra - che senza vita, non essendo possibile lavoro, né progresso né  doveri,
il tributo non può cominciare che dove il reddito  supera  la  cifra  di  danaro
necessario alla vita: Ma v'ha  di  più.  L'incameramento  o  appropriazione  dei
possedimenti  ecclesiastici  -  atto  ch'or  non  giova  discutere,  ma  che   è
inevitabile ogni qual volta la Nazione s'assuma una missione d'educazione  e  di
progresso collettivo porrà nelle mani dello Stato una  somma  di  ricchezza  più
vasta che altri  non  pensa.  Or  ponete  che  a  questo  s'aggiunga  il  valore
rappresentato dalle terre, dissociabili e fertilissime, tuttavia  incolte  -  il
valore rappresentato dagli utili delle vie ferrate e da altre pubbliche imprese,
la cui amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato - il valore  rappresentato
dalle proprietà territoriali appartenenti ai comuni(14), il valore rappresentato
dalle successioni collaterali, che al di là del quarto grado dovrebbero  ricader
nello Stato - ed altri, ch'è inutile  enumerare.  Ponete  che  di  tutto  questo
immenso cumulo di ricchezze si formi un FONDO NAZIONALE consacrato al  progresso
intellettuale  ed  economico  di  tutto  quanto  il  paese.  Perché  una   parte
considerevole di quel fondo non si trasformerebbe, colle precauzioni richieste a
impedirne lo sperpero, in un fondo di credito da distribuirsi, con un  interesse
dell'uno e mezzo o del due per  cento,  alle  Associazioni  volontarie  operaie,
costituite sulle norme indicate più  sopra,  e  che  porgerebbero  sicurezza  di
moralità  e  di  capacità?  Quel  capitale  dovrebb'essere   sacro   al   lavoro
dell'avvenire e non d'una sola generazione. Ma la vasta scala  delle  operazioni
assicurerebbe  compenso  alle  perdite,  di  tempo  in  tempo  inevitabili.   La
distribuzione di quel credito dovrebbe farsi non dal Governo,  né  da  un  Banco
Nazionale Centrale; ma,  invigilante  il  Potere  Nazionale,  da  Banchi  locali
amministrati da Consigli  Comunali  elettivi.  Senza  sottrarre  alla  ricchezza
attuale delle varie classi, senza attribuire a una sola il ricavato dei  tributi
che, chiesti a tutti i cittadini, deve erogarsi a benefizio di tutti,  l'insieme
degli atti qui suggeriti, diffondendo il credito per ogni  dove,  accrescendo  e
migliorando  la  produzione,  costringendo  l'interesse  del  danaro  a  scemare
gradatamente, affidando il progresso e  la  continuità  del  lavoro  al  zelo  e
all'utilità di tutti i produttori,  sostituirebbe  a  una  cifra  di  ricchezza,
concentrata  in  poche  mani  e  imperfettamente  diretta,  la  nazione   ricca,
maneggiatrice della propria produzione e del proprio consumo(15). Ed  è  questo,
Operai Italiani, il vostro avvenire.  Voi  potete  affrettarlo.  Conquistate  la
Patria, conquistate un Governo popolare che ne rappresenti la  vita  collettiva,
la missione, il concetto. Ordinatevi tra voi in una  vasta  universale  Lega  di
Popolo, tanto che la vostra voce sia voce di milioni e non di  pochi  individui.
Avete il vero e la giustizia per voi;  la  Nazione  v'ascolterà.  Ma  badate,  e
credete alla parola d'un uomo che studia da trenta anni l'andamento  delle  cose
in Europa e ha veduto fallire a buon porto,  per  immoralità  d'uomini,  le  più
sante ed utili imprese: non riuscirete se non migliorando: non conquisterete  se
non meritando, col sacrificio, coll'attività, coll'amore. Cercando in nome  d'un
dovere compito o da compiersi, otterrete; cercando in nome  dell'egoismo,  o  di
non so quale diritto al benessere che gli uomini del  materialismo  v'insegnano,
non otterrete se non trionfi d'un'ora seguiti da delusioni tremende. Quei che vi
parlano in nome del benessere, della felicità materiale, vi tradiranno.  Cercano
essi pure il loro benessere: s'affratelleranno con  voi,  come  un  elemento  di
forza, finché avranno ostacoli  da  superare  per  conquistarlo;  appena,  mercé
vostra,  l'avranno,  v'abbandoneranno  per  godere  tranquillamente  della  loro
conquista. È la storia dell'ultimo mezzo secolo e il nome di questo mezzo secolo
è materialismo. Storia di dolore e di sangue. Io li ho  veduti  gli  uomini  che
negavano Dio, religione, virtù, dovere e sacrificio, e  parlavano  in  nome  del
diritto alla felicità, al godimento, lottare audaci, colle parole  di  popolo  e
libertà sulle labbra, e frammischiarsi  a  noi  uomini  della  nuova  fede,  che
imprudenti gli accoglievamo nelle nostre fila. Quando s'aprì ad  essi,  con  una
vittoria o con una transazione codarda, la  via  di  godere,  disertarono  e  ci
furono nemici acerbi al di dopo. Pochi anni di pericoli, di persecuzioni  durate
erano stati sufficienti a stancarli.  Perché  senza  coscienza  d'una  Legge  di
dovere, senza fede in una missione imposta all'uomo  da  un  Potere  supremo  su
tutti, avrebbero essi persistito nel sacrificio sino all'ultimo  della  vita?  E
vidi, con più profondo dolore, i figli del popolo educati da quegli  uomini,  da
quei filosofi, al materialismo, tradire la  loro  missione,  tradir  l'avvenire,
tradire la loro Patria e se stessi, dietro alla  stolta  immorale  speranza  che
troverebbero forse il benessere materiale nei capricci  e  negl'interessi  della
tirannide. Vidi gli operai di Francia rimanersi spettatori  indifferenti  del  2
dicembre, perché tutte le questioni si erano ridotte per essi a una questione di
prosperità materiale e s'illudevano a credere che le promesse sparse ad arte fra
loro, da chi aveva spento  la  libertà  della  patria,  avrebbero  forse  potuto
diventar fatti. Oggi lamentano perduta la  libertà  senza  aver  conquistato  il
benessere. No, senza Dio,  senza  coscienza  di  legge,  senza  moralità,  senza
potenza di sacrificio, perduti dietro ad uomini che non hanno né fede, né  culto
del vero, né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro sistemi,
io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete. Avrete sommosse,  non  la
vera, la grande Rivoluzione che voi ed io invochiamo. Quella Rivoluzione, se non
è  una  illusione  d'egoisti  spronati  dalla  vendetta,  è  un'opera  religiosa
Migliorare voi stessi ed altrui: è questo il  primo  intento  ed  è  la  suprema
speranza d'ogni riforma, d'ogni mutamento sociale.  Non  si  cangiano  le  sorti
dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa dov'egli  abita:  dove  non  respira
un'anima d'uomo ma un corpo di schiavo, tutte le riforme sono inutili;  la  casa
rabbellita, addobbata con lusso, è sepolcro imbiancato, e  non  altro.  Voi  non
indurrete mai  la  Società  alla  quale  appartenete  a  sostituire  il  sistema
d'associazione a quello del salario, se non provandole che  l'associazione  sarà
tra voi stromento di produzione migliorata e di  prosperità  collettiva.  E  non
proverete  questo,  se  non  mostrandovi   capaci   di   fondare   e   mantenere
l'associazione coll'onestà, coll'amore reciproco, col  sacrificio,  coll'affetto
al lavoro. Per progredire, vi conviene mostrarvi capaci di progredire. Tre  cose
sono sacre: la Tradizione, il Progresso, l'Associazione. "Io credo"  -  (scrissi
queste cose venti anni addietro) - "nella immensa voce di Dio che  i  secoli  mi
rimandano attraverso la tradizione universale dell'Umanità; ed essa mi dice  che
la Famiglia, la Nazione, l'Umanità sono le tre sfere dentro le quali l'individuo
umano deve lavorare al fine comune, al perfezionamento morale  di  se  stesso  e
d'altrui, o meglio di se stesso attraverso gli altri e per gli  altri:  essa  mi
dice  che  la  proprietà  è  destinata  a   manifestare   l'attività   materiale
dell'individuo, la parte ch'egli ha nella trasformazione del mondo fisico,  come
il diritto di voto deve manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del
mondo politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o  meno  buono  di  questi
diritti, in quelle sfere d'attività dipende d'avanti a  Dio  e  agli  uomini  il
merito o demerito degli individui; essa mi dice che tutte queste cose,  elementi
della  natura   umana,   si   trasformarono,   si   modificarono   continuamente
ravvicinandosi all'ideale del quale abbiamo nell'anima  ma  non  possono  essere
distrutte  mai;  e  che  i  sogni  di  comunismo,  d'abolizione,  di  confusione
dell'individuo nell'insieme sociale, non furono mai  che  passeggieri  accidenti
nella vita del genere umano, visibili  in  ogni  grande  crisi  intellettuale  e
morale, ma incapaci di realtà se non sopra una  scala  menoma  come  i  Conventi
Cristiani. Credo nell'eterno progresso della vita nella  creatura  di  Dio,  nel
progresso del Pensiero e dell'Associazione, non solamente nell'uomo del  passato
ma nell'uomo dell'avvenire; credo che importi non tanto di determinare la  forma
del progresso futuro quanto di aprire, con una educazione  veramente  religiosa,
le vie d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di  compirlo;  e  credo
che non si fa l'uomo migliore, più amorevole, più nobile, più divino - ciò  ch'è
il nostro fine sulla terra - colmandolo di  godimenti  fisici,  proponendogli  a
scopo della vita quella ironia che ha  nome  felicità.  Credo  nell'Associazione
come nel solo mezzo che noi possediamo per compiere il Progresso, non  solamente
perch'essa moltiplica l'azione delle forze produttrici, ma perch'essa  ravvicina
tutte  le  diverse  manifestazioni  dell'anima  umana  e  fa  sì  che  la   vita
dell'individuo abbia comunione colla vita collettiva; e  so  che  l'associazione
non può essere feconda se  non  esistendo  fra  individui  liberi,  fra  nazioni
libere, capaci di coscienza della loro missione. Credo che l'uomo deve  mangiare
e vivere  e  non  avere  tutte  l'ore  dell'esistenza  assorbite  da  un  lavoro
materiale, per aver campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma
tende l'orecchio con terrore alle voci che dicono agli  uomini:  nutrirsi  è  lo
scopo vostro; godere è il vostro diritto, perché io so che quella parola non può
creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e  comincia  ad  essere  pur
troppo in Italia, la condanna d'ogni nobile idea, d'ogni martirio, d'ogni  pegno
di futura grandezza. Ciò che toglie in oggi vita all'Umanità è il difetto  d'una
fede comune, d'un pensiero adottato da tutti  che  ricongiunga  Terra  e  Cielo,
Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato davanti alla morta
materia, e s'è consacrato adoratore dell'idolo Interesse. E i primi sacerdoti di
quel culto fatale furono i re, i principi e i  tristi  Governi  dell'oggi.  Essi
inventarono  l'orribile  formula:  ciascuno  per  sé:  sapevano  che  con  essa,
creerebbero l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo non  è  che  un
passo". Operai Italiani, fratelli miei, evitate quel passo.  Nell'evitarlo,  sta
il vostro avvenire. A voi spetta una solenne missione: provare che  siamo  tutti
figli di Dio e fratelli in Lui. Voi non la  compirete  se  non  migliorandovi  e
soddisfacendo al Dovere. Io v'ho additato, come meglio ho potuto,  qual  sia  il
Dovere per voi. E il principale, il più essenziale fra tutti, è quello che avete
verso  la  Patria.  Costituirla  è  debito  vostro;   ed   è   pure   necessità.
Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali v'ho parlato, non possono venire che dalla
Patria Una e Libera. Il miglioramento delle vostre condizioni  sociali  non  può
scendere che dal vostro partecipare nella vita  politica  della  Nazione.  Senza
voto, non avrete mai rappresentanti veri delle vostre  aspirazioni,  dei  vostri
bisogni. Senza un Governo  popolare  che  da  Roma  scriva  e  svolga  il  PATTO
ITALIANO, fondato sui consensi e rivolto al progresso di tutti i cittadini dello
Stato, non è per voi speranza di meglio. Quel giorno in cui, seguendo  l'esempio
dei socialisti francesi, voi separereste la questione sociale dalla  politica  e
direste: noi possiamo emanciparci, qualunque  sia  la  forma  d'istituzione  che
regge la Patria, segnereste la perpetuità del vostro  servaggio.  E  v'additerò,
nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno solenne  di  quello  che  ci
stringe a fondare la Patria Libera ed  Una.  La  vostra  emancipazione  non  può
fondarsi che sul trionfo d'un Principio: l'unità della Famiglia Umana. Oggi,  la
metà della famiglia umana, la metà a cui noi cerchiamo ispirazioni  e  conforti,
la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli,  è,  per  singolare
contraddizione, dichiarata,  civilmente,  politicamente,  socialmente  ineguale,
esclusa da quell'unità. A voi che cercate, in nome d'una  verità  religiosa,  la
vostra emancipazione, spetta di protestare in  ogni  modo,  in  ogni  occasione,
contro quella negazione dell'Unità. L'emancipazione della donna dovrebbe  essere
continuamente accoppiata coll'emancipazione dell'operaio, dando così  al  vostro
lavoro la consacrazione d'una verità universale.

FINE

Note:

(1) Le tre giornate del 29 al 31 luglio 1830 segnarono il decadimento in Francia
della Monarchia assoluta di Carlo X  e  l'avvento  al  trono  di  Luigi  Filippo
d'Orleans.  
(2)  Infatti,  quelle  dottrine  erano  diffuse  dalla  Società  che
s'intitolava appunto dei "Diritti dell'uomo."  
(3)  L'opuscolo  intitolato  "Les
paroles d'hai croyant", Le parole d'un credente, del Lamennais, si pubblicò  nel
1831 e suscitò un incendio in tutta la Francia. Gregorio XVI,  allora  Papa,  si
affrettò a condannarlo con una celebre enciclica, ma ciò non valse a  ritardarne
la diffusione per tutta Europa; fu più volte tradotto in  italiano,  e  pure  in
questa lingua apprezzato, difeso ed acerbamente criticato. Non  improbabile  che
lo scritto di Lamennais abbia suggerito a Mazzini quello del  Doveri  dell'Uomo.
(4) Queste parole sono scritte prima del 1860. 
(5) Parlo naturalmente de'  paesi
dove  s'è  tentata  col  sistema  monarchico  costituzionale   un'organizzazione
qualunque della società: nei paesi governati dispoticamente non v'è  società:  i
diritti dell'individuo sono egualmente sacrificati. 
(6) Ricordi il  lettore  che queste pagine furono scritte prima del 1860. 
(7) PAOLO, Epistola ai Romani, Cap. XII vers 4,5 
(8) Giovanni, Evangelio, cap. X, vers. 16. 
(9) LAMENNAIS, Libro del Popolo, XII. 
(10) Vedi Evangelio di Giovanni Cap. XVI. 
(11) LAMENNAIS, Libro del Popolo III.  
(12)  Fu  calcolato  che  se,  su  cento  lavoranti,  un  lavorante
producesse per cento franchi in un anno al di  là  della  produzione  media,  ei
raccoglierebbe a suo pro un millesimo per anno, tre centesimi ogni tre anni. Chi
può chiamare questo un eccitamento alla produzione? 
(13)  In  Parigi,  a  cagion
d'esempio, lo Stabilimento di pittura d'edifizii del signor Leclaire, fondato su
quel principio, è notabile per la prosperità che  gode.  
(14)  Quelle  proprietà
appartengono legalmente ai comuni, moralmente ai bisognosi del  Comune,  non  si
tratta di rapirle ai Comuni, ma di consacrarle ai poveri d'ogni Comune,  facendo
d'esse, sotto l'alta direzione  dei  Consigli  elettivi  Comunali,  il  capitale
inalienabile delle Associazioni Agricole. 
(15) La necessità d'un vasto  capitale
per lo stabilimento d'una manifattura di pianoforti trasse, nel 1848, i delegati
d'alcune  centinaia  d'operai,  riuniti  per  la  fondazione   di   una   grande
associazione, a chiedere in suo nome  al  governo  una  sovvenzione  di  300,000
franchi. La commissione governativa diede rifiuto. L'associazione si sciolse, ma
14 operai decisero di superare ogni ostacolo e ricostituirla coi  propri  mezzi.
Non avevano danaro né credito; avevano fede.  Alcuni  fra  loro  portavano  alla
Società iniziata, in materiali e stromenti di lavoro, un valore  di  circa  2000
franchi. Ma era indispensabile  un  capitale  di  circolazione.  Ciascuno  degli
associati contribuì, non senza fatica, 10 franchi.  Alcuni  operai,  non  aventi
interesse diretto nella Società, aggiunsero a quel  piccolo  capitale,  le  loro
piccole offerte. E il 10 marzo 1849, raggiunta la somma  di  229  franchi  e  50
centesimi, l'associazione fu  dichiarata  costituita.  Quel  fondo  sociale  era
insufficiente all'impianto e alle spese  minute,  indispensabile  di  giorno  in
giorno ad una lavoreria. Nulla rimanendo pei salarii, oltre a due mesi passarono
senza che gli operai potessero ricevere  un  solo  centesimo  di  mercede.  Come
vissero in quel tempo di crisi? Come vivono gli  operai  nelle  interruzioni  di
lavoro, aiutati dall'operaio che per ventura lavora, vendendo, impegnando ad uno
ad uno gli oggetti d'uso. Alcuni lavori erano stati eseguiti.  E  il  prezzo  fu
pagato il 4 maggio 1849. Quel giorno fu per l'associazione ciò ch'è una vittoria
sul cominciare d'una guerra: e fu celebrato. Pagati i debiti, riscossi i crediti
esigibili, rimaneva per ogni socio una  somma  di  fr.  6  e  61  centesimi.  Fu
convenuto che ritenendo come parte di salario 5 franchi si consacrerebbe  il  di
più di ciascuno a un pranzo fraterno. I 14 soci, i più fra i quali  non  avevano
assaggiato vino da un anno, si riunirono assieme  alle  loro  famiglie  a  mensa
comune, la spesa fu di 32 soldi per famiglia.  Ancora  per  tutto  un  mese,  il
salario non fu che di cinque franchi per  settimana.  Nel  giugno,  un  fornaio,
amatore di musica o speculatore propose la compra d'un pianoforte da  pagarsi  a
pane. Fu accettata la proposta e convenuto il prezzo in ragione di 480  franchi.
Fu ventura per l'associazione che fu certa d'avere almeno l'indispensabile.  Non
si calcolò nei salarii il valore del pane. Ciascuno ebbe quanto gli bisognava e,
per gli ammogliati, quanto  bisognava  alla  famiglia.  Intanto  l'associazione,
composta d'operai capacissimi, superava a poco a poco tutti gli  ostacoli  e  le
privazioni che aveva dovuto incontrare nel primo periodo. I suoi libri di  cassa
presentavano le migliori  testimonianze  dei  progressi  conquistati.  Dal  mese
d'Agosto 1849, l'incasso ebdomadario salì a 10, 15, 20 franchi per  ciascuno;  e
quella somma non rappresentava tutto quanto guadagnava: ogni socio  versava  nel
fondo comune somma superiore a quella ch'ei riteneva. L'inventario  sociale  del
30 dicembre 1850 dava i risultati seguenti: Gli associati  erano  a  quell'epoca
32. Lo stabilimento pagava 200 fr. di fitto ed era già angusto  ai  lavori.  Gli
stromenti di lavoro sommavano a un valore di fr. 5922, 60 cent. Le  merci  e  le
materie prime rappresentavano 22.972 f. 28 cent. Il  portafoglio  della  Società
conteneva biglietti per 3540 franchi. Il conto  debitori,  che  pagarono  tutti,
saliva a fr. 5861  e  cent.  90.  L'attivo  era  dunque  di  39,317  franchi  88
centesimi. Su questo attivo la Società non era debitrice che di 4737 franchi  80
centesimi ad alcuni creditori e  di  2650  franchi  a  80  aderenti  operai  del
mestiere che avevano imprestato sull'associazione nel primo periodo Attivo reale
32,930 franchi 2 centesimi. L'associazione continuò d'allora in poi  a  fiorire.
Da uno scritto d'A. COCHUT
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