Online Utenti Main site mappa sito pagina gratis e-mail gratis guadagna blog (?)
 goto english version
translate
Home
Aggiorna pagina
Aggiungi ai preferiti
Cerca nel sito
Aggiungi link a
questa pagina
Pagina iniziale
Guestbook
Stampa pagina
contatta AOL - ICQ
Compra da
Astalalista
Inserisci annuncio
Aggiungi Link
Dì ad un amico
di questo sito
Aiuta la battaglia contro lo Spam!
powered by astalalista
Random Link!
Hosted By
HostedScripts.com
preleva - bambini - incontri - meta - altre

CAVALLOTTI Felice - Lettera agli onesti di tutti i partiti



La "Lettera agli onesti di tutti i partiti" fu pubblicata nel  giugno  del  1895
sul "Secolo" di Milano (in un apposito supplemento) e sul  "Don  Chisciotte"  di
Roma,  nel  pieno  di  un  battaglia  parlamentare  che  riguardava  episodi  di
corruzione e concussione dei quali era  accusato  il  primo  ministro  Francesco
Crispi. Il clamore suscitato dall'intervento di Cavallotti fu grande all'interno
del Parlamento  e  nella  società  intera.  Questo  non  valse  ad  ottenere  le
dimissioni del Crispi, il quale rimase al potere ancora per un anno ed ebbe così
modo di condurre lo stato italiano al disastro della battaglia di Adua.




Felice Cavallotti

LETTERA AGLI ONESTI DI TUTTI I PARTITI


PRIMA PARTE






Scrivo queste pagine con disgusto, con rivolta dell'anima: ma  le  scrivo  colla
coscienza serena, dopoché per più giorni, tentando il  possibile,  resistendo  a
provocazioni che avrebbero stancata la pazienza  di  un  santo,  ho  sperato  di
evitare a me stesso la fatica amara di doverle scrivere. Tentativo  di  speranza
di cui nessun merito avrei, se proseguissi  un  qualunque  interesse  mio  o  mi
tentasse qualsiasi povera ambizione: perché sol chi  vuol  salire,  naturalmente
desidera trovar meno aspri i gradini. Ma, finito  appena  sia  il  compito,  che
verso il Paese m'imposi, so di poter dimostrare la mia ambizione sola qual  era,
e invoco l'ora di poter in altr'aria, fra ben altre memorie,  rifarmi  dell'aria
respirata fin qui.
        Ho sperato più giorni si aprisse qualche porta per cui  s'uscisse  dalla
situazione convulsa, impossibile, creata al Paese e alla Camera,  senza  bisogno
dì farmi sembrare cattivo. E dico impossibile, perché non serve dir ad un  altro
paese, come dire ad un uomo, di  lavorare,  di  attendere  utilmente  ai  propri
interessi di casa, se non ha il cuore in pace, se ha una spina confittavi, se un
martello nell'animo gli  manda  sossopra  le  idee.  E  inutile  pretendere  che
un'assemblea rappresentativa funzioni, se vi son dentro cento  o  centocinquanta
persone tormentate dal sospetto o dal convincimento di trovarsi in faccia ad  un
ministro disonesto. La tempesta di animi che impedisce alla  Camera,  al  Paese,
ogni utile lavoro proseguirà, finché la pietra dello scandalo non sia rimossa.
        Sognarono di una sfida feroce lanciata da me alla  maggioranza:  la  mia
feroce ostilità è tanta, che da tre giorni che son nella Giunta delle  Elezioni,
non ho fatto finora che proporre convalidazioni di elezioni  della  maggioranza,
quella di un ministro, Paolo Boselli, compresa; e avrei sinceramente  desiderato
per gli amici personali, per gli onesti, che della maggioranza  fanno  parte  in
buona fede (degli altri non parlo e non curo) di lasciar  che  il  ministro  del
loro cuore li liberasse da un conflitto penoso,  cadendo  decorosamente  in  una
battaglia politica, magari colla illusione di essere caduto per la  sua  divisa,
"per Dio e per il re".
        Non mi è stato possibile, non lo si è voluto. E mentre si accusava me di
fuggire, all'assemblea della nazione - sanguinosamente insultata,  violentemente
chiusa per i comodi d'un uomo - si è negato - dopo  cinque  mesi  -  il  diritto
persino di una spiegazione qualsiasi e dopo avere calunniata la  Camera  antica,
accusandola di scandali e di offese  al  presidente,  assistiamo  allo  scandalo
inaudito di un ministro che tratta il capo eletto  dell'assemblea  come  un  suo
servo infedele, e gli intima lo sfratto con vituperj feroci.
        Ebbene mi pare che ora basti... E dovea bastare anche prima,  perché  mi
pareva di aver detto, sul quesito morale che s'impone, già assai più  di  quanto
sarebbe occorso in qualunque paese libero del mondo,  perché  un  uomo  pubblico
accusato dovesse capire il dover suo. Nossignori; è da me  che,  con  inversione
novissima, si pretende  un  supplemento  di  prova!  è  a  me  che  s'intima  di
completarla! E quando l'avrò fatto, sarete contenti?

        Non per questo mi trascinerete fuor del terreno del diritto mio. Non  vi
bastava il fin qui detto, non bastava un'accusa la più  precisa  che  sia  stata
mai? volete ancora dell'altro: e io vi servo. Ma vi ho chiamato in  giudizio:  e
ci dovete venire. Perché se i punti sugli i non vi bastano, se non vi bastano  i
documenti che vi dò, avrò ancora di che contentarvi; ma credo che adesso basterà
pel Paese; e se per qualche cosa di quello che dirò pretendeste che io vi  porti
il testimonio nella Camera, fate conto che il testimonio nella  Camera  ci  sia.
Del resto, al punto in cui trovansi le cose,  non  sono  più  i  vituperj  della
Riforma che bastino a strozzar la questione.  Gli  urli  spasmodici  dell'organo
dello zio Dittatore, i suoi rabbiosi "mentisce! mentisce! mentisce!"  a  me  non
fanno né più caldo né più freddo di quegli altri "mentisce! mentisce! mentisce!"
- perfettamente identici - che quel certo  altro  tipo  -  senza  confronto  più
artistico - strillava a ogni capitolo della mia storia  meravigliosa.  -  E  s'è
visto com'è andata a finire!
         Al  punto  a  cui  sono  portate  le  cose,  non  vi  è  più  assemblea
rappresentativa al mondo che possa sottrarsi alla necessità di  sapere  se  ella
conti nel proprio seno o un ministro disonesto o un deputato calunniatore.
        Non lo volesse egli, il giudizio per lui, qualunque  de'  miei  colleghi
avrebbe diritto di volerlo per me.
        Intanto, e sino a un giudizio nuovo, nessun improperio, nessun vituperio
di scribi, assoldati col pubblico furto, sopprimerà mai il dislivello morale tra
chi fino ad oggi esercitò il suo mandato col più severo scrupolo, senza lucrarvi
un centesimo, e chi per anni, notoriamente, ne fece una lunga speculazione;  tra
chi in faccia ai magistrati fece sempre i dover suo, e chi avendo  ingannato  ab
antico con un falso documento il suo Dio, ingannava  più  tardi  con  una  falsa
testimonianza il suo giudice.
        Poiché, quando un  accusato,  per  tutta  difesa,  si  limita  a  negare
vomitando sull'accusatore improperi, è ben lecito e giusto di cercare anzitutto,
nelle sue note caratteristiche, il peso ed il valore delle negative.

        Cerchiamole dunque. Ma prima di tutto una parola  a  quei  tali  i  qual
tiran fuori - niente altro potendo - la solita storiella ch'io parli di cose sul
Crispi a me già note, quand'ero ancora  in  buoni  rapporti  con  lui.  No  cari
signori, v'ingannate: sono anni che combatto Crispi, ma non  lo  conoscevo,  non
l'ho conosciuto prima dell'autunno e del dicembre scorso il Crispi che a me oggi
sta innanzi nella sua  trista  figura  morale.  Quando  entrai  nella  Camera  a
trent'anni, sapevo di lui le  sue  pagine  parlamentari:  gli  volevo  bene  per
quelle, e per ciò che credevo delle sue pagine di storia, non avendo pensato  ad
appurarle mai. Quando scoppiò lo scandalo del 1878, e  tutti  gli  furon  sopra,
domandai per lui il diritto di difesa come  lo  domandavo  al  14  del  dicembre
scorso; poi tacqui, perché allora egli accettò la sua posizione di  imputato:  e
rispettò la condanna dell'opinione  pubblica:  e  perché  un  errore  -  quand'è
creduto il solo - non basta a distruggere il giudizio su la vita  intera  di  un
uomo. Più tardi, al governo, dall'88 al '90 lo conobbi bugiardo,  dissimulatore,
violento, prepotente: e niuna lotta più acerba è notoria di quella fra lui e  me
dal 1888 al 1890; ma sopravviveva la  stima  per  alcune  qualità  dell'uomo,  e
troppe altre cose ignoravo di lui. Nel dicembre, a Molfetta, saputolo tornato al
potere provai una stretta dell'anima: rividi nella mente il 1889 e  il  1890  il
che non mi tolse di dargli - da lui richiesto - il mio avviso, e di negargli  il
mio voto e combatterlo da capo, appena lo vidi rifar la strada antica.
        Ma restava per l'avversario un avanzo  di  stima:  e  non  dimenticherò,
campassi cent'anni, la triste notte del Comitato dei Cinque - e  la  tristissima
lettura - per cui la stima fu spenta nel cuor  mio.  Perché  fu  da  allora  che
risalii ad altre indagini, di altri fatti: così come a furia di sentirlo cantare
eroe autentico delle patrie battaglie, le voci autentiche - per davvero -  delle
battaglie si destarono.
        Lasciamole dunque le storielle da parte  e  nelle  note  caratteristiche
dell'uomo cerchiamo cosa valgono le smentite sue.

        Ah, quelle note fate male ad obbligarmi a rivederle! È là fra esse,  che
o ritrovo il falso antico del 17 dicembre 1854, il  famoso  atto  nuziale  delle
vostre nozze di Malta.
        Un bel documento affè mia per le vostre odierne smentite!  Ce  l'ho  qui
davanti nel suo testo latino, nel manoscritto originale fotografato e non oserei
chiamarlo falso, sentirei freddo a chiamarlo  così,  se  non  vi  fosse  bastato
l'animo di proclamarlo  cinicamente  voi  stesso,  quando  vi  tornò  comodo  di
liberarvene dopo averlo per 25 anni sfruttato!
        E a rendermene più rivoltante la lettura, ho qui innanzi  autografa,  in
carta bollata, la supplica che la povera vittima di  quel  falso,  invocando  il
sacramento e i servigi resi all'Italia come figlia della Savoja,  indirizzata  a
Benedetto Cairoli, presidente del Consiglio nel 1878, una  supplica  che  stilla
sangue e che il mese scorso mi ha fatto fremere nel leggerla; e io  dinanzi  nei
volumi dei biografi panegiristi il cinico racconto del come dia poveretta  venne
il falso un bel dì, come una allegra burla, buttato sul viso! [...]

        Ah, le vostre note caratteristiche in fatto di credibilità, fate male  a
costringermi a rivederle!
        È ancor fra esse che io trovo, quattordici anni  dopo,  il  famoso  atto
notorio dei cinque testimoni del 30 settembre 1877, voluto dall'articolo 78  del
Codice Civile, e la dichiarazione terribile del  primo  dei  cinque  testi,  ivi
firmati, il prof. Salvatore Francone che si vide pei  comodi  vostri  carpita...
una testimonianza falsa!

        Mi ripugna trascriverlo tutto. Bastano poche righe:

         Sig. Direttore del Piccolo Giornale,
         uno fra i testimoni dell'atto  notorio  del  matrimonio  dell'onorevole
Crispi, io sono stato sorpreso nel leggere l'atto di  precedente  matrimonio  da
voi pubblicato sere fa.
         Lo credetti falso e scrissi all'onorevole Crispi  una  lettera  che  fu
firmata anche dagli  altri  firmatarii  dell'atto  notorio  per  chiedergli  una
categorica risposta, uno schiarimento, una smentita. Ma l'on. Crispi non  ci  ha
risposto...
        ...Io non potevo avere nessun interesse di  rendergli  servigio  (a  lui
Crispi) a prezzo del mio onore... Io ero stato vivamente pregato  di  aggiungere
la mia firma ad altre per compiere una buona azione...
        Io non  potevo  supporre  che  mi  si  volesse  trarre  in  inganno.  in
pienissima buona fede, credendo  di  compiere  una  buona  azione,  consentii  a
sottoscrivere l'atto notorio... Come sospettare che chi ha ottenuto  la  fiducia
della Camera come suo presidente, chi  ha  compiuto  le  più  delicate  missioni
diplomatiche presso le corti straniere,  chi  ha  meritato  la  fiducia  di  due
corone, volesse buscarsi la taccia di bigamo e far buscare agli altri la  taccia
e la pena di falsi testimonii?!
                                                   SALVATORE FRANCONE

        Bei precedenti per essere creduto nelle  smentite  sull'affare  Herz!  E
dire che questi precedenti bastarono per costringere allora Francesco  Crispi  a
discendere dal potere innanzi al verdetto della pubblica coscienza.

        E fu allora che il severo Giacomo Dina nelle colonne della Opinione  (26
e 28 marzo 1878, n.d.r.) scriveva:

        L'on. Crispi potrà difendersi vittoriosamente davanti ai  Tribunali:  ma
rimane un Tribunale più elevato, quello della coscienza  pubblica,  al  cospetto
della quale egli è già comparso e da cui  fu  condannato,  senza  attendere  gli
oracoli del procuratore del re. La vita politica dell'on. Crispi è finita.

        E poi:

        L'on. Crispi riuscirà  a  giustificarsi  davanti  ai  Tribunali:  ma  la
coscienza popolare è tanto più inesorabile quanto più la  legge  è  impotente  a
tutelare certi riguardi di pubblica morale.

        E tornano a mente le parole di fuoco con cai Sidney Sonnino - oggi
collega di Crispi e ministro del Tesoro - stimmatizzava Francesco Crispi  il  10
marzo 1878.
        Parla, parla o Sonnino!

Che magistrati e giurati assolvano o no Francesco Crispi, che egli  abbia  o  no
una maggioranza di deputati pronti a dargli all'occasione un  voto  di  fiducia,
ormai il verdetto, quanto alla moralità dell'uomo,  è  stato  pronunciato  dalla
nazione intera: e per quanto sia sconfortante il pensare che uomini  in  cui  il
senso morale è così basso possano in Italia pervenire ai più alti  uffici  dello
Stato, non siamo però giunti a tale indegnità che vi  si  possano  mantenere  di
fronte alla riprovazione unanime di tutta  la  cittadinanza  Onesta.  S.SONNINO,
Rassegna, 10marzo 1878

        È quello che penso anch'io. Come si dimentica presto in  Italia!  E  poi
dicono che Sonnino è un testardo.

        Ma tu meni il can per l'aja, odo dirmi: e parli di cose di quindici anni
fa! Troppo giusto: lasciamole dormire: se  invece  di  quindici  fossero  almeno
venticinque, tutt'al più servirebbero per mandare un galantuomo  a  Port'Ercole,
come quel povero diavolo, ottimo padre  di  famiglia,  denunziato  al  domicilio
coatto, per avere  nell'anno  1870  lanciato  in  isbaglio  una  ciabatta  a  un
brigadiere!
        Ah, per voi occorre un falso di data più  recente?  Come  vi  piace,  vi
servo anche di questo. Esso è là, documentato in atti;  solo  nessuno  se  n'era
accorto mai. Interrogato in carcere, Bernardo Tanlongo, dal  giudice  istruttore
Capriolo, il 21 febbraio 1893, a domanda, risponde:

        L'on. Crispi, siccome dissi, mi raccomandò più  volte  l'on.  Chiara  ed
altri per sussidi e cambiali. (Processo Banca Romana)

        In seguito di tale deposizione, va il magistrato istruttore a  esaminare
Francesco Crispi, nel suo proprio domicilio di cavalier dell'Annunziata, ed ecco
il brano di verbale dell'esame del teste Cavaliere:

        A domanda, se sia vero quanto afferma il Tanlongo a suo  discarico.  che
cioè il dichiarante abbia raccomandato più volte  l'onorevole  Chiara  ed  altri
ecc., ed invitato a dare dilucidaziani, ecc. risponde:
        "Il Tanlongo s'inganna non avendo io mai raccomandato alcuno per isconto
di cambiali alla sua banca". (Esame Crispi Cav. Fr. 4 Proc. Banca Rom. esame  21
maggio)

        Il Crispi deponeva questo al giudice a faccia franca, il  21  maggio,  e
badate che non ci è sbaglio di  memoria  possibile,  perché  la  stessa  domanda
gliela rinfrescava e non si trattava  di  somme  di  un  centesimo;  solo,  egli
credeva di farla franca, non pensando,  quel  giorno  21  maggio,  che  Bernardo
Tanlongo quattro mesi più tardi, gli giuocasse il brutto tiro di pubblicargli il
libro verde ove si legge:

Roma, 6-9-89

        I.
        Onoratissimo Comm. Tanlongo
        Dal presidente del Consiglio dei ministri.
        Caro Commendatore,
        l'on. deputato Roberto Galli le recherà questa mia. Abbia  la  bontà  di
consentirgli il favore che le domanderà.
Con anticipati ringraziamenti. aff. CRISPI

        (Postilla di Tanlongo: Il favore domandato è stato  quello  di  favorire
l'onorevole Galli che stante la raccomandazione del presidente del Consiglio  ho
dovuto ajutare - 9 sett. B.T.) 12 ottobre, 90

        II.
        Il Comm. Tanlongo riceverà l'on.  Pietro  Chiara  e  vorrà  (addirittura
l'imperativo!) essergli gentile come altra volta. F. CRISPI


        E così via di seguito:  omettiamo  per  risparmio  di  tempo  gli  altri
biglietti di Crispi a Tanlongo che sono là nel  libro  verde  e  gli  altri  per
Cucchi, per Cardella ecc., di Crispi al "caro Comm. Tanlongo" che  sono  là  nel
processo della Banca Romana.
        Ora apriamo la busta IV del plico Giolitti, e leggiamo nel primo  elenco
del registro dell'ispettore Martuscelli:

        N. 420. Cedenti Chiara Pietra e Nicola; ordine Banca Romana. Effetti per
L. 389.404 e cent. 70 andati in sofferenza nel gennajo 1862. Sino al l0  gennajo
1893 (cioè fin a dopo le scoperte delle ispezioni): "non si è pagato nulla".
        Consta agli impiegati della Banca  che  i  vari  sconti  delle  cambiali
furono fatti in seguito a vivissime raccomandazioni di F. Crispi.

        E il comm. Martuscelli ispettore sapeva le cose tanto  bene  e  meritava
tal fede intera che il senatore Finali  nel  proprio  interrogatorio,  richiesto
d'informare sui risultati dell'ispezione alla Banca Romana "volendo non dire che
cose di matematica esattezza" se ne riferiva "in tutto all'ispettore Martuscelli
per ogni particolare!".
        Ebbene per mesi e mesi, dopo la relazione dei Cinque, si è  seguitato  -
lo ricordate? - nei giornali che Crispi paga non del suo - a dare del bugiardo -
come oggi a me - a Bernardo Tanlongo - meno male - e all'ispettore Martuscelli!
        Chi fosse il bugiardo ora si vede!
        E d'ora innanzi tra Crispi e un Bernardo Tanlongo sappiam,  da  un  atto
ufficiale, che è... Tanlongo che merita più fede! E l'altro vorrebbe... che  gli
credessero per Herz!
        Ma qui si vede  qualche  cosa  di  più.  Se  anche  da  ogni  parte  non
trapelasse che il Chiara non è che un prestanome, o per usare una frase  precisa
dell'ispettore Martuscelli "una testa di legno", anche se la raccomandazione non
fosse  resa  più  immorale  dalla   parentela,   dall'enormezza   della   cifra,
dall'insolvenza del debito - abbiamo nella falsa  testimonianza  del  Crispi  la
prova - dico meglio, la confessione - ch'egli sapeva di non aver fatto  cosa  né
corretta,  né  lecita:  altrimenti  non  avrebbe,  per  nasconderla,  ricorso  a
quell'altra cosa scorretta e illecita, che si chiama... una deposizione falsa!
        Mi direte che se, come tale, essa è contemplata dall'art. 214 del Codice
Penale, va però esente da pena, per il successivo  art.  215,  "chi  innanzi  al
giudice manifestando il vero, esporrebbe inevitabilmente  sé  medesimo  a  grave
nocumento nell'onore".
        Ma questa stessa dizione del  Codice,  sopprimendo  la  pena  materiale,
aggrava la figura morale del teste falso! E certo infatti non era onorevole, per
un capo di governo, intimare favori per un parente a quella Banca Romana di  cui
per solenne dichiarazione e censura del Comitato dei Sette il  Crispi  conosceva
da un anno il criminoso segreto!
        Ebbene io domando: se qualche cosa  di  simile  l'avessi  fatto  io,  mi
lascerebbero oggi nella Camera sedere? o dove dovrei andare a nascondermi?

        Ma anche il falso del 1893 è cosa vecchia! Infatti son corsi  due  anni.
Volete dei falsi proprio più freschi? O almeno una qualche complicità in  falso,
per poter credere al signor Crispi - quando smentisce - ad occhi chiusi? Ecco il
signor Crispi, in piena Camera, chiamato a  dar  conto  dei  tribunali  statari,
annunzia solennemente di "avere in mano documenti schiaccianti".
        E trionfalmente li presenta, li legge, fa fremere la Camera e le strappa
il voto che è costato a tanti la galera!
        Quanti sono  gli  schiaccianti  documenti?  due  soli!  il  trattato  di
Bisacquino e il proclama dei Vespri firmatissimo. Neanche a farlo apposta... due
falsi in una volta!
        Altro che il bugiardo di Goldoni! Adagio, sento dirmi! lui non sapeva di
presentare due falsi! lui non sapeva di ingannare la Camera! questo s'è scoperto
dal processo, poi!
        Ebbene, no! proprio dal processo si è scoperto - e fu l'avvocato fiscale
Soddu-Millo che l'annunziò - che il trattato di Bisacquino; parto letterario del
delegato di questura Morandi, era già stato nell'ottobre 1893 - cioè mesi  prima
che il signor Crispi osasse con esso mistificare la Camera, dichiarato dal sotto
prefetto di Corleone non degno, per il suo tenore grottesco, di essere trasmesso
alle autorità superiori.
        L'avvocato stesso fiscale non esitò a dichiararlo una  fantasticheria  e
bastava infatti a qualunque galantuomo, per  capirlo  tale,  un  atomo  solo  di
serietà e di buona fede. Nossignori, arriva Francesco  Crispi,  e  in  mano  sua
ritorna buono, per salvare la patria  e  mistificare  la  Camera,  il  documento
falso, già come tale ripudiato dalle autorità!
        E vorrebbe essere creduto nelle smentite su Herz!
        Ma c'è l'altro documento falso; è il proclama insurrezionale dei  vespri
- firmatissimo - parto della vendetta di un cancelliere  di  pretura  contro  il
marito della donna che lo respinse.
        Qui almeno, sento dirmi, era il Crispi in buona fede! Volete vederla  la
buona fede?

        Atti Ufficiali della Camera, seduta 28 febbraio 1894:
        Crispi, presidente del Consiglio: "A dare un concetto dei  proclami  che
si spargevano nei comuni, ne leggerò uno solo che vale per tutti".

E qui legge il proclama:

        "Operai figli del Vespro! ancora dormite? morte al re,  agli  impiegati,
fuoco al municipio e al casino dei civili [ecc. ecc. ecc.]".
        Prampolini: "È firmato?"
        Crispi, presidente del  Consiglio:  "E  firmatissimo.  (Ilarità).  Tutto
risulterà dal processo".

        Ebbene era falso che quell'appello fosse stato sparso  nei  comuni,  era
falso che fosse stato pubblicato e letto da anima viva, tranne  il  suo  autore;
era falso che mentre Crispi lo  leggeva,  fosse,  nonché  firmatissimo,  neppure
semplicemente firmato!
        La firma era una menzogna del signor Crispi, lì per lì,  per  far  colpo
sulla Camera, e che nella sua stessa invenzione  lo  provava  consapevole  della
falsità dell'atto che leggeva!
        E vorrebbe essere creduto nelle smentite su Herz!

        Ora io riapro il Codice Penale e  nel  titolo  delitti  contro  la  fede
pubblica trovo all'art. 276 che il pubblico ufficiale (mettiamo che sia  tale...
il Presidente del Consiglio!) "che ricevendo o firmando un atto,  nell'esercizio
delle sue funzioni, attesta come veri  fatti  e  dichiarazioni  non  conformi  a
verità, od omette o altera (come  sarebbe,  nevvero?  inventare  una  firma)  le
dichiarazioni ricevute, ove ne possa derivare pubblico  o  privato  nocumento  è
punito con la pena dell'articolo precedente" cioè con la reclusione da cinque  a
dodici anni.
        Altro che nocumento! quante centinaia di anni di galera di più costarono
quei documenti falsi  presentati  dal  signor  Crispi  come  ministro,  e  fatti
scrivere negli Atti ufficiali della Camera, per carpirle un voto!
        Voi mi dite che alla reclusione il Crispi non ci  va  -  né  per  dodici
anni, né per cinque - perché si tratta, anche per lui, di un reato che è coperto
dall'immunità parlamentare: ringrazi dunque la sua buona  stella  e  la  suprema
Corte di Cassazione che quella immunità l'ha fatta valere, altrimenti vede a che
guaio, colle sue teorie, andava incontro! E come si troverebbe a mal partito con
chi gli adoperasse il grande argomento de' suoi scribi, e gli  chiedesse:  ma  è
lecito servirsi del manto dell'immunità per diffamare, non già un solo cittadino
né due, ma centinaia, e adoperare carte false per mandarli al reclusorio?

        Ma le son cose del febbraio dell'anno scorso! Son passati quindici mesi!
cose vecchie! Vogliamo una qualche complicità in falso più  fresca,  più  fresca
ancora!
        Siete proprio incontentabili. Pigliate allora il memoriale  Marescalchi,
e leggetevi trascritto nel suo testo, il rapporto falso del questore  Sangiorgi,
inventante di sana pianta il tenore di un discorso pubblico non mai tenuto,  per
mandare un povero diavolo al domicilio coatto!
        Il falso, voi mi dite, è un reato del  questore!  I  tre  giudici  della
Commissione, cioè Marescaichi  e  i  due  magistrati,  non  ne  vollero  sapere!
Benissimo. Adesso leggete la  lettera  di  Crispi  al  prefetto  Giura  con  cui
ammonisce acerbamente il Marescalchi che il suo preciso dovere  era  di  prestar
mano a quel rapporto falso e a tutti gli altri della questura e che associandosi
invece ai due magistrati nel respingerlo, egli ha tradito il proprio dovere.
        Se il falso documento non ha  servito,  convenitene,  non  è  colpa  del
signor Crispi che ha fatto di tutto per farlo valere!

        Ma e l'affare Herz?  Abbiate  pazienza,  che  verremo  anche  a  quello.
Dovendo prima mettere bene in sodo che quando Crispi e i suoi scribi smentiscono
una cosa potete giurare a occhi chiusi  che  è  vera,  sebbene  ce  ne  sia  già
d'avanzo, amo finire la dimostrazione, tanto più che l'affare  Herz  non  è  che
l'anello di una catena. Vi sognate voi qualche cosa di lontanamente  simile  che
fosse stato possibile con uomini i quali si chiamassero Quintino Sella o Lanza o
Feracciù o Baccarini? Quell'affare fu possibile, perché c'era al potere chi, nel
metter a frutto gli uffici pubblici,  non  aveva  mai  in  sua  vita  patito  di
scrupoli. Ed è appunto perché questo vizio salta  fuori  ad  ogni  piè  sospinto
dalle pagine della sua vita, che a furia di leggerne tante, si trova  essere  di
troppo questa pagina di più.
        Vi ricordate l'ultimo giorno della Camera? Presentata la  relazione  dei
Cinque e sorta su di essa la discussione, Francesco  Crispi,  livido,  s'alzò  a
dichiarare che "era tutto un tessuto di perfidie e di menzogne".
        E ad ogni buon conto da lì a un'ora scappava.
        Già: perfidie e menzogne anche gli elenchi del commendatore Martuscelli,
ispettore della Banca, corrispondenti, cifra per cifra, data  per  data,  numero
d'ordine per numero d'ordine, ai registri ispezionati della Banca e  a  tutti  i
documenti del processo!
        Perfidie e menzogne anche la lettera 16 febbraio 1894 del comm. Mazzino,
reggente  della  Banca  in  persona,  che  in  questa  sua  qualità  trascriveva
semplicemente dai registri una nota  degli  effetti  di  casa  Crispi  esistenti
presso la Banca e rimasti, fino alla scoperta dell'inchiesta,  insoddisfatti  ed
occulti.

        Questo mi ricorda perfettamente un aneddoto della penultima seduta della
Commissione dei Cinque.
        L'onorevole Cibrario, della maggioranza, eletto relatore  con  tre  voti
contro due, quello di Carmine e il mio, leggendoci la sua relazione, descrivente
il contenuto delle buste, devoto a Crispi, ma galantuomo, si studiava conciliare
capra e cavoli, il  tenore  dei  documenti  col  dispiacere  che  gli  recavano.
Arrivato alla lettera del reggente Mazzino nella relazione se la cavava così:

        "Lettera in foglio intestato Banca Romana riferentesi ad alcune  dicerie
(!!!) che circolavano nella Banca Romana."

        "Ferma un momento", dico io. "Mi pare, amico  Cibrario  che  tu  sbagli.
Prego l'amico presidente (Damiani) di avere a buon conto la bontà  di  rileggere
il documento lettera Mazzino". E porgo, estraendola dal  plico,  la  lettera  al
presidente che legge:

BANCA ROMANA Roma, 16 febbraio 1894 Eccellenza,
        in risposta alla richiesta confidenziale fattami da V.E. ho  l'onore  di
rassegnarle i seguenti schiarimenti, quali  risultano  dalla  contabilità  della
Banca e dalle dichiarazioni dei capi uffici preposti alli medesimi.
        Esiste allo sconto un effetto cambiario, creato il 20 dicembre 1892, con
scadenza 31 marzo 1893, portante l'accettazione del signor Palumbo Cardella e la
gira di S.E. Francesco Crispi.
        Esiste inoltre un conto corrente aperto il 15 luglio  1890  in  nome  di
Valli Gio.Batta per conto L.C., che secondo i capi  servizio  (non  essendo  ciò
stato mai a mia cognizione) significa Donna Lina Crispi per lire  14.000  e  più
gl'interessi dal 15 ottobre 1890.
        Esiste infine una partita a debito della signora  Lina  Crispi  di  lire
4305.15 per controvaluta di fiorini 1969,91, pagate dalla  Banca  per  la  detta
signora con lettera di credito, più gl'interessi dal 4 settembre 1890.
        Esiste poi un debito a carico dei signori Pietro e Nicola Chiara per  la
somma di lire 390.404,70 contro i quali si stanno facendo gli atti giudiziali  a
Palermo.
Ho l'onore di rassegnarmi dall'E.V. devotissimo B. MAZZINO

        Ma il presidente non arrivò della lettura neanche in fine:  perché  dopo
il primo esiste, il secondo esiste, il terzo esiste, arrivato alla quarta parola
esiste, ho chiesto pacatamente al relatore:
"Amico Cibrario, ti pare che siano dicerie?" E lui lealmente: "Hai perfettamente
ragione; non mi ricordavo più il tenore." E cancellò lì sull'atto  tutto  quanto
l'inciso. Non dico che lo facesse con piacere. [...]

        Volete vedere come eran cose sapute? Nella lettera  Mazzino  il  secondo
esiste riguarda un conto corrente aperto il 15 luglio 1890 in nome di Valli Gio.
Batta per Conto L.C. per lire 14 mila e più gli interessi dal 15 ottobre 1890.
        Questo conto corrente così figura nell'elenco autentico del Martuscelli:

        Valli Gio. Batta per conto L.C.
        Ricevute il 15 luglio 1890 lire 14.000, meno lire 214  per  interessi  a
tutto il 14 ottobre successivo.
        Debito al 10 gennaio 1893... lire 14.000 (!!!). Non si pagano e  neppure
si liquidano interessi.

        Ciò è enorme, nevvero? siamo d'accordo: ed è anche più enorme il leggere
nell'elenco dell'ispettore Martuscelli queste precise parole (riconfermate nella
lettera del reggente Mazzino):

        Consta alla Banca Romana che le iniziali L.C. significano Lina Crispi.

Ossia la moglie di quello stesso deputato che mentre  ancora  di  questo  debito
nemmeno si  pagavano  e  nemmeno  si  liquidavano  gli  interessi,  si  opponeva
all'inchiesta sulla Banca Romana!

        E avete lasciato passar di questa roba sapendolo? domandai  in  dicembre
scorso ad uno dei Sette.
        "Lo sapevamo così poco", mi rispose, "che ci si era persin fatto credere
che  quelle  iniziali  L.C.  significassero...  Lamberto  Colonna  o   Lazzaroni
Cesare!".
        E basti per saggio.
        "E lo stesso Mazzino se  avesse  fatto  innanzi  a  noi  le  rivelazioni
precise specificate che si trovano nella lettera sua al  Giolitti,  è  chiaro  e
certo che il Comitato avrebbe fatto altre indagini e non avrebbe  indietreggiato
avanti ad un giudizio anche più severo. Nel fatto, così come sono le indicazioni
della lettera Mazzino, sono per la maggior parte, per me e per i  miei  colleghi
dei Sette una novità".
        Altro che cose vecchie e sapute!

        Ma torniamo al primo fatto della lettera Mazzino, ossia  torniamo  dalla
moglie al marito.
        Quando io la prima volta fermai l'occhio, con istupore e  disgusto,  nei
documenti dei Cinque, sul fatto gravissimo dell'effetto Crispi 29 dicembre  '92,
a distanza di pochi giorni dal discorso di Crispi del 20  nella  Camera,  contro
l'inchiesta della Banca Romana, non aveva ancora tutta intera dinanzi, ne'  suoi
precisi contorni, definiti dal codice penale, e da quello dei  galantuomini,  la
enormezza del fatto. E basti dire ch'era  sfuggito  a  me,  com'era  sfuggito  a
tutti.
        Appena il fatto fu segnalato e l'enormezza  cominciò  a  trasparire,  la
Riforma e gli altri salariati misero avanti le mani  e  negarono  sfacciatamente
che il Crispi, il 20 dicembre, avesse difeso nella Camera la Banca! Capivano che
una volta assodato  questo,  siccome  le  date  parlavano,  la  concussione  era
lampante (come lo è).
        Ahimè! il deputato Crispi nella seduta del 20 dicembre aveva  fatto  più
che difendere la Banca Romana!
        Presentata da Napoleone Colajanni la domanda  dell'inchiesta  fieramente
contrastata dal Miceli e da  altri,  i  quali  sapevano  come  stavano,  il  più
violento e più astuto nell'opporsi alla domanda onesta fu il  Crispi.  E  doveva
essere ben forte l'interesse che lo moveva ad unirsi  al  governo  perché  fosse
respinta, da  fargli  dimenticare  persino  il  suo  odio  personale  contro  il
Giolitti. Impedire quel giorno la inchiesta sui fatti criminosi e segreti che la
Banca Romana  celava  nel  seno,  era  ben  più  che  difenderla!  era  salvarla
addirittura!
        E Francesco Crispi quel giorno la salvò!
        Oggi che tutta Italia ha saputo quali erano  le  oneste  cose  che  quel
giorno si vollero nascondere e ha saputo dal  solenne  verdetto  dei  Sette  che
Francesco Crispi in quel dì le conosceva - oggi è alla luce vergognosa di quelle
rivelazioni di poi, che io consegno alla  gogna  della  storia  parlamentare  le
parole di Francesco Crispi in quella tornata del 20 dicembre, e  poi  vedremo  -
per triste colmo di scandalo - qual era la posizione personale del signor Crispi
in quel preciso momento che dal suo  stallo  di  deputato  compiva  parlando  il
brutto ufficio. E si comprenderà perché al darne conto  abbia  preferito  il  15
dicembre fuggire.

Tornata del 20 dicembre 1892 (Atti ufficiali):

        Crispi: Non mi sarei atteso che si fosse venuto dopo quattro  anni  alla
Camera a parlare di fatti già quasi giudicati (!) e per moltissimi dei quali  si
è già provveduto (!).
        L'inchiesta parlamentare non si può, non si deve  votare.  Non  si  deve
perché non sarebbe atto patriottico, mi scusi l'on. Colajanni, il votarla.
        Inchieste ne furono  fatte  parecchie.  Alcune  ordinate  sotto  il  mio
ministero furono rigorosissime.
        Non ho nulla da aggiungere alle parole del mio  caro  amico  Miceli,  il
quale, colla onestà che lo distingue, ha raccontato le cose come sono andate.
         I  parlamenti  hanno  un  dovere:  quello  della  prudenza  nelle  loro
deliberazioni.
        Possiamo discutere tra di noi; accusarci tra di  noi;  ma  non  possiamo
accusare quelli che non sono qui (cioè Tanlongo). (Bravo! Benissimo!)
        L'on. Colajanni vorrebbe costituire un Comitato di salute pubblica:  non
ne è il tempo. (Ilarità).
        Colajanni: Ci arriveremo.
        Crispi: Non ci arriverete. Sono sogni d'infermo. (Interruzione  dell'on.
Colajanni: Benissimo). Ho combattuto contro altri più forti di voi, e se  volete
continuare sopra una via che non è la nostra, sbagliate.
        Colajanni: Potrei rispondere malamente.
        Crispì: Potete rispondere come volete, troverete la replica.  Il  nostro
credito  all'estero  peggiorerebbe  per  una  inchiesta   parlamentare.   Quanto
all'opera nostra dell'89 non abbiamo che a lodarcene.  Se  momenti  critici  non
fossero sopraggiunti, saremmo venuti alla Camera con un  disegno  di  legge  che
avrebbe una volta per sempre riparato all'anarchia bancaria.

        (Il disegno di legge, di cui qui si parla, non  occorre  dirlo,  era  il
famoso disegno per la Banca Unica, alla quale il ministro, salito al potere  col
programma della  Sinistra,  della  pluralità  delle  Banche,  s'era  rapidamente
convertito in pro della Banca Nazionale... avendo pudicamente acceso con essa il
grazioso prestito delle 254 mila lire, tenuto clandestino, e sotto condizione di
non pagare, stando al potere, un centesimo né  di  interessi,  né  di  capitale.
Simonia di cui la storia delle corruzioni parlamentari non  ricorda  più  tipico
esempio). [...]
        E il discorso non è che  una  pallida  illustrazione  del  contegno  del
signor Crispi, mentre il Colajanni faceva contro la  Banca  la  sua  formidabile
requisitoria; contegno così irritato  e  provocante,  che  avendolo  i  deputati
dell'Estrema, a lui vicini, invitato a chetarsi, rispose rabbioso a  Caldesi,  a
Garavetti e agli altri lì presso: "Tanlongo ha dei milioni da seppellirvi  tutti
quanti!". [...]
        Che Crispi fosse; quel dì 20 dicembre in  cui  salvava  dalla  inchiesta
Tanlongo e la sua Banca, debitore clandestino di effetti ingenti  in  sofferenza
alla Banca Romana, risulta ormai ad esuberanza dai documenti dell'inchiesta.
        Ed è chiarito con la maggior  precisione  dal  trovarsi  quegli  effetti
Crispi nella nota dei titoli d'indole clandestina,  consegnati  da  Lazzaroni  a
Tanlongo: dall'interrogatorio Lazzaroni 14 aprile '93 da cui è assodato  come  i
tre effetti Crispi (uno di 10.000 a scadenza 15 gennaio '93,  uno  di  25.000  a
scadenza 30 febbraio, l'altro di 20.000 a scadenza  in  bianco)  appartenessero:
"alle operazioni riservate che non passavano  per  la  trafila  ordinaria  della
Banca". [...]
        Ma qualche cosa di ben più grave del debito occulto in corso è il favore
nuovo che il signor Crispi non si vergognò  di  mandar  a  chiedere  a  Tanlongo
immediatamente dopo resogli nella Camera, come deputato, l'immenso servizio  del
20 dicembre 1892.
        Questo favore è descritto  nella  terza  operazione  dell'elenco  n.  11
dell'ispettore Martuscelli il qual elenco è il seguente:

        Atti Parlamentari n. 76 a.
        Portafogli. Situazione al 10 gennaio 1893.
        Operazione n. 94 del 5 gennaio 1893.
        Bufardeci Emilio cedente dell'effetto n.  374,  accettato  da  Bufardeci
Sebastiano per L.13.000 - scadenza 3 aprile 1893. - Si crede nella Banca  Romana
che questi effetti sieno Stati scontati nell'interesse  della  famiglia  Crispi.
Operazione n. 9251 dell'8 novembre 1892.
        Campagnano Vitale di Raffaele, negoziante  in  mercerie,  cedente  degli
effetti n. 28.684 a 28.687, accettati  da  Campagnano  Raffaele,  per  L.16.000,
scadenza 8 febbraio 1893. L'8 febbraio 1893, con  operazione  n.  940  bis,  gli
effetti furono rinnovati, coi n. 2.592 a 2.595, con riduzione a lire 15.900.
        Secondo  dichiarazione  verbale  dello  stesso  Campagnano  Vitale,  gli
effetti sarebbero dipendenti da acquisti non pagati da Lina Crispi.
        Operazione n. 10.757 del 20 dicembre 1892.
        Crispi Francesco cedente dell'effetto n. 34.526  accettato  da  Giuseppe
Palumbo Cardella per lire 20.000 scadenza 28 marzo 1893.

        Come vedesi questo terzo dagli effetti tenuti amorosamente in portafogli
(tralascio di consegnare all'ammirazione gli altri due precedenti) porta la data
del 29 dicembre, vale a dire di nove giorni appena dopo  il  servizio  reso  dal
Crispi, come deputato, a Tanlongo il 20 dicembre. Domando a chiunque abbia senso
elementare di onestà con che nome nel codice  dei  galantuomini  chiamasi...  lo
sposalizio di quelle due date.
        Ma aspettate ancora! Trattandosi di sposalizio, è giusto che per  Crispi
le  date  siano  almeno  tre;  frugate  in   una   noticina   piccina   piccina,
rincantucciata in calce alla nota degli effetti Crispi, e scoprirete che  questo
effetto è il medesimo, di cui l'elenco Martuscelli ha rettificato  la  data  che
era segnata per isbaglio 19 dicembre, invece di 29 dicembre.
        Dice la noticina:

Questo effetto (di 20 mila lire senza scadenza) che al 24 dicembre 1892  risulta
come sospeso di cassa nella verifica di detto giorno, come dal libro sequestrato
ed in atti, venne caricato in portafogli il 19 dicembre 1892 con la scadenza del
28 marzo 1893, epoca in cui venne pagato.

        L'errore di stampa che ha cambiato il 29 in 19 è evidente dal contesto e
dal confronto coll'elenco Martuscelli: resta adunque inoppugnabilmente accertato
che non al 29, ma  al  24  dicembre,  quattro  giorni  soli  dopo  il  discorso,
l'onorevole oratore, difensore di Taniongo nella Camera, aveva già ottenuto  dal
medesimo il riconoscente ricambio del servizio resogli; ossia, supposto che  non
più di un giorno sia intercorso per la richiesta, il favore fu domandato  quando
non erano ancora asciutte le bozze stenografiche del discorso del 20!
        E l'uomo che reclamava in quel momento questo onesto scambio di servigi,
era quegli a cui Taniongo non poteva nulla negare, perché egli,  Crispi,  teneva
in pugno da due anni, come incautamente confessò, e come i  Sette  constatarono,
il segreto delle "cose da Corte d'Assise" che il  20  dicembre  volle  sottrarre
alla luce!
        Ed ora che il fatto è accertato e fuor di qualunque  discussione,  ossia
ora che abbiamo nel documento Martuscelli, rischiarante i documenti  dei  Sette,
la prova che su questo punto,  come  su  quello  delle  raccomandazioni  indarno
negate dal Crispi al giudice,  il  Tanlongo  ha  confessato  la  pura  verità  -
possiamo su questo punto dare al Tanlongo la parola:

"Anche il Crispi ha una cambiale di 5000 ed  una  di  20.000  lire  fatta  pochi
giorni prima del mio arresto, che ne domandò 60.000 e che  dovetti  limitarmi  a
motivo della circolazione, che con il ritiro  avvenuto  dei  depositi  di  conti
correnti era quasi tutta emessa. Oltre a lui, vi sono alcune  cambialette  della
sua signora, che faceva  figurare  come  concessionario  un  mercante  ebreo  di
tessuti." (Relazione dei Cinque - lettera Tanlongo 17 luglio 1893).

        E le 55.000 lire sono infatti esattamente la somma  comprovata  dai  due
documenti sequestrati n. 157 e 190 del Processo della Banca; le 20.000 di "pochi
giorni prima dell'arresto" (che fu  il  19  gennaio)  sono  quelle  dell'effetto
caricato in portafoglio il 29 dicembre; (sospeso di Cassa del 24  dicembre);  il
mercante ebreo di tessuti prestanome della signora  è  il  Raffaele  Campagnano,
come risulta dal documento  Martuscelli  e  amplissimamente  dalle  102  lettere
private di Lina Crispi al maggiordomo Lanti che la Commissione dei Cinque, a mia
proposta, decise di restituire. Vale a  dire,  il  Tanlongo  nella  sua  lettera
risulta su questo punto veritiero ed esatto fino  allo  scrupolo:  come  lo  era
quando affermò al giudice le raccomandazioni di  Crispi  da  questi  al  giudice
negate: motivo per cui diventa  preziosa  e  indiscutibile  la  sua  confessione
(14aprile) che "quell'effetto delle 20.000 non  figurava  nemmeno  sui  registri
della Banca" (la clandestinità è già provata) e la  edificante  rivelazione  che
quelle povere ventimila rappresentano una  riduzione  della  domanda  primitiva!
l'onesto Crispi, - da oratore che si rispetta e da  avvocato  principe  -  aveva
valutato il suo discorso del 20 dicembre al triplo - e aveva chiesto uno  sconto
di sessantamila!
        E colto così colla mano nel sacco, il signor Crispi se ne  va  a  faccia
fresca a raccontare al giudice Capriolo ed ai Sette che le  cambiali  presso  la
Banca Romana "furono alla scadenza pagate!". Bella forza! [...]
        Il signor Crispi si faceva bello  di  aver  saldato  i  suoi  effetti  -
giacenti  clandestini  fino  al  principio  del  '93  -  dopo  che   l'ispezione
Martuscelli e le perquisizioni e il processo dalla Banca  avevano  pontato  alla
loro scoperta!
        E fino a che le scoperte non vennero, fino  al  giorno  dell'arresto  di
Tanlongo, casa Crispi faceva onore ai suoi  effetti  nel  modo  che  l'ispettore
Martuscelli al 25 febbraio  '93  descrive:  "nemmeno  si  pagano  e  nemmeno  si
liquidano gli interessi!"
        Tornando all'effetto del 24-29  dicembre,  cioè  all'onesto  clandestino
compenso del discorso del 20 dicembre - (che se fosse stato scoperto  a  me,  mi
avrebbe obbligato ad uscir sui due piedi  dal  Parlamento)  mi  sono  tenuto  ai
documenti noti ed acquisiti i quali - come vedesi - esuberano alla dimostrazione
del reato.
        Solo ad abbondanza qui ripeto quanto dissi già, che nelle lettere  della
signora Crispi Barbagallo, - non quelle  a  Lanti,  restituite  dai  Cinque,  ma
quelle a Bernardo Tanlongo di cui parla l'elenco 7 febbraio del delegato di P.S.
Rinaldi,  e  di  cui  è  cenno  incompletissimo  e  superficiale  negli  appunti
consegnati ai Sette - lettere  che  si  trovano  giacenti  e  nascoste  fra  gli
undicimila atti del Processo della Banca Romana - se ne ritrova precisamente una
della fine di dicembre '92, che collega il discorso fatto dal marito alla Camera
in difesa della Banca, con una nuova domanda di danaro alla stessa! [...]

        Dunque riassumiamo:

        - È provato che  l'onorevole  Crispi  dal  1889,  "come  Presidente  del
Consiglio conobbe la situazione della Banca Romana, qual  era,  dalla  relazione
Biagini" cioè conobbe i reati da Corte d'Assise  in  essa  descritti  "ma  credé
opportuno di passarli sotto silenzio".
        - È provato che tenendo in pugno con un siffatto segreto, acquisito  per
ragion del suo ufficio, l'istituto e il governatore  colpevole  che  non  poteva
perciò nulla rifiutargli, (e questa è la circostanza per la quale  il  caso  del
signor Crispi è enormemente più scandaloso e più grave di quello  di  tutti  gli
altri deplorati, i quali bensì pregavano favori illeciti, ma non avevan armi  in
mano da imporli) il signor Crispi onestamente se ne  valse  per  farsi  scontare
effetti sopra effetti di favore, che  ancora  al  20  dicembre  '92,  mentr'egli
salvava nella Camera il Tanlongo, ammontavano a  L.  55.000,  (senza  contar  le
50.000 estorte per l'elezione del V collegio di Roma e senza  contare  le  altre
sofferenze di famiglia); e se ne valse, inoltre per  obbligare  il  governatore,
che era, come vedesi, alla sua mercé, ad altri uguali favori ai  propri  intimi.
[...]
        - E provato che appena ebbe il 20 dicembre '92 col  suo  discorso  nella
Camera salvato l'Istituto e il governatore colpevole dalla inchiesta proposta da
Colajanni, ne approfittò per farsi dar subito il 24 dicembre - oltre quelle  che
già doveva - altre lire 20.000  sapendo  il  governatore  nell'impossibilità  di
negargliele.

        E se questi non  costituiscono  nella  più  precisa  forma  i  reati  di
concussione e corruzione, contemplati alti articoli 169, 170 e  171  del  Codice
Penale, tutti e tre questi articoli si potrebbero cancellare dal Codice.
        E siccome questi rientrano nella categoria dei reati pei quali non  pare
che esista immunità parlamentare (lo provò Rocco De Zerbi  la  cui  opera  nella
Commissione parlamentare, per valida che fosse, non  ebbe  tuttavia  l'influenza
solenne e perversa del discorso 20 dicembre che permise alla  Banca,  da  Crispi
salvata in quel dì, di far perdere allo Stato degli altri milioni), così,  o  il
signor Crispi ne dà spiegazione  alla  Camera  o  dovrà  altri  occuparsene  pei
diritti della pubblica accusa.



SECONDA PARTE






         Ed  è  alla  luce  di  questi  precedenti  dell'uomo  in   materia   di
attendibilità, di delicatezza, di onestà, di scrupolo, - soprattutto  alla  luce
ditali criterj, sulla fede che  meritano  le  smentite  sue  -  che  esamineremo
quest'altro affar pulito della... decorazione a Cornelio Herz.
        E poiché a me piace in tutto la esattezza e la precisione -  e  l'una  e
l'altra mi fanno tanto comodo quanto all'on. Crispi fanno paura - sarà bene  che
io richiami, innanzi tutto, in che termini l'accusa è stata formulata.  Il  noto
filandro della Capitale, ai sette di gennaio dell'anno scorso, cioè  poco  prima
di entrare al servizio di casa Crispi, l'aveva riassunta semplicemente così:

Nel 1890 si ebbe un Crispi famoso per la invenzione dell'oro straniero. Il quale
però non impedì al cavalier Crispi di beccarsi le 50.000 lire di Reinach per far
dare una decorazione al famigerato Cornelio  Herz.  (Capitale  del  7-8  gennaio
1894)

        E qui il filandro era inesatto, come  i  domestici  che  origliano  agli
usci. Io che amo invece la esattezza, la accusa del Secolo la ho precisata così:

        che il decreto per la decorazione Herz, fu, può dirsi, proprio  l'ultimo
dato a firmare alla  Corona  dal  Crispi,  dimissionario,  rovesciato  sette  dì
innanzi, il 31 gennaio, dal potere proprio dell'ultima udienza reale  che  ebbe,
indelicatamente abusando dell'ufficio provvisorio coperto  per  la  sola  tutela
dell'ordine e per il disbrigo degli affari correnti (due giorni dopo  Di  Rudinì
entrava in carica); tanto perché l'ultimo suo atto fosse degno dei suoi  quattro
anni. di governo;
        che per ottenere quel  decreto  dalla  Corona,  il  Crispi  le  diede  a
intendere una menzogna, che fu presto a Parigi  scoperta  e,  scoperta  che  fu,
s'impose l'alta ragione di revocare il decreto; menzogna della quale  è  in  mia
mano un documento autografo con una firma che taglia la testa al toro;
        che oltre quella menzogna, il Crispi, per contestar l'operato, ne invocò
e ne fece invocare dai suoi giornali un'altra peggiore, pretestando un  rapporto
del general Menabrea, ambasciatore a  Parigi,  sui  pretesi  meriti  scientifici
dell'Herz; rapporto che infatti esiste, e di cui per ora è pietà il  tacere,  ma
del quale il signor Crispi si  è  onestamente  guardato  dal  far  conoscere  un
periodo che fa onore alla sincerità del Menabrea e bastava a rendere la proposta
decorazione impossibile;
        che scoperto il brutto inganno, non solo il  signor  Crispi  non  lacerò
egli il decreto colle sue mani, come fece dalla Riforma sfacciatamente  asserire
(e non potea neppur farlo, perché non era più ministro) ma per tutto  quel  mese
di febbraio contrastò con la più cinica, con la  più  ostinata  resistenza  alle
pratiche replicate fatte presso di lui per persuaderlo colle buone a non opporsi
alla revoca del decreto, scendendo perfino alla indecenza (quando si vide  colle
spalle al muro, davanti alle scoperte venute da Parigi) di  offrire  uno  cheque
francese di 60.000 lire (!!!) a  beneficio  del  magistero  dell'ordine,  purché
sulla revoca non si insistesse; che il signor Crispi non deve aver avuto nemmeno
la delicatezza di avvertire il suo cliente, a cui si  era  affrettato  a  spedir
copia del decreto, di avvertirlo, dico, in febbraio, dei nuovi  ostacoli  sorti;
poiché il povero diavolo di Reinach, non vedendo il diploma  originale  arrivare
mai, spediva con lettera del 24 marzo la somma imprudentemente confessata  dalla
Riforma quando già il decreto, mercé la fermezza del  ministro  Di  Rudinì,  era
stracciato da una settimana;
        che infine la ragion data di quella somma dal signor Crispi e dalla  sua
onesta Riforma, come pagamento di onorari d'avvocato di quattro anni addietro, è
un'altra semplice e solenne e ridicola menzogna, e le 50.000 lire riguardano  il
signor Herz e nessun altri - come in sede opportuna dimostrerò.

        Ora se io fossi meticoloso,  dopo  aver  precisate  le  cose  in  questi
termini, io  avrei  diritto  di  dichiarare  che  non  ho  altro,  per  ora,  da
aggiungere, poiché non è più a me che incombe di dare spiegazioni. [...]

        Ma il signor Crispi non è da oggi che fa il sordo per l'affare Herz.
        Nel 1893, quando le accuse apparvero e le  bugie  della  Riforma  furono
subito schiacciate, la Tribuna e  altri  giornali  fecero  intendere  al  signor
Crispi che l'opinione pubblica reclamava la soddisfazione di un giudizio.
        Il signor Crispi non rifiatò; e confidò  nel  facile  oblio  che  è,  in
Italia specialmente, il grande ajutatore dei disonesti scoperti.
        Ma dopo quattro  mesi  che  io  gli  vado  rinfrescando  la  memoria,  e
sbattendo sul volto  il  suo  reato,  per  quanti  conoscono  e  sanno  l'indole
vendicativa del Crispi, per quanti sanno che, se egli avesse la lontana speranza
di farmi condannare come diffamatore, egli assaporerebbe la voluttà  degli  Dei,
non è più un mistero che se il Crispi  vi  rinunzia,  è  perché  sa  che  da  un
pubblico giudizio n'uscirebbe stritolato.
        Dopo tutto quello che dell'affare Herz fu già stampato, io  potrei  oggi
dispensarmi da  qualunque  dimostrazione  o  abbandonare  il  signor  Crispi  al
giudizio degli onesti: perché dal marzo 1893 il signor Crispi si è reso confesso
doppiamente:
        l° col fuggir dal processo;
        2° col farsi cogliere in bugia. [...]
        Perché, ripeto, questo signore, come tutti i  disonesti  audaci,  fa  il
conto sull'oblio degli altri: e negando  oggi  l'affare  Herz,  si  lusinga  che
nessuno si ricordi come  egli,  su  questo  preciso  affare,  fu  già  colto  in
flagrante di bugia, proprio colla mano nel sacco, fino dal marzo 1893, quando il
turpe mercato venne in luce.
        Non me ne ricordavo - e vi basti! - nemmen io. Assorto  in  quei  giorni
nella duplice lotta per l'elezione di  Corteolona  e  il  processo  di  Mantova,
rammentavo confusamente che su quel fatto vi era stata una polemica  da  cui  il
Crispi era uscito male: ma questo dicembre, appena  scopersi,  come  commissario
dei Cinque, le concussioni del Crispi - per associazion  naturale  corsi  subito
col pensiero a quel ricordo - e iniziai quella stessa settimana le indagini  che
mi  condussero  alla  certezza  del  fatto.  E  fra  i  documenti  più  preziosi
dell'accusa tengo i numeri di quel tempo dell'organo intimo personale del signor
Crispi, la Riforma, che è  quanto  dire  le  asserzioni  del  signor  Crispi  in
persona, e la sua autodifesa di  allora;  il  cui  confronto  colle  sue  difese
d'adesso è quanto può immaginarsi insieme di divertente... e di schiacciante.  È
un guajo certamente pel signor Crispi che le sue  difese  del  '93  ei  non  sia
riuscito a farle sparire; ma è perciò  appunto  che  nei  processi  si  fanno  a
riprese  e  ad  intervalli  gli  interrogatorii,  che  poi  servono  a  cogliere
l'imputato - tradito dalla memoria - in contrasto fra le bugie inventate prima e
le bugie inventate poi. [...]

        Fu nel  dicembre  1892,  che,  scoppiato  a  Parigi  lo  scandalo  delle
rivelazioni sul Panama e su Cornelio  Herz  e  avvenuta  la  tragica  morte  del
banchiere Giacomo Reinach, si venne per la prima volta  a  sapere  di  relazioni
passate fra Comelius Herz, l'inclito ricattatore, e Francesco Crispi.

        La improvvisa relazione destò  scandalo.  Come?  L'uomo  che  denunziava
furibondo i radicali per le loro relazioni coi francesi, scoperto a trescare con
quanto ha di più losco il mondo politico in Francia?!
        Il Joumal di Parigi mandò subito un suo redattore dal Crispi,  il  quale
si difese espressamente  con  una  intervista,  dal  Journal  pubblicata  il  26
dicembre. (E precisamente quella tale intervista, in cui l'italianissimo  signor
Crispi, parlando della  politica  d'Italia  e  dei  suoi  uomini  di  Stato  col
giornalista francese, per uso di un giornale francese, chiamava l'ex  presidente
del Consiglio ce pauvre mr de Rudinì). Ecco il colloquio autorizzato dal Crispi:

        "Or ora,  Eccellenza,  mi  parlavate  del  Panama.  Il  vostro  nome  fu
pronunciato a proposito di Cornelio Herz".
        (Crispi): "Sì, lo so. Nel 1889 il signor Herz, del  quale  conoscevo  il
nome come scienziato (!!!), venne a ritrovarmi in Napoli. Feci delle  difficoltà
per riceverlo, ma infine lo ricevetti, ed egli mi disse: "Non vengo in  nome  di
nessuno, sono io personalmente che ho preso l'iniziativa di  presentarmi  a  voi
per conoscere le vostre intenzioni riguardo alla Francia".
        Risposi al sig. Herz  che  non  avevo  nulla  da  rispondergli,  le  mie
opinioni essendo note. Il signor Herz mi disse:  "Forse  tornerò  a  vedervi  in
altre condizioni". E ciò fu tutto". (Journal, 26 dicembre 1892)

Ce fût tout! E ciò fu tutto!!! Ammiratelo ben bene  e  legatelo  in  oro  questo
magnifico: "e ciò fu tutto" detto da Crispi in dicembre 1892, due anni  dopo  la
decorazione di Herz, due anni dopo... il resto che si vedrà!
        Ma l'Opinione il giorno appresso, fra lo stupore universale,  riportando
quel "ciò fu tutto" aggiungeva:

        Non tutto. Per quanto sappiamo, a Cornelio Herz era  stato  concesso  il
gran cordone dell'ordine Mauriziano, cordone che dopo la crisi del  31  gennaio,
rimase sospeso.

        [...]Ma mentre l'Opinione così inaspettatamente completava il pudico  "e
ciò fu tutto" del Crispi, ecco si viene a sapere che Cornelio Herz era  stato  a
Carlsbad in rapporti cordialissimi colla moglie di Crispi. Crispi fa  rispondere
che difatti Herz aveva tentato avvicinar la sua signora, ma che era stato tenuto
a distanza. Allora il Figaro manda un suo redattore a Londra da  Cornelio  Herz:
il quale gli fa le seguenti dichiarazioni:

        "Certo io non sono l'agente di nessuno. Ma, a un dato momento, quando la
diplomazia francese non si era ancora orientata verso l'alleanza russa, io m'ero
assunto di rompere la Triplice, distaccando l'Italia.
        Mi recai in Italia e vi coltivai  l'amicizia  del  Crispi:  allo  stesso
scopo procurai di guadagnarmi le buone grazie di madama Crispi,  alla  quale  mi
feci presentare durante il suo soggiorno di Carlsbad.
        Oh, io so bene che oggi delle interviste  più  o  meno  sincere  cercano
attenuare la natura de' miei rapporti coll'ex primo ministro d'Italia: ma se  il
giurì d'onore che sollecito vuol prestarvisi, allora produrrò la  corrispondenza
del signor Crispi.
        Quanto alla nobile signora sua compagna, poiché si è preteso che  io  mi
ero presentato a lei come un intruso, ecco  la  lettera  d'introduzione  che  il
generale Menabrea mi aveva dato per lei." (Figaro, 20 gennaio 1893)

        E qui viene la lettera del generale Menabrea, 12 agosto  1888,  con  cui
presenta  il  dottor  Cornelius  Herz   "all'intelligente   e   graziosa   sposa
dell'illustre  primo  ministro   d'Italia"   e   lo   descrive   come   creatore
"dell'importante pubblicazione... La lumière électrique".
        Cornelius Herz prosegue:

        "Posso mostrarvi altre lettere del Generale Menabrea. Avevo preso presso
di me come impiegato il  figlio  di  esso  generale.  Gli  avevo  assegnato  uno
stipendio di mille lire al mese... Non avevo nulla trascurato per cattivarmi  le
buone grazie di questo ambasciatore..."

        E sopprimo il resto.
        Ma purtroppo seguono qui, nel  loro  testo,  tre  lettere  del  generale
ambasciatore Menabrea, del 20, 26 febbraio 1886 e del 24  ottobre  1888  di  cui
basta - e ahimè, ne avanza! - la prima, per quello che vedremo poi.

Parigi, 26 febbraio 1886 Caro dottore, sono stato  oggi  a  cercarvi  al  vostro
ufficio: non avendovi incontrato, vengo a  prevenirvi  che  mio  figlio,  avendo
compiuto tutti i lavori che gli avete affidato per Roma, e non  avendo  ricevuto
avviso contrario, mi ha telegrafato che disponevasi a  ritornare  a  Parigi  per
mettersi a vostra disposizione. Tutto vostro affezionato. L.F. MENABREA

        Teniamone nota e torniamo a Crispi.

        Il "ciò fu tutto", come vedesi, seguitava a crescere a  vista  d'occhio:
era già diventato un'amicizia con carteggio.
        La Tribuna di Roma, impressionata, mandò a chiedere al  Crispi,  nel  di
lui interesse, una intervista. Stavolta il "ciò fu tutto"  egli  si  guardò  dal
ripeterlo. Nell'intervista riportata dalla Tribuna, che dice  averla  riprodotta
"con esattezza fonografica", il colloquio breve e quasi sgarbato,  concesso  con
difficoltà, di cui Crispi aveva  parlato  nell'intervista  anteriore,  stavolta,
meno male, diventa un  colloquio  lungo,  espansivo:  poi  Crispi  si  degna  di
ammettere anche il carteggio, ed aggiunge:

        "Rividi l'Herz a Ginevra nel 1891. Alloggiava all'Hotel de la Paix. Herz
vide il mio nome tra i forestieri, venne a trovarmi, e pranzammo insieme; non si
parlò che di politica sul solito tema..."

        Un colloquio nuovo che salta  fuori,  e  delle  vacanze  estive  del'91;
prendiamone nota: ci avverrà di ricordarlo.
        E proseguiamo l'intervista:

        "Il signor Herz voleva decisarnente staccare l'Italia dalla Triplice?"
        (Crispi). "Il signor Herz parlava come tutti i francesi,  i  quali  sono
sempre ed avanti tutto patrioti". (Oh, che tenerezza!)
        "Dell'alta onorificenza italiana che Ella avrebbe voluto dare al  signor
Herz la storia vera qual è?"
        (Crispi). "Ecco, una onorificenza per  Herz  mi  fu  chiesta  nella  sua
qualità di scienziato di vaglia".
        "Da chi?"
         (Crispi).  "Mi  permetta,  caro  signore,  di  non  soddisfare  la  sua
curiosità. Ogni designazione di persona potrebbe influire in questo  momento  ad
accrescere le correnti di  sospetto  o  determinarne;  ed  io  credo  dovere  di
galantuomo di non contribuirvi in alcun modo".
        "Menabrea forse"
        (Crispi). "No".

        Il nome che Crispi si rifiutava di svelare -  e  adesso  si  capisce  il
perché - era quello... del banchiere affarista Giacomo Reinach. Decisamente  era
un nome che al signor  Crispi  scottava  in  quel  momento  il  pronunciare.  Ma
ridiamogli la parola:

        "Avuta la domanda (prosegue il Crispi)  feci  prendere  le  informazioni
d'uso.  L'Herz  mi  fu  dipinto  come  valoroso   patriota   che   aveva   fatto
splendidamente il suo dovere durante la guerra  del  1870-'71,  come  scienziato
d'indiscutibile valore. Però per ragioni che è inutile ricordare,  io  (e  l'on.
Crispi accentuò questo monosillabo intenzionalmente ripetuto) io non diedi corso
alla pratica, sicché il mio successore (Di Rudinì) non ha dovuto l'otto febbraio
sospendere un bel nulla."

        Tante parole, tante menzogne, come più avanti vedremo.
        Ma se era una cosa onesta e lecita, domando io, perché prima nasconderla
e poi mentire in quel modo nel confessarla?

        E qui mi fermo un momento per dar la parola... al Corriere della Sera di
quell'epoca, giustamente scandalizzato (1° aprile 1893):

        Chi era Herz? Aveva un nome eguale a quelli di Pasteur, di  Virchow,  di
Koch, di Edison, di Berthelot? Niente affatto.  L'ambasciatore  Menabrea,  nella
lettera  di  presentazione  alla  signora  Crispi,  enumerava  i   suoi   meriti
scientifici,  chiamandolo  il  fondatore  dell'importante  pubblicazione...   La
lumière électrique!
        E per quest'uomo  (aggiungiamo  pure  per  questo  bel  tipo  morale  di
affarista ciarlatano) un  ministro  italiano  propone  nientemeno  che  il  gran
cordone dell'ordine Mauriziano, la più alta onorificenza  cavalleresca  italiana
che non è stata data a nessuno degli scienziati  di  fama  mondiale  che  abbiam
nominati (e che è negata, aggiungo io, a  tanti  nostri  generali  e  colonnelli
incanutiti sui campi!)
        Ed a  richiesta  di  chi  vien  fatto  questo  atto  straordinario?  Chi
garantisce i meriti eccezionali del  signor  Herz?  Uno  scienziato  più  famoso
ancora? No, un banchiere, un affarista, il signor Reinach!
        Il Crispi, ben vero,  aggiunge  che  gli  era  stato  dipinto  "come  un
valoroso patriota che aveva fatto splendidamente (!) il dover suo  nella  guerra
del 1870-'71".

        E questa, se anche non fosse stata bugia, era un'altra ragione non  meno
stramba per dargli il gran cordone Mauriziano - tanto più  che  Herz,  a  quanto
pare, non è francese, ma cittadino americano.
        Insomma, da qualunque parte guardata e riguardata, la scoperta di questo
gran cordone al preteso scienziato affarista Herz era e restava  per  tutti,  in
quel principio del '93, un enigma strabiliante, inesplicabile!

        Ma, al 17 di marzo di quell'anno '93, venne a  piovere  sull'enigma  una
luce improvvisa.
         Il  signor  Imbert,  liquidatore  giudiziario  della  successione   dei
banchiere  Giacomo  Reinach,  suicidatosi,  come  vedemmo,   in   seguito   alle
rivelazioni sul Panama e alla sua rovina morale e materiale, era venuto a sapere
che alla vigilia della sua morte, il suicida aveva  affidato  ad  un  amico,  il
signor Carpentier,  una  busta  contenente  carte,  da  consegnarsi  al  di  lui
fratello, Oscar di Reinach-Cessac.
        Dietro invito del signor Imbert, Oscar Reinach si presentò infatti nello
studio del medesimo, dove fece la consegna del piego  ad  esso  liquidatore,  in
presenza del giudice di pace,  assistito  dal  suo  cancelliere,  e  dal  signor
Perard, notaio. Il piego non era suggellato: perciò il liquidatore si oppose che
venisse  esaminato,  se  non  alla  presenza  della   Commissione   parlamentare
d'inchiesta intorno agli affari del Panama.
        La Commissione d'inchiesta, avvertitane, delegò un de' suoi  membri,  il
deputato Depuy-Dutemps, ad assistere all'esame.
        E questo ebbe luogo nel pomeriggio di venerdì  diciassette  marzo,  alla
presenza di tutte le dette persone. Prima di essere consegnate in  piego  aperto
al signor Imbert tutte queste carte erano  state  copiate.  Alla  lettura  delle
medesime, fatta nello studio Imbert, apparvero le prove di un ricatto mostruoso,
da cui venne la rovina e pare anche il suicidio di Reinach.

        Il suicida aveva consegnato nel piego la indicazione e  i  documenti  di
tutte le somme che il ricattatore e già suo socio d'affari, Cornelio Herz, colla
continua minaccia di deferirlo  ai  tribunali,  aveva  costretto  il  Reinach  a
pagargli nelle sue mani o a pagare a terzi per conto suo.
        Il primo documento del piego ne formava il riassunto; e consisteva in un
foglio recante la copia, o a  dir  meglio,  il  duplicato  tutto  di  pugno  del
suicida, di una nota od elenco, diretto da lui, Reinach, ad Herz,  e  precisante
l'ammontare delle somme versategli in seguito ai diversi ricatti.
        In questo documento autografo che vedremo più sotto, e che fu,  nel  suo
testo comunicato e pubblicato dal Journal des Débats, dal Temps, dal Rappel e da
altri giornali, apparì il nome di Crispi per 50.000 lire, e  annesse  nel  piego
erano le lettere  scambiate  fra  Crispi  e  Reinach,  che  a  questa  cifra  si
riferivano.
        Il Journal des Débats pubblicava tosto nel suo numero successivo del  18
marzo, facendone una scelta, il testo preciso di molti dei documenti del  piego,
telegrammi e lettere Herz-Reinach, beninteso di quelli soli che riguardavano  il
Panama e che avevano interesse per il pubblico francese. Ne usciva, in tutta  la
sua laidezza, la mostruosa figura morale dell'Herz. Quelli  dell'affare  Crispi,
siccome non riguardanti cose francesi, il Débats li tralasciò  e  si  limitò  ad
accennare che riferivansi "al conferimento fatto dal governo italiano a C.  Herz
del gran cordone dei santi Maurizio e Lazzaro. Era il signor Reinach che  avendo
fatto ottenere al suo terribile associato questo gran cordone, fu poi  obbligato
di pagare 50.000 franchi per... spese di cancelleria. Ecco intanto il  prospetto
del signor Reinach... ecc."

        Appena giunta in Italia questa scoperta sbalorditiva, il signor  Crispi,
per parare il colpo,  fece  spedire  dalla  compiacente  Stefani  un  telegramma
circolare a tutti i giornali del seguente tenore:

        Il Rappel di Parigi afferma che fra le carte del barone  di  Reinach  il
nome dell'onorevole Crispi figurerebbe per 50.000 lire.
        L'on. Crispi è  stato  avvocato  delle  case  Reinach  di  Parigi  e  di
Francoforte, pei loro interessi in  Italia,  dal  1866  fino  all'epoca  in  cui
assunse il potere.
        Nel febbraio 1891 il signor Jacques di Reinach pregò l'onorevole  Crispi
di riprendere il suo ufficio e liquidò con lui gli  onorari  dovutigli  fino  al
1887 (!!!)
        L'on. Crispi è ancor oggi avvocato del barone Luciano de Reinach, figlio
del defunto il quale ha proprietà immobiliari in Italia.

        Della decorazione Herz neanche una sillaba!
        Tanto valeva non commettere lo sbaglio di confessare  il  pagamento!  Ma
per corroborare la smentita, Francesco Crispi si fece intervistare dal suo  uomo
di fiducia, Alfredo Comandini, il quale telegrafò  al  Corriere  della  sera  in
questi termini:

        Appena conosciute le notizie del Rappel sui pretesi rapporti  di  Crispi
col Reinach, interrogai l'on. Crispi. Mi disse: "Ho già  fatto  precisare  dalla
Stefani come stanno le cose. Fui avvocato dei Reinach di Parigi e di Francoforte
dal 1866 al 1877. Andato ministro, chiusi lo studio  sul  serio,  ermeticamente,
non da burla, come hanno fatto altri. Ma tornato nel  febbraio  1891  alla  vita
privata, Reinach mi mandò a chiedere se avrei ripreso  il  patrocinio  dei  suoi
affari e risposi in modo affermativo. Allora fu  che  Reinach  mi  liquidò  egli
stesso i conti delle mie prestazioni passate, ed egli personalmente mi pagò  con
un vaglia del Banco di Napoli. La clientela del Reinach la ebbi  per  mezzo  dei
fratelli  Weill-Schott  coi  quali  sono   anche   in   rapporto   per   ragioni
professionali. Anche oggi sono avvocato del barone Luciano di Reinach, ufficiale
dell'esercito francese, figlio del defunto che  ha  beni  in  Italia.  Questo  è
tutto".

        Ancora da capo il "questo è tutto"!

        Ma no che neppure adesso non era tutto! perché proprio  in  quel  mentre
l'Italia Reale di Torino del 19 marzo usciva con uno schiacciante  riassunto  di
parecchie delle circostanze emerse  dalle  lettere  Crispi-Reinach  incluse  nel
piego. Annunziava cioè l'Italia Reale, in una lettera  da  Parigi,  colla  sigla
Y.C.: Dai documenti comunicati venerdì dal signor liquidatore Imbert  al  signor
Dupuy Dutemps risulta:

        che il barone Giacomo Reinach, il 19 gennaio '91 aveva  pregato  il  suo
amministratore a Roma cav. Filippo Palomba, capo sezione al ministero di  grazia
e giustizia, di adoprarsi a che venisse accordato il gran  cordone  a  Cornelius
Herz;
        che il Palomba rispose promettendo che avrebbe mandato  il  fratel  suo,
avvocato Palomba, dal ministro Miceli;
        che con lettera successiva il Palomba dichiarava esser meglio  dirigersi
direttamente a Crispi; e che da qui cominciava il carteggio con Crispi, con  una
lettera di Reinach, scongiurantelo a ottenergli  per  la  sua  quiete  morale  e
materiale, la decorazione in parola.

        Infine l'Italia Reale pubblicava  un  estratto  della  lettera  Reinach,
accompagnante il 24 marzo 50.000 franchi a Crispi, nonché la lettera  di  Crispi
accusantene ricevuta.

        Ecco giunto finalmente, non è vero?, il momento pel signor Crispi e  per
la sua Riforma di difendersi! Eccolo giunto il  momento  di  dare  una  risposta
stritolante, di quelle che dà e sa dare ogni galantuomo, quando si trova  faccia
faccia colla calunnia!
        La Riforma - cioè Crispi - (nel n. 82 del 22-23 marzo 1893) risponde che
"tutto questo è una vile menzogna come tutti possono  scorgere  a  prima  vista,
confrontando i pretesi fatti e le pretese lettere con le date".
        E per prova che tutto questo è una vile menzogna, la Riforma..., confuta
le date? ohibò; confuta le lettere? ohibò! Per tutta prova  la  Riforma  -  cioè
Crispi - oppone questo argomento  unico,  schiacciante:  "E  fatto  accertato  e
notorio che fu l'onorevole Crispi stesso a non  dar  corso  al  decreto  per  la
decorazione di Herz".
        È chiaro?
        Per essere più chiaro ancora, il Crispi in persona, al Comandini  ripete
formalmente e conferma che "il decreto fu lacerato da  lui  Crispi,  mentre  era
ancora ministro dimissionario".
        Ebbene, quest'unico schiacciante argomento, scelto fra tutti, per  prima
e sola risposta, questo fatto accertato e notorio era - come oggi tutti sappiamo
essere cosa notoria e accertata, - era una solenne, sfacciata menzogna.
        E siccome di ciò la prova limpida, irrefragabile il lettore  la  troverà
più avanti, qui domando ad ogni magistrato, ad ogni onest'uomo, se avrei  o  non
avrei il diritto di limitarmi a questa prova unica - e convinto il signor Crispi
di avere mentito anche qui  -  come  già  aveva  mentito  (e  s'è  visto)  nelle
interviste antecedenti - dispensarmi, pel giudizio, da ogni indagine ulteriore -
come se ne dispensa il pretore che coglie in falso il ladruncolo alla sua  prima
risposta.

        Ma ho promesso di abbondare sino allo scrupolo e,  siccome  le  menzogne
abbondano, la promessa manteniamola.
        E  fermiamoci  alla  confessione  preziosa,  strappata  coi  denti,  del
ricevimento delle 50.000 lire (oro vero francese), per ammirare  la  spiegazione
bugiarda che il signor Crispi ha tentato di darne.
        Evidentemente il signor Crispi qui è  stato  di  una  inabilità  affatto
unica, come accade a coloro  che  si  impigliano  nelle  proprie  bugie.  Se  la
scoperta del piego Reinach e l'impressione che destò non lo avessero colto  alla
sprovvista, mai egli si sarebbe lasciata, nel primo sbalordi mento, sfuggire  la
confessione che il pagamento esisteva, perché avrebbe capito che la  spiegazione
non reggeva all'esame, ed era provata bugiarda.
        Una volta appigliatosi al disperato partito di chiamar  tutto  menzogna,
meglio valeva negar il pagamento, che inventare  la  bubbola  degli  onorari  di
Reinach... arretrati del 1887!
        Lasciamo andare che non vi è un cane in Italia, a cui  far  credere  che
Francesco Crispi del quale le consuetudini avvocatesche e  i  bisogni  continui,
sitibondi di danaro,  sono  noti,  attendesse  fino  al  marzo  1891  per  farsi
liquidare da Reinach le sue competenze... del 1887.
        Lasciamo andare  che  da  tutti  i  conti  dell'amministrazione  Reinach
risulta escluso il più piccolo debito, la più piccola pendenza aperta con Crispi
per onorari vecchi di causa dovutigli.
        Che era ed è notorio a Parigi e in Francia e in Italia e  dovunque,  che
il banchiere Giacomo Reinach non era l'uomo da  far  sospirare  quattro  anni  e
mezzo ai suoi avvocati gli onorari; anzi era splendido in queste  cose;  che  il
signor Crispi non ha mai saputo dire quali furono queste cause, e nel  1887  qui
in Roma di cause civili del Reinach se ne trova una sola,  e,  neanche  a  farlo
apposta il Crispi! - come avvocato non figura in essa un cavolo, o  meglio,  può
dirsi, vi figurava in senso precisamente inverso; poiché è  una  causa  risoluta
per  sentenza  arbitrale  degli  arbitri  commendatore  Capone,  già  presidente
d'appello, comm. Caccia, direttore della Corte dei  Conti,  e  senatore  Augusto
Pierantoni, a favore di Reinach contro il suo  avversario...  il  sig.  Pinelli,
intimo e alter ego di Crispi (oggi suo  capo  di  gabinetto),  condannato  dagli
arbitri a rigurgitare e restituire al Reinach molte migliaia di lire onestamente
tenutesi; ma dopo tutto questo, abbiamo anche la prova precisa, palmare, che  le
50.000 lire - su cui non è più questione, perché  dal  Crispi  confessate  -  si
riferivano  ad  Herz  -  ossia  alla  sua  decorazione  e  a  nessun'altri  e  a
nient'altro. [...]

        Il signor Crispi, il quale non ha maggior rispetto  dei  morti  che  dei
vivi, non pensa che vi è un'ora terribile e sacra in cui l'uomo  ha  diritto  di
essere creduto: ed è quella in cui, faccia a faccia colla morte,  spontaneamente
cercata, l'uomo dice addio  alla  terra  e  rivela  il  segreto  che  gli  stava
sull'anima. In quell'ora anche un banchiere che preferisce la morte al disonore,
ha più diritto certamente a esser creduto di un uomo politico  che  ha  nel  suo
passivo documenti falsi e testimonianze false!
        E il barone Giacomo di Reinach, di cui Francesco  Crispi  afferma  e  si
onora di essere stato l'avvocato, come di esserlo tuttora  del  figlio  suo,  il
barone di Reinach, avrebbe la vigilia della sua morte inventato  contro  il  suo
avvocato difensore  la  perfidia  infernale  di  distrarre  dalle  centinaia  di
migliaia di lire da lui spese in cause, proprio queste  sole  50.000  lire,  per
farle comparire, esse sole, di compendio di uno affaraccio per  Herz,  e  di  un
ricatto anziché di onesti onorari; e ciò per il solo gusto di  infamare  il  suo
proprio avvocato nell'andarsene all'altro mondo! E Francesco Crispi,  calunniato
a quel modo come avvocato del padre, avrebbe voluto esserlo ancora del figlio!
        Eh via, rispettiamo i morti, e la testimonianza suprema di  chi  sta  in
faccia alla morte.
        La parola è al suicida - a Giacomo di Reinach.
        Il foglio grande autografo, da  lui  scritto  la  vigilia  della  morte,
(duplicato  della  nota  mandata  ad  Herz),  annesso  come  indice  agli  altri
documenti, letto il 17 marzo nello studio del liquidatore Imbert, alla  presenza
dello stesso fratello del defunto, del  deputato  dell'inchiesta  Dupuy-Dutemps,
del notaio Perard, del giudice di pace e del suo cancelliere -  consegnato  quel
dì stesso alla pubblicità nel suo testo autentico integrale, su cui  non  è  più
questione, e depositato presso il magistrato - reca in testa di tutto pugno  del
suicida, come tutto il rimanente, questa scritta: Somme consegnate da me a  Herz
in conseguenza del suo ricatto.
        Vale a dire,  che  le  cifre  di  questo  elenco  riguardano  unicamente
Cornelius Herz. È chiaro? Ecco  il  documento  autografo  nella  sua  integrità.
Sommes rémises par moi à Herz par suite de son chantage.

Vos                                                                      billets
..................................................................................
..                    fr.                    3,039,000                    Schwob
......................................................................................
......                    "                    319,000                     Donon
.......................................................................................
.......                   "                    150,000                    Venise
.......................................................................................
....... "
5,000                                                                  Francfort
....................................................................................
....              "              30,000               John               Reinach
...............................................................................
"                                240,000                                 Chabert
......................................................................................
......          "          150,000          Versements          à           vous
.........................................................................      "
670,000                                                                  Chèques
......................................................................................
......                    "                    2,765,475                     id.
............................................................................................
............                   "                   150,000                   id.
.............................................................................................
.............                  "                  23,700                  Panama
......................................................................................
......            "             1,250,000             Chez             Rotschild
.............................................................................  "
250,000                 300                 actions                  electricité
..................................................................... "  150,000
Le                     30                     décembre                      1890
..................................................................... "  775,000
Le                      1                      févriér                      1891
..........................................................................     "
30,000               Le               9               févriér               l89l
...........................................................................    "
30,000                   Le                    26                    févriérl89l
...........................................................................    "
75,000               Le               12               mars               (Nice)
...........................................................................    "
15,000          Le           24           mars           1891           (Crispi)
.................................................................. " 50,000 Le 3
avril                   1891                    (par                    Chabert)
.............................................................  "  135,000  Le  6
juin                    1891                    (par                    Chabert)
..............................................................  "  50,000  Le  9
juin              1891              (envoi               a               Berlin)
............................................................  "  50,000   Le   2
juillet             1891             (envoi             a             Francfort)
..................................................... "  253,000  Le  1  octobre
1891   .........................................................................
"       350,000        Le        20        décembre        1891        (Londres)
......................................................... " 50,000 Le 1  juillet
- 1 septembre 1892  .......................................................... "
125,000

Fr. 11,190,175

        E fra tanti documenti che la Riforma pubblicò, questo si è ben  guardata
dal pubblicarlo! E contro questo documento, contro la dichiarazione solenne  del
morto, che esso reca in fronte, il signor  Crispi  ha  il  coraggio  di  venirci
ancora a parlare... di onorari!
        Mettiamoci in conto quest'altra menzogna e andiamo avanti.
        C'è ancora bisogno di aggiungere che i documenti del piego giustificanti
le cifre specificate dal suicida in quel foglio-indice, si riferivano ad esse  e
non ad altro? Che il suicida non poteva, né aveva nessuna ragion  di  commettere
verso il suo avvocato e difensore da tanti anni,  e  col  quale  risulta,  dalle
stesse difese del Crispi, esser stato fino all'ultimo in rapporti  eccellenti  -
di commettere, dico, quest'altra  infamia  diabolica  di  includere  nel  piego,
inteso a dimostrare il ricatto di  Herz,  e  intestato  come  tale,  le  lettere
scambiate con Crispi sui terreni di Prato di  Castello  o  su  altre  sue  cause
civili?

        Or mentre la Riforma smaniava  a  chiamar  turpe  menzogna  la  scoperta
avvenuta nello studio Imbert, e  il  signor  Crispi,  ridotto  a  confessare  le
50.000, inventava la scappatoia degli onorari, ecco cascare  addosso  all'uno  e
all'altra un'altra rivelazione di Y,  il  corrispondente  dell'Italia  Reale.  Y
(sigla del signor E.B. che alla cortesia di un famigliare di Reinach  doveva  di
aver potuto vedere e trascrivere i documenti del piego - e perciò poté accennare
anche al colore ed al sesto dei foglietti gialli) scriveva da Parigi  all'Italia
Reale:
        La notizia trasmessavi è grave, ma rigorosamente esatta.
        Parte dei documenti mi fu  posta  sotto  gli  occhi.  Il  telegramma  di
Crispi: "Venite qui appena potrete" e la letterina di ricevuta li  ho  avuti  in
mano. La frase "da noi" la lessi, alla sfuggita, in una lettera che  cominciava:
"Non so come facciate voi repubblicani; ma da noi monarchici le cose  vanno  più
adagio".

        E che Y fosse ne' suoi ragguagli esattissimo, ne dié prova la Riforma di
pochi giorni dopo, del 29, pubblicando, costretta, la lettera del 25 luglio  '90
sui repubblicani e monarchici, che comincia precisamente in quel senso!

        Contemporaneamente, a Parigi, il Journal des Débats che aveva  da  fonte
diretta avuto e pubblicato il testo  dei  documenti  del  piego  riferentesi  al
Panama, pubblicava nel numero del 24 marzo sera  anche  il  testo,  tradotto  in
francese, della famosa lettera del 24 marzo, accompagnante l'invio delle 50.000.
        Il testo era il seguente:

        Caro Crispi,
        eccovi le 50.000 lire di cui farete l'uso convenuto.
        Insisto di nuovo presso di voi che vorrete finire questa faccenda al più
presto, perché  ne  ho  bisogno  assolutamente  per  i  miei  affari.  Se  fosse
necessario, farei un nuovo viaggio, se me lo domandaste.
        Vogliate spedirmi una ricevuta per mia quiete.
Credetemi con stima ed affezione Vostro GIACOMO REINACH

        E la ricevuta di cui è qui cenno, era stata già  pubblicata  dall'Italia
in questi precisi termini:

        Caro Jacques,
        ho ricevuto la fav. v. col noto documento.
        Mi metto subito all'opera e spero che riusciremo presto.
Credetemi vostro CRISPI

        Or rilevando la  frase  della  lettera  Reinach  "di  cui  farete  l'uso
convenuto" il grave Débats metteva  già  a  posto  la  storiella  allegra  degli
onorarii, con questa semplice osservazione di buon senso:
         "Dunque il danaro sarebbe stato versato,  non  in  vista  di  risultato
ottenuto, ma in vista di un risultato a ottenere... "

        La pubblicazione del Débats della lettera Reinach (già  data,  in  sunto
fedele, dall'Italia Reale cinque giorni prima)  fu  un  fulmine  per  la  povera
Riforma. Aveva strillato che i documenti dell'Italia erano  una  turpe  menzogna
clericale, che erano  "documenti  immaginari  falsi  o  travisati"  (Riforma  26
marzo); e ahimè, come fare a ripeterlo per il grave serissimo Débats, che avendo
pubblicato sei dì innanzi, il 18, il testo riconosciuto esattissimo degli  altri
documenti del piego, aveva benevolmente omesso quelli di  Crispi,  e  non  potea
credersi che, pubblicandone ora uno, commettesse per lui solo  la  eccezione  di
inventarlo?
        Di questa lettera l'Italia Reale quello stesso giorno rivelava  esistere
la ricevuta dell'ufficio postale di Parigi, così come il Figaro il  mese  scorso
la pubblicò col fac-simile autentico sott'occhio.
        La bugia di Crispi nell'intervista Comandini (vedi sopra) di avere avute
cioè le 50.000 personalmente  dal  Reinach  in  Roma  ne  restava  letteralmente
stritolata. Difatti, per confessione della Riforma, (numero  29  marzo  '93)  il
Reinach era stato a Roma il 5 marzo, e il Reinach accenna appunto a quel viaggio
nel dichiararsi pronto a farne un altro, mentre invia le 50.000 lire il 24, data
su cui non rimane dubbio, perché il prospetto del suicida, documento  acquisito,
la certifica.

        La Riforma (così prodiga di documenti!) questa volta non solo si  guardò
pudicamente dal riprodurre la lettera Reinach, pubblicata  dal  Débats,  ma  nel
dispetto di esser messa al muro, non potendo adesso più attaccare la  lettera...
attaccò il morto che l'aveva scritta!
        State attenti e divertitevi.
        Ai 19 di marzo  (Riforma  n.  78,  dispaccio  alla  Stefani,  intervista
Crispi-Comandini), tutto è bugia e Reinach è un cliente di cui Crispi  vanta  la
clientela; ai 22 di marzo (Riforma n. 82) tutto è  vile  menzogna  "e  tutte  le
lettere sono lettere pretese..."; ma ai 28 marzo  (Riforma  n.  88),  uscita  la
lettera del Débats, l'organo dell'avvocato di Reinach accusa il povero morto  di
aver ricorso a "un artifizio per dissimulare le sue appropriazioni" (già! in una
nota di undici milioni e 200.000  gli  occorrevano  proprio,  per  dissimularle,
quelle misere cinquantamila!!!); e loiolescamente insinua che un tale  artifizio
"spiegherebbe - se esiste -  la  lettera  che  fu  riprodotta  dal  Journal  des
Débats!"
        Vi raccomando la bellezza di quel tardivo...: Se esiste!
        Povero Reinach! Che cosa ti valse essere stato  cliente  di  Crispi  per
tanti anni! Che cosa  ti  valse  l'avergli  liquidato  onorari  da  principe!  e
conservato la clientela nel  figlio?  Ecco,  appena  morendo  una  tua  riga  lo
disturba, il tuo difensore ti denunzia calunniatore e ladro, e sputa  sulla  tua
tomba.
        Ma ahimè! dopo insultato  il  morto,  siccome  intanto  la  sua  lettera
rimane, la  povera  Riforma  si  prova  a  confutarlo.  Meno  male!  Vediamo  la
confutazione.
        E sapete in che consiste? Nel puro e semplice telegramma di  Crispi  del
18 marzo alla Stefani che inventava la frottola degli onorari antichi!
        E oggi; dopo altri due anni! la povera Riforma è rimasta  ancora  lì!  e
nel suo numero del l° giugno corrente, per difendersi e  smentirmi,  ricorre  da
capo... al telegramma della Stefani... ma la lettera del 24 marzo, di Reinach  a
Crispi, che accompagnava le 50.000, meno male,  adesso  non  è  più  una  bugia!
adesso non la si nega più! Al contrario,  adesso  è  lei,  la  Riforma,  che  la
invoca, per dimostrare che recando essa la data del 24  marzo...  "è  posteriore
all'uscita di Crispi dal governo" e che in essa "non parlavasi  di  onorificenza
per Herz", ma si diceva soltanto "Spero  che  vi  metterete  subito  all'opera".
(Riforma l° giugno 1895). Quale opera, di grazia, Riforma cara? Se non hai altra
difesa, povera Riforma, la tua causa è perduta!

        Che la lettera Reinach del 24 marzo accompagnante le 50.000 (e son  teco
d'accordo, o povera Riforma!, che era posteriore di due mesi e mezzo  all'uscita
di Crispi dal governo - ma in ciò sta il brutto, come avanti vedrai)  -  che  la
lettera Reinach concernesse, come l'altre del piego, il signor Herz, ergo il suo
cordone, - e niente altro che lui, e niente altro che questo non solo s'è  visto
dal prospetto di pugno del Reinach, perché lettera e cifra stanno unite insieme:
ma sappiamo dal relatore della Commissione parlamentare francese d'inchiesta sul
Panama, che assistette alla lettura dei documenti, e alla Commissione ne riferì:
vale a dire, dall'onorevole deputato Dupuy-Dutemps,  oggi  ministro  dei  lavori
pubblici di Francia. È  evidente  che  il  relatore,  avendo  tetto  le  lettere
Reinach-Crispi del piego, poté ben farsi un'idea chiara ed esatta di quello  che
esse riguardavano.
        Il deputato, ora ministro, Dupuy-Dutemps? sento chiedermi.
        Eh già, proprio lui! Non lo dicevo nella lettera dello scorso  dicembre,
che era doloroso e mortificante che in mano di membri di  un  governo  straniero
stessero elementi di giudizio sull'onore del capo del Governo d'Italia?
        Lo so bene, mia povera Riforma, che su questo che t'impensieriva,  avevi
da ultimo messo il cuore in quiete.
        E, son pochi giorni, nel dirmi un sacco di vituperi, ti stropicciavi  le
mani annunziando tutta lieta (Riforma 7 corr.) che il deputato  Millevoye  aveva
chiesto alla Presidenza della Camera francese un sunto od estratto  del  verbale
d'inchiesta  riguardante  Reinach,  ma  che  avendo  la  Camera  deciso  di  non
pubblicare l'inchiesta, la domanda non è stata accolta.
        Ebbene, cara Riforma, Millevoye per me non s'è  affatto  incomodato:  se
però non ti dispiace, quel verbale io ce l'ho lo stesso. [...j

        Messa al muro, come già vedemmo, dalla pubblicazione  del  Débats  della
lettera del 24 marzo, la povera Riforma, quando tentò non più di  smentirla,  ma
di spiegarla, capì che la spiegazione andava poco; e si aiutò tirando fuori  due
lettere di Crispi a Reinach, una del 25 luglio 1890, l'altra del 4 maggio  1891,
che messe lì insieme, a vederle, in chi nient'altro ne sappia,  potrebbero  fare
un effettone. Nella prima infatti il  Crispi,  sollecitato  da  Reinach  per  il
cordone mette avanti scrupoli e difficoltà, e mostra voler  andare  coi  piè  di
piombo; nell'altra, di 10 mesi dopo, prega il  Reinach  di  non  più  insistere,
perché le informazioni sull'Herz non son più quelle di prima, e insomma dice  di
non seccarlo più. Se tutta la storia fosse lì,  verrebbe  voglia  di  dire:  che
ministro scrupoloso!
        Ma questo si chiama cambiar le carte in mano, ed io  devo  castigare  il
baro. [...]
        Dunque, ai 25 di  luglio  1890,  sollecitato  per  il  cordone,  Crispi,
presidente del Consiglio e ministro degli esteri, rispondeva così:

Roma, 25 luglio 1890
        Caro Reinach,
        ho le vostre del 22 cadente. Io non so come procedano le cose costì.  Ma
noi, poveri monarchici, abbiamo norme che dobbiamo osservare.
        Quando si propone una decorazione mauriziana, bisogna  mandare  al  Gran
Magistero una nota nella quale devono essere indicati i meriti del decorando,  e
i servizi prestati al paese. Per gli stranieri si supplisce con una lettera  del
ministro italiano residente nel paese in cui è il decorando.
        Per la Corona, basta la proposta del  ministro  al  re.  Il  ministro  è
giudice dei meriti. Il vostro  raccomandato  ci  renderà  dei  servizi,  non  ne
dubito. Rimettiamo l'affare al tempo in  cui  i  servizi  saranno  resi.  Vostro
aff.mo F. CRISPI

        E i fogli di Crispi, in coro, a portar questa lettera in trionfo!
        Deh, in che luce diversa questa lettera appare, sol che le  si  aggiunga
la storia vera!

        Dunque io affermo subito che la lettera  25  luglio,  dove  il  ministro
Crispi per il  gran  cordone  di  Herz  affaccia  al  suo  amico  Reinach  tante
difficoltà e fa le mostre che occorrano tanti  requisiti,  questa  lettera,  che
pare così bella, diventa  una  lettera  brutta  e  sporca  e  puzza  lontano  di
artificio per coprirsi le spalle pensando il come le difficoltà poi  scomparvero
e il come i requisiti poi furono trovati!
        Diventa brutta, se si pensa che il Ressmann, richiesto appunto in quella
state di dare a Roma informazioni sull'Herz, garbatamente se ne  schivò,  perché
fiutava che le si amavano buone, e sapeva i pasticci e i vincoli, tutt'altro che
belli, d'interesse, che legavano l'Herz coll'ambasciatore titolare Menabrea.
        Diventa sporca, se si pensa che questo riserbo significante del Ressmann
avrebbe dovuto bastare a porre sull'avviso chi avesse voluto intendere: e che il
domandare informazioni sopra l'Herz a Menabrea era, per un ministro degli esteri
che si rispetta e per una persona delicata, la cosa più  indelicata  del  mondo.
Non occorre essere un grand'uomo di Stato né un ministro di prim'ordine -  basta
l'abbicì del mestiere - per sapere  che  in  un  ministro  degli  esteri  non  è
ammessa,  né  lecita  la  ignoranza  delle  situazioni  personali   dei   propri
ambasciatori nelle sedi ove  rappresentano,  al  cospetto  dell'estero,  l'onore
della nazione. Ma oltre che il ministro non avea diritto di ignorarlo,  (e  meno
fra tutti il  Crispi  già  entrato  in  rapporto  d'amicizia  coll'Herz  per  la
presentazione laudatoria fattane dallo  stesso  Menabrea  alla  sua  signora,  a
Carlsbad, fin dal 12 agosto 1888) - era notorio che l'ambasciatore Menabrea  pur
troppo avea contratto vincoli stretti e disdicevoli di interesse  coll'Herz,  il
quale avea preso il di lui figlio come impiegato presso di sé, a  lire  1000  al
mese, cioè a uno stipendio molto superiore  ai  suoi  meriti,  e  aveva  da  lui
stesso, Menabrea, quando questi ebbe bisogno di danaro, comperato per una  somma
elevatissima un villino presso Aix les Bains - villino che il Menabrea non  avea
più diritto di vendere (e siccome si tratta di una causa niente bella  che  fece
chiasso e si trascinò pei tribunali, e che non entra nel mio tema, passo  oltre;
solo informerò il signor Crispi che precisamente in quel villino  Cornelio  Herz
si è vantato di essersi trovato più di una volta con lui).
        E i vincoli che tenevano il Menabrea alla stretta  dipendenza  dell'Herz
erano tali che questi s'era già valso di lui per ottenere un'onorificenza  nella
legion d'onore!
        Rivolgersi al Menabrea in condizioni simili per chiedere - a lui!  -  le
notizie sul decorando e sui meriti,  era  non  solo,  lo  si  vede,  una  brutta
commedia e una solenne  sconvenienza,  ma  era  un  mettere  senza  scrupolo  il
Menabrea nel più penoso conflitto di coscienza tra gli obblighi del suo  ufficio
e i suoi obblighi personali di gratitudine! Ah, come qui  si  sentono  i  metodi
della casa!

        Eppure qui io debbo dire una parola in difesa del Menabrea  -  e  a  me,
deputato, il pronunciarla è dovere - perché il cinico crudele aggrapparsi  delle
difese crispine al Menabrea stava per costringere  me  a  chiedere  in  pubblico
severo conto della condotta di quest'ultimo.
        È vero! il Menabrea vecchio soldato,  devoto  al  re  e  al  suo  paese,
benemerito per servigi antichi, illustre nell'armi e nella scienza, fu a  Parigi
sopraffatto pur egli dal contagio che semina tante rovine  morali,  ed  ebbe  la
disgrazia di mettersi in urto coi rigidi doveri della sua posizione  e  del  suo
nome. Venuti a galla gli scandali del Panama e il nome dell'Herz,  il  Menabrea,
cavaliere dell'Annunziata, il capo d'anno '93 non  comparve  ai  ricevimenti  in
Quirinale.
        Ma nella sua anima di soldato, la  lotta,  a  cui  disgrazie  domestiche
contribuirono, dovette essere dolorosa: e messo alle strette da Crispi  a  dover
riferire su di Herz, davanti alla indelicata richiesta - non  poté  dimenticarsi
interamente di essere soldato, gentiluomo ed  ambasciatore  italiano.  Cercò  di
conciliare meglio che poté la  gratitudine...  colla  coscienza:  fece  nel  suo
rapporto l'elogio dei pretesi meriti dell'Herz come scienziato - (ed è la  parte
del rapporto invocata da Crispi a propria scusa) - ma poi lo vinse lo scrupolo e
fece le riserve sull'uomo.
        Ed è la parte di Crispi messa in tacere!
        Dopo gli elogi, faceva intendere nel suo  rapporto  il  Menebrea  ad  un
dipresso, che siccome, non di meno trattavasi di un uomo, la cui posizione e  la
cui vita erano tanto enigmatiche, da vederlo un  giorno  vendere  i  mobili  per
vivere o per pagare debiti plateali, un altro giorno tutto d'un tratto maneggiar
milioni, non osava pronunciarsi per una così alta onorificenza italiana!
        Questo faceva intendere nel suo rapporto il Menabrea -  e  non  aggiungo
commenti - perché ogni commento guasta.
        Oserebbe il signor Crispi di negarlo?
        La mia risposta è semplice: fuori il rapporto Menabrea!
        Io sfido il signor Crispi a produrlo, il rapporto Menabrea! -  egli  non
deve avere, per Dio,  difficoltà  a  produrlo  -  egli  che  in  febbraio  1891,
lasciando la Consulta, se l'era prudentemente asportato - e, non  più  ministro,
in quel marzo '91 e ancora due anni dopo, lo  conservava  amorosamente  nel  suo
cassetto (a proposito di sottrazione di documenti  d'ufficio!!!)  per  darne  da
leggere i brani che gli accomodavano,  a  chi  veniva  per  altissimo  ordine  a
reclamargli la restituzione della copia del decreto; per darli  da  leggere  due
anni appresso,  quando  in  marzo  '93  il  brutto  affare  venne  scoperto,  ai
giornalisti di cui invocava le difese!
        Lo sfido, ripeto, il signor Crispi, a produrlo quel rapporto Menabrea, a
darlo da leggere intero, - non come lo ha mostrato al giornalista Mantegazza - e
se non vuol darlo da leggere a me, a darlo ai primi cinque gentiluomini che  gli
indicherò!
        E a chi darà egli ad intendere che in quel momento in cui l'Italia Reale
aveva stritolato le sue bugie, lo aveva stritolato sotto i documenti,  al  punto
da costringere la Tribuna a dichiarare ormai necessario un processo per far luce
- in quel momento in cui era ridotto per ultimo scampo a  metter  fuori  le  due
misere lettere sue del 25 luglio  e  del  4  maggio,  (che  appunto  perché  sue
provavan nulla), egli avrebbe rinunziato a metter fuori il rapporto Menabrea, il
solo che poteva sembrare giustificarlo! il solo  che  in  quel  momento  sarebbe
bastato per  tutti!  A  chi  darà  egli  ad  intendere  ch'ei  abbia  fatto  per
abnegazione patriottica! e che solo per questo se la cavasse mostrandolo - e sol
nella parte che tornavagli - a un giornalista, di soppiatto, perché in  pubblico
gli facesse da compare e attestasse d'averlo coi proprii occhi veduto!
        Dunque - fuori il rapporto! ma siccome in verità io vi  predico  che  il
signor Crispi da questo orecchio non ci sente - voi avete capito senz'altro  che
io parlo colla sicurezza precisa di quello che dico; ed è una vera disgrazia per
il signor Crispi che il rapporto contenga quella schiacciante riserva - la quale
bastava da sola a rendere la decorazione impossibile.
        E quindi è solo ad abbondanza che dalla lettera  del  l°  maggio  scorso
contenente le dichiarazioni di  un  eminente  ed  informatissimo  uomo  politico
francese - il quale fu avvocato di Herz nella sua lunga causa con  Rothschild  e
nelle sue vertenze con Reinach, riproduco quest'altro passo testuale:

        "Herz, per causa della decorazione, si guastò in seguito  con  Menabrea,
avendo appreso che egli - richiesto da Roma di informazioni - aveva mandato  una
relazione contenente riserve".

        Le riserve da Crispi soppresse! Ma seguitemi, che  il  bello,  ossia  il
brutto, viene poi.

        La riserva del rapporto Menabrea  era  tanto  eloquente  che  per  tutta
quella state del '90, e  per  tutto  il  resto  di  quell'anno,  la  domanda  di
decorazione fu messa da parte, a dormire!
        Ma il povero Reinach aveva il vampiro Herz alle costole,  aveva  bisogno
di ottenergli la decorazione  per  placarlo,  ed  eccolo,  ai  19  gennaio  '91,
rivolgersi al suo amministratore in  Roma,  perché  a  qualunque  costo  gli  si
ottenga il cordone. E il suo carteggio con Crispi per l'affare ricomincia.
        Vien voglia di esclamare: quel Reinach! che faccia di  bronzo!  Aver  il
coraggio di rivolgersi per un favore di quella fatta ad un uomo da lui  trattato
con tanta disinvoltura, e che da ben quattro anni  aspettava  ancora  (a  sentir
Crispi!) gli onorari arretrati dovutigli! e onorari di cinquantamila lire!
        Ora sì ch'era il momento di vendicarsi di un  debitore  così  moroso!  e
tirar fuori quella tal riserva prudente del rapporto Menabrea!
        Ma il signor Crispi era in vena di perdonare; ai suoi onorari neanche ci
pensava, e la pratica di Reinach lo trova d'una amabilità, di una arrendevolezza
affatto meravigliose, strabilianti nell'uomo che ai 25  luglio  dell'anno  prima
aveva bisogno di tante informazioni! Le informazioni - non occorre dirlo,  erano
e restavano ancora quelle - sempre quelle del rapporto Menabrea.  Quello  stesso
rapporto che aveva fatto mettere la pratica a dormire! E nessun'altra di  nuova?
Nessun'altra! Tanto vero che per giustificarsi,  dopo,  a  cose  scoperte,  tirò
fuori, sempre dal suo cassetto di studio di via Gregoriana, quel rapporto  unico
e solo!
        Sgraziatamente, quando meno il pensava, vale a dire,  quando  appena  la
pratica era ripresa, le sante memorie piombavano su lui e  lo  rovesciavano  dal
potere.

        Rassegnate le dimissioni, Crispi stette  provvisoriamente  in  carica  a
tutto l'8 gennaio, per il solito mantenimento  dell'ordine  e  per  il  disbrigo
degli affari ordinari urgenti. Il 9 febbraio Di Rudinì assunse l'ufficio.
        Due giorni innanzi, il  7  mattina,  ebbe,  come  ministro  provvisorio,
l'ultima udienza reale, per la firma degli ultimi decreti.
        Proprio  in  quell'ultima  udienza   perché  l'ultimo  atto  del  grande
Ministero fosse degno di tutta la sua vita - proprio fra gli ultimi  decreti  il
Crispi presentava alla firma reale la  onorificenza  del  gran  Cordone  di  San
Maurizio e Lazzaro d'Italia per Cornelio Herz!
        Poteva la Corona in quel  momento  rifiutarvisi,  qualunque  fossero  le
riluttanze istintive? No.
        Non si poteva, per un sentimento di cordialità e cortesia ben  naturale,
dir no in una udienza di congedo ad un primo ministro che affacciava le  ragioni
del rapporto Menabrea, meno quell'unica taciuta, e  che  presentava  il  decreto
come un servizio al paese! - l'ultimo, dopo tanti, ch'egli, pur  nell'andarsene,
rendeva alla patria ingrata;  e  il  servizio  consisteva  in  ciò:  che  quella
onorificenza altissima era desiderata, domandata da Freycinet, allora presidente
del Consiglio dei ministri di Francia, e che quindi era una  cortesia  personale
al capo del governo francese, la quale poteva contribuire  a  migliorare  in  un
momento difficile i nostri rapporti colla Francia e diminuire per  noi  i  danni
della tensione fra i due paesi!
        E questa ragione - diciamolo subito - questa bugia con  cui  si  vinsero
gli ultimi scrupoli e le esitanze della Corona - che cioè la decorazione era  un
servizio al  paese,  perché  desiderata  e  richiesta  da  Freycinet  -  fu  poi
risfoderata, ma in forma umoristicamente più timida,  dal  Crispi  stesso  nella
Riforma, nella ultima miserevole risposta in  ritirata,  davanti  agli  attacchi
dell'Italia Rea/e!
        State a sentire: (Riforma 29 marzo 1893).

        A nessuno può destar meraviglia  il  fatto  che  un  ministro  italiano,
accusato come era l'on. Crispi di francofobia, non si rifiutasse  recisamente  e
immediatamente di accordare una onorificenza ad un uomo che notoriamente era  in
intimi rapporti coi governanti e gli altri principali uomini politici  francesi,
che dallo stesso governo francese era stato insignito  di  un'alta  onorificenza
nella Legion d'onore: e quando  avea  motivo  di  ritenere  che,  acconsentendo,
avrebbe fatto cosa gradita a quei governanti.

                Avea motivo  di  ritenere!  non  potea  rifiutarsi  recisamente!
quanta modestia improvvisa di frasi!

        Ma no, on. Crispi! voi avete fatto  assai  di  più  che  non  rifiutarvi
recisamente! Avete preso la cosa tanto a petto, che questa volta non badaste più
ai requisiti che ci volevano, questa volta vi tornò buono  il  vecchio  rapporto
del Menabrea e del "motivo a  ritenere"  avete  fatto  di  punto  in  bianco  un
desiderio di Freycinet, e per contentarlo - proprio voi, che  nella  lettera  25
luglio affacciavate tanti ostacoli - avete pensato  bene  di  saltar  via  degli
ostacoli il più grosso, presentando il decreto di  onorificenza  alla  firma,  a
insaputa o meglio di nascosto del Consiglio dell'Ordine, il cui previo avviso  è
prescritto per questi decreti: ma al Consiglio  dell'Ordine  si  sarebbe  dovuto
presentare la domanda di Freycinet, si sarebbe dovuto presentare, non monco,  il
rapporto di Menabrea. Evidentemente era più  spiccio  cogliere  di  sorpresa  la
Corona!
        E per fare tutto questo, per conferire  ad  un  affarista  straniero  di
quella risma una  altissima  onorificenza  italiana,  rifiutata  a  senatori,  a
generali  italiani,  per  far  senza  persino  del  Consiglio  dell'Ordine,  per
sorprendere la buona fede del re, si sceglie di  straforo  l'ultima  udienza  di
congedo,   approfittando,   diciamo   la    parola    "abusando"    dell'ufficio
provvisoriamente tenuto pel mantenimento dell'ordine e pel disbrigo degli affari
ordinari!
        Altro che gli scrupoli della lettera 25 luglio '90!  Meno  male  che  di
questo, quando in ombra lo accennai, persino l'Opinione si scandalizzò!
        Ma andiamo avanti che il bello, ossia il brutto, viene poi.

        Le bugie, dice il proverbio, hanno le gambe corte. E siccome si dava  la
combinazione che il Ressmann (povero Ressmann, l'hai pagata cara!)  quei  giorni
si trovasse in Roma, la bugia naturalmente fu subito scoperta.
        Poiché il Ressmann, per desiderio della Corona interrogato, udito appena
del decreto firmato, da uomo onesto, non nascose il  suo  stupore,  sia  per  la
cattiva fama di cui l'Herz risultavagli circondato,  sia  per  la  assoluta  sua
incredulità riguardo alla storiella spacciata dal Crispi  alla  Corona,  che  si
trattasse di un desiderio di Freycinet.
        Appunto in questa circostanza il Ressmann rammentò che, non per  niente,
l'anno prima, sapendo i rapporti di Herz col suo  principale  Menabrea,  si  era
schivato dal rispondere ad una domanda  di  informazioni.  Ad  ogni  modo  -  ad
abbondanza di scrupoli - promise che  a  Parigi,  ove  subito  tornava,  avrebbe
appurato il fatto di Freycinet. (Il Ressmann è vivo: è gentiluomo. Mi  smentisca
se io mento). Frattanto queste prime gravissime impressioni  del  Ressmann,  non
potevano non far grave senso in chi avea consentito  la  firma  sulla  fede  del
motivo addottogli e per alta cortesia verso un ministro dimissionario.
        Qualunque sia il giudizio sulle decorazioni, non può  piacere  a  nessun
capo di Stato il sapere che una delle più alte onorificenze  a  cui  si  legano,
oltre i confini, il nome nazionale e il prestigio  del  proprio  paese,  sia  il
frutto di un inganno e fregi il petto di uno straniero di mala fama.
        Fu altissimo desiderio  che,  ad  ogni  buon  fine  e  in  attesa  delle
informazioni ulteriori che sarebbero  giunte  da  Parigi,  venisse  per  intanto
tenuta in sospeso la registrazione del decreto, non che il rilascio della  copia
all'interessato.
        È notorio  difatti  che  per  tutte  queste  pratiche  burocratiche  non
occorrono ordinariamente mai meno di una quindicina di giorni e anche più.

        Ma era destino che si  andasse  di  sorpresa  in  sorpresa.  La  persona
incaricata di eseguir l'alto ordine, va da  Domenico  Berti  e  trova,  con  suo
stupore... che, per sospendere, è troppo tardi.
        Che cosa era avvenuto?
        Una cosa semplicissima: quella mattina stessa  del  7  febbraio,  appena
uscito  dalla  udienza  di  congedo  reale,  colla  stessa  carrozza   che   già
attendevalo, senza perdere un minuto, Francesco Crispi era andato dritto  dritto
dal Quirinale al Magistero degli Ordini, era piombato come  una  saetta,  povero
Berti, e, messogli il decreto firmato sotto  il  naso,  ne  aveva  reclamata  la
registrazione immediata e il rilascio della copia in giornata. Tutto ciò per una
nomina tenuta nascosta al Consiglio dell'Ordine, ottenuta con  una  bugia  e  in
base ad un rapporto bugiardamente mutilato.
        Altro che gli scrupoli meticolosi e lo andare col piè  di  piombo  della
lettera del 25 luglio!
        Il Berti ebbe un bel protestare che non era possibile, che  ci  volevano
al solito una quindicina di giorni, che, anche a far  prestissimo,  parecchi  dì
abbisognavano: Francesco Crispi non intendeva ragioni. Voleva ad ogni  costo  in
giornata registrazione e copia per l'interessato,  e  Domenico  Berti  chinò  la
testa promettendogli che in giornata l'avrebbe. E così fu.
        E qui, ad illustrare la buona fede del signor Crispi, ritorna edificante
il confronto fra la prima audace smentita della Riforma e quella di poi,  quando
le lettere dell'Italia Reale l'obbligarono a ringoiarsela.
        Al 23 marzo 1893 la Riforma stampava esser tutta una  vile  menzogna  ed
"essere fatto notorio ed accertato che fu l'on. Crispi stesso a  non  dar  corso
(!) alla decorazione di Herz".
        Al 29 marzo, sei giorni dopo, messa  al  muro,  confessava  pudicamente:
"Fece l'on. Crispi, negli ultimi giorni del suo ministero, firmare  il  decreto,
la cui copia gli fu trasmessa il 6 febbraio".
        Oh pudica Riforma! Ti vergogni tanto di dir chiaro  che  tutto  avvenne,
decreto e consegna, in un giorno solo e medesimo, tanta era la furia di tuo zio!
e che la copia "che gli fu trasmessa" fu il Crispi  in  persona  a  pretenderla,
appena avuta la firma in tasca e che quel dì 7 il suo ministero (!)  era  caduto
da sette giorni!

        Non restò che aver pazienza ed attendere le informazioni di Ressmann  da
Parigi, sperando che almeno confermassero trattarsi di un favore a Freycinet.
        Le informazioni arrivano... e sono desolanti. Ressmann non solo conferma
i pessimi ragguagli sull'Herz, ma  avverte  che,  recatosi  dal  presidente  del
Consiglio Freycinet, per domandargli se era vero che il gran cordone per  l'Herz
era stato desiderato e chiesto secondo che Crispi avea detto al  re,  al  sentir
questo "scattò"  addirittura,  protestò  con  apostrofi  vivacissime  contro  la
menzogna e contro l'abuso del nome suo ed ebbe duri epiteti per l'Herz,  dicendo
che era stanco di sentirsi  nominare  quel  mal'arnese,  chiamandosi  già  anche
troppo arrabbiato perché si fosse dovuta conferire all'Herz - per far piacere al
Menabrea - una onorificenza francese.
        Insomma non c'era più  dubbio;  il  re  dal  Crispi  era  proprio  stato
ingannato. Altro che protestargli devozione a chiacchiere!
        Apro una parentesi. Il fatto di un decreto  estorto  a  questo  modo  mi
sembrò così grave, che, oltre l'accertarmene in Roma, ho voluto  accertarmene  a
Parigi. E la conferma avuta su questo punto chiarirà  anche  per  il  resto,  la
precisione con cui scrivo.
        Pregai dunque l'amico Eandi a Parigi che si rivolgesse a voce, o meglio,
per iscritto, al senatore Feycinet con una domanda precisa, onde averne  precisa
risposta per sì o per no.
        La domanda, fatta per iscritto, fu concepita in questi termini:

Parigi, 7-5-'95 Signor senatore, dal mio amico Felice  Cavallotti,  il  deputato
dell'Estrema Sinistra, ricevo  l'incarico  di  domandarvi  qualche  schiarimento
intorno al decreto che conferiva a CornelioHerz il gran cordone dei Ss. Maurizio
e Lazzaro.
        Si assicura che il ministro Crispi disse al re, che sottoscrivendo  quel
decreto, avrebbe fatto cosa grata a voi; e che richiesto dal nostro ambasciatore
Ressmann dichiaraste falso quanto a voi si riferiva.
        F. Cavallotti non desidera che la conferma o no della  vostra  smentita;
vi sarei grato se voleste darmi cinque minuti in proposito.
Gradite signor senatore ecc. G. EANDI

Risposta scritta di Freycinet: Paris, 8 mai 1895 Je  m'empresse  de  repondre  a
votre lettre d'hier. Je ne possède pas de renseignements  sur  la  question  qui
vous occupe et je ne puis que  confirmer  pleinement  la  déclaration  de  votre
ambassadeur. Agréez, monsieur, l'expression de ma consideration très  distinguée
C. DE FREYCINET  M.r Giovanni Eandi Délégué de  l'Association  Syndacale  de  la
Presse étrangère.

        Non commento e tiro avanti.

        Arrivata la informazione da Parigi, il re non esitò un solo  minuto.  Un
provvedimento, e subito, s'imponeva.
        Bella novità sento dirmi. Questo non fu merito delta Corona!  questo  fu
tutto merito di Crispi! Lo ha fatto stampar lui  nella  Riforma  a  più  riprese
(Riforma 23 marzo, 25 marzo, 29 marzo '93), e a lettere di scatola,  che  questo
si deve a lui solo! Che fu lui e nessun altri a lacerare il decreto con  le  sue
mani appena vennero informazioni diverse.
        Ancora adesso, nel darmi del mentitore e di tutti i titoli, ha  stampato
da capo nella sua Riforma (10 giugno '95, n. 148) "che l'on.  Crispi  lasciò  il
potere il 9 febbraio dopo avere spontaneamente deciso  di  sospendere  l'effetto
del decreto per l'onorificienza, mentre avrebbe potuto liberamente dargli  corso
(quanta bontà!): e quindi l'assurdo  della  calunnia  del  signor  Cavallotti  è
evidente".
        Altro che evidente! Avendolo sospeso, il decreto, -  come  essa  dice  -
prima del 9 ed essendo stato firmato il 7 - il  Crispi  non  attese  neanche  il
tempo per scrivere a Parigi! - non ha fatto che farlo firmare,  prenderlo  dalle
mani del re e stracciarlo!!! Un gusto come un altro. Ma che si vuole di più? C'è
là, stampata la lettera del signor Crispi del  4  maggio  1891,  dove  prega  il
Reinach di non più insistere, perché è venuto un rapporto contrario! È vero  che
la lettera è del 4 maggio,  ossia  di  nientemeno  che  tre  mesi  dopo;  ma  la
risoluzione, non c'è ombra di dubbio, Crispi l'ha presa prima del 9 febbraio. Lo
dice lui e tanto basta.
         Vediamo  dunque  in  che  modo  il  signor  Crispi,  appena  avute   le
informazioni diverse, si affrettava a lacerare il decreto.
        Giunto che fu il rapporto  sfavorevole  del  Ressmann,  capitava  il  dì
appresso a Domenico Berti la visita del commendatore  Rattazzi,  ministro  della
Real Casa (possiam fargli il nome,  perché  già  fu  detto  dall'on.  Di  Rudinì
davanti ai Sette, e  al  Di  Rudinì,  come  vedremo,  il  Rattazzi,  per  debito
d'ufficio, dové narrare ogni cosa); e, d'incarico del re, significava  al  Berti
le notizie arrivate da Ressmann, e la necessità che egli si recasse dal  Crispi,
per fargli restituire il diploma. Il Berti, all'annuncio, per poco  non  isviene
dalla emozione. Dice che ormai è cosa fatta, che non v'era più rimedio,  che  il
tornarci sopra poteva esser peggio, e che ad ogni  modo  lui  non  sentivasi  di
andar ad affrontare il Crispi: insomma, scongiura di dispensarnelo.
        Ribadendogli l'on. Rattazzi trattarsi di  un  desiderio  del  re,  l'on.
Berti rispose che si riserbava di parlarne a S.M. egli medesimo. Visto  che  non
ci era nulla a cavarne, il comm. Rattazzi riferiva l'esito della gita e riceveva
l'incarico di andare dal Crispi direttamente lui.
        Trattandosi però di  un  atto  politico,  prima  di  andarci,  il  comm.
Rattazzi, per doverosa correttezza, si recava dal presidente  del  Consiglio  in
carica, l'on. Di Rudinì, ad esporgli il desiderio dì S.M. e  sentirne  l'avviso.
Eravamo alla seconda metà del febbraio.
        Ora lascio la parola all'on. Di Rudinì il quale davanti al Comitato  dei
Sette naturalmente fece un semplice riassunto.

        "A domanda. R.: Quando io andai al ministero, seppi  dal  Rattazzi  che,
per proposta dell'on. Crispi, S.M. aveva  concesso  una  onorificenza,  il  gran
cordone Mauriziano, e che S.M. desiderava revocare il decreto. Risposi che a mio
modo di sentire, S.M. aveva ragione di opporsi."

        E fermiamoci per ora qui. Ripiglieremo l'interrogatorio più avanti.
        Avuto questo assenso dall'on. Di Rudinì, l'on. Rattazzi prendeva il  suo
coraggio a due mani e si recava in via Gregoriana ad affrontare la tempesta.

        Ahimè! ci siamo.
        Senza molti preamboli l'on. Rattazzi annunzia, all'onorevole Crispi, che
veniva per incarico e desiderio del re a  pregarlo  di  restituire  il  diploma,
ritirato da lui, essendo giunte da Parigi sull'Herz informazioni pessime  e  per
di più essendo giunta a cognizione di S.M. che la ragione politica  addotta  per
l'onorificienza non sussisteva, da che il presidente  del  Consiglio  Freycinet,
interrogato s'ei l'avesse desiderata o chiesta, aveva  recisamente  smentita  la
cosa.
        Crispi scatta furiosamente esclamando: "È  impossibile!  Non  è  vero!".
L'altro gli osserva cortesemente e con flemma che il negare non  serve,  che  la
smentita proviene direttamente da Parigi, dal  Ressmann,  raccolta  dalla  bocca
stessa del Freycinet, (ah, povero Ressmann, l'hai pagata cara!) e che le notizie
intorno all'Herz sono proprio cattivissime.
         Crispi,  confuso,  protesta  ch'egli  ne  avea  avuto   di   eccellenti
dall'ambasciatore Menabrea (quelle tali del rapporto famoso dell'anno  addietro,
in seguito al quale la pratica si era dovuta metter la prima volta a dormire!) e
che riserbavasi di fargliele vedere per convincere lui ed il re.
        Insomma per quel giorno non ci fu verso  di  cavarne  nulla.  Altro  che
stracciare il decreto appena giunte le informazioni nuove! Il Rattazzi  si  reca
ad informare della resistenza energica trovata, tanto il re che  il  Di  Rudinì,
colla cui piena intesa, ritorna infatti, di lì a qualche giorno, dal  Crispi,  e
lo trova più duro, più ricalcitrante che mai. A un certo punto  il  Crispi  tira
fuori finalmente da un cassetto del suo scrittoio, a destra, il famoso  rapporto
Menabrea (ah Giolitti, Giolitti sottrattore di documenti!) dove eran segnati dei
brani, e ne legge col Rattazzi quelli che a lui Crispi facevan comodo nei  quali
infatti si parlava dei meriti scientifici dell'Herz e  della  sua  campagna  del
1870; ma nella lettura scappa fuori, e l'altro afferra  naturalmente,  anche  il
brano dove il Menabrea, per discarico di coscienza, accennava al genere di  vita
equivoco dell'Herz, e sconsigliava l'altissima decorazione! Il Crispi, confuso e
colto in fallo, si rimangia una parte delle sue parole, si degna  convenire  che
il rapporto Menabrea non è tutto favorevole  (figurarsi  poi  che  cosa  sarebbe
stato, se Menabrea nel mentre lo dettava non fosse  stato  debitore  dell'Herz!)
ma, aggiunge, che infine qualche cosa di favorevole ci si trova  (sfido  io!)  e
promette di mandargli le informazioni trascritte, perché anche S.M. si persuada.
        Insomma di fargli restituire il diploma neanche quella seconda volta non
vi fu verso! Altro che stracciar il decreto non appena  giunte  le  informazioni
contrarie! Arrivano di fatti, il di appresso,  al  Rattazzi  i  famosi  estratti
delle informazioni del rapporto. Inutile il dire  che  le  cattive  erano  state
omesse! Altra visita inutile; altra  resistenza  del  Crispi  che  piglia  tempo
qualche giorno ancora. Ma qui dobbiamo  far  pausa  un  istante,  e  aprire  una
parentesi, perché qui si intercala un curioso intermezzo che, da quanto  narrai,
riceve finalmente la spiegazione.
        Evidentemente le cose pel Crispi si  imbrogliavano.  Le  insistenze  del
Rattazzi, nel compimento del suo dovere, mettevano il  Crispi  colle  spalle  al
muro. Quel caro Reinach, per amor del quale si era così  compromesso,  lo  aveva
posto in un gran brutto impiccio:  chi  sa  (voi  direte)  in  cuor  suo  quante
imprecazioni doveva mandargli! Ohibò! Proprio in quei giorni che il Rattazzi  lo
tormentava, era venuta a Crispi la felice ispirazione di telegrafare al  Reinach
a Parigi, di venire ad intendersi a viva voce.
        È telegramma, del resto non più negato, che I'  Y.  della  Italia  Reale
ebbe nelle proprie mani.
        E il risultato di questa chiamata improvvisa nei giorni  che  il  Crispi
era, per colpa del Reinach, assediato e messo dal Rattazzi alle  strette,  è  la
improvvisa commovente risoluzione del  Crispi  di  ritornare  avvocato  di  quel
Reinach al quale doveva tanti guai, e che, a suo dire,  non  gli  aveva  neanche
pagato ancora gli onorarj di quattro anni (!) indietro.
        Ah! quella chiamata frettolosa del Reinach a Roma e quella cara  lettera
di comodo, proprio del 17 febbraio (nei giorni delle  visite  Rattazzi!)  tirata
fuori dalla Riforma! "Caro  Jacques,  poiché  lo  volete,  tenetemi  per  vostro
avvocato!".
        E quella improvvisa liquidazione di arretrati, proprio in  quei  giorni,
che intermezzo comico e faceto! Farei torto ai lettori, che hanno già capito, se
mi perdessi ad illustrarlo.

        Ripigliamo il filo del racconto, che è meglio.
        Dopo l'ultima inutile visita, capita al comm. Rattazzi  uno  dei  soliti
bigliettini nervosi del Crispi che gli dice di ripassare da lui.
        - Meno male, avrà pensato il Rattazzi, finalmente si è persuaso!
        Va e trova il Crispi, rasserenato, che gli dice: "C'è del nuovo!".

        Il nuovo era questo: l'on. Crispi tirò fuori dal cassetto un bel  vaglia
di 60.000 lire,  col  quale,  disse  lui,  visto  che  i  titoli  dell'Herz  non
persuadevano, si poteva aggiustar tutto (!) mediante elargizione di  beneficenza
dell'Herz al Magistero dell'Ordine!
        Tableau! E siccome la scena il Rattazzi l'ha dovuta per forza, per dover
suo, raccontare subito allora al ministro Di  Rudinì  come  vedremo  -  possiamo
provarci a raccontarla quasi fotograficamente, anche noi.
         Il  Crispi  e  il  Rattazzi  stavano  seduti.  Alla  strana,  inattesa,
esibizione il Rattazzi si alzò da sedere e con un gesto  della  mano  repulsivo,
significantissimo, disse al Crispi:
        "Ah no, la prego! Per carità non tiri fuori di quella roba.  A  prendere
del denaro di Francia per una decorazione italiana, che direbbero i francesi  di
noi?".
        E Crispi: "È una lezione che lei mi vuol dare?" (testuale).
        Rattazzi: "Non è una lezione. Le dico che il decoro del re, del  Governo
italiano, del Paese ne va di mezzo e la invito, ancora un'ultima volta, in  nome
del re, che lo vuole, a restituirmi il diploma".
        Crispi: "No: questo no. Né oggi, né mai".
        Rattazzi comprese che era tempo perso: troncò  il  colloquio  e  andò  a
render conto al ministro Di Rudinì della scenata.
        Rudinì comprese che bisognava finirla: appoggiò la decisione  del  re  e
S.M. il re dispose che il decreto non avesse corso.
        Ora, a maggiore conferma del racconto, possiamo qui ripigliare il  resto
dell'interrogatorio Di Rudinì, davanti il Comitato dei Sette.

Interrogatorio Di Rudinì. "Tornò  Rattazzi  e  mi  disse  che  Crispi  insisteva
dicendo che Herz avrebbe elargito L.60.000 all'Ospedale Mauriziano, e  che  S.M.
resisteva. Risposi che S.M. aveva, per me, ragione di resistere e seppi poi  che
S.M. aveva ritirato il decreto. Del resto io non conoscevo l'Herz e  la  ragione
della  mia  opposizione  si  deve  alla  mia  costante  ripugnanza  a  conferire
onorificenze  a  stranieri,  specie  quando  vi  sia  di  mezzo  come  forma  di
corrispettivo il denaro...
        Infine tutto il merito della non conferita onorificenza all'Herz si deve
al re."

        E in quest'affare non ci è che dire, la correttezza  del  Re  fu  appena
uguale alla sua pazienza! Così,  e  in  questo  modo,  Crispi,  informato  delle
notizie sfavorevoli sull'Herz, "aveva lacerato il decreto"!
        Ma domando io: se la resistenza del signor Crispi fosse stata  onesta  e
lecita, perché negarla così spudoratamente?
        E, colto in flagrante colla sua  menzogna,  che  bisogno  di  altro  per
giudicar le restanti? A che serve tentare ancora negar  le  lettere  dell'Italia
Reale chiamate al primo giorno tutte false, dopo che per propria difesa vi siete
ridotti ad ammetterne e confessarne parecchie?
        O non dirle tutte false prima, o confessarle tutte vere poi.
        Dove siano d'altronde andate a finire le 60.000 lire mostrate da  Crispi
al comm. Rattazzi è un quesito che l'Opinione ha voluto porre a sé medesima.  Io
non lo pongo, poiché mi occupo solo delle cose che so e che mi risultano certe e
provate.
        Perciò, qualunque sia stata la fine delle 60.000 lire che erano quel  dì
già in mano al Crispi, (rispettiamo l'impenetrabile  segreto  e  ammettiamo  che
Crispi abbia aperto la finestra e fattele volar via) io mi occupo di quell'altre
50.000, posteriori, su cui di dubbio non ce ne resta  più.  E,  se  un'ombra  ne
restasse,  basterebbe  a  dissiparla  il  sentire  l'onesto  accusato,  scoperto
bugiardo a quel modo, in tutte le difese sue, dalla prima  all'ultima,  l'onesto
dilettante di testimonianze false e  di  falsi,  ricorrere  all'ultima  ratio  e
gridare: "Mostratemi il foglio dove io l'abbia confessato!".
        No, no, onesto accusato: questo nei casi tuoi, non si usa. Questo nessun
pratico lo fa, bisognerebbe essere un imbecille. Quando si fanno le ricevute  in
questi casi, si fanno in forma prudenziale, come la tua:
        "Ricevo la fav. v. col noto  documento.  Mi  metto  subito  all'opera  e
riusciremo presto".
        Ma è appunto per questo che si ricorre in questi casi ad altre prove!  E
tu hai già confessato anche troppo il 18 marzo 1893, quando  all'annunzio  della
scoperta delle 50.000 pagateti, invece di scattar furibondo, hai balbettato  nel
dispaccio della  Stefani  che  erano  pagamento  d'onorari  vecchi:  fu  incauto
confessare il pagamento, mentre del titolo che ne hai addotto ti  è  mancata  la
prova! Io, invece, ho dovuto e potuto provarti colla testimonianza  precisa  del
relatore della inchiesta, colla testimonianza solenne del  suicida  in  persona,
colla lettera Reinach 24 marzo - ammessa dalla Riforma tardivamente e per  forza
- che il titolo era un altro: che le  cinquantamila  lire  furono  date  per  il
cordone di Herz - e per niente altro.

È prova piena sì o  no?  Dopo  scoperte  le  tue  bugie  e  dopo  letti  i  tuoi
precedenti, basterebbe ad un magistrato la decima parte di quella prova!

         Ma  la  prova  esubera,  perché  il  signor  Crispi  e  la  Riforma  si
incaricavano di completarla.
        Io non so  immaginare  -  dopo  quello  che  siamo  venuti  scoprendo  -
documenti più gravi per il Crispi di quella lettera Reinach del 30 aprile 1891 e
di quella lettera Crispi del 4 maggio successivo che la  Riforma  "disorientata"
ha commesso la imprudenza di pubblicare.
        Il 30 aprile (quasi un mese e  mezzo  dopo  che  il  decreto  era  stato
annullato dal re) Reinach scriveva a  Crispi  (Riforma  29  marzo  1893):  "sono
davvero molto infelice perché non mi fate questo piacere e favore". Lamento  che
concorda perfettamente con quello dell'altra sua lettera trovata nel piego:  "Ho
dato a Crispi cinquantamila lire per un affare che poi non ha fatto".
        E - in data 4 maggio 1891 - finalmente il Crispi scrive  candidamente  a
Reinach (Riforma, 29 marzo 1893) una lettera monumento ove dice:

Roma, 4 maggio 1891 Caro Jacques, vi prego di non insistere  più  nella  domanda
per la saputa decorazione. Le ragioni per  le  quali  era  stata  domandata  son
venute meno... Mancando la ragione politica ed i meriti del decorando,  prudenza
esige non se ne parli più. Del resto fate che  il  vostro  amico  renda  qualche
servizio all'Italia ed allora potrà meritarsi un premio al quale,  al  presente,
parmi non possa aver diritto. Vostro aff.mo CRISPI

        Oh, delicatissimo uomo! Solamente ai 4 di maggio, due mesi dopo  che  il
decreto era annullato, ti sei risoluto a far sapere al povero Reinach la verità?
E non gli hai detto nulla né alla fine di febbraio, né ai primi di marzo, quando
Rattazzi ti metteva alle strette e il Reinach per tua  confessione  -  trovavasi
qui in Roma chiamato da te?
        E invece di sfogarti irritato con lui per la triste figura che ti  aveva
fatto fare, l'hai lasciato nella sua beata illusione, al punto che il  24  marzo
(data ammessa da  te,  provata  schiacciantemente  dall'indice  del  morto)  per
abbreviare i ritardi, egli credesse necessario  ungere  ancora  le  ruote  e  ti
mandasse le 50.000 lire per spese di cancelleria, come è detto a chiare  lettere
nel verbale di Parigi?
        E - dopo le informazioni sapute sull'Herz non te la senti venire neanche
una amara parola - tu che tante  contro  i  galantuomini  ne  trovi!  e  hai  il
coraggio ancora di esprimere in  termini  affettuosissimi  al  caro  Jacques  la
speranza che un tipo di quel genere renda alla tua Italia servigi?
        Non ai 4 di maggio, ma ai 4 di marzo la dovevi scrivere quella  lettera,
e una lettera in quei termini non la scrive che chi ha  perduto  il  diritto  di
dire le sue ragioni.
        Una lettera, come quella,  poteva  scriverla  soltanto  chi,  avendo  al
Reinach il 5 marzo taciuto ogni cosa, nascostogli che il re rivoleva il diploma,
lasciava partire il Reinach nella illusione, e accettava che egli  mandasse  due
settimane ancora dopo - quando il decreto non era più!  -  50.000  lire  per  le
spese di cancelleria del medesimo!
        Evvia: io non cerco nel codice come si chiamano di  queste  cose.  -  Mi
limito a dire che c'è un Dio - non so se sia quello  di  Napoli;  -  ma  un  Dio
certamente, che punisce i colpevoli e che  ha  suggerito  al  signor  Crispi  di
stampare - credendo di difendersi - la lettera accusatrice del 24 maggio!
        Poiché era ben chiaro che un dì o l'altro bisognava pur  scriverla!  Non
vedendo mai venir nulla, il Reinach e l'Herz si sarebbero stancati, e il dì  che
dovette confessare, il signor Crispi, nei panni suoi, non poteva  pigliarli  che
colle buone.

         Anzi  ancor  più  che  colle  buone!  poiché,  giunti  qui  al  termine
dell'istoria, possiamo rifarci al principio: a  quella  intervista  del  gennaio
1893 col redattore della Tribuna, dove Crispi lasciossi sfuggire essersi trovato
a Ginevra con Herz all'Hotel de la Paix e aver pranzato insieme da buoni  amici.
E siccome è presto  e  facilmente  accertato  che  l'incontro  fu  estivo,  cioè
posteriore alla lettera 4 maggio, non restami che  ammirare  questa  affettuosa,
incrollabile, insuperabile amicizia, resistita nel  cuore  dell'ex  ministro  ai
disinganni sull'amico suo e alle pessime e perfide informazioni sul di lui conto
mandate da quel tristo di Ressmann, che avean fatto lacerare il decreto, ma  per
tener testa alle quali l'amico devoto non aveva esitato a tener testa  anche  al
re!

        E avrei finito, se non m'accorgessi che ho dimenticato di far  cenno  di
quel curioso documento apparso nella Relazione dei Cinque,  e  che  il  prefetto
Winspeare di Milano fu ad un pelo di pagare ben caro.
         Parlo  del  telegramma  cifrato  26  marzo  '93  con  cui  il  prefetto
trasmetteva a Giolitti, Presidente del Consiglio, la copia di  un  dispaccio  di
Weill-Schott a Crispi, di quel giorno, che diceva:

        Luciano arrivato qui stanotte sarà Roma Hotel Europa lunedì mattina,  mi
assicura non  poter  nulla  consegnare  non  avendo  libera  disposizione  carte
paterne.

        Questo telegramma con quella data, che nella Relazione dei Cinque sembrò
un rebus, non lo è più per il lettore che mi ha seguito fin qui.
        Esso coincide col momento preciso in cui Crispi e la Riforma (che - alla
brutta scoperta di Parigi -  avean  creduto  di  salvarsi  col  dispaccio  della
Stefani del 18 marzo e con lo smentire ogni cosa)  si  trovavano  presi  fra  le
proprie bugie e le rivelazioni schiaccianti dell'Italia reale. E in quei  dì  il
corrispondente dell'Italia Reale a Parigi, recatosi d'ordine del  suo  direttore
alla palazzina Reinach, a parlare con Luciano Reinach,  apprendeva  precisamente
dal famigliare medesimo dal quale aveva già avuto le copie delle lettere, che il
Luciano  era  partito,  chiamato  a  Roma  in   gran   fretta   e   segreto   da
Palamenghi-Crispi. [...]
        Luciano Reinach, chiamato a Roma di furia nell'ora  che  la  Riforma  si
trovava a mal partito, telegrafava lungo il  viaggio  che  non  potrà  consegnar
nulla, non avendo più la libera disposizione delle cane paterne.
        Infatti, eran già in mano del giudice!

        E giunge, il Reinach, a Roma il lunedì 27,  ricevuto  alla  stazione  in
gran segreto da due  intimi  segretari  di  Crispi,  coi  quali  va  difilato  a
chiudersi in una casa ai Prati di Castello; e il suo arrivo è tenuto  segreto  e
nascosto come l'arrivo di un cospiratore o di un latitante, e con  tanta  gelosa
cura che si ottiene di  farne  cancellare  il  nome  persino  dal  registro  dei
forestieri!
        Ma il suo arrivo produce un cambiamento a vista: e  l'effetto  immediato
è... l'articolo della Riforma del dì successivo  (28-29  marzo  '93)  dove  muta
interamente il piano di difesa, rinunzia alle smentite temerarie del 18, del 22,
del 24, non parla più  di  lettere  false  o  pretese  e  si  degna  d'ammettere
l'esistenza... della lettera Reinach 24 marzo 1891!


TERZA PARTE






        Del resto il delicatissimo uomo, cui parve delicato tanto l'opporsi alla
inchiesta sulla Banca Romana, essendone debitore clandestino e domandandole  due
dì appresso altro sconto, quanto lo attestare il falso ad un giudice,  ha  torto
di affastellare contro la luce del  sole  smentite  inutili,  bugie,  quando  si
scopre che si mandano cinquantamila lire per un gran cordone. Dopo tutto  non  è
gran somma; egli è abituato a ben maggiori e -  fatto  ragguaglio  dei  tempi  e
della età e dell'altissimo grado dell'uomo,  non  esorbita  le  proporzioni  del
prezzo che - semplice giovane avvocato in Palermo - sotto il governo dei Borboni
chiedeva per ottenimento, non di decorazioni, ma di impieghi.
        Ne fa fede un vecchio istromento notarile del  dicembre  1845  da  tempo
giuntomi nel suo autentico originale, rogato dal notaio  Francesco  Marchese  al
quale è annesso l'allegato seguente:

Palermo, dicembre 1845

Tengo in mio potere ducati trecento, denaro del cav. Giuseppe Vassallo Paleologo
che mi obbligo pagarlo al sig. avvocato D. Francesco Crispi, qualora in fra mesi
quattro dalla data del presente otterrà un posto di consigliere di Intendenza in
una delle provincie del regno delle due Sicilie.
        Scorso tal termine senza  che  il  real  decreto  o  real  rescritto  di
elezione siasi emanato, i suddetti ducati trecento saranno da me  restituiti  al
cennato sig. cav. Vassallo. Il cennato  sig.  avvocato  Francesco  Crispi  resta
obbligato di giustificare  che  nel  termine  anzidetto  abbia  avuto  luogo  la
elezione a consiglier di Intendenza del signor cav. Vassallo e ciò non fatto nel
termine stesso,  io  sottoscritto  potrò  restituire  a  quest'ultimo  i  ducati
trecento. Visto:  GIUSEPPE VASSALLO PALEOLOGO

        Segue istromento notarile 26 decembre  1845  atti  Marchese  di  Palermo
confermante la obbligazione suddetta relativa al deposito fatto di onze cento da
parte del sig. Giuseppe Vassallo Paleologo, per pagarle al sig.  avv.  Francesco
Crispi ove fra quattro mesi si verificasse la condizione in detto tengo  in  mio
potere annunziata. L'atto è in forma  esecutiva  e  firmato  autenticamente  dal
notaio.

        Venuto a sentore di questo documento, quel tal amico di  Crispi,  retour
de Londres (Comandini, n.d.r), mise subito avanti le mani e telegrafò per  tutta
Italia ai giornali della Casa, che la mia prova dell'affare di Herz non  sarebbe
stata altro che questo. Ma no, ottimo reduce, io non cito quell'aneddoto  antico
che a solo studio di fisiologia, perché è nella giovinezza dei grandi uomini che
se ne giudicano le vocazioni.
        A 24 anni, a 22 anni i fratelli Bandiera e Domenico Moro nel luglio 1844
avevano la vocazione di morir per l'Italia e  farsi  fucilare  dai  soldati  del
Borbone nel Vallone di Rovito. A 26 anni, nel dicembre 1845 - un  anno  e  mezzo
dopo - Francesco Crispi aveva  quella  di  procurar  impieghi  del  Borbone  per
denaro.
        Un contratto lecitissimo, non c'è che dire; anzi il reduce di  Londra  e
gli altri scribi  della  Casa  assicurano  che  vi  furono  a  Napoli  "numerosi
avvocati, giovani specialmente, che  patrocinavano  affari  personali  presso  i
dicasteri centrali governativi e tali patrocinatori chiamavansi appunto avvocati
ministeriali: e l'avvocato Francesco Crispi era del numero", sicché era  proprio
una cosa bellissima; tanto vero che fu rogata da notaio.

        Lo spionaggio ansioso, sporco, affannoso, esercitato  in  questi  giorni
dal servitorame di  casa  Crispi  intorno  a  me  -  spinto  fino  al  nauseante
spettacolo di membri del governo postisi alle costole di intimi miei - se ha ben
rivelato come sentasi di coscienza il padrone, che per non dar di sé  conto,  ai
15 dicembre scappava - meritava dopo tutto un castigo.

        Che del resto il Crispi già ventiseienne all'epoca che i  Bandiera  e  i
Moro e tanti altri più giovani di lui per l'Italia eran già morti  -  non  desto
ancora agli entusiasmi italici, fosse perfettamente a  posto  suo  nel  delicato
ufficio che esercitava allora - e che spiega tanta parte del  Crispi  di  poi  -
cioè si fosse cattivate le simpatie vive e le buone grazie del Borbone - che era
il requisito indispensabile  per  esercitarlo,  questo  neanche  i  suoi  stessi
biografi panegiristi lo negano. Ei se l'era cattivate colle sue prose borboniche
del 1840 e 1841 nel giornale di  Palermo  l'Oreteo  (dove  eravate  intanto  voi
pensatori e cospiratori e martiri della Giovane Italia?) in onore  e  gloria  di
Ferdinando di Borbone e della sua casa "a cui era data (sue parole) la gloria di
rigenerare la Sicilia". [...]
        Né io le ricorderei qui, se non avessi le orecchie stanche  alla  nausea
dal sentir tutti i giorni gli scribi della Casa, ad ogni legittima censura degli
atti del padrone, rispondere col ritornello che  egli  stava  facendo  l'Italia,
mentre i censori non erano nati.
        E fu in  grazia  di  quelle  prose  che  Francesco  Crispi,  da  Palermo
tramutandosi al foro di Napoli, ottenne la grazia specialissima - riservata solo
ai ben pensanti - della dispensa  dall'esame  rigorosamente  prescritto  per  la
iscrizione regolare nel foro napoletano: grazia secondo quanto fu detto allora e
poi, personalmente e direttamente chiesta al re: tanto che gli  stessi  biografi
panegiristi non lo impugnano e  il  povero  Leone  Fortis  nella  biografia  per
commissione è ridotto a confessare,  che  anche  "data  od  esclusa  la  domanda
diretta e personale è certo che la concessione fatta al Crispi dovette avere  il
beneplacito del re, come è fuor di dubbio cheCrispi per  l'esercizio  della  sua
professione, ebbe a chiedere frequenti udienze del Borbone - il quale fu  sempre
con lui affabile e cortese e fece spesso  ragione  ai  suoi  reclami  tanto  che
Crispi stesso riconosce di non avere a che lodarsi dei rapporti avuti con lui".
        Ah, gli amici! Già per certi servigi non ci son che loro. Ma  quando  il
povero Leone Fortis scriveva quelle linee di storia, non era ancor venuto  fuori
il rogito notarile di Palermo del 1845 -  a  rivelare  in  qual  modo  Francesco
Crispi metteva a profitto le "frequenti  udienze  del  Borbone  per  l'esercizio
della sua professione".

        E se io fossi stato presente a quella udienza in cui Francesco Crispi  -
ai deputati di Calabria, venuti, non è guari, a  reclamare  per  la  loro  terra
infelice contro il furto impudente dei soccorsi a lei dati dalla pubblica carità
-  rispondeva  insolentendo  e  richiamando  burbanzosamente  i  suoi  vanti  di
cospiratore per la Calabria sotto i Borboni, ah, se  io  fossi  stato  presente,
come lo avrei  messo  al  posto,  rifacendogliela  io  la  sua  storia  vera  da
cospiratore!
        Io, sì, gliela avrei detta quale fu  la  sua  parte  nella  cospirazione
calabra e messinese del 1847, dove fioccarono innumerevoli condanne feroci  alla
morte ed all'ergastolo e alle pene minori, ed egli non  ebbe  neppure  torto  un
capello, neppure il più piccolo disturbo di una chiamata in polizia, a  cui  non
isfuggivano  anche  i  più  lontanamente  sospetti;  -  e  la  sua  parte  nella
rivoluzione del gennaio 1848 a Palermo dove - sapendo che  la  insurrezione  era
fissata pel 12, lasciò La Masa da Napoli recarvisi solo e aspettò che La Masa  e
i Carini e Buscemi e Oddo e Paolo Paternostro e Jacona e Bivona  e  Grammonte  e
tutti gli altri eroi chiamassero il  popolo  in  Fieravecchia  alle  armi  e  lo
portassero alla battaglia e alla vittoria,  per  imbarcarsi  allora  da  Napoli,
sullo stesso piroscafo che portava il generale borbonico, recantesi a  negoziare
cogli insorti vittoriosi!
        Io sì, se fossi stato coi deputati calabri, insolentiti nell'ora in  che
compivano un dovere, glie l'avrei ridotta alle proporzioni vere e modeste la sua
parte in quei giorni, per la Sicilia gloriosi, che ebbero - meno male!  -  virtù
di convertire alla nuova fede il postulante delle udienze borboniche: in  quella
insurrezione, di cui ebbe il  coraggio  di  farsi,  dai  suoi  scribi  adulatori
pagati, dipingere come l'anima e la  mente,  il  capo  (!)-  mentre  il  general
Filangeri, sottomettendo Palermo, non gli fece neanche l'onore  di  comprenderlo
nei 43 gloriosi esclusi dalla piena generale amnistia!
        E gli avrei ricordato i vanti non meno grottescamente bugiardi  con  cui
della Impresa dei Mille, tentò sfrondare - nei pagati panegirici - la gloria  al
gran duce e appropriarsi il  vanto  di  iniziatore,  preparatore,  organizzatore
dell'impresa rivendicato da Garibaldi unicamente a Rosalino Pilo, a Nino  Bixio,
a Bertani! quale fu la sua parte vera nelle battaglie che non lo videro e di cui
si fece spacciare persino il genio strategico!

        Questo avrei detto io, l'umile, io l'ultimo dei fantaccini  di  Milazzo,
al glorioso sostitutor di Garibaldi.
        Ma è una storia che riserberò - documentandola  -  ad  altro  tempo,  se
occorrerà, perché mi accorgo che  la  nausea  mi  ha  già  tratto  troppo  lunga
digressione. [...]


CONCLUSIONE






        So benissimo che a Francesco Crispi, ai suoi tempi e a quelli d'ora, per
accusare, nonché un uomo, tutto intero un partito,  sarebbe  bastata  nemmen  la
centesima parte di quanto ho dovuto in queste pagine ricordare.
        Oggi a lui basta un paio di documenti falsi da leggere alla Camera.
        In altri tempi gli bastava anche meno: quando il 15 giugno 1867 vituperò
nella Camera Bettino Ricasoli, accusandolo - egli! -  d'aver  rubato  il  danaro
pubblico per pagar le elezioni e la stampa, e fu  messo  a  dovere  da  Giuseppe
Biancheri e da Nino Bixio che lo sferzò a sangue, Francesco  Crispi  invitato  a
produr prove, rispose che per gli uomini politici e per le  assemblee  politiche
basta per prova "il convincimento morale"!
        Quando più tardi nel 1868 volle accusare tutta la Destra di  ladroneccio
e di concussione, fece  rubare,  per  danaro,  nel  cassetto  di  Paulo  Fambri,
segretario della Camera, dal noto Burei, le di lui carte, tra cui la lettera  di
suo cognato Brenna, che conteneva due parole sole, diversamente interpretabili a
piacere "facciamo quattrini". E con quelle due sole parole  mise  l'incendio  in
Camera, denunciò la Destra alla pubblica vendetta, scatenò  lotte  tremende,  si
eresse Minosse inesorabile.
        Io non ho i metodi di Francesco Crispi: non vado a rubare  nei  cassetti
degli altri e non mando - e quando l'odio politico osò accusarmi di qualcosa  di
simile, feci ciò che fa un galantuomo - trascinai l'accusatore in tribunale - lo
ammisi alle prove - gli abbandonai alla luce del sole la mia vita  intera  -  lo
feci, con due sentenze solenni, condannare.
        Io non ho i metodi di Crispi - non rubo documenti  -  non  li  sottraggo
agli archivii della Consulta -  non  credo  che  bastino,  come  a  Crispi,  due
documenti falsi o due parole di una lettera privata  per  accusare  chicchessia.
Perciò, per accusarlo, ho voluto essere innanzi alla certezza e ad  elementi  di
prova che lo farebbero condannare da qualunque giurì.
        Per chiamarlo testimonio falso non c'è bisogno  di  ragionamenti:  basta
prendere il testo ufficiale del suo esame per confrontarlo col  testo  dei  suoi
biglietti.
         Per  chiamarlo  concussore  nei  fatti  bancarii  non  v'è  bisogno  di
ragionamenti: basta leggere negli atti ufficiali il suo discorso del 20 dicembre
e mettervi a riscontro i documenti del suo debito occulto alla Banca in quel  dì
e del debito nuovo di quattro giorni dopo.
        Per chiamarlo concussore nel fatto Herz non v'è bisogno di ragionamenti:
basta leggere la testimonianza del suicida nell'ora della morte: la  lettera  di
Reinach riconosciuta, la confessione di Crispi e la  storia  schiacciante  delle
sue bugie - una dopo l'altra smascherate. Per un  affare  onesto,  confessabile,
non si inventano a nasconderlo tante menzogne!
        E ho voluto nella prova abbondare: lasciando pel giudizio, a cui  Crispi
non può più sottrarsi, il rimanente. So bene che, se tutto  questo  è  non  solo
bastante, ma esuberante pei galantuomini, non basterà mai per i disgraziati, che
servono Crispì a stipendio (con pubblico furto) da quindicimila lire al mese  in
giù; non servirà  per  coloro  cui  lega  a  Crispi  la  triste  non  frangibile
solidarietà dell'interesse e della colpa:  non  basterà,  non  può  bastare  per
deplorati come lui, benché meno aggravati di lui, dei quali Francesco Crispi  ha
dovuto alle urne farsi paladino - combattendo a morte i loro  giudici  -  e  dei
quali ha dovuto farsi nella Camera la guardia  del  corpo,  la  sua  guardia  di
onore.
        Ma non tutti fra coloro nella Camera e fuori,  che  hanno  creduto,  non
conoscendolo, in lui, non tutti a lui sono legati da solidarietà di quel genere:
sono pur fra essi uomini di  cuore,  onest'uomini  e  gentiluomini.  Per  questi
soltanto ho parlato e per tutti quelli che nelle mie file o in file  diverse  di
qualsiasi partito, hanno invocato la tregua di Dio  sul  terreno,  ove  tutti  i
cuori onesti si incontrano. E ho parlato per la pubblica  coscienza,  la  quale,
infallibile giudice, sa distinguere il linguaggio del  galantuomo  indignato  da
quello del libellista, il linguaggio del vero da quello della menzogna - e  alla
quale mi presento serenamente colla fronte alta di chi compie un  dovere.  Roma,
15 giugno 1895
www.tuttonet.com - hits exchange
Alert Me When This Page Changes:
Powered by changeAlarm
Creato da: Astalalista - Ultima modifica: 25/Apr/2004 alle 12:38 Etichettato con ICRA
copyright © 2004 www.astalalista.tk
This page is powered by Copyright Button(TM).
Click here to read how this page is protected by copyright laws.


All logos and trademarks in this site are property of their respective owner.

Manda qualunque
commento al

Webmaster


Free-Banners

KingsClick Sponsor - Click Here
KingsClick-Your Website Deserves to be King