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GARIBALDI Giuseppe - Lettere a Speranza von Schwartz


Giuseppe Garibaldi Lettere a Speranza von Schwartz


Genova, 22 settembre 1855. Gentilissima Signora, Io fui assai onorato dal  voler
lei occuparsi della mia vita, e quando le inviai que' poveri manoscritti che  ne
trattano fu perché ne facesse ciò che li pare, certo di guadagnar sotto  il  suo
patrocinio. Ritratti non ne ho presentemente, ma subito che me ne capiti  alcuno
mi farò un dovere di presentarglielo. Io nacqui il 4 luglio 1807 ed il nome  del
suo servo è Giuseppe Garibaldi.


Caprera, 28 novembre 1857. Speranza  mia,  cosa  vi  dirò  che  valga  tutta  la
gratitudine e l'affetto che meritate? Se in alcuna circostanza io ho  ambito  di
essere qualche cosa, e di possedere pregi per metterli a' piedi d'una  donna,  è
certamente in questa. Era naturale che io vi  amassi  pria  di  conoscervi.  Voi
avevate preso interesse  al  mio  individuo,  figuravate  certamente  nella  mia
immaginazione. Però la realtà m'ha beato e io mi sono sentito veramente  felice,
innalzato, d'aver potuto occupare un momento i pensieri di sì cara, sì  gentile,
sì generosa Signora. La promessa fattavi davanti la porta delle  albergatrici  è
stata inconsiderata; alcunché, ch'io non posso confidare alla carta, ma  che  vi
dirò quando io abbia il bene di avvicinarvi,  può  impedirmelo.  In  ogni  modo,
quando desiderate fare quel viaggio, scrivetemi e sarò certo dolentissimo se non
potrò  accompagnarvi.  Nell'avvenire  io  sono   fiero   di   appartenervi,   ed
illimitatamente; dunque io più felice sarò quanto  più  voi  di  me  disporrete.
Teresa è fortunata co' bellissimi vestiti. Ogni cosa fu ricevuta, ed  in  questa
casa lo scontento è solo per non avervi  accolta  come  meritate.  Accogliete  i
ringraziamenti e gli affetti di tutti. Addio! Vi bacio la  mano  e  sarò  sempre
vostro.


Caprera, 26 dicembre 1857. Donna carissima, oh! scrivetemi subito e ditemi  come
state del ginocchio. Sono così  dolente  di  esser  lontano  da  voi  in  questa
circostanza! Io mi figuro che voi sarete attorniata da gente che vi ama e perciò
bene custodita. Ma guardate che disgrazia! Circa al viaggio, procurate  di  star
bene e lo faremo. Io sarò fortunato con voi, comunque  sia,  e  felice  di  fare
qualche cosa che possa piacervi. Qui ognuno fu  rammaricato  tanto  all'infausta
notizia ed ognuno sarà contento  tanto  di  sapervi  ristabilita.  Scrivete,  vi
prego. Sempre vostro.


Caprera, 22 gennaio 1858. Speranza mia, ho ricevuto in questi giorni una lettera
vostra da Roma con data 11 marzo '57; volevo stracciarla,  ma  la  conservo  per
l'indirizzo che vi trovo di vostro fratello. Ho l'altra, più cara, poi di questo
gennaio, e vorrei che meno lentamente andasse la guarigione  del  ginocchio.  Io
temo, a dirvi il vero, che le mie  lettere  siano  aperte  ed  uso  perciò  meno
confidenzialmente di quanto lo vorrei. Mi direte su questo  l'avviso  vostro;  e
sopratutto (come non dubito della veracità di quanto  mi  avete  detto),  io  mi
credo autorizzato  ad  imporvi  una  pronta  guarigione,  sotto  pena  di  dover
aggiornare, per un anno almeno, il progettato viaggio.  Dunque  nelle  ulteriori
lettere vostre non mi parlate senonché  della  cura  e  dei  suoi  progressi,  e
massime dei miglioramenti. Sono con affetto, vostro.


Roma, 24 gennaio 1858.  Amico  carissimo,  subito  ricevuta  la  vostra  del  28
dicembre, nella quale mi chiedevate notizie del mio ginocchio,  vi  scrissi;  ma
avendo indirizzata la lettera semplicemente al Gen. Garibaldi,  Caprera,  e  non
ricevendo finora una desideratissima riga di vostra cara mano, comincio a temere
che non abbiate ricevuto la mia lettera! Ne  sarei  tanto  più  dolente,  perché
conteneva qualche schiarimento  circa  certe  espressioni  delle  mie  penultime
righe, che, mi pareva, avevate male interpretato,  non  essendo  voi  abbastanza
persuaso dell'affetto illimitato, che vi porto  e  che  vi  porterò  sempre,  da
lontano come da vicino; perché quando vi dissi non poter mai esservi niente, era
il solo sentimento del quanto poco sono degna di possedere il vostro affetto che
parlava, giacché mi mancano tutte le qualità che vorreste trovare in una  donna.
Spero però che l'avvenire vi  proverà  tutta  la  sincerità  delle  proteste  di
affetto, d'ammirazione e potrei dire di  culto,  che  ho  per  voi.  Vi  pregavo
inoltre di non negarmi il carissimo nome, col  quale  mi  faceste  tanto  felice
nella vostra prima lettera; vi pregavo di chiamarmi «vostra Speranza», perché lo
sono e lo voglio essere.  L'idea  che  mi  pensate  capace  di  lasciarvi  senza
risposta mi tormenta più che lo possa esprimere;  per  ciò,  avendo  saputo  dal
capitano Dodero che dovete arrivare presto  a  Genova,  non  tardo  a  mandargli
queste due parole per voi, le quali, spero, vi saranno sicuramente rimesse.  Non
ardisco di parlarvi più di me, non sapendo, quali progetti vi avranno chiamato a
Genova, né che piani di altissimo interesse possano riempire la vostra mente; mi
basta che sappiate che io sono con voi in ispirito e di tutto cuore, ovunque  vi
troviate e che  non  ho  un'idea  che  non  sia  per  voi!  Nient'altro  che  la
discrezione m'impedisce di scrivervi più a lungo; ho il cuore  e  la  testa,  la
mente e l'anima piena di voi, perché tanto siete al di sopra di ogni altro uomo,
tanto alti e inestinguibili sono i  sentimenti  che  ispirate  ad  ogni  spirito
nobile. Non potrei esprimervi quali sentimenti  s'impadronirono  di  me,  quando
sentii che verrete a Genova, a sapervi a poche ore da me, a sapere che  tante  e
tante persone avranno il bene di festeggiarvi e  che  quella  che  desidera  più
ardentemente simile felicità non può nemmeno vedervi!  Almeno  non  mi  lasciate
senza  una  parola  consolatrice!  Talvolta  benedico  di  non   poter   leggere
nell'avvenire, perché se vi leggessi che  molti,  molti  mesi  dovranno  passare
senza che io vi veda, non saprei come rassegnarmi a tale sorte!  Datemi  notizie
dei vostri cari figli e ditemi anche se credete che ci sia  possibilità  che  ci
vediamo questa primavera. Io farei di tutto per vedervi, non fosse che per pochi
giorni. Sto meglio del ginocchio, ma sono due mesi e ancora non posso camminare.
Spero tutto dal caldo; abbiamo intanto  gelo  con  vento  fortissimo  nel  pieno
giorno: è terribile per coloro che soffrono il freddo! I fogli tacciono su tutto
quello che m'interessa e rimango ignara di quello che mi  sta  più  a  cuore  di
sapere!  Addio,  mio  amatissimo  bene.  Non  mi  dimenticate;  sopratutto   non
dimenticate quel vivissimo e profondissimo affetto che nemmeno con la vita potrà
spegnersi per voi nel cuore di quella che  è  di  tutto  cuore  vostra,  vostra,
vostra Speranza.

Tanti saluti amichevoli, da parte mia, a tutta la  vostra  famiglia,  ai  vostri
buoni amici.


Caprera, 13 febbraio 1858. Speranza mia, ho la vostra del 24 scorso; io  risposi
a tutte  le  lettere  vostre.  Mi  duole  assai  non  sentirvi  ristabilita  del
ginocchio. Io bramo di vedervi, ma sana, non zoppicando. Vi avviserò  dell'epoca
del mio viaggio a Genova, e, se potrete, farete una gita  a  quella  volta,  ove
concentreremo il nostro viaggio di primavera. Vi  sono  riconoscente  tantissimo
per le care parole vostre e vi rendo coll'anima tutto l'affetto che meritate.  I
miei figli e gli amici miei vi ricordano caramente. Siccome  io  dovrò  navigare
ancora, progetto di darvi l'incarico della mia figlia. Questo è  egoismo,  e  mi
direte francamente se non vi piace. Scrivetemi; io sono vostro sempre.


Caprera, 19 aprile 1858. Speranza mia, ho la vostra del 26. Mi rincresce che non
abbiate ricevuto la precedente mia. Io vi dicevo  che  non  si  doveva  fare  il
viaggio  progettato.  Circa  a  Teresa   vi   avevo   detto   di   incaricarvene
provvisoriamente, mentre io avrei dovuto navigare. Ma siccome devo  rimanere  in
Caprera, essa resterà qui. Restami di ringraziarvi tanto per le care esibizioni.
Sono contentissimo che state bene, e spero che  la  vista  dei  vostri  cari  in
Isvizzera vi farà felice. Non potrò andare a  Genova  per  ora  e  vi  prego  di
scrivermi, appena giunta in quella città. L'ultima mia lettera la diedi a Susini
per impostarmela ed era diretta al capitano Dodero. Vi  bacio  la  mano  e  sono
sempre vostro.


Caprera, 30 aprile, 1858. Speranza mia, pare, dalla vostra del 22,  che  abbiamo
avuto da fare con la polizia pontificia e che le nostre  lettere  non  solamente
sono state lette, ma trattenute. Io ho  risposto  a  tutte  le  vostre  lettere;
questa la dirigo come l'antecedente al  capitano  Dodero,  e  penso  che  ve  la
rimetterà in Genova. Sono dolente di non potervi vedere in quella  città.  Nelle
mie precedenti vi dicevo che Teresa non ve la  mando,  dovendo  rimanere  io  in
Caprera. Vi sono riconoscentissimo delle gentili esibizioni vostre. Da qualunque
parte, scrivetemi; e quando si presenti l'occasione di potervi baciare la  mano,
io sarò fortunato. Addio, sempre vostro.


Caprera, 30 maggio 1858. Speranza mia carissima,  ho  risposto  a  Ginevra  alla
vostra cara lettera di Genova e ho ricevuto il  bellissimo  orologio.  Ne  avevo
uno, ma mi rincresceva troppo di mandarlo a Genova per farlo riparare; e non  me
ne servivo; vedete dunque che il vostro, che è superbo e  che  spero  conservare
fino alla mia morte, è venuto molto a proposito. Mi  duole  sapervi  ammalata  e
costretta in un tale stato a curare vostra madre così sofferente; ma  voi  siete
angelica, Speranza mia, e a vostra madre dispiacerà che vi allontaniate da  lei.
Quest'ultima circostanza farà senza dubbio cambiare il vostro progetto di fare i
bagni a Caprera. Se tuttavia potete effettuarlo, sarà per me una vera  felicità.
Qui in nessuna stagione il caldo è eccessivo ed  è  impossibile  trovare  per  i
bagni di mare un'acqua più cristallina di questa. Io sarò senza dubbio  qui  nel
mese di agosto, e voi avrete una camera in questa casa, dove tutti vi amano e vi
ricordano con tenerezza. Sarete ricevuta in una maniera molto  modesta,  ma  con
vera gioia. Vi attendo dunque in luglio o in agosto col  vapore  o  anche  dalla
Francia. Questa seconda strada  non  mi  è  nota  e  voi  dovrete  informarvene.
Preferirei il viaggio per Genova, perché in questo caso conoscerei il giorno del
vostro arrivo e verrei a incontrarvi io stesso alla Maddalena. Comunque, voi  mi
avvertirete a tempo e non farete i bagni di mare alla Maddalena, ma qui;  non  è
vero? Qui non sarete a carico di nessuno. Sono sempre vostro.


Caprera, 7 luglio 1858. Speranza mia, Vi scrissi  a  Lucerna,  come  m'indicaste
nell'antecedente vostra, e vi dissi ciò che vi ripeto in  questa;  cioè  che  vi
aspetto qui per gli ultimi di luglio. All'arrivo del vapore, io sarò dunque alla
Maddalena col canotto. Io spero che i bagni di mare vi gioveranno, e qui potrete
prenderli con tutto comodo. Abbiate cura della  salute  e  comandate  il  sempre
vostro.


Caprera, 29 agosto 1858. Speranza mia, cosa vi  dirò  che  valga  ad  esprimervi
quanto sento per voi di affetto e di riconoscenza? Che valga  a  contraccambiare
le espressioni dell'anima vostra gentilissima? Io ripeto soltanto che  mi  sento
l'uomo il più felice della terra dacché vi ho avvicinato  e  mi  sono  beato  al
contatto vostro. Questa stanza, da dove vi  scrivo,  mi  è  assai  cara,  dacché
l'abitaste voi e spero che non scorderete la promessa fattami di  ritornare  fra
noi, quando le occupazioni vostre vi lascino consacrare alcuni giorni a  chi  vi
rammenta certamente con amore. A quest'ora sarete consolata con la compagnia  di
vostro figlio, e nella prossima vostra vi chiedo di ragguagliarmi  di  lui,  che
m'interessa sommamente. Mi direte il  suo  nome,  l'età  sua;  tutto  quanto  lo
concerne mi sarà carissimo di sapere. Il  mio  Ricciotti  fu  ammalato,  ma  sta
meglio. Tutti qui parlano di  voi  con  devozione,  e  con  ragione  certamente,
giacché voi siete tanto buona ed affettuosa. Sono contento della conoscenza  che
faceste di Bixio; non ricordo di quel vostro  compagno  di  viaggio  da  Cesena.
Scrivetemi da dovunque e pensate che abbisogno delle vostre lettere oggi. Addio,
vostro.


Caprera, 5 settembre 1858.  Speranza  mia,  quanto  la  vostra  anima  nobile  e
sensibile ha dovuto soffrire in questa perdita dolorosa! Piango con  voi,  anima
cara, ma confido nella forza del vostro  carattere  che  vi  renderà  capace  di
considerare questo triste avvenimento come  la  conseguenza  inevitabile  di  un
destino immutabile e prefissato. Di nuovo noi  tutti  siamo  stati  colmati  dai
vostri bei regali e meritiamo il biasimo di mancare di modestia  perché  abbiamo
tutto  accettato  senza  arrossire.  Vi  ho  scritto  ultimamente   a   Livorno,
all'indirizzo Mac-Bean, di cui mi servo anche oggi.  Spero  che  non  accadrà  a
questa lettera ciò che è accaduto a qualche altra delle  precedenti  di  cui  vi
ricorderete. Comunque, ricevete l'assicurazione della riconoscenza e  dell'amore
di colui che sarà sempre vostro.


Nizza, 12 ottobre 1858. Speranza mia, ho la vostra carissima del 21 passato.  Io
sono addolorato dei vostri dolori e mi pongo  a  disposizione  vostra  circa  il
vostro persecutore. Qui mi condusse un affare di famiglia assai interessante per
me, e ripartirò per Caprera il 27 del corrente.  Starò  in  Nizza  fino  al  25.
Avvicinatevi; io ne sarò felice, e massime se vi trovate angariata. Comandate il
sempre vostro.


Caprera, 19 novembre 1858. Speranza mia, mi è  giunta  la  vostra  preziosissima
lettera del 23 del mese scorso. Qualche giorno fa vi scrissi da Nizza,  ove  fui
chiamato per la morte di mio  cugino.  Senza  alcun  dubbio  riceverete  le  mie
lettere con un ritardo. La causa mi riesce inesplicabile, ma questa  circostanza
mi obbliga ad essere ancora prudente e ad attendere  a  parlarvi  col  cuore  in
mano. Perciò mi limito a dirvi  che  bramo  vivamente  che  la  primavera  venga
presto, affinché questa solitudine sia abbellita  dalla  vostra  presenza  tanto
desiderata. Tutti qui vi salutano affettuosamente. Sono per la vita vostro.


Caprera, 28 novembre 1858. Speranza mia, ebbi le vostre due  ultime  lettere  di
novembre, e vi devo  sempre  nuova  riconoscenza.  Ritornai  nell'isola  e  sono
obbligato a nuovamente recarmi a Nizza per  regolare  affari  che  non  poterono
esserlo nella mia prima gita. Teresa  viene  meco  e  partiremo  domani.  Non  è
improbabile il mio viaggio  nell'America  del  Sud  e  benché  io  mi  allontani
dall'Italia a malincuore, la  cara  compagnia  vostra,  che  sì  gentilmente  mi
offrite, mi anima assai più a tale viaggio.  Circa  a  Teresa  ne  parleremo  al
nostro primo abboccamento, che spero non  lontano.  Vogliate  avere  cura  della
salute vostra carissima, e comandare il sempre vostro.

Penso di stare un mese a Nizza.


Caprera, 25 dicembre 1858. Speranza mia, ho ricevuto la vostra cara lettera  del
16 e ve ne ringrazio. Le notizie di Ricciotti sono buone; mi scrive egli  stesso
che può camminare senza zoppicare. Non potete immaginarvi come ciò mi  rallegra.
Il nostro viaggio nell'America  del  Sud  si  avvicina  e  voi  dovete  fare  il
possibile perché i vostri occhi guariscano, giacché volete accordarmi il piacere
della vostra cara compagnia. Affrettatevi  dunque  a  darmi  buone  notizie  dei
vostri occhi e tosto io vi chiamerò per metterci in viaggio. Seguendo  l'impulso
del vostro eccellente cuore, pensate sempre ai miei figli e fate loro dei  nuovi
doni. Un'altra volta consultate me prima di mandarne. Addio!  Sempre  di  cuore,
vostro.


Caprera, 30 gennaio 1859. Speranza mia, quanto mi duole di sapervi  ammalata!  E
quanto vorrei essere vicino a voi per custodirvi! Il nostro viaggio è  differito
per ora e vi dirò l'epoca della nostra partenza, quando mi scriverete che  state
bene e che i vostri affari sono regolati. Dunque aspetto lettera vostra  che  mi
consoli e non vi dico altro. Qui tutti vi salutano caramente ed io sono  per  la
vita vostro.


Torino, 12 aprile 1859. Speranza mia, in caso siate libera io  bramo  sommamente
vedervi. Abito qui, in via S. Lazzaro n. 31. Sempre vostro.


Torino, 23 aprile 1859. Speranza mia, lo stato doloroso  del  mio  ginocchio  mi
impedisce oggi di salire e scendere le scale: ne sono molto dolente  perché  non
avrò il piacere di tenervi compagnia a tavola. Scusate e disponete del vostro G.
Garibaldi.

Torino, 25 aprile 1859. Speranza mia, parto a 1  ora  p.m.  per  Brusasco;  sono
molto dolente di non potervi rivedere. Scrivetemi colà. Addio. Vostro  di  cuore
G. Garibaldi.


Como, 6 luglio 1859. Speranza mia, voi siete sempre buona, sempre carissima.  Le
vostre lettere sono il riflesso dell'angelica anima  vostra.  Ed  io  sono  così
pigro da stare tanto tempo senza scrivervi. Abbiate cura  della  vostra  salute,
amica del mio cuore, e quando sarete ristabilita,  pensate  che  ho  bisogno  di
vedervi e di avvicinarvi e che non lo posso per ora. Vi sono riconoscente per il
cavallo; se ne avete disposto, sta bene; ma se lo tenete sulle spese,  è  meglio
dare ordine che lo mandino qui, al mio indirizzo. Scrivetemi. Vostro  sempre  G.
Garibaldi


Lovere, 6 agosto 1859. Speranza mia, le vostre lettere sono sempre un'emanazione
della vostra anima, così squisitamente affettuosa e gentile. Ebbi la vostra  del
17 da Deiderj e sono tanto contento del miglioramento della  vostra  salute.  Io
stetti ammalato in questi ultimi giorni, i soliti malanni; ma vado meglio  assai
adesso. Non potrei precisarvi il mio destino nei giorni  avvenire,  non  sapendo
dove le presenti circostanze mi condurranno. Ma scrivetemi e vi potrò  informare
della futura mia residenza, dove sarò felicissimo di potervi  baciare  la  mano.
Date un affettuoso bacio per me al vostro Ernesto e procurate  di  farvi  forte.
Menotti vi saluta. Ricciotti di cui ebbi notizie in questi  ultimi  giorni,  sta
bene. Addio di cuore. Vostro Sempre G.


Modena, 23 agosto 1859. Speranza mia, mi sarebbe veramente carissimo di avere la
vostra bella presenza, non fosse che per un momento; ma la mia situazione è così
precaria, che non ardisco dirvi: venite! Deiderj mi scrisse che si trova meglio,
e che bramerebbe fare un viaggio da convalescente. Non  potreste,  per  esempio,
combinare un viaggio con quella cara famiglia? Io avrei  allora  un  mucchio  di
felicità, se mi capitaste e se mi pigliaste in qualcheduno di questi  paesi.  In
ogni modo scrivetemi i vostri progetti e io farò il possibile per  aspettarvi  o
capitare all'incontro vostro. Io starò qualche giorno in Modena. Vostro  per  la
vita.


Modena, 10 settembre 1859. Speranza mia, voi non dovete mai temere di  tediarmi,
essendo le vostre lettere un vero balsamo nella mia vita  di  tempeste.  Io  fui
veramente esigente troppo nell'accennarvi di venire colla famiglia Deiderj;  ma,
trattandosi di Teresa, credevo potesse dispiacere a quell'eccellente signora  il
separarsene. Comunque voi veniate, io  sarò  sempre  fortunatissimo  di  potervi
baciare la mano; e se non vi piacesse di venire accompagnata, venite pure  sola,
che sarò felice lo stesso. In caso non mi trovaste a Modena, voi qui saprete  il
mio destino ed avvertito, io vi raggiungerò. In ogni modo venite. Vostro sempre.


Bologna, 1 ottobre 1859.

Il Generale Garibaldi desidera sapere se restate ancora a Firenze:  avrebbe  una
cosa importante da comunicarvi.


Firenze, 1 ottobre 1859.

Resto ancora a Firenze: disponete di me. Speranza.



Bologna, 2 ottobre 1859. Speranza mia, ditemi se potete recarvi  a  Messina  per
una missione molto delicata. Io volerei a Firenze per baciarvi  la  mano,  ma  è
impossibile. Rispondetemi telegraficamente sì o  no.  Vostro  per  la  vita.  G.
Garibaldi.


Firenze, 5 ottobre 1859.

Sì: desiderate che venga a Bologna? Speranza.


Bologna, 5 ottobre 1859.

Nel pomeriggio alle ore quattro una persona parte da Bologna per  conferire  con
voi a Firenze.


Bologna,  2  ottobre  1859.  Speranza  mia,  la  latrice  è   un'amica   sincera
dell'Italia, ella è incaricata da parte mia  di  comunicarvi  un  progetto.  Voi
potete affidarvi interamente a lei. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Bologna, 2 ottobre 1859.

Andare a Messina, trovarvi il console inglese, intendersi col Comitato, metterlo
in  relazione  con  me  e  col  Comitato  di  Palermo.  Prudenza!  ma   marciare
coraggiosamente allo  scopo  perché  la  causa  avrà  una  felice  riuscita.  G.
Garibaldi.


Bologna, 4 ottobre 1859. Speranza mia, ho ricevuto la vostra lettera di  ieri  e
mi duole infinitamente di causarvi tanta  agitazione.  Ho  piena  fiducia  nella
vostra anima angelica. La  missione  di  cui  vi  incarico  è  santa,  ma  molto
pericolosa. Prima di intraprenderla, considerate bene le  vostre  forze!...  Nel
caso che l'accettaste, ricordatevi che non è solamente in Sicilia,  ma  anche  a
Roma e a Napoli che c'è molto da fare. Fra i viaggiatori che vi sono  conosciuti
troverete  senza  dubbio   molti   amici   dell'Italia,   e   approfittatene   e
incoraggiateli a servire la santa causa. Vostro per la vita G. Garibaldi.


Bologna, 27 ottobre 1859. Speranza mia, sono veramente  afflitto  di  non  poter
passare da voi. Parto domani mattina alle  cinque.  Se  avete  qualche  cosa  da
comunicarmi, scrivetemi. Vi bacio affettuosamente la mano e  sono  per  la  vita
vostro G. Garibaldi.


Genova, 26 novembre 1859. Speranza  mia,  ho  ricevuto  la  vostra  lettera,  la
scatola dei confetti e tutto quanto vi compiaceste di mandare per  me  e  per  i
miei amici. Mi sono ritirato dal servizio, e  siccome  vorrei  occupare  il  mio
tempo a scrivere qualche cosa, vorrei che aveste la compiacenza di  mandarmi  il
manoscritto sulla mia vita per continuarlo. Ho chiesto  pure  a  Miss  White  il
frammento dello stesso. Se ho tempo, spero poi di rendervi qualche cosa  di  più
completo. Scrivete al vostro per la vita.


Genova, 28 novembre 1859. Speranza mia, Se  il  signor  L.  volesse  vedermi  in
questa città, ove soggiornerò alcuni giorni, basterebbe che egli  dimandasse  di
me, passando. Se poi non fossi qui, chiedendo pure a chiunque, sono persuaso che
egli conoscerebbe la mia dimora; ed informato che io fossi, farei  il  possibile
per avere una conferenza con lui, che ritengo un prezioso amico nostro. Vogliate
metterlo a parte, potendo, d'ogni cosa; mentre a  voi,  riconoscentissimo,  sono
per la vita vostro.


Caprera, 10 febbraio 1860.

Io so che vi devo alcune lettere; ma prima di dirvi quanto  bramo,  io  desidero
sapere se posso con sicurezza mandarvi lettere e manoscritti. Vostro sempre.


Caprera, 28 marzo 1860. Speranza mia, io penso  di  partire  il  1°  aprile  per
Genova, quindi per Nizza, ove mi  chiamano  i  miei  concittadini  per  cosa  di
momento. Mi duole che vi siate impegnata  col  vostro  editore,  perché  non  so
quando potrò mandarvi i manoscritti che desiderate. Sono stato  molto  ammalato;
ora sto meglio  e  mi  preparo  alle  noie  del  continente,  lasciando  la  mia
solitudine con dolore. Avendo il bene di vedervi avrò da  contarvi  molte  cose;
per ora credetemi sempre vostro G.


Caprera, 27 settembre 1861. Signora  de  Schwartz,  mi  è  impossibile  donarvi,
seguendo il vostro desiderio, il manoscritto riguardante  la  mia  vita.  Ho  in
verità scritto qualche cosa, ma sono deliberato a non pubblicarlo  finché  vivo.
Lo lascerò in eredità ai miei figli. Resto con considerazione vostro devotissimo
G. Garibaldi.


Caprera, 14 ottobre 1861. Speranza mia, ho letto il bellissimo vostro sonetto  e
vi assicuro che è all'altezza dei più belli d'Italia. Sono superbo di essere  il
soggetto di sì bella poesia, e questa aggiungo  alle  tante  fortune  della  mia
vita! Sono con molte visite, quindi breve.  Vi  auguro  felice  viaggio  e  sono
sempre vostro.


Trescore, 12 maggio 1862. Speranza mia, Bisogna che vi parli: venite appena  che
vi sarà possibile. Io resto ancora sette o otto giorni  a  Trescore;  quindi  mi
recherò a Bergamo, Como ecc. Vi bacio cordialmente la mano. Vostro G. Garibaldi.


Pisa, 10 novembre 1862.

Mi affligge il non avervi  riveduta  prima  della  vostra  partenza  e  desidero
ardentemente ricevere vostre notizie. Con riconoscenza vostro G. Garibaldi.


Caprera, 8 gennaio 1863. Gentilissima Signora de Schwartz,  è  qui  acclusa  una
lettera che il generale ha ricevuto per Voi e due  lettere  in  tedesco  che  vi
prego d'avere la compiacenza di tradurre e di rimandargli. Il nostro ferito, che
vi ringrazia anticipatamente, sta  meglio.  Ricevete  i  saluti  rispettosi  del
generale e del vostro devoto Basso.


Caprera, 11 gennaio 1863. Gentilissima Signora, è  veramente  un  abusare  della
vostra bontà il ricorrere continuamente  a  voi.  Ecco  ancora  tre  lettere  in
tedesco che siete pregata di voler tradurre, quando ne avrete il tempo  per  poi
rimandarcele. il Generale ha  ricevuto  la  vostra  lettera  e  mi  incarica  di
mandarvi un saluto cordiale. Vogliate gradire i saluti più rispettosi del vostro
devoto Basso. P.S. Il nostro ferito sta molto meglio.


Caprera, 29  gennaio  1863.  Gentilissima  signora,  il  generale  Garibaldi  ha
ricevuto la vostra lettera con le tre traduzioni in italiano,  vi  ringrazia  di
cuore e scriverà oggi a M. Croft, M. D...., a Londra. Sono qui accluse altre due
lettere che siete pregata di voler tradurre quando lo potrete. Vogliate scusarci
per questo disturbo. Il nostro ferito sta benissimo e vi invia per mezzo mio  un
saluto amichevole. Vogliate riceverne uno anche dal vostro devoto Basso.


Caprera, 7 febbraio 1863. Gent.ma Signora, ho ricevuto la vostra lettera del  29
p. p. con accluso le tre lettere che avete avuto la gentilezza di  tradurre.  Io
ve ne ringrazio di tutto cuore. Qui accludo altre due che tradurrete con  vostro
comodo. I giornali tempo fa  parlarono  d'un'opera  che  io  voleva  pubblicare.
Queste parole sono state inventate. Se avessi da pubblicare  qualche  cosa,  [vi
darei] la preferenza. Ora non rispondo che a quello a cui mi pare indispensabile
di rispondere. Vi bacio la mano con affetto. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 4 marzo 1863. Gentilissima Signora, ho ricevuto le vostre care  lettere
del 17 e del 23 del mese scorso, come pure tutte le lettere che avete  avuto  la
bontà di tradurre, più lire dieci che mi inviate come dono  e  di  cui  io  farò
certamente buon uso. Vi ringrazio dal profondo del cuore  e  sono  per  la  vita
vostro G. Garibaldi.

L'album delle belle signore non è ancora arrivato.


Caprera, 16 aprile 1863. Gentilissima Signora, ho  ricevuto  la  vostra  gentile
lettera;  l'acclusa  è  giunta  a  destinazione.   Il   Generale   sarà   presto
completamente ristabilito, ma per il momento soffre del suo vecchio  reumatismo.
La mano destra sopratutto è gonfia e non può neppure firmare le sue lettere.  Mi
incarica  di  mandarvi  un'affettuosa  stretta  di  mano.  Sono  sempre   vostro
devotissimo Basso.

P.S. Il Generale vi prega di salutare da parte  sua  la  Sig.  Murray.  Noi  non
abbiamo ricevuto una sua lettera. Il Generale non andrà a  Pisa.  Recandosi  nel
continente, andrà, a quanto pare, ai bagni d'Ischia.


Caprera, 17 luglio 1863. Speranza carissima, i miei migliore ringraziamenti  per
le vostre parole e le vostre proposte così affettuose. Sono deciso a non  andare
ai  bagni.  Quando  avrete  l'indirizzo  della  Signora  Murray,  vi  prego   di
mandarmelo. Sono in via di guarigione,  benché  debba  per  lungo  tempo  ancora
servirmi delle stampelle. La vostra visita a Caprera non mi sarà  tuttavia  meno
preziosa. Addio di cuore. Sempre vostro G. Garibaldi.


Gotha, 31 luglio 1863. Amico carissimo, non saprei esprimervi  quanta  gioia  la
vista dei vostri caratteri mi fece provare; vi  ringrazio  tanto  tanto  per  le
vostre preziose righe. Ho  l'indirizzo  della  Signora  Murray  in  America,  ma
siccome per ora non mi abbisognava, lo lasciai con altre carte a Lucerna, da mio
fratello, dove sarò fra un mese. Se volete mandarmi la lettera  per  la  Signora
Murray a Bellerive près Lucerne  (Suisse)  chez  Mr.  Brandt,  sarà  mandata  in
America con tutta prontezza e sicurezza. Io resto qui con mio figlio  altre  tre
settimane, poi mi reco in Isvizzera. Starò con mio fratello  alcuni  giorni  per
prendere verso la metà di settembre la strada d'Italia.  Fino  al  10  settembre
ogni lettera mi troverà a Lucerna.  Ammiro  quanto  mai  la  forza  d'animo  che
spiegate nell'attuale vostra disgrazia di non poter ancora  camminare  senza  le
grucce. Si crede di aver tutto ammirato in voi quello che si  può  ammirare  nei
grandi caratteri dell'antichità, ma sempre ci date occasione di  stupirci  delle
nuove virtù che ci fate  conoscere.  Da  per  tutto  non  c'è  che  una  domanda
determinata dal vivo interesse che ispirate e benché i Polacchi e gli  Americani
siano la question brûlante du jour,  la  simpatia  che  eccita  l'Eroe  dei  due
emisferi rimane sempre la prima e la maggiore. Se questi sono i sentimenti delle
nazioni, quali sono i sentimenti e le  premure  che  devono  avere  per  voi  le
persone che hanno il sommo bene di conoscervi? Rispetto ogni  vostra  decisione,
anche quella di non andare  ai  bagni;  è  però  dovere  mio  tanto  nel  vostro
interesse quanto in quello delle brave persone che andrebbero  superbe  di  aver
contribuito alla vostra guarigione, di comunicarvi quanto segue, per il caso che
potesse farvi cambiare di idea. Lo stesso giorno che ricevetti la vostra  a  Ems
ebbi  le  righe  seguenti  dal  medico  dello  Stabilimento  dei  detti   bagni:
«L'intention de Mr. Cère (cioè del proprietario dei bagni)  est  que  l'illustre
Général et son compagnon soient hébergés le mieux possible dans son  Hôtel  sans
rétribution aucune, heureux, si, comme il  y  a  lieu  de  l'espére,  nos  bains
pourraient apporter è des souffrances dejà anciennes  tout  le  soulagement  que
nous souhaitons. Si le Général se décide à venir à  Lamalou,  vous  serez  assez
bonne pour nous prévenir le plus tôt possible afin qu'on puisse lui reserver  ce
qu'il y a de mieux dans la maison. Tout à vous Dr. Privat.» Questo Dr. Privat  è
l'amico intimo della nostra famiglia dall'anno 1839; è  un  angelo  di  bontà  e
farebbe di tutto per curarvi e contribuire al vostro benessere. Se mai decideste
di andare a questi bagni, bisognerebbe che voi aveste la compiacenza di scrivere
due righe a Monsieur Privat, Médécin Inspecteur de  l'établissemente  Thermal  à
Lamalou (près Bédarieux) Dep. de l'Hérault. Oggi stesso scrivo  a  Londra  e  vi
sarà aperto a Genova dal banchiere Alessandro Centurini fu Ignazio un credito di
600 franchi, se mai vi servisse per il viaggio. Oggi scrivo, dunque  potete  far
prendere questa somma a Genova a mio nome. Manderei il denaro, carissimo  amico,
ma non l'ho qui con me e mi  pare  che  questo  sia  il  modo  più  spiccio.  Da
Marsiglia prendete la strada ferrata fino a Bédarieux e di là  in  un'ora  o  in
un'ora e mezzo l'omnibus o un legno particolare  vi  condurrà  a  Lamalou.  Sono
sicura che se il Dr. Privat sa  quando  arrivate  si  troverà  a  Bédarieux  per
prendervi con un legno particolare. Vi pregherei  di  scrivermi  qui  per  poter
combinare tutto, ma sono al nord estremo della Germania e la  perdita  di  tempo
sarebbe grande. Il tragitto da Marsiglia a Bédarieux colla strada  ferrata  sarà
di sei o sette ore circa, forse meno. Arrivando la mattina a Marsiglia credo per
certo che alla sera potrete giungere a  Lamalou.  Dovete  scusare  tante  parole
considerando che ardisco scriverle con l'unico scopo di far sì che voi  possiate
e con voi tutta l'Italia ricavare qualche bene da questi  bagni.  Spese  non  ci
saranno né per il soggiorno colà, né per i bagni, né per il viaggio.  Il  medico
è, come ho detto, un uomo ottimo. Sarete nelle mani di persone che hanno anelato
di vedervi e che capiscono  quanto  onore  viene  loro  conferito  dalla  vostra
presenza. Ma se non volete accettare mi rassegno e faccio tutti i  voti  per  la
vostra guarigione senza i bagni. Terminerò queste righe con due  parole  che  mi
scrisse un bravo svizzero in occasione del Tir-fédéral de la Chase de fonds: «Il
a été souvent question du héros de Caprera; on a éprouvé un vif regret de ne pas
le voir à la tête de la Députation italienne. Nous tous désiderons  le  posséder
dans une de nos belles fêtes nationales de l'année prochaine».  Se  vi  decidete
per i bagni, verrò a trovarvi là, tornando in Italia. Se non vi  andate,  e  col
vostro permesso, verrò alla Maddalena e godo fin d'ora di salutarvi  a  Caprera.
Sarei felice di sapere la vostra decisione; una riga mandata al fratello  mio  a
Lucerna, come ho scritto sopra, mi raggiunge sempre sicuramente. Perdonate tante
parole per il motivo che mi ha spinta a scriverle. Taccio quant'altro vi  vorrei
dire. Potete far prendere i 600 franchi a Genova quando volete. Addio,  più  che
caro amico. Sono di cuore vostra Speranza.


Caprera, 22 agosto 1863. Speranza carissima, non mi è ora  possibile  andare  ai
bagni; vi ringrazio quindi dal profondo del cuore per i seicento franchi che non
accetto. Voi siete sempre di una così grande bontà a mio  riguardo  che  non  so
come esprimervi tutta la riconoscenza che vi devo. Ringraziate anche a mio  nome
il buon dottore Privat. Vogliate salutare da parte  mia  la  sig.  Murray.  Sono
sempre vostro G. Garibaldi.


Livorno, 2 novembre 1863. Amico carissimo, mi prendo la libertà di mandarvi, col
vapore che partirà il 7, 1200 sigari toscani,  con  alcuni  fiammiferi,  che  io
spero faranno resistenza anche al vento energico di Caprera, tre cassette di uva
Malaga giacché la siccità vi ha rubato i fichi e inoltre 12  lenzuola  di  tela,
per la gente di casa, avendomi detto la Signora Nathan che non sarebbero inutili
nel vostro ménage.  Spero  che  perdonerete  l'ardire  di  mandarvi  cosa  tanto
insulsa; senza il consiglio della Signora Nathan non l'avrei fatto. Avrei voluto
aggiungere altre cose a questo piccolo invio, ma Livorno essendo  porto  franco,
le formalità per far arrivare in Sardegna  la  roba  senza  dazio  sono  grandi.
Adesso, terminati gli affari, ch'io vi dica, carissimo amico, quanto  ho  goduto
di rivedervi così bene di salute, così  florido  e  ringiovanito.  Mai  vidi  le
vostre fattezze essere più veramente  lo  specchio  dell'anima  vostra,  serena,
grande e certa del compimento dell'opera  rigeneratrice  a  Voi  affidata  dalla
Provvidenza. La pace che lessi sul nobile vostro volto  è  per  me  il  migliore
augurio; piena di fiducia e di speranza per l'avvenire mi rallegrai alla  vostra
vista. Non dimenticate il vostro più indegno  sì,  ma  più  volontario  soldato,
sempre  pronto  a  servirvi  in  qualunque  circostanza  e  in  qualunque  parte
dell'Europa. Vi prego, ricordatevene come me lo prometteste. Il mio indirizzo  è
sempre Macbean Livorno. Avete veramente fatto beati i due signori per i quali mi
deste gentilmente  una  riga  di  saluto  affettuoso.  Peldhoff  mi  ha  mandato
l'acclusa che non dice che cose che avete sentito cento mila volte e che dovrete
sentire quanto vivrete. Anche delle poesie mi hanno mandato per voi: le consegno
alla posta. Se mai voleste scrivere per l'incarico del Col. Corte  al  Peldhoff,
ecco il suo indirizzo Signor  Peldhoff  Sonnenburg  bei  Freinwalde  Via  Berlin
(Prussia). Per dir vero lo diedi  al  Col.  Corte,  ma  credo  aver  dimenticato
qualche cosa. Le ciarle degli Spagnuoli a Roma dànno molto a parlare, a  pensare
ed a sperare, come  l'intero  stato  attuale  dell'Europa.  Speriamo  che  l'ora
desiderata si avvicini: sarebbe  tempo.  Ho  lasciato  un  mio  obolo  alla  mia
compagna di viaggio per ciò che le interessa. Non ho  l'ardire  di  tediarvi  di
più, sommamente caro amico, devo solo rinnovarvi i più caldi ringraziamenti  per
le vostre care esibizioni e la vostra affettuosa accoglienza. Lasciate le grucce
quando potete e prendete il bastone Arnulphy del  Montboson:  credo  che  ve  ne
troverete meglio. Presto vi vogliamo senza grucce e senza bastone  ad  adempiere
la grande opera vostra. Non dimenticate chi  vi  servirà  e  chi  vi  ama  e  vi
ringrazia; di tutto cuore vostra Speranza.


Caprera, 20 novembre 1863. Speranza carissima, non so veramente come  esprimervi
la mia riconoscenza per tutte le vostre gentilezze! Ho ricevuto le  lenzuola,  i
sigari, le scatole di fiammiferi, insomma tutto ciò che la vostra anima generosa
mi ha mandato. Desidero solamente essere degno della vostra amicizia  e  che  mi
consideriate sempre come vostro G. Garibaldi.


Roma, 21 dicembre 1863. Carissimo Amico, vi scrissi il 30 novembre e una lettera
ricevuta quest'oggi dalla Germania da uno dei nostri primi  scrittori  tedeschi,
Hans Wachenhnsen, mi costringe a seccarvi un'altra volta con due righe,  ma  non
riguardo al piede vostro, bensì  nell'interesse  dello  Schleswig-Holstein.  Qui
segue una traduzione fedele delle parole  del  Dr.  Wachenhnsen:  «Non  credete,
Signora, che l'illustre Generale dopo le tante simpatie che la Germania  gli  ha
espresse,   le   darebbe   una   piccola   soddisfazione?   Nell'affare    dello
Schleswig-Holstein l'interesse di Garibaldi sarebbe d'un sommo peso. Qui pure si
tratta di un popolo oppresso e più di  un  valente  soldato  uscito  dall'Armata
dello Schleswig Holstein nel 1848 ha combattuto nelle file del  grande  Patriota
italiano. Domandategli se  non  vuole  indurre  alcuni  dei  suoi  ufficiali  ad
interessarsi per la causa. Non dubito che verremo alla formazione  di  corpi  di
volontari: in ogni caso le fondamenta d'un'armata dello  Schleswig  Holstein  si
getteranno. Sono pronto a servire di mediatore in quest'affare  e  a  recare  io
stesso al Duca o ai suoi rappresentanti qualunque offerta che mi  venisse  fatta
da parte  di  buoni  ufficiali  o  valorosi  soldati».  Non  avrei  l'ardire  di
trasmettervi queste righe se non emanassero dalla penna di un patriota sincero e
capace. Se mai aveste qualche cosa a rispondere o qualche persona a raccomandare
come volontario, scrivetemelo a Genova: aux soins de Mrs.  Alexandre  Centurini.
Riceverò la lettera con ogni sicurezza. Vi mando coll'istessa posta un  opuscolo
che gira per Roma in due mila esemplari: tratta del processo Fausti Venanzi; più
non posso dire. Lessi con piacere nel giornale  di  Genova  una  vostra  lettera
nella quale dicevate che il piede ferito gareggiava in benessere coll'altro. Dio
voglia che sia così! Aspetto i vostri comandi, se mai vi potessi  servire.  Sono
come lo sapete per la vita e di cuore vostra Speranza.


Pisa, 30 dicembre 1863. Amico carissimo, ebbi  ieri  la  gioia  di  ricevere  le
vostre preziose righe. Sono io  che  devo  ringraziarvi  d'accettare  con  tanta
indulgenza le miserie che ho avuto l'ardire di mandare a voi che sareste padrone
di migliaia, se voleste. Nessun giornale ha voluto stampare ciò che  mi  diceste
riguardo alla Germania; vi assicuro che ogni vostra parola rimase scolpita nella
mia memoria (non ne ho tolta e non ne  ho  aggiunta  una)  e  che  nessun  tempo
sarebbe mai  più  propizio  per  seguire  i  vostri  consigli!  la  sola  parola
repubblica li sgomenta! Ma ciò che mi diceste è stampato  in  un  libro  che  si
terminava di stampare nell'ottobre. Mandai alcune righe sul  nostro  discorso  a
Caprera le quali furono aggiunte al  libro  che  sarà  letto  da  per  tutto  in
Germania. I nostri amici tedeschi sono dolentissimi  di  sentire  che  camminate
ancora colle grucce, non possono far a meno di pregarvi per mezzo mio di mandare
loro una notizia esatta sullo stato del vostro piede, dicono che qualche cosa  è
stato trascurato e che per questo non potete ancora camminare senza  le  grucce.
Il primo chirurgo della Prussia e si potrebbe dire della  Germania,  che  quando
eravate alla Spezia si offrì di venire a trovarvi, sarebbe  di  nuovo  pronto  a
recarsi a Caprera. Immagino che non lo vorrete e non ne vorrete sentir  parlare,
ma mi scuserete gentilmente di seccarvi con tale proposta  che  viene  da  amici
leali i quali tremano all'idea di sapervi camminare colle grucce.  Se  fossi  in
errore mandatemi una notizia esatta sullo stato del piede  ferito.  Se  poi  non
volete che se ne parli più, mandatemi al diavolo. Voi sapete quanto ho paura  di
Voi e fuggirò presto. E fuggo anche oggi colla penna per non  tediarvi  di  più,
aggiungendo solamente che sono come sempre, a tutti i vostri comandi.  Di  cuore
vostra Speranza.

Il nome del chirurgo è Langenbeck. Gli amici Rasch e  Seldhoff  non  sanno  come
ringraziarvi.


Caprera, 10 gennaio 1864. Speranza carissima,  la  sorte  tragica  che  è  stata
riservata in Polonia a Nullo e a Becchi mi toglie il coraggio di spingere  altri
italiani a recarsi nell'Holstein. Dite ai  vostri  amici  che  se  si  trattasse
dell'indipendenza della Germania, io la difenderei come quella  del  mio  stesso
paese. Comunque, vedrò dopo gli avvenimenti ciò che si  potrà  fare  per  questa
valorosa nazione. Vi bacio affettuosamente la mano. Sono vostro G. Garibaldi.


Roma, 26 gennaio 1864. Amico carissimo, ebbi le vostre ben venute righe  del  10
corr. e le trascrissi subito agli amici  di  Germania  i  quali  ve  ne  saranno
riconoscentissimi, com'io vi sono riconoscentissima  per  la  vostra  desiderata
lettera. Presi la libertà di farvi mandare da Londra  alcuni  fichi  di  Smirne,
visto che il vento scellerato di Caprera aveva spogliato i vostri  alberi  delle
loro frutta; spero che questo piccolo invio vi sia  pervenuto  in  buono  stato.
Oggi ardisco di scrivervi queste poche parole  per  trasmettervi  due  righe  di
notizie giunte or ora da Londra, che vi saranno forse già conosciute. Ma in ogni
caso lo scrivente, un bravo inglese, che ebbe il bene di conoscervi  anni  fa  a
Hong Kong e che volle venire  alla  Spezia  per  prodigarvi  la  sua  assistenza
medica, desidera che io vi comunichi quanto segue. Lo scrivente,  Dr.  Croft,  è
degno di ogni fiducia. Il giornale di Genova  reca  notizia  che  delle  lettere
scritte di vostro pugno furono trovate qui a  un  individuo.  Vi  lascio,  amico
amatissimo ed adoratissimo, non volendo mancare alla posta di oggi e temendo  di
tediarvi con più parole. In ispirito sono sempre con Voi e,  come  sapete,  sono
sempre e in tutta la  forza  della  significazione,  alla  disposizione  vostra.
Addio. Non dimenticate, se vi può servire, Speranza vostra.


Caprera, 2 febbraio 1864. Speranza carissima, ho ricevuto con  la  più  profonda
riconoscenza il bel dono di fichi, ecc., ecc., e non sono meno lieto delle buone
notizie che mi date. Vi bacio affettuosamente la mano. Vostro G. Garibaldi.


Gibilterra, 3 maggio 1864.  Speranza  carissima,  non  so  se  vi  devo  qualche
risposta; so però di dover inviarvi un saluto dal cuore. Sulla via  di  Caprera,
dove spero giungere fra qualche giorno, sarò felice di leggere  le  vostre  care
righe. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 29 settembre 1864. Cara Battistina la Signora de  Schwartz,  porgitrice
di questa, ha la compiacenza d'incaricarsi degli affari  che  riguardano  Anita.
Accomodati con essa ed io sarò contento di qualunque misura  prendiate  insieme.
G. Garibaldi.


Viareggio, 3 ottobre  1864.  Illustrissimo  e  carissimo  Amico,  secondo  certe
notizie che ho ricevuto da Nizza,  spero  poter  accomodarmi  con  Battistina  e
ottenere Anita. Per il caso che tali speranze non venissero deluse vi  prego  di
scrivermi se desiderate che vi porti la figlia per tenerla con  voi  a  Caprera,
oppure se volete gentilmente affidarmela. Se lo fate, ne andrò superba e  potete
essere sicuro che non  tralascerò  niente  per  il  bene  e  la  felicità  della
fanciulla e per farne una persona degna del gran nome del quale l'avete  dotata.
Penserei per Anita come se fosse una mia figlia e  d'ora  in  poi  non  dovreste
avere nessun pensiero per il suo avvenire. Lo posso fare  senza  nuocere  a  mio
figlio, essendo egli erede di una fortuna che io non posso  toccare.  Con  tutto
ciò voi vi  riservereste  sempre  il  diritto  di  riprendere  Anita  quando  vi
piacesse. Favoritemi una riga di risposta col ritorno del  vapore,  affinché  io
sappia che cosa dovrò fare: parto fra due giorni per Nizza. Non volendo affidare
una vostra lettera alla posta di quella città, potreste mandarla  aux  soins  de
Monsieur Alexandre Centurini,  Gênes.  Questo  è  incaricato  di  mandarmi  ogni
lettera sous enveloppe. Oppure, se vi pare meglio, mandatela al Signor  Casimiro
Basso, al quale sarò sicura di rimettere la vostra raccomandazione.  Vidi  Padre
Pantaleo qui; vi darà buone notizie della Signora White.  Avete  veduto  come  i
giornali vi fanno comparire di bel nuovo sulla scena, quando si tratta  di  aver
bisogno dell'Unico che può salvare l'Italia?  Con  tanti  saluti  affettuosi  ai
Vostri, sono  per  la  vita  la  vostra  più  devota  ed  affezionata  amica  ed
ammiratrice Speranza.


Caprera, 10 ottobre 1864. Speranza carissima, quanto  vi  sono  riconoscente  di
tutte le vostre gentilezze! Vi lascio mia figlia col cuore tranquillo,  persuaso
che non potrebbe essere affidata a mani migliori. Ciò mi procurerà senza  dubbio
il bene di vedervi più di frequente con Anita. Così ci intenderemo sull'epoca in
cui fisserete la vostra dimora a Caprera.  Affettuosamente  e  con  riconoscenza
vostro G. Garibaldi.


Nizza, 18 ottobre 1864.  Carissimo  ed  illustrissimo  amico,  non  saprei  come
ringraziarvi per le vostre preziose righe che mi portarono la lieta notizia  che
mi affidate gentilmente l'Anita. Avevo io ricevuto l'asserzione  che  Battistina
consentirebbe a lasciarla, arrivai qui colla certezza di effettuare il vostro ed
il mio desiderio in quanto alla  fanciulla.  Il  Signor  Basso  fece  con  somma
premura di tutto per aiutarmi nella mia missione e dopo diversi abboccamenti con
lui e Battistina io mi credeva giunta allo scopo, quando quest'ultima, di  certo
sotto l'influenza di pessimi consigli, dichiarò di  non  voler  separarsi  dalla
«Pichon». Mi astengo da ogni osservazione sopra il modo che usò verso di me  nel
dimostrarmi una diffidenza che non credo di meritare e che le sole vostre  righe
a Battistina e a me dovrebbero annullare - e lascio al Signor Basso la  cura  di
parlarne a suo fratello. Sono  addoloratissima  della  cattiva  riuscita  in  un
affare affidatomi da Voi, mio amatissimo Amico, ma ho in coscienza  fatto  tutto
per facilitare a Battistina il sacrifizio che Voi, per mezzo  mio,  richiedevate
dal suo affetto materno. Quando vidi che le rincresceva di rinunziare  alla  sua
autorità sopra Anita, le feci anche la proposta di accompagnarmi in Isvizzera  o
a Torino, ove lei avrebbe potuto mettere a  suo  nome  la  figlia  in  un'ottima
pensione, della quale non verrebbe presa senza il suo consenso,  affermando  che
io non voleva far altro che pagare le  spese.  Basta,  ho  fatto  di  tutto  per
indurla ad accettare i mezzi di dare una buona educazione alla  figlia,  giacché
non voleva consegnarla alla mia cura. L'Anita è la Vostra imagine: è così bella,
intelligente, forte e ben dotata sotto ogni rapporto  dalla  natura,  che  è  un
peccato non metterla in istato di sviluppare in un modo degno  dei  così  grandi
vantaggi. Per ora ho esaurito tutto ciò che il  vivo  desiderio  di  farvi  cosa
gradita m'ispirò. Se Battistina capisse più tardi che si voleva farle un bene  e
non un torto, mi troverete sempre felice di secondare la vostra volontà  in  una
cosa così degna di interesse. Parto venerdì 21 per Genova, Livorno e Roma, se vi
trovo le porte aperte. Avete il  mio  indirizzo  a  Livorno,  ove  mi  tratterrò
qualche tempo, se mai vi potrei servire, e questo indirizzo è buono per  sempre.
Conoscendo il vero culto che vi porto,  capirete  quanto  soffro  di  non  esser
riuscita in una missione per me così sacra. Speriamo che fra poco le circostanze
mi siano più favorevoli e che mi sarà dato più di una volta di provarvi che sono
veramente di tutto cuore la vostra più devota ammiratrice  e  affezionata  amica
Speranza.

Vi ringrazio tanto per la conoscenza del Signor Basso il quale è stato di grande
compiacenza e bontà in quest'affare: merita davvero tutto il bene che  ne  avete
detto. In quanto a Battistina la  mia  impressione  è  che  non  cederà  mai  la
fanciulla, se non viene richiesta da Voi stesso e con  l'autorità  a  cui  avete
diritto.


Roma, 7 novembre 1864. Amatissimo Amico, vi scrissi da Nizza il  19  ottobre  la
cattiva riuscita dell'affare che mi chiamò colà e tutto  il  dispiacere  che  ne
provai. Speravo di ricevere una riga vostra a Genova o a Livorno e, non avendola
trovata, mi tormenta assai l'idea che siate in collera con me per quello che  vi
scrissi riguardo a Battistina. Toglietemi da questa angoscia con una sola parola
indirizzata aux soins de M. Alexandre Centurini,  Gênes.  Vi  assicuro  che  gli
amici di Nizza mi hanno veramente  ingannata,  dicendo  che  Battistina  sarebbe
disposta  a  cedere  Anita.  È  urgente  che  la  cara  bambina  sia  circondata
diversamente. Quando offrii a sua madre di metterla in una pensione a Torino fui
spinta a farle tale offerta perché stimo che la  cosa  essenziale  sia  per  ora
togliere Anita alla madre, poco degna di fare la sua educazione. Il Signor Basso
vi avrà scritto che ho fatto di tutto per riuscire. Mi cagionerebbe il più  gran
dolore il pensiero che oltre a non essere riuscita in un affare così  importante
ho meritato anche la vostra disapprovazione  e  credo  di  sentirla  finché  non
abbiate rassicurato la vostra per la vita e di tutto cuore devotissima Speranza.

Trovai qui un sonetto per Voi scritto da un giovane tedesco a me sconosciuto con
una lettera nella quale mi dice che quel sonetto  entusiastico  è  l'espressione
dei sentimenti di  migliaia  di  giovani  tedeschi.  Non  ardisco  mandarlo.  Ho
ringraziato l'autore a nome vostro: lo doveva?


Caprera, 22 novembre 1864. Speranza carissima, finché vivrò nutrirò per voi  dei
sentimenti d'amore e di  riconoscenza.  Nell'affare  in  questione  avete  agito
troppo nobilmente: la malvolenza di questa donna  non  mi  è  che  troppo  nota.
Datemi vostre notizie e amatemi sempre come vostro G. Garibaldi.


Caprera, 28 febbraio 1865. Egregia Signora, vi ringrazio per tutto  ciò  che  mi
avete mandato e per il buon ricordo che  conservate  di  me.  Consideratemi  con
costante amicizia e con affettuosa stima, vostro G. Garibaldi.


Roma, 14 marzo 1865. Carissimo ed illustrissimo Amico, di ritorno da Napoli,  da
dove presi la libertà di indirizzarvi due righe, trovai la qui acclusa  per  Voi
con una lunga lettera del fratello del signore che vi scrive:  cioè  di  Gustavo
Struve, il capo della rivoluzione di  Baden  nel  1848,  repubblicano  fervente,
patriotta devoto alla santa causa, per  la  quale  ha  sofferto  la  prigione  e
l'esilio. Eccovi alcune parole di una sua lettera a me diretta:  «Si  tratta  di
combinare una riunione di patriotti italiani e tedeschi che potrebbe effettuarsi
quest'estate da mio fratello a Rheinfelden,  vicino  a  Basilea,  in  Isvizzera.
Prima di tutto bisogna indurre a venirvi l'Eroe della  santa  causa,  il  grande
Caprerese, che mai ebbi la felicità di conoscere di persona, benché mi  trovassi
nel 1851 a Statenisland, dove anche egli si trovava  allora.  Sul  suolo  libero
della Svizzera potremmo circondarlo dei primi  uomini  della  Germania  e  senza
essere esposto alle seccature della polizia potrebbe, in mezzo a  persone  degne
della  sua  confidenza,  discutere  questioni  interessantissime,  vedere  amici
notevoli e formare relazioni molto utili per la Germania e l'Italia. Il mese  di
luglio sarebbe il migliore per trarre  profitto  dalle  acque  minerali  per  la
salute del prode Generale, ma se qualunque altro mese gli fosse più gradito,  un
suo cenno è legge per noi. Quanto all'epoca, come anche riguardo ad  ogni  altra
cosa, sottoporremo tutto al desiderio di Garibaldi». Dopo aver detto molte altre
verità che non ardisco ripetere, perché le avete sentite a sazietà,  termina  la
sua lettera con le parole: «Cara amica,  conto  principalmente  su  di  Voi  per
l'esecuzione di questo bellissimo progetto; mandate l'acclusa di mio fratello al
Generale,  aggiungendovi  quanto  potete  per  indurlo  a  secondare  la  nostra
preghiera, siate la nostra intermediaria presso Garibaldi e scrivete  presto  al
vostro, ecc., ecc. «Gustavo Struve».

Ad onta ch'io sia pur troppo convinta e persuasa della mia impotenza nel caro  e
sacro incarico che Struve e tanti altri degni patriotti  si  degnano  affidarmi,
non posso fare a meno di dirvi quanto sarei felice  di  vedere  questo  progetto
effettuato. Sarei davvero ben superba se potessi accompagnarvi in Isvizzera come
dragomanno della  lingua  tedesca  e  circondarvi  d'ogni  premura  in  viaggio,
pensando alle spese e al resto. Sarebbe per me la festa più grande, più  sublime
che mai ho potuto sognare, se mi scriveste: «Trovatevi a Genova alla tale  epoca
per accompagnarmi a Rheinfelden». Da Genova sarebbe un viaggio  di  due  piccole
giornate, senza toccare nessun territorio oltre a  quello  dell'Italia  e  della
Svizzera. Rheinfelden è un  piccolissimo  paese:  potreste  godere  nella  bella
natura alpestre ogni tranquillità; basta, se mai  le  circostanze  permettessero
l'esecuzione di questo progetto, sapete,  amico  adorato,  che  sono  sempre  ai
vostri ordini. Perdonate ch'io vi dia di bel nuovo tanto da leggere, ma era  mio
dovere di fronte al degno Gustavo Struve  e  a  suo  fratello  di  farvi  questa
comunicazione. Conosco la vostra  bontà  e  sono  sicura  che  vi  degnerete  di
mandarmi una riga di risposta per il Signor Henri Struve. Di nuovo perdonate  se
con queste domande ripetute  vi  fo  ricordare  quanto  siete  ammirato,  amato,
venerato e desiderato da per tutto da tutti,  ma  in  particolare  dalla  vostra
dev.ma Speranza.


Caprera, 10 aprile 1865. Speranza  carissima,  nel  caso  che  mi  decidessi  al
viaggio in questione,  ve  ne  avvertirò  e  la  vostra  preziosa  compagnia  mi
allieterà. Nell'attesa mille ringraziamenti per la vostra inestinguibile  bontà.
Vi bacio affettuosamente la mano. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 11 aprile 1865. Speranza carissima, vi accludo qui uno scritto affinché
lo pubblichiate in Germania, se lo trovate conveniente. È la  risposta  a  Carlo
Blind a Londra, che pubblica ora un giornale col titolo Der Eidgenosse. Un bacio
sulla vostra cara mano dal vostro G. Garibaldi.


Roma, 9 maggio 1865. Amico amatissimo ed  illustrissimo  vi  devo  un  mondo  di
ringraziamenti per le vostre care lettere del 10 e 11 aprile ricevute  solamente
ieri! La traduzione è fatta e già in via per la Germania: non dubito che l'amico
Gustavo Struve la faccia pubblicare senza  indugio.  Dalla  vostra  bella  penna
certi  signori  sono  avvezzi  a  sentire  la  verità;  speriamo  che   dovranno
inghiottire anche questa a pro loro e  per  il  bene  universale.  Aspettando  i
vostri ordini, vi bacio la mano come al primo Eroe  dei  secoli  passati  e  del
presente. Tutta vostra Speranza.


Caprera, 29 maggio 1865. Speranza carissima, chiedete che dica sì  o  no  ed  io
debbo con mio gran dispiacere rispondervi No!  Vogliate  far  sapere  ai  nostri
amici che - per il momento almeno - non avrò la fortuna di vederli. Come  a  voi
sono loro riconoscente. Vostro G. Garibaldi.


Bellerive (Lucerna), 16 settembre 1865. Illustrissimo e carissimo Amico, mi pare
che sia trascorso un  secolo  da  quando  ebbi  la  gioia  di  vedere  i  vostri
caratteri! Vengo da Rheinfelden dove i fratelli Struve piangono  ancora  di  non
aver avuto la felicità di vedervi  in  casa  loro  nel  luglio.  Gustavo  Struve
tornava da Londra, dove parlò con diversi dei vostri fedeli. Sono sul  punto  di
recarmi in Italia, via Nizza, dove mi fermerò una quindicina di giorni: lo scopo
di questa mia è di domandarvi, amatissimo amico, se non avete nessun ordine  per
me a Nizza.  Riguardo  ad  Anita  e  Battistina,  se  le  vorrete  vedere,  farò
all'ultima la proposta di portarla con sua figlia a Caprera, ben  inteso  se  mi
permetterete di farvi una piccola visita, un favore che ardisco chiedervi avendo
io l'intenzione di lasciare il continente per un viaggio piuttosto lontano e che
potrebbe durare un anno o due. Basta: una riga di risposta indirizzata al Signor
Basso o poste restante Nizza (marittima), mi sarà gradita assai. Forse,  vedendo
Battistina e ragionando con lei, potreste deciderla a prendere  una  risoluzione
favorevole per l'avvenire della bella e cara Anita, la cui sorte mi  sta  sempre
tanto a cuore, come pure mi sta sempre a cuore che sappiate  di  poter  disporre
illimitatamente dei meschini servizi e del profondo affetto della vostra per  la
vita devotissima amica e ammiratrice Speranza.

Se desiderate vedere Anita e Battistina, credo che ci vorrebbe per  quest'ultima
una riga vostra, senza la quale non si deciderebbe forse a fare il viaggio.  Non
voglio  seccarvi:  solamente  pormi  a  disposizione  vostra.   Qualunque   cosa
desideriate, fatemi il gran favore di nominarmela.


Caprera, 1° ottobre 1865. Speranza amatissima,  ho  il  più  vivo  desiderio  di
vedervi e vi attendo qui a Caprera col vostro bagaglio. Informatemi anzitutto se
i viaggiatori del continente sono ricevuti alla Maddalena. Quanto ad Anita  sono
del parere che sia meglio  rinunciare  al  vostro  progetto.  La  madre  non  si
deciderà a lasciarla  partire.  Se  voi  volete  provare,  fatelo;  in  caso  di
riuscita, portate la figlia, ma non la madre. Nella  speranza  di  baciarvi  fra
poco la mano, sono vostro G. Garibaldi.


Caprera, 9 ottobre 1865. Speranza mia, vi ho scritto a  Nizza  per  invitarvi  a
farci il grande piacere di venire a trovarci. Ve lo ripeto con cuore sincero. Se
non potete venire, scrivete almeno. Sempre vostro G. Garibaldi.

I miei figli vi salutano cordialmente.


Nervi, 11 ottobre 1865. Amico  carissimo,  ricevo  in  quest'istante  le  vostre
preziose righe e ve ne ringrazio di cuore: in quanto  all'acclusa  vi  prego  di
credere che mai mi prenderei la libertà di fare indirizzare  le  mie  lettere  a
Voi; se ne vengono, sono di  persone  che  non  mi  conoscono  personalmente  né
conoscono il mio indirizzo e che alla cieca  vi  mandano  le  mie  lettere.  Non
conosco affatto la Signora  Elisa  Rasch;  l'acclusa  vi  spiegherà  di  che  si
trattava. Basta che Voi o Menotti abbiate la bontà di dirmi se devo rispondere e
che. Quanto  ho  goduto  leggendo  che  desiderate  vedermi  e  quanto  vi  sono
riconoscente di tenermi in sì grata  memoria!  Voi  capirete  dunque  quanto  mi
rincresce di dirvi che la quarantena mi ha fatto un brutto  scherzo  quest'anno,
privandomi forse del gran bene di vedervi. Ebbi insieme colla vostra una lettera
da Livorno, in data di ieri: mi scrivono che venendo dal continente  si  pratica
ad Alghero una quarantena di sette giorni e che non sarebbe prudente stare sette
giorni ad Alghero in questa stagione in cui le febbri infieriscono. Per  dir  la
verità non so quanto tale paura sia fondata. Aggiungono che  non  si  sa  quando
sarà tolta la quarantena! Per me sarebbe un affare doppiamente serio,  anzitutto
perché sono convalescente d'una malattia della quale ebbi una ricaduta per  aver
preso troppo presto i bagni di mare e secondariamente perché  una  quarantena  o
piuttosto una navigazione mi costringerebbe a  fare  una  seconda  quarantena  a
Civitavecchia, cosa che feci nel 1854 e che non dimenticherò mai. Oltre  a  ciò,
queste due quarantene ritarderebbero  assai  il  mio  arrivo  a  Roma,  dove  mi
aspettano per affittare il mio appartamento. Ma ogni ostacolo svanisce quando mi
dite: Devo vedervi, venite; Voi capite, carissimo amico, che di  fronte  a  tale
vostra chiamata non c'è un no. Le mot impossible n'existe pas. In ogni  caso  io
aspetto la vostra risposta (che spero ricevere coll'istesso vapore che vi  porta
la presente) a Livorno, fermo in posta. Io scriverò intanto a Nizza  per  sapere
se c'è qualche probabilità di avere la cara  ragazza  senz'altra  compagna,  nel
caso in cui io avessi il bene di poter venire a Caprera.  La  vista  dei  vostri
amatissimi caratteri mi ha veramente sollevato il cuore e l'anima: ne ero  priva
da tanti mesi! Scusate se mi trattengo  troppo  con  Voi,  carissimo  Amico;  vi
lascio per scrivere a Menotti. Vi prego: date un'occhiata all'acclusa e  credete
sempre alla devozione e all'ammirazione illimitata  della  vostra  per  la  vita
Speranza.

Non mi parlate della vostra salute: spero che sia  buona.  Aspetto  una  riga  a
Livorno, posta restante.


Caprera, 16 ottobre 1865. Speranza amatissima, Menotti vi risponde. È un  affare
che lo riguarda e glie ne lascio la responsabilità. Vi ho scritto a Livorno  per
il tramite di Mac Bean e desidero molto baciarvi la mano, ma non vorrei che  per
causa mia foste esposta alle noie della quarantena. Comunque,  io  resto  sempre
vostro G. Garibaldi.


Livorno, 20 ottobre 1865. Amico carissimo, non avendo avuto una vostra  risposta
telegrafica alla mia nella quale vi dissi che «partendo oggi non sarei prima del
tre novembre da Voi», non sono partita ed aspetto che venga tolta la  quarantena
per avere il bene di vedervi. Ho avuto tutte le vostre carissime del 9, del  16,
ed anche una del 22 febbraio! Spero che non mi biasimerete per aspettare la fine
della quarantena. Non ho creduto scorgere nelle vostre care parole altro che  la
bontà del vostro gran cuore che vuol concedermi la felicità di vedervi. Da Nizza
non ho avuto nientissimo alla mia richiesta di  portarvi  la  bambina.  Conti  è
venuto a trovarmi qui, mi ha portato una lettera per Voi ma siccome mi disse che
dovevo rimetterla in mani vostre, mi astengo con  piacere  dal  mandarvela.  Non
avendo da fare la spesa carissima della quarantena, ho dato al Conti, per  amore
vostro e ben volentieri, 200 franchi onde  calmare  questo  povero  diavolo.  Ne
voleva 2000, ma non glieli posso dare. Devo pregarvi di ringraziare Menotti  per
la sua cortese lettera e di salutarlo con Teresa cordialmente da parte mia.  Non
voglio tediarvi di più, lusingandomi nella bella speranza di avere  il  bene  di
vedervi presto. Se mai potessi portarvi qualche cosa, una riga mi  trova  sempre
da Macbean  a  Livorno.  Di  cuore  sta  sempre  ai  comandi  vostri  la  vostra
devotissima e caldissima ammiratrice Speranza.

Seicento sigari stanno già incassati. Finora stetti  sempre  nell'incertezza  di
dover partire, ad onta  delle  quattro  notti  di  mare  e  della  quarantena  a
Cagliari. Per la Maddalena non vogliono prendere viaggiatori.


Caprera, 23 ottobre 1865. Speranza amatissima, mi duole che  proviate  sì  gravi
fastidi per causa mia e spero che la quarantena sarà tolta fra poco e  che  avrò
il bene di vedervi. Non devo niente a Conti e mi dispiace che vi abbia  spillato
duecento lire con inganni.  Possa  questo  fatto  esservi  d'ammaestramento  per
l'avvenire! Tutti di famiglia vi salutano cordialmente e nella speranza di poter
fra poco baciarvi la mano sono vostro G. Garibaldi.


Livorno, 9 dicembre 1865. Amico carissimo, il bene di vedervi  quest'anno  mi  è
stato tolto: fui delusa! Le ciancie dei giornali, le false notizie  ricevute  da
Firenze e le assicurazioni di persone di Roma le quali dicevano di avervi veduto
nella Capitale, tutto mi indusse a credere che io  vi  troverei  colà:  ero  sul
punto di partire col vapore del 21 nov. per  Caprera  quando  seppi  tutto  ciò.
Presi dunque l'appuntamento di accompagnare una giovine madre con  due  creature
in Oriente, passando per Firenze. Questa benedetta  famiglia,  senza  mezzi,  mi
fece aspettare fino a ier l'altro: arrivo qui ieri per sapere che non avete  mai
lasciato Caprera! Ne sono dolentissima per il motivo che non vi vedrò. Se non ci
fosse la quarantena, partirei oggi e sarei ancora  a  tempo  per  imbarcarmi  ad
Ancona; ma la quarantena non essendo tolta ed io avendo fatto una promessa  alla
famiglia che accompagno, devo partire per imbarcarmi a Ancona  questa  settimana
(venerdì). Non saprei dirvi quanto mi rode il dispiacere di non vedervi e  forse
più ancora il pensiero che Voi imaginate  che  io  non  abbia  avuto  la  dovuta
premura nel rispondere al vostro caro invito. Oh, voglio  sperare  che  non  sia
così, perché mi fareste gran torto, amico carissimo! Il mio soggiorno nell'isola
di Creta, dove mi reco per adempire un impegno preso con un editore in Germania,
non durerà più  di  tre  mesi.  Spero  che  in  quello  spazio  di  tempo  potrò
raccogliere il materiale per il libro che devo pubblicare. Se siete  a  Caprera,
quando torno, verrò,  col  vostro  permesso,  a  salutarvi  colà;  ma  forse  ci
troveremo altrove?... Voi sapete, caro amico, che tutti i miei voti sono per Voi
e per la santa causa. Avevo diverse cose da comunicarvi, ma credo che sia meglio
aspettare fino a che lo potrò fare a voce. Spero che siate in salute  florida  e
che la vostra sublime pazienza non vi abbandoni. Prendo la libertà  di  mandarvi
da qui i sigari e la berretta che speravo di portarvi e,  se  le  trovo,  alcune
frutta. Da Roma vi scrissi  a  Firenze,  recapito  Prof.re  Zanetti:  non  avete
ricevuto  la  mia?  Se  volete  onorarmi  e  bearmi  con  due  parole,  vogliate
indirizzarle a Livorno, recapito Enrico Dunn. Il banchiere Macbean non mi  manda
le lettere; ne trovai una vostra del febbraio da lui nel mese di  luglio!...  Ma
Enrico Dunn è un inglese molto premuroso per me. Addio, carissimo ed  amatissimo
amico. Salutatemi caldamente Menotti e Teresa. Spero che stiano tutti bene. Sono
di cuore, come sempre, col più profondo affetto e  la  più  grande  ammirazione,
Vostra devotissima Speranza.


Caprera, 15 gennaio 1866. Distintissima Signora, il Generale ha  ricevuto  tutto
ciò che gli avete così gentilmente mandato e vi ringrazia del ricordo  fedele  e
cordiale che gli conservate. Non può scrivervi egli  stesso  perché  da  qualche
giorno soffre dei suoi dolori reumatici abituali. Incaricato di questa  preziosa
corrispondenza,  ho  l'onore  di  essere  rispettosamente   vostro   devotissimo
Francesco Plantulli.


Caprera, 18 febbraio 1866. Speranza carissima, mi duole che non abbiate ricevuto
le mie lettere. Pare che le relazioni con la vostra isola di Minosse  non  siano
facili. Ho avuto la fortuna di ricevere oggi la vostra  gentile  lettera  del  5
febbraio e ve ne sono molto riconoscente. Il pericolo che avete corso  nel  mare
Adriatico mi ha profondamente commosso il cuore. Quando  voi  vedrete  le  belle
odalische, salutatele da parte mia. Venite presto e permettetemi di  deporre  un
bacio pieno d'affetto sulla vostra cara mano. Sempre vostro G. Garibaldi.


Salò, 5 agosto 1866. Speranza amatissima, voi avete consacrato  la  vostra  vita
alla liberazione dei popoli, e questa missione vi si addice, o nobile anima!  Io
sono qui a combattere per la mia infelice  patria.  A  quest'ora  avrete  saputo
della mia ferita che, del resto, è già quasi cicatrizzata.  Sono  fiero  che  il
buon popolo cretese pensi a me. Voi gli  esprimerete  il  mio  amore  e  il  mio
desiderio di contribuire alla sua  liberazione.  Abbiamo  un  armistizio,  forse
avremo fra poco la pace. Sempre col desiderio di potervi baciare la  mano,  sono
per la vita Vostro G. Garibaldi.


Khalepa, 18 ottobre 1866. Amico amatissimo, in risposta alla vostra cara  del  5
agosto vi scrissi lungamente il 27 dello stesso mese e vi comunicai  molte  cose
riguardanti questa bella isola e la sua eroica e disgraziata popolazione. Non ho
finora avuto il bene di ricevere alcuna risposta alla mia  ultima,  ma  persuasa
del vivissimo interesse che portate nel vostro gran cuore per la sventura e  per
la bravura dei poveri Cretesi, vengo a trattenervi un poco sugli  avvenimenti  e
le tragedie, delle quali da sei settimane sono giornalmente testimone. Non  sarà
mai a Voi, grande amico, che dovrò spiegare quante ragioni di  lagnanze,  quante
cause di scontento e quanti  diritti  d'insorgere  hanno  i  cristiani  di  qui,
maltrattati da secoli dalla barbarie turca, calpestati dalla tirannia,  vilmente
abbandonati, venduti e traditi dalle così dette potenze protettrici! Inorridisco
di dovermi chiamare inglese; ma a che servono tante parole? Tutta la Vostra vita
non è stata forse, e non è che un magnanimo sospiro per  la  santa  causa  della
libertà e della giustizia? Ebbene, con poche righe, con poche parole, voi potete
forse fare moltissimo per questo popolo di antico eroismo, ma che  va  man  mano
distruggendosi. Non finirei più se volessi dirvi quanti sono stati i massacri  e
le crudeltà commesse. Il Governatore Generale Mustafà Pascià sta  a  circa  1500
piedi sopra il livello del mare, come un secondo Nerone, a vedere i 17  villaggi
divorati dalle fiamme, che vi ha fatto appiccare. Più di 20.000 turchi, egiziani
ed abissini, perseguitano sulle montagne i poveri cristiani, ma finora non hanno
avuto l'ombra di una vittoria. Otto battaglioni  turchi  sono  fuggiti,  in  due
giorni, davanti a 4000 cristiani; i  fuggitivi  si  sono  buttati  in  mare  per
salvarsi. Sulle alture di Malapa 500 cristiani hanno  combattuto  per  nove  ore
contro 4000 turchi!  Duecento  cristiani  hanno  avuto  una  volta  l'ardire  di
attaccare e mettere in fuga tre mila turchi! Non vi parlo del massacro di  tanti
innocenti, commesso dai turchi, appiccando il fuoco fino nelle grotte,  dove  si
erano rifugiate intere popolazioni dai villaggi; hanno tagliato la  testa  e  le
membra agli ammalati, trascinandoli come trofei per le strade, e deponendoli poi
ai piedi del Governatore per riceverne  il  guiderdone.  Le  chiese  sono  tutte
profanate; nemmeno i morti hanno avuto riposo; i cadaveri, tolti dalle tombe,  e
posti in posizioni orrende, servono di bersaglio a  brigate  di  turchi.  Quanti
buoni montanari, quanti degni agricoltori, che mi hanno dato un'ospitalità tutta
patriarcale, non furono sacrificati! Quante donne coraggiose,  che  non  vollero
abbandonare o il vecchio padre o lo sposo  ammalato,  non  furono,  dopo  essere
state maltrattate in ogni modo, fatte  a  pezzi  insieme  ai  loro  figli  e  in
presenza dei congiunti! E le potenze protettrici dormono, o peggio leggono  ogni
giorno tali orrori e non fanno niente. Dicono che l'insurrezione in Creta da per
sé non sarebbe niente, ma potrebbe divenire importante, svegliando la  questione
d'Oriente! Dunque non è niente il vedere  250.000  cristiani  trattati  così?  I
Consoli inglese e francese danno balli  e  rappresentazioni  teatrali  sui  loro
vapori. Fremo, pensando che nessuna voce si alza per proteggere una  popolazione
di martiri! Ebbene; io vengo in nome di questi poveretti, che restano ancora,  a
supplicarvi, mio augusto amico, di fare tutto quanto  è  in  vostro  potere  per
mandare a questo povero popolo dei volontari. Ho fatto e faccio quanto posso; ma
che cosa sono i miei mezzi? Nemmeno una goccia d'acqua nell'Oceano.  Ho  scritto
ai giornali inglesi, tedeschi e francesi per  fare  conoscere  la  verità.  Ogni
istante della mia vita è consacrata  a  questa  interessante  nazione.  Vi  sono
45.000 soldati venuti da fuori  e  circa  15.000  dell'isola,  fra  volontari  e
militari regolari; oggi sono arrivati 1200 albanesi; e questi sono da temere più
di 2000 turchi perché, essendo montanari, si arrampicano sugli scogli e  possono
fare gran danno ai cristiani. Sono come lepri per la prestezza  e  come  camosci
per l'agilità. Saprete che da per tutto si sono formati comitati per raccogliere
il denaro che viene da  tutte  le  parti.  Se  conoscete  qualche  uffiziale  di
coraggio, di cuore e di entusiasmo per la santa causa della  libertà,  mandatelo
al comitato di Atene, che raduna intorno a sé  tutti  i  volontari.  Se  poteste
mandare in aiuto ai Cretesi 500  uomini,  salvereste  forse  questo  disgraziato
paese. Mi direte che ci vogliono denari; ma mi pare che il comitato  di  Firenze
sarebbe in grado di fornire a questi ufficiali e soldati  il  denaro  necessario
per giungere ad Atene. Vi sono trenta vapori turchi, che giorno e notte fanno il
giro dell'isola; ma, con tutto ciò, finora i comitati di Sira e di  Atene  hanno
potuto mandare agli insorti fucili, munizioni e diversi volontari. Coroneos,  un
bravo colonnello greco, è giunto qui da pochi giorni con alcuni volontari; ma il
pane e le scarpe mancano completamente. Il console americano e  il  russo  hanno
chiesto ai loro governi  di  fare  imbarcare  sulle  fregate  qui  residenti  le
famiglie degli insorti per condurle in Grecia; ma lo  permetterà  il  turco?  Il
villaggio di Khalepa finora è rimasto intatto, grazie ai turchi, che hanno preso
possesso di tutte le case e proprietà delle famiglie greche fuggite.  La  vigna,
in mezzo alla quale è posta la casetta  che  abito,  sta  fra  due  famiglie  di
briganti turchi che vengono con le pistole e i fucili per rubarmi di giorno.  Il
1° settembre fui tenuta 25 minuti fra vita e  morte.  Ero  nel  mare  quando  un
Seliniote volle cacciarmi fuori non per ammazzarmi perché teneva le armi  su  di
me e poteva farlo, ma per maltrattarmi e portarmi sulle montagne dove stava  col
suo nido di briganti. Mi sono salvata nuotando e per l'arrivo di un  turco  meno
sanguinario. In nessun paese, credo, ci sono delle montagne così aspre  come  in
Creta; se aveste la fortuna di potere mandare alcuni volontari, bisognerebbe che
fossero piuttosto della razza caprina che umana; il solo entusiasmo può  animare
dei giovani e forti a venire in questo paese di disagi!  Temo  che  gli  insorti
soffrano molto la fame e il freddo sulle grandi alture. Si sentono continuamente
cannonate e si vede tanta polvere come alla  battaglia  di  Waterloo.  Tutto  il
cielo è annuvolato dal fumo dei villaggi incendiari. La notte non si vedono  che
le fiamme e i fuochi dei cristiani  sulle  alture.  Branchi  di  cani  vagabondi
girano urlando e abbaiando come se volessero divulgare tutte  le  stragi  e  gli
orrori che si commettono sotto il velo della notte. Non vedo il momento di poter
lasciare quest'isola, ma non lo posso ancora; voglio, devo  vedere  la  fine  di
questa tragedia storica. La mia prima cura sarà allora di venire a trovarvi  per
rifiatarmi il cuore e l'anima. Anelo di sapere come state; i giornali vi  dicono
a Caprera, dove spero queste righe vi troveranno in buona salute. Dovrete essere
felice, dopo tante fatiche nel  continente,  di  trovarvi  nella  vostra  quiete
campestre. Vi prego, amatissimo amico, di  scrivermi  una  riga  a  Livorno  dal
negoziante inglese Dunn. Perdonatemi, per amore della santa causa di  cui  siete
il maggior campione, e  credetemi  di  tutto  cuore  e  per  sempre,  la  vostra
devotissima e affezionatissima Speranza

20, la mattina. Altre  grandi  vittorie  dei  Cristiani,  ma  non  senza  grandi
perdite. Il Pascià ha voluto spingerli verso le  alture,  ma  vi  sono  passi  e
stretture terribili, e ha dovuto tornare indietro. Il console americano mi disse
che il Governo turco voleva scrivere a tutti i Consoli dichiarando loro che  non
risponde di tutto quello che si farà ai Cristiani di qualunque  nazione.  Stiamo
freschi! L'esasperazione cresce ogni momento. Il Vice Re d'Egitto  vuol  mandare
altri 25.000 soldati. Vi prego,  carissimo  amico,  non  mi  fate  comparire  in
niente. Già minacciano di mandarmi via da qui; non lo  vorrei  per  ora,  perché
scrivo un opuscolo per dimostrare cosa è questo Governo  e  l'impossibilità  che
tenga ormai sotto il suo giogo quasi 300.000 Cristiani. Ho ottime sorgenti qui e
giacché temo molto e spero poco per questa brava popolazione  vorrei  pubblicare
la mia operetta presto in tedesco e in inglese. Devo essere qui  per  scriverla:
aggiungerò tutta questa grande rivoluzione. È tutto  nell'interesse  del  popolo
cretese che voglio restar qui e poi l'ho promesso ai capi. C'è tanta miseria  da
sollevare qui! Ci vorrebbe l'aiuto di un amico vostro ricco  e  di  grand'anima.
Basta, vi chiedo forse l'impossibile, ma mi perdonerete di avervi parlato così a
nome di questo popolo eroico. A Atene e Sira  ci  sono  i  comitati:  chi  vuole
aiutare che venga a Atene. Molto denaro ci deve essere radunato.  Addio  di  bel
nuovo, grande amico! Fate quel che potete!... Il vostro  cuore  si  spaccherebbe
sentendo le miserie di queste povere famiglie. Dio  ci  aiuti!  Di  tutto  cuore
sempre vostra dev.ma ed aff.ma Speranza.

Scrivete, vi prego, una parola che mi dica  se  credete  di  poter  mandare  qui
qualcuno.


Caprera, 5 novembre 1866. Speranza amatissima, voi siete un angelo e meritate la
riconoscenza di tutte le anime nobili. Io non posso promettervi nulla per questa
infelice popolazione, specialmente  ora  che  si  diffondono  delle  notizie  di
sottomissione. Tuttavia assicurate i Cretesi che sono con loro di cuore  e  che,
vincitori o no, farei per loro l'impossibile. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 11 dicembre 1866. Speranza mia, voi siete un'anima angelica ed è perciò
che voi vi siete così fervorosamente interessata a questa buona  popolazione  di
Creta. Che Dio vi benedica! Io sono veramente confuso di non potervi imitare. Un
povero popolo si batte, non lontano da me, contro i suoi  tiranni  ed  io  resto
inattivo. Che viltà! Ma che volete? Io cammino con le stampelle; la  mia  ferita
del 1862 essendosi di nuovo aperta; ed inoltre  sono  inchiodato  qui  dai  miei
terribili reumatismi. Assicurate questa brava popolazione che io sono  con  essa
con tutta la mia anima e che farò ciò che mi è possibile. Vi bacio la  mano  con
affetto e sono sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 6 gennaio 1867. Speranza carissima, ero veramente ansioso della  vostra
sorte e sono felice di sapervi a Roma, dove spero che  ristabilirete  la  vostra
preziosa salute. Al mese di maggio e più tardi la vostra diletta  presenza  sarà
per me sempre una gioia. Vostro G. Garibaldi.


Roma, 25 gennaio 1867 Amatissimo amico, se sapeste quanto mi duole scrivervi  da
qui e non trovarmi più fra quell'eroica popolazione, la cui causa  diventa  ogni
giorno più santa e più interessante! Perché mi scrivete di star  nell'ozio?  Voi
solo, Redentore della patria vostra, come di tutti i popoli che gemono sotto  la
tirannia, voi avete fatto tutto,  tutto  per  questa  povera  gente;  ogni  loro
respiro è una benedizione per voi. Se poteste e voleste  andare  in  Grecia,  io
sarei - ad onta di tutto il  mio  zelo  ardente  per  la  causa  -  la  prima  a
supplicarvi di non farlo. Oh, Dio, quanto soffro, sapendovi soffrire in tal modo
e non potendo prendere sopra di me i vostri dolori! È assai, assai  peggiore  il
sapervi soffrire che il passare per tutte le  torture  del  mondo.  Si  potrebbe
dubitare della Provvidenza,  sapendo  che  voi  soffrite!  Con  diritto  voi  mi
chiederete che cosa al mondo ha potuto farmi lasciare l'isola di Creta. Due sono
le ragioni, che mi costrinsero a fare  quel  vero  sacrificio.  Anzitutto  avevo
promesso ai Cretesi d'interessare Gladstone in favore loro. Dopo quello che egli
fece per Napoli e per le isole Ionie, si poteva sperare qualche cosa dal governo
inglese in favore di Creta! Io lo sapevo qui  in  Roma  e  speravo  deciderlo  a
venire in Grecia. Oltre a ciò, nel mese di ottobre mi  ammalai  così  gravemente
con infiammazione al cervello e febbre nervosa che fui  in  fin  di  vita.  Dopo
venticinque giorni di letto i medici  dissero  che,  a  tutti  i  costi,  dovevo
lasciare l'isola. Infatti il male era molto serio: anche ora soffro sempre  alla
testa. Il fatto è che mi sono affaticata assai, scrivendo per i giornali inglesi
a Costantinopoli, a Londra e per molti giornali  tedeschi.  Sono  stata  quattro
mesi in pericolo continuo della vita ed ho sofferto tanto tanto nel vedere degli
orrori, dei massacri, delle crudeltà senza nome,  cagionate  unicamente  da  una
politica egoista, insensibile, infame! Come resistere a tanto? Ho pensato  anche
che qui avrei potuto essere più utile alla santa causa, scrivendo, pubblicando e
raccogliendo denari per i miei bravi cretesi. Non vivo per altro  interesse  che
per il loro. Il mio unico, desideratissimo compenso sarà (se non me  lo  negate)
di farvi una piccola visita nel principio di maggio, quando il dovere dovuto  al
figlio mi chiamerà in Germania. Quante cose avrò da domandarvi e da dirvi!... La
dolcissima speranza  di  rivedervi  dopo  due  anni  e  mezzo  mi  impedisce  di
diffondermi oggi. Ho una quantità di  giornali  e  di  carte  che  vorrei  farvi
leggere, ma non mi fido di mandarveli con la posta e poi mi servono  per  quello
che scrivo adesso. Spero che Carlo Blind mi aiuterà a trovare un buon foglio per
scrivere in Inghilterra. Lavoro quanto posso; ma la testa non è la  mia  ancora.
Vi prego, mandatemi una cara riga, dicendomi se mai ci siete, se posso recarmi a
Caprera nel maggio per avere il sommo bene di rivedervi.  Un  vostro  ufficiale,
uno svedese di nome capitano Meyer, ha sei ferite e  sta  qui  per  guarire,  ma
appena guarito partirà per Creta. Non voglio tediarvi di più oggi; solo vi  dirò
che arrivai in tempo per vedere Gladstone. Gli ho detto tutto quello che il  più
fervido interesse poteva ispirarmi: ma, Dio mio, ho  urtato  contro  un  egoismo
marmoreo! La rabbia e il dispiacere  mi  soffocavano!  Vi  bacio  la  cara  mano
addolorata, dicendomi per la vita tutta di cuore vostra Speranza.


Firenze, 18 maggio 1867. Speranza amatissima, mille ringraziamenti per la vostra
inestinguibile bontà. A Caprera o altrove sarò  sempre  felice  di  baciarvi  la
mano. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Ginevra, 9 settembre 1867. Gentilissima Signora, mille grazie per  il  magnifico
regalo. Tutto vostro G. Garibaldi.


Pisa, 25 novembre 1867. Illustrissimo Amico, spero ben vivamente che la presente
vi troverà in migliore salute di quando lasciai la Spezia l'altro ieri; i vostri
patimenti morali e materiali non escono dalla mia mente e darei  ben  volentieri
la mia vita se potessi sollevarli! I preziosi documenti che  debbo  alla  vostra
generosità e alla compiacenza di Teresa sono di un sommo interesse,  sono  pieni
di poesia e vorrei dire di una freschezza giovanile, di cui solo la vostra penna
è  capace.  Che  cosa  deve  essere  dunque  l'opera  della  quale   aveste   la
condiscendenza di parlarmi!  Mi  recai  oggi  a  Firenze  e  ne  torno  ora,  ma
disgraziatamente la Sig. Jessie White Mario  era  partita  fin  da  giovedì  per
Lugano. Vidi il Signor Mario al quale affidai la lettera che mi deste per la sua
Consorte; gliela spedirà subito e spero che il vostro  desiderio,  tutto  a  mio
favore, sarà rispettato ed eseguito. Mia  sorella  è  riconoscentissima  per  il
grazioso dono vostro quanto infelice per non aver potuto recarsi alla Spezia;  è
sempre confinata a letto e lo sarà ancora per qualche tempo. Questa è la ragione
che mi tiene qui (Pisa, Hôtel Gran Bretagna), dove qualunque comando  del  quale
vorrete onorarmi mi troverà sempre prontissima. Per ora non ardisco  incomodarvi
di più. Quanto godo sentire che avete cambiato alloggio e che vi rallegra almeno
il sole tanto necessario alla vostra preziosa salute! Addio,  amatissimo  amico;
vi bacio la cara mano coi sentimenti di affetto e di devozione che vi  sono  ben
noti nell'intimo cuore della tutta vostra Speranza.

Se non avete affidato alla Signora Mario ciò che Teresa mi mandò, e  se  non  vi
rincrescesse, sarebbe un episodio ben interessante per qualche rivista inglese.


Dalla staziona di Pisa, 25 novembre 1867. Gentile  Signora,  mio  padre,  avendo
ricevuto l'autorizzazione di recarsi  liberamente  a  Caprera,  ha  lasciato  la
Spezia  questa  mattina  a  un'ora.  Partendo  mi  ha  incaricato  di  salutarvi
affettuosamente. Gradite l'espressione della nostra viva  riconoscenza  e  della
nostra considerazione. Sempre vostro devoto Menotti Garibaldi.


Caprera, 3 dicembre 1867. Speranza amatissima, ho le vostre carissime del  25  e
del 28 scorso, ve ne ringrazio di cuore. La Signora Mario mi scrive che  passerà
a vedervi e si intenderà con voi circa al romanzo. Vogliate salutarmi  caramente
la vostra sorella, accettare i saluti della mia famiglia e  tenermi  per  vostro
sempre G. Garibaldi.


Livorno, 13 dicembre 1867. Amatissimo ed ill.mo Amico, tre giorni fa, mentre  io
trattava con la Signora Mario l'affare del vostro interessantissimo manoscritto,
ebbi il piacere di ricevere le vostre care righe, per le quali vi ringrazio  ben
cordialmente: il vostro amabile saluto per la sorella sempre ammalata a Pisa, le
fu mandato e lo  riceverà  riconoscentissima:  ebbi  pure  la  soddisfazione  di
sentire da Menotti che, grazie al Cielo, stavate bene di  salute.  Avete  veduto
nel Times i nomi di Pietro Susini e Cap.no Cuneo su un lembo di articolo, che il
giornale inglese prese, senza che io ne sapessi niente?  Vi  devo  dire  che  mi
rincrebbe molto ma che appena mi avete detto: «Non scrivete i nomi», io  scrissi
alla persona alla quale avevo mandato l'articolo tedesco. Ma  la  cosa  era  già
fatta perché, se vi ricordate, fu il 7 novembre che  mi  deste  il  permesso  di
prendere i miei appunti sulla vostra fuga interessantissima e fu il 23  novembre
che mi diceste: non scrivete i nomi; dunque circa 15  giorni  dopo  ch'io  aveva
mandato l'articolo ai giornali tedeschi dai quali il Times ne prese un estratto.
Vogliate, carissimo amico, scusare  gentilmente  questa  spiegazione,  ma  sarei
veramente infelice se la minima ombra di indiscrezione  commessa  da  parte  mia
potesse farmi torto nell'opinione vostra. Ogni minima  cosa  affidatami  che  vi
riguarda mi è sacrosantissima e se me lo aveste detto  prima,  mai  questi  nomi
sarebbero stati stampati. Il fatto è che ritengo le persone che possono aiutarvi
nelle vostre imprese mondiali per così onorate e felici che  credeva  fare  anzi
cosa grata al loro nome. Ora non sarò tranquilla fin ch'io sappia che questo mio
sbaglio non ha pregiudicato le loro posizioni e spero ben sinceramente che  sarò
tranquilla fra poco sopra questo punto. La Sig.ra Mario venne qui  direttamente,
via Genova, da Lugano, senza aver toccato Firenze:  mi  lasciò  226  pagine  del
vostro bel romanzo, dicendomi ch'erano queste un solo terzo  dell'opera  vostra.
Io le risposi che mi pareva che voi mi avevate detto che,  visto  l'esito  della
campagna ultimata nel novembre, avevate abbreviato  e  finito  il  libro  e  che
probabilmente ella (la Sig.ra Mario) troverebbe la fine ora a Firenze, dove sarà
di già giunta. Appena avrò copiate le 226 pagine lasciatemi rimanderò  per  mani
sicure o riporterò alla Sig.ra Mario il detto manoscritto io stessa.  Visto  che
gli editori inglesi sono quelli che pagano molto più di quelli  dei  continente,
devono avere il diritto di essere i primi a stampare la vostra bella  opera.  Io
intanto faccio la traduzione in  tedesco  per  averla  pronta,  ma  naturalmente
aspetto la decisione che d'accordo colla Sig.ra  Mario  prenderete  coll'editore
inglese, prima di stampare la minima cosa del vostro libro. Credendo che sarebbe
cosa tanto opportuna quanto lucrativa di portare in luce il libro, quando  verrà
stampato in tedesco, anche in francese, ungherese,  russo  e  svedese,  vengo  a
domandarvi se mi autorizzate nel vostro interesse ad occuparmi di  traduttori  e
editori per questi paesi. Se me lo permettete e  non  avete  deciso  di  far  la
traduzione francese Voi stesso,  come  mi  accennaste  al  Varignano,  scriverei
subito al Sig. Marc Monnier,  ed  anche  ad  altre  persone  per  la  traduzione
ungherese, svedese e russa. Così ad un tempo tutto il mondo  potrà  ammirare  in
Voi la vostra poetica e fervida immaginazione che dipinge con tanta  veracità  i
vizi che sono le vere sorgenti delle  tante  e  troppe  disgrazie  della  povera
Italia. Io che abito a Roma da sedici anni, io che ben conosco i  padroni  della
Città Eterna, so che, purtroppo, è vero e  non  romanzo  ciò  che  scrivete,  ma
l'editore solo potrà decidere se il così detto pubblico inglese universale vorrà
inghiottire queste verità tali e quali. Intanto traduco in tedesco ed aspetto la
decisione che prenderete  prima  di  porre  in  luce.  Aspetto  pure  la  vostra
autorevole  parola  prima  di  mettermi  in  corrispondenza  con  altri  per  le
traduzioni. Il mio indirizzo  più  sicuro  è:  Enrico  Malatesta,  Via  Vittorio
Emanuele, Livorno. Scrissi a Teresa giorni fa e accompagnai  le  mie  righe  con
alcuni dolci per i suoi bimbi. Salutatemi cordialmente tutti i vostri  cari  che
si ricordano di me e disponete in qualunque cosa di me  come  della  vostra  più
devota ed affezionata amica Speranza.


Caprera, 18 dicembre 1867. Speranza amatissima, vi prego di andare a  vedere  il
capitano Fazari a Firenze dove si trova ferito.  Desidero  che  si  provveda  ai
bisogni di questo bravo italiano; voi metterete a mio carico le spese che farete
per lui. Informatevi del suo indirizzo dalla Signora Mario. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 24 dicembre 1867. Speranza  amatissima,  ho  ricevuto  la  vostra  cara
lettera del 13. Né a Susini né a Cuneo è accaduto del male; si sono vantati essi
stessi del loro nobile contegno. Invio il resto del romanzo alla Signora Mario e
l'opera intera è nelle sue  mani.  Poiché  volete  accordarmi  tutta  la  vostra
amicizia e siete molto indulgente, devo  confessarvi  che  quest'opera  è  molto
imperfetta. Ho bisogno di tutta la vostra buona volontà e di  quella  della  mia
sorella Jessie per poter presentare questo libro al pubblico.  Sarei  felice  se
voleste anche traducendolo incaricarvi di ritoccare i  dettagli,  di  aggiungere
delle parole, insomma di colmare le lacune delle mie nozioni  letterarie  e  del
mio talento di pubblicista. Inoltre le mie amabili collaboratrici  dovranno  per
amor mio addolcire certe  espressioni  che  potrebbero  offendere  i  sentimenti
femminili e pensare soltanto ad un fratello che le ama  tanto  e  che  ha  tanto
bisogno di denaro. Quanto alla traduzione, vi permetto di  farne  una  anche  in
cinese, se vi aggrada. Ma vi prego - e che questo sia un ordine sacro per voi  -
di sottomettere lo spirito della mia bionda sorella alla vostra intelligenza che
apprezzo tanto. Per la traduzione francese mi domando se non sarebbe  necessario
che io rivedessi ancora una volta il manoscritto. In  due  parole  vi  dò  pieni
poteri sul mio povero lavoro, se i vostri apprezzamenti concordano. Nel suddetto
manoscritto vi sono certe frasi che non piaceranno ai governi liberali. Desidero
che questi passi siano stampati, ma se credete  che  sarebbe  meglio  ometterli,
ometteteli. Vi dico altrettanto  a  proposito  delle  mie  idee  religiose.  Non
permetto che si alterino, poiché le ho espresse con la coscienza che sono  vere.
Ma se bisogna lasciare qualche parola... No! non cedo, a nessun  costo!  Che  la
verità vada avanti, dovessi anche restare senza  un  soldo!  Vi  bacio  le  mani
cordialmente e sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Roma, 27 dicembre 1867. Amico  carissimo  ed  illustrissimo,  ricevo  in  questo
momento le vostre preziose righe del 18. Grazie mille per il vostro permesso  di
fare qualche cosa per il prode Fazari. Se la vostra  chiamata  mi  fosse  giunta
mentr'io stava in Toscana (Pisa o Livorno), sarei  volata  a  Firenze,  ma  ora,
essendo tenuta qui da varie circostanze imperative, non lo posso, con mio  sommo
dolore! Ma ho scritto a Firenze a una bravissima persona che si recherà per  me,
a nome vostro, da Fazari per far per lui qualunque cosa che il bravo soldato può
richiedere. Ho messo la mia borsa a sua disposizione, dicendo  che  ero  dolente
assai di non poter recarmi io stessa dal degno ferito. In quanto alle  spese  ci
penso io e sono felice e superba che mi affidiate questo sacro  dovere.  Non  vi
parlo di Roma né di quello che vi soffro: è una ferita nella quale sento  sempre
il pugnale avvelenato. Mi fu ricusato chiaramente  di  recarmi  all'ospedale,  a
rischio d'essere mandata via; se potessi affittare l'appartamento  mio,  se  non
avessi la sorella ammalata col marito, non starei qui mezz'ora. Con  tutto  ciò,
conoscendo persone che vanno spesso dai feriti, faccio  quanto  posso,  mandando
loro cibi, vestiario e quanto occorre. È l'unico mio conforto quel povero  Benni
al quale hanno tagliata la mano; non potrà guarire e  presto  finiranno  i  suoi
martirii, se non sono già terminati questa notte! La febbre  negli  ospedali  fa
strage terribile e questi... non vogliono permettere  il  trasporto  dei  feriti
nelle case particolari, altrimenti sarebbero da tempo sotto tutt'altra cura!  Vi
scrissi lungamente, prima di lasciare Livorno, riguardo alla bell'opera  vostra;
vi domandavo diverse cose. Sarei dolentissima se questa mia si  fosse  smarrita;
era del 13 o 14 dicembre.  Vi  prego,  amatissimo  amico,  vogliate  gentilmente
rispondermi una riga perché senza la vostra risposta ho sempre le  mani  legate,
mentre vorrei fare molto, come vi spiegherà la mia lettera.  Vogliate  dirmi  se
l'avete ricevuta, perché in caso contrario dovrò ripetervi  ciò  che  conteneva,
tutto per l'esito grande e universale della bella opera che  mi  avete  affidata
che adorna ora la mia vita e mi fa dimenticare quanto di brutto mi circonda.  La
condotta del console americano di qui nell'ottobre e novembre è stata  infame  e
ben indegna di un console di una nazione repubblicana. La Sig. Mario me ne  fece
cenno a Livorno ed io le ho scritto in proposito. Bisogna punire questa condotta
indegna e spero che la voce della vostra buona Jessie non sarà  udita  invano  a
Firenze. Aspettando dunque una cara  vostra  riga,  indirizzata  a  Livorno,  da
Enrico Malatesta, vi  bacio  le  mani  con  tutta  l'effusione  di  affetto,  di
ammirazione e di devozione che ho per Voi. Vostra per la vita Speranza.

I poveri parenti d'un bravo giovane, certo Pietro De Angelis, che era  con  Voi,
mi chiedono se ne sapete qualche cosa: è sparito. Era capo ufficio  telegrafista
all'Aquila prima di seguirvi nelle vostre file.


Caprera, 31 dicembre 1867. Speranza amatissima, a quest'ora avrete  ricevuto  la
mia risposta alle vostre righe del 14; vi  ho  dato  tutti  i  diritti  sul  mio
romanzo. Mille ringraziamenti per tutto ciò che avete fatto riguardo  a  Fazari.
Quanto a De Angelis, i suoi parenti devono rivolgersi al generale  Fabrizi,  mio
capo di Stato Maggiore. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 22 gennaio 1868. Preziosa amica mia, datemi, ve ne prego, notizie della
vostra cara salute. Roma militante, era, io credo, il titolo che vi  davo  nella
mia ultima lettera per il romanzo. Se voi  pensate  che  sia  meglio  cambiarlo,
vogliate dirmelo. Aggradite i miei migliori ringraziamenti per la vostra gentile
offerta, mia carissima editrice. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 11 febbraio 1868. Speranza  amatissima,  voi  siete  veramente  la  mia
speranza. Quanto al romanzo, intendetevi con la Bionda e fatelo pubblicare anche
in italiano. Per la vita vostro G. Garibaldi


Roma 12 marzo 1868. Amico mio, devo ringraziarvi ben  caramente  per  le  vostre
preziosissime righe dell'11 febbraio. Mia sorella col marito sta  ancora  da  me
nel mio modestissimo appartamento nel quale sogno ancora di vedermi beata con la
vostra magnanima presenza. La presenza dei miei ospiti mi prende del tempo;  con
tutto ciò il lavoro progredisce e quando saranno partiti  procederà  più  presto
ancora. La bionda spiritosa mi lascia senza risposta,  senza  il  rimanente  del
manoscritto  che  tiene,  ma  mi  figuro  che  lavora.  Pazienza!   In   Francia
nessunissima possibilità di stampare anche nei giornali così detti  liberali  la
vostra interessantissima fuga da Caprera. Come dissi, la mandai  tradotta  nelle
diverse lingue con somma cura e vero affetto, in  America,  in  Inghilterra,  in
Francia, e in Germania. Finora soltanto la Germania l'ha stampata in  un  foglio
che ha 400.000 esemplari: mi fu promesso il maggior onorario. Le copie mandatemi
qui furono confiscate benché indirizzate a un nero nero!... L'Inghilterra finora
non si è degnata di riprodurre quelle pagine palpitanti d'interesse. La  Francia
da quattro lati le ha respinte! Dall'America non si sa ancora niente,  Le  mando
oggi in Isvizzera. Sul campo della  letteratura  stiamo  quasi  male  quanto  in
quello della politica. Se sapeste  quanto  soffro!  Qui  l'aria  è  propriamente
empestée. Scusate questi dettagli, carissimo mio amico, ma penso sempre a Voi  e
mi occupo dell'interesse vostro. Dalla Germania  non  mi  hanno  mandato  ancora
l'onorario: l'avrete, appena saprò quant'è. Ho molti  dispiaceri  personali.  Un
tale, che vi portai una volta al Varignano, dopo che  lo  salvai  dal  disonore,
pagandogli debiti, ecc., perché credeva alle sue mentite disgrazie, si mostra un
birbone di primissima qualità. Dopo che ho fatto per dieci mesi  tutto  ciò  che
una madre può fare per un suo figlio, mi minaccia di morte e di vendetta perché,
avendo io scoperto con fatti la sua scelleraggine, non voglio dargli denari  per
mantenerlo nei suoi vizi e nell'ozio! Due domande devo farvi. La prima è  se  vi
ricordate di un giovane irlandese, nipote d'un barone, di nome Richard  Preginal
Levinge, che, come i suoi parenti mi scrivono, era un fanatico ammiratore vostro
e vi seguì nell'ultima campagna. Mai si è sentito una parola di lui.  I  parenti
sono disperati, ma non possono dirmi né la compagnia in cui  si  trovava  né  il
battaglione, niente! Siccome era uomo ricchissimo, educatissimo, avreste  potuto
conoscerlo. Promisi ai suoi di farvi questa  domanda,  ma  la  faccio  senza  la
minima speranza. La seconda domanda mi tocca più da vicino. C'è qui  un  vecchio
professore tedesco di 75 anni, colla moglie assai più giovane. Quel bravo  uomo,
benché impedito dalle conseguenze d'un colpo, è robusto  e  prima  di  ritornare
nella sua patria non ha che un desiderio: quello di avere la somma  consolazione
di vedervi. Affronterebbe, benché non marinaio, ogni  burrasca,  se  sapesse  di
trovarvi a Caprera dal 10 al 20  aprile.  Questa  brava  coppia  vorrebbe  ch'io
l'accompagnassi. L'unica cosa che mi impedirebbe sarebbe il lavoro e la paura di
non poter ritornare qui ove voglio restare finch'io ho finito il romanzo vostro.
Dunque l'ammirazione che quel bravo uomo nutre per Voi  l'ha  stretto  a  me  in
amicizia; la moglie teme il viaggio, pensa ai figli e nipotini  e  mi  prega  di
sconsigliarlo all'anziano sposo. Con tutto  ciò  il  professore  mi  ha  pregato
caldamente di scrivervi  per  domandarvi  se  c'è  probabilità  o  sicurezza  di
trovarvi a Caprera dal 10 al 20 aprile. Io risposi che Voi stesso  non  potevate
saperlo, ma per atto di coscienza ho  dovuto  scrivervi  per  domandarvelo.  Se,
amico carissimo, volete aggiungere un altro ai tanti favori da anni  concessimi,
rispondetemi subito una riga in quanto alla mia domanda e se, oltre alla  vostra
riga a me, volete aggiungere un saluto vostro al Signor Professore Massmann  che
vi ama e adora, questi cari caratteri saranno una santa  consolazione  nel  caso
che non potesse  avverarsi  il  suo  sogno  del  viaggio  a  Caprera.  Ecco  una
lunghissima chiacchierata e quanto avrei da aggiungere! Odo Russel poi,  la  zia
del console americano, quell'infame che andò a  Mentana  coi  Pontifici  e  che,
vedendosi scalfito da una  palla  garibaldina,  prese  un  fucile,  lo  scaricò,
ammazzò uno dei vostri e disse: Almeno  ne  ho  ammazzato  uno,  e  tante  altre
persone che prima si dicevano liberali non mi avvicinano più. È  un  complimento
per me, ma questo spiega a che siamo arrivati! Ho fatto noto  questo  fatto  del
console americano a tutti, sperando coll'aiuto della potente bionda che  già  lo
sapeva quando la vidi nel dicembre a Livorno, di farlo mandar via da qui. Invece
si divertono, godono qui ed io muoio di rabbia vedendo il male sempre  trionfare
sul bene calpestato sotto i piedi! Vi bacio  con  tanto  affetto  le  care  mani
dicendomi per questa vita e per tutte quelle che  potranno  seguire  vostrissima
Speranza.


Caprera, 18 marzo 1868.  Speranza  amatissima,  come  la  vostra  afflizione  mi
contrista! Avanzando nel sentiero della vita, e conoscendo  meglio  gli  uomini,
finirò per diventare misantropo. Non ho  notizie  di  Levinge,  di  cui  non  mi
ricordo bene. Date un bacio da parte mia al professore Massmann  e  ditegli  che
all'epoca che fissa non mi troverà a Caprera. Sempre vostro G. Garibaldi.


Roma, 30 marzo 1868. Amico carissimo, che cosa direte, vedendo di  bel  nuovo  i
miei caratteri? Non vi inquietate perciò con me, e vedete  solamente  in  queste
righe l'angoscia di un'anima sincera,  devotissima  a  Voi  e  alla  gran  causa
umanitaria, di cui siete il più nobile propugnatore. Dal giorno ch'io vi scrissi
ho dovuto persuadermi ancora di più di ciò ch'io temeva.  Da  bocca  pretina  ho
sentito ripetere che il programma dei preti era la vostra fine, che per giungere
a tale scopo, cioè alla distruzione dell'unico uomo che temono e che minaccia il
loro trionfo completo, sicuro e permanente, bisognava liberarsi di Voi e che per
riuscirvi ora vi tendono i lacciuoli, la trappola, servendosi degli amici vostri
per farvi intraprendere una terza spedizione su Roma.  Carissimo  Amico,  se  un
male, venutomi in conseguenza delle tante afflizioni che un indegno  mi  cagionò
in questi ultimi mesi, non mi rendesse il viaggiare impossibile per ora,  niente
al mondo mi impedirebbe  di  recarmi  da  Voi,  in  qualunque  sito  foste,  per
supplicarvi in ginocchio di rinunciare per questa primavera al  vostro  progetto
sopra Roma. I Romani stessi sanno in che trappola venite, me l'hanno  confessato
e quando io domandai loro: «Perché non ne avvertite quel Santo Eroe che viene  a
spargere il suo sangue e quello di tanti bravi  giovani  sotto  le  vostre  mura
senza la minima probabilità di riuscire?», mi risposero:  «Non  vogliamo  essere
macchiati ed accusati di essere vili, non faremo niente, e se è pazzo che  venga
a farsi ammazzare». Così pensano  e  così  parlano.  Il  prete  col  quale  ebbi
occasione di parlare non conosceva né me, né il mio modo  di  pensare,  così  si
spiegò chiaramente, senza ritenutezza; mi venne il brivido  della  morte  quando
sentii i suoi infernali ragionamenti. Il capo  di  questo  Governo  ha  ricevuto
negli ultimi mesi da tutte le parti dei  sussidii  d'ogni  genere,  incredibili,
solide batterie, munizioni di prima qualità. Dal nefasto giorno di  Mentana  non
hanno fatto che radunare da tutti i paesi dei soldati, mercenarî sì, ma fanatici
per l'orrenda causa che difendono, non hanno  fatto  che  fortificare  tutte  le
alture; l'Aventino,  un  monte  così  strategico,  è  trasformato  in  una  vera
fortezza, da dove 10 mila uomini possono difendere quel punto. L'ascensione  non
è permessa a nessuno. Anche l'entrata nella Villa Medici sul Pincio sarà rizzata
di cannoni che si fanno entrare la notte. Conosco il vostro valore quanto quello
che infondete ai vostri seguaci e so ch'è uno  scherzo  il  parlarvi  di  forti,
cannoni, barricate e chassepots; queste parole non farebbero  che  attizzare  il
vostro ardore. Ma che cosa volete opporre al  tradimento  che  vi  aspetta  qui,
vorrei dire nei cuori di tre quarti di questa popolazione? Contro il  tradimento
come contro la calunnia non c'è riparo. Ad Aspromonte Vi hanno ferito il  piede,
a Mentana il cuore; ebbene, nella terza spedizione quei mostri sapranno  ferirvi
corpo e anima, ed allora? Cosa faremo? cosa farà  la  vostra  patria  quando  il
momento opportuno sarà venuto e che non sarete là? Capisco quanto sia  difficile
il sempre aspettare. La pazienza, la fede in una costellazione più favorevole  è
spenta e ad ogni costo volete  terminare  la  vostra  grande  opera,  preferendo
morire  nel  compirla  piuttosto  che  soffrire  nella  crudele  contemplazione.
Discretion (cioè prudenza) is valors bester half dice uno dei più grandi  nostri
poeti. Credetemelo, amico mio; aspettando ora, potete salvare la vostra  patria,
cadendo nella trappola che vi tendono con tutta l'astuzia i nemici vostri, tutto
è perduto. Voi che siete al di sopra dei nemici vostri quanto  Dio  è  sopra  il
diavolo, siate così anche nell'astuzia. Ve ne scongiuro,  state  tranquillo  fin
ch'ogni idea dei vostri progetti li abbia abbandonati; per  ogni  settimana  che
differite è un colpo di più che date loro, non cadendo nelle loro ben ordinate e
ben mascherate insidie. Essendosi così ben fortificati, il  progetto  è  di  non
muoversi dalla città, ma di aspettarvi qui per poter uno dopo l'altro  insidiare
i vostri bravi. Per mezzo di persona sicura ho saputo da uno dei primi  militari
qui che erano tanto ben provvisti di tutto che non  temevano  nemmeno  la  prima
armata dell'Europa. Perché dunque voler sacrificare tutto quando la  disfatta  e
il tradimento è cosa  matematicamente  sicura?...  Credetemi  pure,  credete  ad
ognuna delle mie parole, come ad una  sacra  verità,  credetemi  che  siete  mal
informato, se siete informato  diversamente.  L'evento  che  renderà  la  vostra
impresa felicissima non può essere lontano. Coronate le tante vostre  virtù  con
quella della pazienza. Dio vi darà vita e salute fino a ottant'anni per  compire
la somma opera che vi affidò. Che cosa è un anno o due oppure tre  nella  storia
dei popoli e che cosa non può nascere in quel frattempo? Chiudete le orecchie  a
chiunque vuole trascinare Voi, i vostri e la patria nella voragine di una rovina
che vi si apre, non badate a nessuna proposta, promessa o speranza, da qualunque
lato che vi sia fatta, perché ognuna non è che uno dei tanfi lacciuoli che fanno
giuocare  la  trappola  nella  quale  i  vostri  nemici  vi  vogliono  attrarre.
Risparmiate ai nobili cuori dell'Europa  il  maggior  dolore,  quello  di  veder
sacrificato all'astuzia dei preti il primo Eroe del passato e del presente e  la
santa causa che difende. Che Dio riveli la verità alla vostra mente, vi persuada
della mia profondissima sincerità ed  esaudisca  per  mezzo  vostro  l'umile  ma
fervida preghiera della più devota delle vostre amiche ed  ammiratrici.  Per  la
vita, vostra Speranza.


Caprera, 31 marzo 1868. Speranza amatissima, ho letto la vostra cara lettera col
cuore commosso. Voi siete triste, ma sempre nobile. Io non avevo detto  che  non
sarei a Caprera per voi: per voi sarò sempre dove desidererete. Venite dunque  e
ci intenderemo su tutto, nel miglior modo. Quanto al romanzo, vi ho  già  detto:
fate come vi pare ed io sarò  contento.  Un  bacio  sulla  mano  dal  vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 5 maggio 1868. Gentilissima  Signora  de  Schwartz,  vi  raccomando  il
maggiore Castellazzi, uomo  di  grandissimo  merito,  che  si  trova  ancora  in
prigione a Roma. Sempre vostro. Per Garibaldi malato Basso.


Caprera, 11 maggio 1868. Cara e gentilissima Signora, non vi  scrivo  io  stesso
perché ho la mano destra malata. Vi attendo qui dove spero che  potrete  passare
qualche giorno di riposo prima di intraprendere il vostro viaggio  in  Germania.
Quando verrete, conducete con voi una domestica. Vi attendo e sono per  la  vita
vostro. Per Garibaldi malato Basso.


Roma, 16 maggio 1868. Amico unico ed amatissimo, ricevo  in  questo  momento  le
vostre due care del 5 e 11 corr. Quanto mi duole  di  sapervi  ammalato  e  come
vorrei essere con Voi per circondarvi di cure  premurose!  Spero  che  il  caldo
lenirà le vostre acute sofferenze. Io non  sono  affatto  ancora  in  istato  di
viaggiare: il meglio viene piano, il male presto,  ma  spero  ad  ogni  modo  di
essere con voi fra circa tre settimane, desiderando inoltrare quanto è possibile
il mio lavoro. Se non foste l'uomo più  celebre  del  passato,  del  presente  e
dell'avvenire, se avessi ricevuto queste pagine da qualunque sconosciuto oscuro,
le amerei, le adorerei. Figuratevi quanto mi commuove il cuore il sapere che Voi
ne siete l'autore. Ma non posso negarvi che per tradurre il  libro  in  tedesco,
fare le piccole correzioni necessarie per renderlo tale da non ricevere  nessuna
accusa dal punto di vista letterario è piuttosto difficile, quando questo lavoro
sia intrapreso col culto e coll'amore che merita. Ciò sia  detto  solamente  per
scusare la mia pigrizia: tocca a me pure mandare alla  bionda  (perché  così  ha
voluto) in italiano una copia d'ogni parola, d'ogni frase ch'io cambio. Mai ebbi
un lavoro tanto a cuore. Farò di tutto per essere utile al vostro  raccomandato,
ma se giace nelle prigioni e non in un ospedale temo  che  tutta  la  mia  buona
volontà s'infrangerà contro l'odio che mi portano qui,  contro  la  sorveglianza
stretta sotto cui sono tenuta ad ogni passo che faccio. Basta, non dubitate  che
io cercherò di rendere l'impossibile possibile. In quanto alla donna di servizio
è per Voi o forse per i bimbi di Teresa che la volete? Prego il  Sig.  Basso  di
spiegarmi se è così e di  dirmi  che  abilità  tale  donna  deve  avere.  Potrei
portarvi la mia Angelina  e  lasciarvela  (se  lo  permettete  colla  mia  bella
levriera) finch'io torno in Italia nell'agosto  o  settembre;  Angelina  sarebbe
felicissima di rendersi utile per Voi. Ma se volete una donna per la vostra casa
per sempre, forse più giovane di  Angelina  che  avrà  40  anni,  allora  potrei
cercarla e portarvela affinché resti sempre a Caprera. Prego il Sig. Basso  (che
saluto distintamente)  di  darmi  due  righe  di  spiegazione.  Angelina  è  una
coraggiosa e patriottica matrona romana. Ce ne fossero qui come lei! Sarebbe una
fortuna per l'Italia: l'ho da otto anni. Che Iddio mi conceda l'unico favore che
gli chiedo, che vi guarisca  presto  presto.  Vi  bacio  quella  carissima  mano
sofferente dicendomi di cuore e per sempre vostrissima Speranza.


Caprera, 26 maggio 1868. Speranza amatissima, vi attendo dunque qui fra quindici
giorni. La domestica che vi domandava è per voi. Se non  la  condurrete,  sarete
servita con affetto, ma male. Conducete dunque Angelina  e  la  bella  levriera.
Tutto ciò che vi appartiene mi sarà caro. Mille ringraziamenti per tutto ciò che
avete fatto riguardo a Castellazzi e anche per il tanto affettuoso  ricordo  che
conservate di colui che si dice per la vita Vostro G. Garibaldi.


Roma, 3-4 giugno 1868. Preziosissimo Amico, la vista dei cari  vostri  caratteri
mi riempi di gioia. Grazie al Cielo state meglio, ma avete sofferto molto: me lo
dissero le gentili ancora un poco tremanti parole. Io speravo  di  potervi  dire
oggi il giorno della mia partenza che avrebbe dovuto essere il 14 da Livorno, ma
un'avversa fortuna è sempre il  despota  della  mia  vita;  basta  che  desideri
qualche cosa per vedere le mie più care speranze tronche. Il giorno dopo che  vi
scrissi s'ammalò gravemente un degno vecchio di  78  anni  il  quale  dalla  mia
infanzia mi ha portato un affetto tutto paterno. Io stessa, ancora fresca di una
grave malattia e deboluccia, gli ho prestato delle cure assidue, superiori  alle
mie forze (è un odiapreti di prima sfera) ed eccomi di bel nuovo con  una  forte
infiammazione e dolori tali da non  poter  intraprendere  nessun  viaggio  nello
stato attuale. Sono disperatissima perché temo sempre di essere priva d'un  bene
che anelo appassionatamente da mesi. Spero però che il ritardo non sarà  che  di
pochi giorni e che alcuni giorni più tardi non vi riuscirò  inopportuna.  Grazie
mille del vostro premuroso permesso di portar meco «l'antica romana»,  Angelina:
è piena di difetti e mi fa disperare tante volte, ma, ignorante com'è, ha  tanto
senno naturale, tanti sentimenti patriottici e tanto coraggio che me  la  tengo.
Ha un'adorazione per Voi ed i vostri fatti che mi fa  piacere.  Essendo  poi  io
stata tanto male, mi è prezioso averla; dunque di nuovo mille grazie! Dopo tanti
tentativi ebbi il permesso di vedere Giuseppe  Castellazzi,  cioè  di  andare  a
trovarlo, ma era partito per l'Italia da qualche tempo, così almeno mi  assicurò
il chirurgo Battistini che l'assisté nell'Ospedale di S. Spirito. Ora, carissimo
amico, un'ultima parola o domanda:  andando  o  tornando  da  Caprera,  io  devo
passare per Firenze anzitutto per intendermi colla Rossa Bionda (di cui  nessuna
riga mi perviene) sopra vari punti della nostra opera comune  e  poi  per  altre
cose di minor importanza. Se dunque posso esservi  utile  a  Firenze,  comunque,
scrivetemelo subito che potrò ancora ricevere la vostra risposta qui e  così  mi
recherò a Livorno, via Firenze. Se non vi posso essere  utile  colà  in  niente,
vado direttamente da qui a Livorno e poi, dopo essere stata a Caprera, andrei  a
Firenze: l'ultimo progetto mi piacerebbe di più perché vorrei essere con Voi  il
più presto possibile. Posso esservi utile a  Livorno?  Per  sigari  o  qualunque
cosa? Più commissioni mi darete, più mi farete  felice.  Sapete  quanto  il  mio
cuore è pieno d'affetto per Voi, di modo che il venire con le mani vuote sarebbe
un contrasto troppo forte. Dunque, senza complimenti, disponete delle mie deboli
facoltà. Intanto vi bacio le vostre preziose mani, desiderando di levarne  tutto
il male e dicendomi, come sempre, vostra tuttissima Speranza.

Solamente da 5 giorni sono in possesso dell'ultima parte del vostro bel romanzo;
finora non ne aveva che 226 pagine. Credete pure che il mio soggiorno a Roma per
il riscontro dell'esattezza di alcune note in queste  226  pagine  non  è  stato
superfluo. La vostra erudizione mi fa stupire. Devo aggiungere questo  P.S.  per
dirvi che  oggi  alle  9  partirono  i  sei  ultimi  detenuti  dall'ospedale  di
Sant'Onofrio: Tabacchi, Mazza, Cavalieri e tre altri. Pezza è rimasto qui  e  fu
trasferito in un altro ospedale dove  dovrà  subire  un'operazione.  Ho  vestito
interamente a spese mie il vecchio Tabacchi  d'Ancona,  benché  non  mi  abbiano
permesso di vederlo. Cavalieri di Terni  è  furioso  contro  la  Contessa  della
Torre, donna di grandi parole, che ho scoperta qui non sempre fedele alla verità
delle sue asserzioni riguardo a quello che fece per i vostri. Mi figuro  che  il
matrimonio di Menotti  annunziato  dai  fogli  sarà  come  tante  altre  notizie
falsissimo. Tutta vostra come sempre Speranza.


Caprera, 9 giugno 1868. Speranza amatissima, sulle mie stampelle sono stato ieri
ad incontrarvi al porto  perché  mi  avevano  detto  che  eravate  arrivata  col
battello a vapore. E sapete chi venne ad incontrarmi? Battistina con  Anita.  La
vostra presenza avrebbe potuto decidere la madre ad affidarvi la  fanciulla,  ma
temo che neppure questa volta riusciremo. Battistina vuole del denaro ed è molto
furba. Venite e al  vostro  arrivo  non  fermatevi  alla  Maddalena,  ma  fatevi
condurre con Angelina e la sua famiglia direttamente da me.  Salutate  da  parte
mia il vecchio amico e, se potete, venite subito. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 23 giugno 1868. Cara a gentilissima Signora De Schwartz, noi eravamo in
una grande apprensione per voi. Ora siamo lieti  e  vi  aspettiamo  il  prossimo
lunedì. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 3 luglio 1868. La Signora di Schwartz  si  incarica  gentilmente  della
pubblicazione di un'opera di circa 400 pagine scritta da  me  e  intitolata:  La
Roma dei liberi; ella si  incarica  anche  di  intendersi  coll'editore  per  il
prezzo. G. Garibaldi.


Caprera, 3 luglio 1868. Cedo alla Signora Schwartz il diritto di ricevere,  dopo
la mia morte, copia di tutti i miei manoscritti perché li traduca in  tedesco  e
li pubblichi in Germania. Il frutto di queste pubblicazioni  sarà  destinato  ai
miei figli. G. Garibaldi.


Caprera, 4 luglio 1868. Cedo con la presente alla Signora Schwartz,  che  ha  la
bontà di incaricarsi dell'educazione di mia figlia Anita e di adottarla, tutti i
diritti della mia autorità paterna fino a  tanto  che  mia  figlia  godrà  della
compagnia della sua nobile benefattrice. Tuttavia, se la condotta di mia  figlia
riguardo alla Signora Schwartz divenisse insopportabile,  o  se  per  motivi  di
famiglia credessi mio dovere riprenderla, la Signora  Schwartz  me  la  condurrà
ella stessa o  me  la  manderà  accompagnata  da  persona  di  sua  fiducia.  G.
Garibaldi.


Lindau (Lago di Costanza), 21  luglio  1868.  Carissimo  Amico,  vi  scrissi  da
Lucerna giorni fa e di certo sarete sorpreso di ricevere  così  presto  un'altra
lettera da me, ma non posso fare a meno di scrivervi, come capirete,  perché  si
tratta di vostra figlia, la quale, grazie a Dio, è in ottima salute ed  allegra.
Ma questa vita di viaggi pare sviluppare sempre più una insubordinazione ed  uno
spirito di rivolta in quella sua bella ma testarda testolina e dovrei dirvi  una
grossissima bugia (ciò che non vorrete) se dicessi che sono contenta  di  Anita.
Certamente la presi per fare a  voi,  come  al  mio  più  caro  amico,  un  atto
amichevole e non per pretendere  della  gratitudine  da  una  figliuola  che  ha
passato nove anni con Battistina. Ma facendo per Anita più  che  farei  per  una
figlia mia, vorrei almeno vedere un'ombra di  obbedienza,  di  buona  volontà  e
d'intendimento che voglio propriamente il  suo  bene.  Invece  accade  tutto  il
contrario. Non voglio annoiarvi col racconto delle impertinenze e  dei  dispetti
che fece tanto a me quanto ad Angelina,  voglio  solamente  dirvi  che  per  una
simile mancanza di disciplina, se Anita fosse figlia mia,  io  non  esiterei  ad
affidarla per ora ad una scuola, affinché capisca che deve obbedire e cominciare
ad impiegare il suo tempo e le sue belle ma  trascurate  facoltà.  Non  crediate
affatto che mi rincresca l'incarico preso riguardo all'Anita, anzi;  ma  appunto
perché non lo prendo leggermente e vedo che tenendola con me non posso  ottenere
lo scopo che desideriamo tutti e due, vengo a chiedervi il permesso  di  mettere
Anita in una ottima pensione, dove non ci sono che dodici ragazze,  delle  quali
due sono le figlie della mia cara sorella che stava alla Spezia; una figlia vi è
da un anno e ha guadagnato tanto  che  questo  mese  mia  sorella  vi  mette  la
seconda. La signora Maier che tiene la pensione ha da  vivere,  non  lo  fa  per
speculazione, ma per il bene delle ragazze; questa signora è onorata ed amata da
tutti, abita nel Cantone protestante della  Svizzera  (Zurigo);  ha  delle  idee
liberalissime e, inutile dirlo, un'ammirazione illimitata per il  Redentore  del
popolo italiano. La sua bella casa è posta in campagna, in mezzo a  un  grazioso
giardino. Spero che vi fidiate di me quando vi dico che vostra figlia  avrà  più
occasione di diventare brava sotto  un  sistema  regolato  che  con  me.  Ve  lo
confesso: non sono abbastanza forte per imporre rispetto a Anita,  mi  rincresce
di essere severa e per il momento ci vuole un  poco  di  severità  accanto  alla
somma affezione. Anita regala schiaffi ad Angelina e contro  di  me  si  rivolta
apertamente quando chiedo ciò che non le va. Dunque per metterla  su  una  buona
strada io direi di affidarla alla Sig.ra  Maier.  Winterthur  è  a  tre  ore  da
Lucerna, dove abita mio fratello, e a un'ora da Zurigo, dove ho ottimi  amici  i
quali saranno felici di sorvegliare Anita. Benché la S.ra Maier abbia una  buona
rendita sua, la pensione è una delle migliori,  cioè  delle  più  costose  della
Svizzera e senza maestri, senza vestiario, biancheria, senza niente è  di  mille
franchi l'anno. Vi prego di non accusarmi di indelicatezza, carissimo amico.  Vi
dico questo unicamente affinché  sappiate  che  nessuna  idea  di  economia,  ma
soltanto il bene della cara figlia mi spinge a farvi tale proposta.  Non  temete
che io voglia fare una damigella au chignon della  nostra  Anita:  l'italiano  è
l'unica lezione extra che riceverà: la casa  è  così  semplice  che  le  giovani
devono imparare tutto, anche ad apparecchiare la tavola e a tenere in ordine  la
loro camera. Non temete  l'influenza  pretina.  Io  vi  conosco  e  non  ardirei
proporvi una casa dove ci fosse qualche  contrasto  con  le  vostre  sane  idee.
Troppo vi ho tediato per aggiungere molto di me. I giorni tutti  di  pace  e  di
felicità trascorsi nella vostra bella isola solitaria mi sembrano un sogno tanto
si è rimbrunito il mio orizzonte dacché sono sul continente. Ebbi ieri fra altre
cattive notizie quella  della  morte  subitanea  del  mio  bravo  Pasquale,  mio
cocchiere e factotum da dieci anni. Aspetto la vostra  desideratissima  risposta
riguardo ad Anita; mi rincrescerebbe assai  se  non  gradiste  la  mia  offerta,
giacché ho la  convinzione  che  in  questa  pensione  Anita  avrebbe  tutto  da
guadagnare. Io  sono  poco  adatta  a  rimproverare  sempre,  mentre  con  tanta
testardaggine e dispetto come Anita ha con me,  ci  vuole  un  poco  d'autorità.
Perdonatemi la mia franchezza e vogliate, amico mio ottimo e  caro,  essere  ben
persuaso che i sentimenti più leali e desiderosi del bene  dell'Anita  mi  fanno
parlare così. Non cambia del  rimanente  niente  all'incarico  preso  e  al  mio
affetto per Anita che considero sempre come figlia mia e  l'incarico  della  cui
educazione non vorrei cedere per niente. Spero  che  mi  avrete  capita,  ottimo
amico. Enrico Malatesta mi manderà la vostra risposta. Vi stringo e vi bacio  la
cara mano dicendomi come sempre per la vita tuttissima vostra Speranza.

Se gradite la mia proposta, rivedrò sempre Anita  nel  principio  di  settembre,
quando vengo con mia sorella a trovare la figlia sua a Winterthur.


Lago di Costanza, 26 luglio 1868. Carissimo Amico, ricevo in questo momento  una
lettera di Gustavo Struve (il propugnatore della rivoluzione nel Ducato di Baden
1848): mi scrive  che  vi  ha  scritto  il  14  di  questo  mese  riguardo  alla
pubblicazione del vostro romanzo in Germania ed America. Mi rincresce assai  che
vengano a seccarvi con cose noiose di cui io  voleva  incaricarmi.  Ma  sentite:
sapendo che Gustavo Struve è rimasto 14 anni in America e che vi  ha  scritto  e
pubblicato una storia universale nel senso liberale,  che  vi  aveva  pubblicato
altri libri, io doveva supporre che gli editori più  liberali  gli  fossero  ben
noti. Dunque gli scrissi, domandandogli di mandarmi  i  nomi  di  tali  editori,
affinché io potessi mettermi in rapporto con loro. Ora sento da lui  che  vi  ha
scritto e ne sono furiosa. Se volete  affidargli  la  pubblicazione  tedesca  in
America sarà forse bene. Io ho mandato molti  scritti  da  Creta  a  G.  Struve;
furono tutti pubblicati ma mai ebbi un soldo mentre io  ne  volevo  per  i  miei
poveri Cretesi. Intanto ogni volta che mando un articolo ai  giornali  ricevo  o
sette o dieci dollari tedeschi. In quanto alla pubblicazione tedesca,  sono  già
in relazione e corrispondenza con tantissimi editori per vedere chi mi offre  il
massimo e credo che sia meglio lasciarmi terminare l'affare. Del resto il vostro
volere è per me una legge sacrosanta. Caro amico, vi bacio la mano in fretta, ma
con tutta l'effusione d'affetto e d'ammirazione che ho per voi, uomo di Dio.  La
vostra dev.ma amica Speranza.

Anita sta benissimo. Vi scrissi giorni  fa.  Vi  prego,  rispondete.  Struve  mi
scrisse una volta: «Io non ho mai avuto il genio di domandare e di  ottenere  un
soldo dai miei editori».


Caprera, 4 agosto 1868. Speranza amatissima, quando generosamente  v'incaricaste
di mia figlia, io vi trasmisi ogni mio  potere  su  di  essa;  quindi  qualunque
vostra determinazione che la  riguardi  avrà  la  mia  sanzione.  Vi  raccomando
soltanto di non stancare l'anima vostra gentile, giacché conosco che abbisognate
di molta pazienza con quella irrequieta creatura. V'invio due righe  per  Anita;
se approvate il mio stile, datele; se no,  mi  direte  come  devo  scriverle.  A
Struve scrissi: che si dirigesse a voi per il manoscritto. Un caro  saluto  alla
vostra famiglia dal per la vita vostro G. Garibaldi.


Winterthur, 5 settembre 1868. Carissimo mio Amico. perdonatemi se ho  tardato  a
ringraziarvi per le vostre preziose righe del 4 agosto colle quali  mi  mandaste
una lettera per Anita.  Un'indisposizione  piuttosto  tenace  che  m'incomodò  a
Gotha, ove mi recai per vedere mio figlio, poi il desiderio  di  rivedere  Anita
nella sua nuova dimora per darvene delle notizie  recenti  ed  esatte,  ecco  la
ragione del mio silenzio. Grazie mille per le care esibizioni. Perdonate se  non
ho creduto opportuno di dare a Anita le righe che le scriveste; vi  scrissi  che
la figlia era stata molto disubbidiente e poco convenevole con  me  e  Angelina,
che a tutte due diede botte e schiaffi, e Voi le  scrivete:  «Io  sono  contento
della tua condotta verso la Signora de Schwartz e  se  continuo  a  ricevere  le
stesse buone notizie ti farò un regalo». È impossibile dire questo a una ragazza
che batte quelle che la colmano di bontà. Sarebbe da parte  vostra  sancire  una
condotta biasimevole all'eccesso. Per parlare francamente (ora che ogni pericolo
è, grazie a Dio, passato), conoscendo Anita com'era stata con me, temeva che  la
S.ra  Maier  non  volesse  tenerla  a  cagione  della   sua   testardaggine   ed
irrequietezza, ma ora che alcune settimane sono passate e che con molta pazienza
l'Anita comincia a sviluppare migliori qualità e che dimostra avere qualche cosa
dell'illustre suo genitore, siamo a cavallo e spero ogni bene per la vostra cara
figlia, se lasciata sotto la cura dell'ottima signora Maier, una vera perla. Non
avrei potuto affidare l'educazione dell'Anita a una persona qualunque, ma  posso
dire che persona più adatta, più degna e capace  della  buona  Maier  mai  avrei
potuto trovarla. Siate pure tranquillissimo e sicurissimo per Anita,  che  tutto
va per il meglio. Non saprei  dirvi  quanto  sono  felice  di  vederla  così  su
un'ottima strada, allegra, contenta e ubbidiente. Ieri avevamo una piccola festa
di famiglia. Erano qui mia sorella colle sue figlie, mio fratello e  la  Signora
Maier con Anita che, vestita non con sommo lusso ma come  conviene  alla  figlia
del mio illustre amico, fece un'ottima figura  col  suo  contegno  decoroso.  La
Sig.ra  Maier  ha  assunto  l'incarico  dell'educazione  dell'Anita  col  dovuto
rispetto e col vero amore che si deve al Vostro gran nome. Non  voglio  tediarvi
con più parole: tutto va benissimo. Mi trattengo qui  ancora  alcune  settimane,
vedendo Anita giornalmente. Riguardo al  romanzo  ve  ne  parlerò  più  a  lungo
un'altra volta, quando sarò in grado di comunicarvi un risultato definitivo. Per
oggi voglio solamente assicurarvi che da che lasciai  Caprera  è  stato  il  mio
prediletto dovere occuparmene tutti i giorni. Mi fermai tre giorni  a  Stuttgart
(Württemberg), ove abita G. Struve. Ho letto  con  lui  quanto  ho  tradotto  in
tedesco. È entusiasta e condivide pienamente il giudizio che vi diedi sulla rara
vostra opera, che  farà  un  effetto  fulminante  e  speriamo  molto  bene  alle
popolazioni addormentate. Sono stata in corrispondenza con diciotti editori! Non
me ne lagno, ve lo dico unicamente  per  assicurarvi  che  non  prendo  la  cosa
leggermente. Se volete scrivere  due  righe  all'Anita,  incoraggiandola,  senza
lodarla troppo e sancendo la sua dimora dalla Signora Maier, mi sarà molto grato
dargliele. Spero che conosciate abbastanza la profonda  adorazione  che  ho  per
voi, mio carissimo amico, per perdonare, e non male interpretare  la  franchezza
colla quale ho preso l'ardire di scrivervi. Ditemi  un  sì  confortante,  ditemi
come la vostra preziosa salute va e come la signora Menotti porta  il  suo  gran
nome e la felicità d'appartenere alla  vostra  famiglia.  Come  stanno  la  cara
Clelia e Francesca, Barbarini e Basso?  Un  saluto  affettuoso  a  tutti,  anche
dall'Anita, e un bacio pieno d'amicizia e di venerazione  sulla  vostra  adorata
mano dalla vostra per la vita Speranza.


Caprera, 15 settembre 1868. Speranza amatissima, attendevo la vostra lettera con
un'ansia febbrile e sebbene io ami molto la mia Anita, ciò  che  desideravo  più
ardentemente erano ancora le notizie vostre e della vostra preziosa salute.  Con
la vostra sì grande intelligenza comprenderete bene che nel mio amore per voi vi
è molto egoismo. Comunque è un amore profondo che durerà  tanto  quanto  la  mia
vita. Vi mando per Anita due righe che le darete se le troverete convenienti. Un
ricordo affettuoso alla vostra famiglia e alla Signora Maier e  un  bacio  sulla
vostra mano dal vostro G. Garibaldi.

Tutti  qui  vi  salutano  e  anche  la  Pisceni  di  cui   vi   ricordate   così
affettuosamente.


Caprera, 21 ottobre 1868.  Speranza  amatissima,  conoscendo  la  vostra  grande
anima, mi astengo dal compiangervi per il trattamento esecrabile  di  cui  siete
stata vittima. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 28 ottobre 1868. Speranza  amatissima,  non  è  vero  che  avete  molto
sofferto della bassezza di  un  governo  immorale?  Conto  esclusivamente  sulla
grandezza della vostra anima, che saprà  disprezzare  questi  eccessi  di  viltà
criminale. Non conosco Venet e spero che non presterete orecchio a  ciò  che  vi
dirà un tale uomo. Che Dio vi protegga nel vostro viaggio!  Ricordatevi  che  il
mio cuore vi accompagna ovunque. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 16 novembre 1868. Cara e Gent.ma Signora  de  Schwartz,  spero  potervi
scrivere lungamente, quando stia meglio  della  mano  destra.  Non  voglio  però
lasciarvi senza una parola di gratitudine che  vi  invio  dal  fondo  dell'anima
commossa per quanto faceste per il nostro bravo C....  Voi  siete  veramente  un
angelo. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 14 dicembre 1868. Speranza amatissima, ecco ciò che mi  scrive  il  Dr.
Gaetano Cattaneo di  Codogua:  «La  Signora  Schwartz  deve  aggiungere  al  suo
testamento un codicillo nel quale nomina vostro figlio Menotti curatore di Anita
e dove dichiara nel tempo stesso che il capitale è  impiegato  in  modo  che  la
legataria usufruisca solamente delle rendite». Tralascio gli altri  dettagli  in
cui è entrato il notaio; Vi ho scritto l'essenziale. Mi mancano vostre notizie e
desidero averne. Ricordatevi di questa povera dimora e pensate che  sarò  sempre
felice di possedervi. Vostro per la vita G. Garibaldi.


Khalépa (Creta), 4 gennaio 1869. Amico amatissimo. non prima  di  ieri  ebbi  il
sommo piacere di ricevere la vostra carissima lettera in data  del  14  dicembre
insieme con le gentili righe del Signor Basso, ma, causa i vostri dolori, non mi
portò altro che la vostra santa  firma;  mille  grazie  per  tutto!  Io  anelava
veramente di avere vostre notizie, giacché i giornali vi fanno, a  torto  o  con
ragione, girare di qua e di là. Il non aver voluto Enrico Malatesta per prudenza
mandarmi la prima vostra lettera senza esser sicuro del mio arrivo qui, ecco  il
motivo del ritardo. Della vostra Anita ebbi poco fa ottime notizie. Credo che il
clima della Svizzera farà di vostra figlia, già così felicemente costituita,  un
fenomeno di forza e di energia. Spero, se non l'ha fatto finora, che  presto  vi
scriverà qualche riga in italiano; ha una compagna di Modena colla  quale  parla
sempre ed il maestro per  l'italiano  fu  il  primo  che  feci  dare  all'Anita,
affinché sappia bene la bella lingua nativa del suo Gran Padre, la bella  lingua
del sì. Lasciai Roma l'11 novembre per giungere qui il 4  dicembre.  Più  presto
non si poteva viaggiare umanamente e però ci  vollero  24  giorni.  Le  tempeste
della stagione non mi favorirono; venendo da Sira  a  Creta  (tragitto  che  col
vapore si deve fare in 24 ore) restai sei giorni in mare con borea spaventevole;
per fortuna l'Arcipelago offre molti porti di  rifugio  o  porti  naturali.  Più
serio delle tempeste avrebbe potuto riuscire per  me  un  avvelenamento  che  mi
accadde a Patras. Pochissimo  mancò  che  passassi  all'altra  vita:  ho  potuto
coll'aiuto di certi rimedi salvarmi, Dio permettendo, ma ho sofferto  tutti  gli
spasimi del cholera. Basta e più che basta di me. Immaginate con che stretta  di
cuore lessi l'infausta notizia della scelleratissima azione del 24 novembre. Non
posso esprimere il dolore che mi ferì il cuore e mi trafisse l'anima  perché  mi
pareva che io avrei dovuto e potuto impedire quell'atto atroce. Vi assicuro  che
nel momento in cui gli sbirri mi toglievano le carte,  li  avrei  annientati!  A
Roma ebbi la certezza (almeno mi fu detto  per  certissimo)  che  queste  povere
vittime sarebbero state risparmiate alla morte crudele e precoce.  Avrete  forse
maledetto la mia «maladresse» in quel momento critico, ma v'assicuro, amico mio,
che mi era impossibile agire differentemente. E  che  cosa  vi  dirò  di  questa
povera popolazione cretese? Se avessi saputo di trovare  le  condizioni  che  vi
sono, mai sarei venuta qui. L'esistenza fra tanti intrighi, tanta  scelleraggine
diplomatica, tante bugie da una parte e  dall'altra,  è  insopportabile,  dovrei
dire impossibile. Siamo in mezzo ai Pascià turchi rinnegati, in mezzo ai feriti,
ammalati, prigionieri, volontari sommessi e non sommessi. Non si può mai  sapere
la verità: ci sono certi signori consoli i  quali  appongono  la  loro  firma  a
lettere dettate da uno o dall'altro dei Pascià. Ad Atene mi fu detto dal console
americano che sapeva che non mi avrebbero permesso di  sbarcare  qui  e  che  il
console inglese non avrebbe fatto nessun passo per aiutarmi. Con tutto  ciò  non
mi lasciai né impaurire né sgomentare e  finora  ho  potuto  rimanere  inoffesa.
Tutte le famiglie ch'io conosceva sono partite, ma il  mio  bravo  cavallino  mi
riconobbe subito e si mostrò molto contento di tornare nel  possesso  della  sua
antica padrona; anche il  mio  povero  cane  con  tre  gambe  mi  ricevette  con
grandissima simpatia. Trovo l'attitudine della Grecia molto dignitosa, ma  spero
poco dal così detto Congresso. Il dramma che ha luogo qui da tre anni ci  mostra
che cosa possiamo aspettarci dall'inumano procedere dell'Occidente. Questo libro
che  mi  deste  su  Creta  è  un  orrore;  fu  stampato  a  Parigi,  alle  spese
dell'Ambasciata turca, sotto il nome di un così detto volontario, tutto in onore
dei turchi. Omer Pascià  (non  il  celebre  rinnegato,  ma  un  altro  rinnegato
ungherese) ha fatto prigioniero giorni fa il vecchio Petropoulabri (che combatté
nel '21) con diverse centinaia d'uomini; si sono tutti arresi in conseguenza  di
una lettera che il console francese scrisse togliendo loro ogni speranza.  Senza
l'aiuto dell'Enosis i cretesi possono sostenersi ancora due o tre mesi; ma  guai
se le cose vanno alle lunghe! I poveri cretesi sono perduti. Trovai Omer  Pascià
dal console inglese che me lo presentò come un Eroe! Cominciò subito a  parlarmi
in tedesco. Mi sentivo male in questa società e scappai presto. Perdonate questa
lunghissima chiacchierata. Tanti saluti a  tutti.  Vi  prego  di  scrivermi  una
parola sulla vostra  preziosissima  salute.  Sono  sempre  vostra  per  la  vita
Speranza.

Un bacio a Pisceni.


Khalépa (Creta), 9 gennaio 1869. Amico mio amatissimo, vi scrissi  pochi  giorni
fa lungamente; oggi vi mando soltanto poche righe col cuore lacerato dal dolore,
dovendo comunicarvi  che  dopo  quasi  tre  anni  di  lotta,  di  sacrifici,  di
sofferenze e di perdite d'ogni genere, i poveri  Cretesi  hanno  dovuto,  grazie
agli intrighi della Francia, darsi per vinti; tutto è stato  inutile  ed  eccoli
più che mai sotto il giogo dispotico del tiranno turco! Troppe volte una  simile
notizia fu sparsa sempre a torto. Ora però si  è  realizzata!  Il  vecchio  Capo
Petropoulabri, un eroe (ottuagenario) del  1821,  dopo  aver  letto  la  lettera
infame indirizzatagli dal console francese (lettera scritta di  certo  sotto  la
dettatura dei Pascià di qui), non ebbe altro da fare  che  arrendersi  coi  suoi
bravi. Il fatto dei  tre  giovani  sposi  Souboulabry,  Zebroulabry  e  Scolondi
accaduto a Skonia è troppo straziante per rammentarlo.  Io  aveva  viaggiato  un
mese con Scolondi che era in Creta il giovane più colto, più educato e bello  (e
uomo con mezzi) nel 1866; essi non hanno voluto sopravvivere al dolore della non
riuscita di quanto fecero per la patria. Ora,  grazie  all'Occidente  egoista  e
senza cuore, i signori diplomatici potranno riposare sui loro allori; per ora la
questione dell'Oriente non turberà nessuno. Il console italiano, il  mio  vicino
qui a Kalepa, è una persona d'uno zelo  per  i  suoi  compatrioti  raro:  ne  ha
salvati dalla forca diversi, che erano condannati  a  morte;  più  di  cinquanta
vostri (fra loro un bravo ufficiale chiamato de  Grandi)  hanno  sacrificato  la
loro vita sull'altare della libertà  Cretese!  Ora  il  console  ha  rapito  due
garibaldini dalle unghie delle autorità turche ed io  ho  potuto  assisterli  ed
anche vestirli con roba portata da Livorno: da più di due  anni  soffrono,  sono
molto ammalati. Dio sa se potranno essere salvati dalla malattia! Li ho affidati
a un medico svizzero che ho fatto venire qui. Siamo in angoscia  per  due  altri
italiani garibaldini che girano ancora perseguitati dai  Turchi  nelle  montagne
piene di neve. Il vecchio Petropoulabri fu mandato a Marathonisi in Grecia  dove
ha una proprietà. Suo figlio si è pure sottomesso; non ci saranno più  di  cento
volontari nell'isola che partiranno fra poco. Il trionfo  si  legge  sopra  ogni
fisonomia turca, il dolore sui volti dei Greci e dei Cretesi! Sperando fra  poco
sentire che godete buona salute e siete libero dai terribili  dolori  reumatici,
mi dico, carissimo amico mio, sempre vostra per la vita devotissima Speranza.


Caprera, 2 febbraio 1869. Cara e gentilissima Signora, la vostra lettera  del  4
del mese scorso che attendevo con impazienza mi ha reso felice. La  causa  della
Grecia è santa e sono degni d'onore  quelli  che  possono  battersi  per  questa
gloriosa nazione. Sono impaziente di baciarvi la mano e sono per  sempre  vostro
G. Garibaldi.

Tutti qui vi salutano cordialmente.


Caprera, 22 febbraio 1869. Cara e gent.ma Signora De Schwartz, non è ancor tempo
in cui la giustizia prevalga sulla scelleraggine. E tale  succede  nell'infelice
vostra Creta. Io sono superbo d'aver avuto degli italiani nostri che diedero  la
vita per quell'eroico popolo. Grazie a voi, anima  generosa,  per  il  beneficio
agli infelici. Un saluto di cuore da tutti e dal vostro G. Garibaldi.


Caprera, 30 marzo 1869. Speranza amatissima, se è vero che desiderate venir qui,
fatelo dunque! Voi sapete che sarete in ogni momento la benvenuta in questa casa
ove tutti vi amano. Venite! Creta è caduta con  eroismo!  Altri  che  sono  pure
caduti non possono dire altrettanto. Basta per oggi su questa  noiosa  politica.
Venite e finché vivrò vi sarò fratello e compagno. Francesca,  Pisceni  e  tutti
qui vi salutano. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 25 maggio 1869. Speranza amatissima, la vostra lettera del 2  maggio  è
piena di melanconia ed io ne sono afflitto perché sono triste io stesso  e  poco
capace di confortarvi. Comunque, paragonate la vostra sorte a  quella  di  tanti
altri che vi circondano e che sono ancor più  infelici;  se  la  sventura  degli
altri non può consolarvi, comprenderete almeno che la felicità terrestre  non  è
che nell'immaginazione degli uomini. Sono felice al pensiero che  contate  sulla
mia amicizia; tuttavia essa  è  così  imperfetta  che  occorre  veramente  tutta
l'indulgenza della vostra anima elevata per accettarla. Mi è dolce sapere che ne
apprezzate la sincerità e che lo manifestate. Vi attendo dunque al principio del
1870. Ho sofferto ultimamente in maniera molto seria dei miei  dolori  abituali;
ma mi sono quasi ristabilito. Sono privo da molto tempo delle  notizie  d'Anita;
ma spero che il proverbio «niente nuove buone nuove» si realizzerà. Francesca vi
saluta cordialmente e Clelia, che si ricorda sempre di voi, vi invia  un  tenero
bacio. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 21 luglio 1869. Speranza amatissima, che Anita chiami la Signora  Maier
madre prova come questa signora debba  essere  buona  e  quale  riconoscenza  la
fanciulla provi per lei. Riconoscenza! virtù delle anime buone. La mia  famiglia
è aumentata di una figlia: si chiama Rosa. È  tempo  di  finirla,  non  è  vero,
carissima mica? tanto più che invecchio a vista d'occhio.  Posso  immaginare  le
vostre sofferenze nell'eroica impresa che vi siete assunta, ottima  amica:  temo
sempre di sentire che siete ammalata. Quanto alla politica vi dirò soltanto  che
io non so chi sono i più perversi, quelli che ingannano o quelli che si lasciano
ingannare. Il fatto è che noi viviamo in una  società  ben  corrotta.  Un  bacio
ardente sulla vostra mano. Scrivete a colui che vi  appartiene  per  sempre.  G.
Garibaldi.


Caprera, 21 settembre 1869. Speranza amatissima,  la  vostra  piccola  tenda  mi
ricorda quella che avevo nell'America del Sud e sotto la quale abitavamo  Anita,
Menotti e io. Quante volte non ho dovuto in quelle escursioni,  tenendo  il  mio
cavallo per la briglia, proteggere  la  piccola  tenda  contro  i  furori  della
tempesta! Il mio fisico, allora così vigoroso e  agile,  è  ora  affranto  e  mi
sembra che le sole qualità del cuore mi siano rimaste, fra le altre  la  facoltà
di amare le anime belle come  la  vostra.  Dite  ai  vostri  eroici  vicini  che
rispondo di tutto cuore alla loro  simpatia  e  che  non  abbandono  affatto  la
speranza  che  essi  godranno  un  giorno  la  libertà   che   desiderano   così
ardentemente. I tiranni se ne vanno, i popoli restano!  Francesca  e  Clelia  vi
salutano affettuosamente. Io saluto tutti quelli che vi amano,  anche  i  vostri
cavalli, e sono sempre vostro G. Garibaldi.

P.S.  Avevo  dimenticato  di  dirvi  che  Rosa,  di  cui   vi   ricordate   così
affettuosamente, imparerà, come Clelia, a pronunciare il vostro nome con amore.


Caprera, 20 novembre 1869. Speranza amatissima, ho ricevuto  la  vostra  lettera
graditissima dei 31 ottobre e sono felice di sapervi in buona salute. Anche  voi
siete stata vittima della polizia. Ai  nostri  giorni  questo  vale  un  diploma
d'onestà nella nostra Europa corrotta. Desidero che il vostro  viaggio  sia  fra
breve compiuto, per avere la felicità di baciarvi la mano. Tutti qui vi salutano
e io sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Creta, 1 del 1870. Amico mio carissimo, la  prima  riga  che  scrivo  quest'anno
l'indirizzo a Voi, grand'anima; il mio cuore è pieno di voti per  Voi  e  quelli
che vi sono cari. So che c'è molto da desiderare, anzi troppo! Con tutto ciò non
vogliamo essere ingrati verso la  Provvidenza.  Temo  che  non  stiate  bene  di
salute, come desidero, e ciò mi riempie l'anima di dolore. Mi scrivete, ma  temo
che sia la vostra generosità che ve lo fa fare e che soffriate;  dunque  la  mia
più fervida preghiera sia per vostra salute, cara più d'ogni altro bene. Dio  sa
a che impresa mondiale il vostro braccio non  sia  ancora  destinato!  Dopo  che
avete fatto tanto,  non  sarebbe  che  giustizia  di  vedervi  coronare  l'opera
gigantesca affidatavi da Dio! Il momento della mia  partenza  s'avvicina;  direi
una bugia se dicessi che  lascio  Creta  volentieri.  Il  dovere  mi  chiama  in
Germania per vedere mio figlio, il dovere mi chiama in Isvizzera per  vedere  la
vostra Anita e la ricompensa sarà di baciarvi la mano  a  Caprera  passando  per
l'Italia. Ma lo stato politico dell'Europa mi disgusta. Sotto il  Turco  non  si
sta molto meglio, ma c'è sempre qui un elemento  di  antico  popolo  eroico  che
vivifica l'anima e Voi lo sapete meglio di me. Di certo a Roma non lo si  trova!
Vi scrivo solo due righe oggi, essendo massacrata da visite per il capo  d'anno;
vi ringrazio per la vostra carissima del 20  novembre,  giuntami  tardi.  Quando
voglio farmi del bene al cuore e alla mente, è a  Voi,  mio  grande  amico,  che
rivolgo i miei pensieri. Devo chiamarmi la più beata delle beate  di  conoscervi
come vi conosco. Le notizie dell'Anita sono ottime: l'opera che  ho  intrapreso,
grazie alle qualità rare della buona signora  Maier,  è  coronata  di  successo.
Anita promette di diventare una donna degna  del  sommo  obbligo  che  le  avete
imposto dandole il vostro nome. Non è un piccolo debito che  porta  con  sé,  se
vuol esserne degna. Vi prego di consegnare l'acclusa all'amico Darbosino.  Della
bell'Italia mai una parola? Tanti saluti a Francesca, un caro bacio alla Pisceni
ed uno più rispettoso alla mano dell'Eroe dei due  mondi,  alla  di  cui  salute
abbiamo bevuto oggi del buon vino! Sempre vostra per la vita Speranza.


Caprera, 6 febbraio 1870. Speranza amatissima, non  vi  scrivo  che  una  parola
d'affetto perché spero fra breve di baciarvi la mano. Mille  ringraziamenti  per
quanto riguarda Anita che ha avuto la buona fortuna d'incontrarvi  sul  sentiero
della sua vita. Ho la vostra lettera del 1° gennaio. Sono per la vita vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 17 maggio 1870. Cara a gentilissima Signora De Schwartz, vi aspetto  in
questa casa che spero considererete sempre, come la vostra. Vi bacio con affetto
la mano. G. Garibaldi.


Caprera, 14 giugno 1870. Cara e gent.ma  Signora  De  Schwartz,  sono  fortunato
colle vostre dell'8 e con quella di Anita. Essa non solo zia dovrebbe chiamarvi,
ma madre. Io desidero che i Turchi vi mandino via da Creta e  che  cerchiate  un
rifugio in questo nostro home di Caprera, ove sapete che  tutti  vi  amano.  Ciò
sarebbe una vera fortuna per le bambine e noi  procureremmo  di  trattarvi  meno
rozzamente che per il passato. Un bacio ad  Anita  ed  alla  Signora  Maier  dal
vostro G. Garibaldi.


Caprera, 13 luglio 1870. Speranza amatissima, Anita  è  veramente  fortunata  di
avervi incontrata sul sentiero della sua vita. Non credete voi che sarebbe  bene
che facesse più esercizi affinché non ingrassi troppo? Vi bacio la mano di tutto
cuore e sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 15 agosto 1870. Cara e gent.ma Signora De Schwartz, l'entusiasmo  della
vostra nobile nazione ci rallieta molto  e  Napoleone,  l'imperatore  mentitore,
pagherà senza dubbio questa volta tutte le sue bassezze. Un saluto cordiale agli
amici dal vostro G. Garibaldi.

P.S. Un saluto cordiale anche dal vostro devoto G. Basso.


Caprera, 20 agosto 1870. Speranza amatissima, io mi dolgo  d'ogni  massacro,  ma
sono molto felice della sconfitta di Napoleone. Spero che la  commedia  del  suo
impero di sangue e di menzogna sia alla fine. Un saluto affettuoso  ad  Anita  e
alla Signora Maier. Vi bacio cordialmente la mano. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 3 marzo 1871. Speranza carissima,  datemi  dunque  vostre  notizie.  Un
secolo è passato dacché non so niente di voi. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 25 luglio 1871. Cara e gent.ma Signora De Schwartz, ve ne prego, datemi
vostre notizie o, meglio ancora, venite subito a consolare il vostro amico della
vostra assenza. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 30 agosto 1871. Cara e gent.ma Signora  De  Schwartz,  noi  eravamo  in
un'ansia indescrivibile a vostro riguardo e  l'arrivo  della  vostra  affettuosa
lettera del 17 ci ha molto allietati. Voi sapete che siete amata da tutti qui  e
sarebbe una benedizione per questa isola di possedervi. Regolate dunque i vostri
interessi a Creta e venite a condividere il nostro home; ve ne sarò riconoscente
per tutta la mia vita. Vostro G. Garibaldi.


Caprera, 12 settembre 1871. Speranza amatissima, la vostra lettera di  Syra  non
mi ha soddisfatto; voi avete dubitato della mia amicizia e avete avuto torto  di
farlo. Ricordatevi che tutti qui vi vedono con piacere e vi  onorano  perché  lo
meritate. Vi attendo dunque prima dell'anno venturo, per  vivere  qui  con  noi.
Ringraziate a mio nome il Signor Console Enrico Colucci a  La  Canée  che  si  è
dimostrato così gentile a mio riguardo. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 25 novembre 1871. Speranza amatissima, ho saputo dal Sig. Malatesta che
una delle lettere che mi avete indirizzate si è smarrita e mi sembra che sia  un
secolo che sono senza vostre notizie. Vi  prego  vivamente,  scrivetemi  più  di
frequente. Ho scritto un altro romanzo storico - I Mille -.  Quanto  alla  parte
storica  è  tratta  dalla  mia  stessa  vita.  Non  avendo  delle  pretese  come
romanziere, non  ho  altro  scopo  che  quello  di  soddisfare  il  mio  bisogno
d'attività, di far conoscere le mie idee e di guadagnare un  obolo.  Menotti  ha
preso con sé sul continente una copia dei Mille, io ho qui l'originale  e  altri
manoscritti a vostra disposizione. Non so se e quando i Mille saranno  stampati.
Il deputato Cucchi si occuperà della loro pubblicazione. Scrivetemi;  non  posso
accontentarmi della vostra amicizia diminuita. Ho ricevuto notizie di Anita;  le
rispondo oggi. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 1 gennaio 1872. Speranza amatissima, vedrete dalla mia calligrafia  che
la mia mano destra è paralizzata,  ciò  che  mi  ha  impedito  di  scrivere  con
l'ultimo corriere. Delle Piscine non resta che Clelia; Rosa,  come  l'altra  mia
piccina che ho perduto in America, era troppo bella,  troppo  buona  per  questo
basso mondo. Sembra che tali esseri siano  in  questa  valle  di  miserie  delle
piante esotiche destinate a regioni più felici. Rosa è morta il 1° gennaio 1871,
mentre ero in Francia e il suo corpicino angelico riposa  sotto  il  ginepro,  a
sinistra della strada di Fontanaccia, «ove  un  sasso  distingue  le  sue  dalle
infinite ossa che in terra e in mar semina morte»! Quando voi abbellirete la mia
casa della vostra presenza, visiteremo la tomba della nostra Rosa, non  è  vero?
Clelia ha un buon cuore, ma  assomiglia  per  il  resto  ad  Anita;  queste  due
fanciulle sono lontane  dall'eguagliare  le  Rose.  Speriamo  che  il  proverbio
francese:

Mauvais enfant - bon homme

si realizzerà. Voi non siete felice, mia carissima amica,  e  ciò  mi  addolora,
essendo la mia anima indissolubilmente legata  d'affetto  alla  vostra.  Anch'io
divento più vecchio e desidero ardentemente di vedervi fra poco.  Sempre  vostro
G. Garibaldi.


Caprera, 29 gennaio 1872. La vostra carissima lettera del  29  del  mese  scorse
porta l'impronta della malinconia: così essa è tanto più  cara  alla  mia  anima
depressa dalle sofferenze fisiche. Sì, Speranza mia! il terribile male,  che  da
così lungo tempo mi tormenta, prende inesorabilmente possesso del mio corpo.  Il
peggio è che attacca la mia mano e che io mi trovo spesso nell'impossibilità  di
scrivere. Ho mandato la copia del  manoscritto  dei  Mille  al  deputato  Cucchi
affinché lo dia da stampare all'editore che offre di più. Ho conservato tuttavia
l'originale, che è destinato a voi. Devo tuttavia farvi notare che  copiando  il
mio lavoro, l'ho, per quanto  possibile,  corretto  e  completato,  dal  che  ne
consegue che le copie sono meno imperfette. Speravo di  consegnarvi  l'originale
dei miei Mille qui, a Caprera, e desidero vivamente  di  non  essere  deluso  in
questa speranza. Comunque, se desiderate averlo in Creta, ve lo manderò  per  il
tramite di Malatesta. Copio ora le mie Memorie, che  vi  sono  ben  note,  e  mi
consacro a questo lavoro, temendo che il mio dolore alla mano  non  arrischi  di
impedirmi  di  finirlo.  Copiando   questo   manoscritto,   cerco   naturalmente
d'aggiungere degli episodi nuovi e di ornarlo di riflessioni ispirate dalla  mia
esperienza. Questo lavoro è senza dubbio difficile per me; io farò  tuttavia  il
possibile per perfezionarlo. Non vi è niente di romanzesco  nelle  mie  Memorie;
siccome tuttavia mi sono appropriato il titolo  di  romanziere,  era  necessario
farvi questa dichiarazione. Vi ho già detto che la mia salute peggiora e che  ho
bisogno di vedervi. Venite dunque e il peso insoffribile della vita mi sarà meno
grave in vostra compagnia. Francesca vi saluta cordialmente e Clelia vi manda un
bacio. Non vado a Nizza e vi attendo a Caprera. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 20 febbraio 1872. Speranza  amatissima,  ho  ricevuto  ieri  la  vostra
lettera del 21 gennaio, gradita come sempre,  ma  un  po'  malinconica  come  la
vostra anima contristata. Io desidero ogni giorno più di baciarvi la mano  e  vi
attendo. Cucchi si trova a Milano per trattare col Rechiedei per la vendita  del
mio manoscritto dei Mille. Si compone di 400 pagine. Siccome non  sono  pressato
di venderlo, cercherò di ricavarne più denaro che sia possibile. Ho riveduto  le
prime cento pagine delle mie Memorie e continuerò. Sempre affettuosamente vostro
G. Garibaldi.


Caprera, 27 marzo 1872. Speranza amatissima, mille ringraziamenti per  l'offerta
di mille lire. Se mi trovassi in bisogno le accetterei certamente con gioia,  ma
non è così. Io non sto male e viviamo nella speranza di possedervi fra poco. Chi
sa se l'aria di Caprera sarebbe favorevole ai  vostri  poveri  occhi?  Un  bacio
affettuosissimo sulla vostra mano  da  colui  che  è  vostro  per  la  vita.  G.
Garibaldi.


Caprera, 24 aprile 1872. Speranza  amatissima,  desidero  anzitutto  che  queste
righe vi trovino in viaggio per Caprera. Credo che il manoscritto dei Mille sarà
tradotto in inglese dalla Signora Mario. La correzione delle Memorie è alla 350a
pagina e, come vedere, non scrivo che con  difficoltà.  Ciò  nonostante,  lavoro
attivamente a  quest'opera,  tanto  spesso  quanto  mi  è  possibile.  Vi  bacio
affettuosamente la mano e vi dico pieno di speranza: arrivederci presto!  Sempre
vostro G. Garibaldi.


Caprera,  4  giugno  1872.  Speranza  amatissima,  come  vedere,  ho   la   mano
convalescente e sorto da uno dei soliti attacchi. Con Francesca abbiamo studiato
la carta geografica per sapere se lontana era la  vostra  dimora  di  Creta.  In
nessuna circostanza ho sentito tanto la mancanza  di  un  yacht  per  andarvi  a
cercare noi stessi; e ciò vi prova quanto desiderio abbiamo di  vedervi.  Venite
dunque, e presto. Francesca e Clelia vi inviano un  bacio  affettuoso.  Io  sono
sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 2 luglio 1872. Speranza amatissima, sono molto inquieto per  non  avere
vostre notizie e Anita è nello stesso caso. Scrivetemi dunque più di  sovente  e
ditemi che la vostra salute si è ristabilita. Noi  vi  attendiamo  qui  ad  ogni
vapore. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 13 agosto 1872.  Speranza  amatissima,  la  vostra  gentilissima,  come
sempre, del 27 scorso, mi ha dolorosamente commosso. Dunque voi, anima eletta, e
tanto squisita, mi ponete in dubbio il per me dolce conforto  di  rivedervi?  Ne
sarei disperato, vedete! Oh! ditemi che verrete a vederci, che  giungerete  qui,
ove tutti saremo felici di possedervi. Vi bacio la mano con affetto e  vi  porgo
un carissimo saluto di Francesca e di Clelia. Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 26 agosto 1872. Amatissima mia, ciò che m'importa  è  la  preziosissima
salute vostra, e scrivetemene ogni corriere.  Duolmi  avervi  fatto  pena  nella
penultima mia e ne fui pentito subito inviata. Vogliatemelo  perdonare.  Nessuno
più di voi ha dei diritti sulle risoluzioni relative alla nostra Anita,  che  vi
deve la sua vita morale e per cui meritate tutta la mia  gratitudine.  Abbiatevi
cura, scrivetemi sempre  e  ricordatevi  che  anch'io  porto  amore  alla  brava
popolazione di Creta. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 24 settembre 1872. Speranza amatissima, siete sempre provata  da  nuove
sventure, amica diletta! Più procediamo  negli  anni,  più  siamo  sensibili  ai
cattivi aspetti della vita. Io che vorrei offrirvi un conforto, sono affranto da
tante diverse  sofferenze  fisiche  e  morali  che  non  so  che  fare.  Vi  amo
sinceramente, e siccome, secondo me, l'amore  non  è  altro  che  un  sentimento
ideale e il vero  amore  è  rarissimo,  spero  di  rendervi  felice  con  questa
dichiarazione.  Vi  attendiamo  sempre.   Francesca   e   Clelia   vi   salutano
cordialmente. Sempre vostro G. Garibaldi.

Ho ricevuto la vostra malinconica lettera del 4 settembre.


Caprera, 22 ottobre 1872. Speranza amatissima, da ieri ho la preziosa vostra del
5. Io sto meno male; ma  la  mia  Clelia  travasi  da  vari  giorni  con  febbre
letargica fortissima. Spero ancora non avere la sventura di  perdere  la  nostra
Pisceni, che mi farebbe disperato. Permettetemi di non proseguire, e vi bacio la
mano con affetto. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 20 novembre 1872. Speranza amatissima, la vostra cara  lettera  del  29
ottobre è, come le precedenti, molto malinconica. Io vorrei  addolcire  col  mio
affetto la vostra continua tristezza. Pisceni è stata sulla soglia della  morte,
causa una terribile febbre miliare; non si ristabilisce che lentamente.  Abbiate
grande cura della vostra preziosa salute per colui che vi ama per sempre. Sempre
vostro G. Garibaldi.


Caprera, 20 novembre 1872. Speranza amatissima, Clelia sta meglio  e  spero  che
sia fuori di pericolo. Ella ci ha dato e ci  dà  ancora  molte  inquietudini.  I
quaranta giorni in cui è stata ammalata,  a  letto,  con  una  febbre  costante,
l'hanno ridotta quasi uno scheletro. Questa vita non è, in verità, una valle  di
lacrime in cui

. . . . . . . e l'uomo e le sue tombe E l'estreme sembianze e le reliquie  Della
terra e del ciel traveste il tempo?

Comunque, benché abituato alle stragi dei campi di battaglia, preferirei  morire
prima della mia bambina. Viene il medico. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 18 dicembre 1872. Speranza amatissima, Clelia va sempre  migliorando  e
noi tutti stiamo bene, e col desiderio di vedervi presto. I miei Mille  sono  in
potere del Dr. Riboli che li sta copiando, per inviarli poi al Prof.  Zamboni  a
Vienna, che li farà tradurre in tedesco. Ho creduto mio dovere di  prevenirvene.
Datemi notizie della vostra salute. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 4 marzo 1873. Speranza amatissima, vi scrivo dal  letto,  soffrendo  di
nuovo dei miei reumatismi  abituali.  Tuttavia  spero  di  poter  camminare  fra
qualche giorno. Ho ricevuto oggi la vostra cara lettera del 31  gennaio.  Vedete
dunque come le lettere subiscono del ritardo! L'annuncio della  vostra  prossima
visita mi ha allietato il cuore. Clelia è ristabilita e vi  è  riconoscente  del
vostro benevolo ricordo. Vi presenta i suoi saluti, e così pure  sua  madre.  Ho
ricevuto ottime notizie da Anita e nella speranza di potere, fra poco,  baciarvi
la mano, Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 25 marzo 1873. Speranza amatissima, voi siete  meno  triste  da  quando
avete con voi vostro cugino. Salutatelo da parte mia. Francesca  sarà  fra  poco
nell'ottavo mese della sua gravidanza. Il manoscritto dei Mille  è  affidato  al
mio amico, il dottor Riboli. Niente di particolare da dirvi  in  proposito.  Noi
viviamo nella speranza di avervi qui in aprile, in questa casa che è la  vostra.
Troverete Clelia ristabilita. Un saluto cordiale da noi tutti. Sempre vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 31 marzo 1873. Speranza amatissima, vi scrivo con gli  occhi  pieni  di
lagrime. Leggendo la terribile notizia, dicevo a Francesca, che condivide il mio
dispiacere, che ho sempre avuto il dolore di veder colpiti dalla sventura i miei
più cari amici. Potrei citare mille esempi nel corso della mia vita  tempestosa.
I medici vi raccomanderanno un'immobilità assoluta e io so che cosa sia, io  che
dopo la catastrofe di Aspromonte sono rimasto inchiodato sul letto  per  tredici
mesi. È inutile che vi esorti a farvi coraggio, mia  diletta  amica,  perché  so
quanto ne avete. Ma supplico il vostro eccellente cugino che fortunatamente  può
assistervi di sostituire presso di voi anche noi che vi amiamo tanto. Scrivetemi
ad ogni corriere. Ricevete un saluto cordiale da Francesca  e  da  Clelia  e  un
bacio sulla mano benefica da colui che è per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera,  13  maggio  1873.  Speranza  amatissima,  porgete  un  cenno  mio   di
gratitudine a Mr. Vaume per la cura gentile, sapiente ed affettuosa, che vi  sta
prodigando e dite ad Angelina che la bacio caramente e che le sono  riconoscente
per tutta la vita. Voi sempre sul giaciglio del dolore, dolcissima amica mia! Ed
io sì poco atto a trovare una parola di conforto per voi,  ch'io  vorrei  pagare
col mio sangue. Penserò per l'affare Battistina. Vi bacio la mano  con  affetto.
Vi supplico di darmi spesso vostre nuove e sono per la vita vostro G. Garibaldi.

P.S. Francesca ebbe un maschio il 23 aprile.


Caprera, 10 giugno 1873. Speranza amatissima, sono molto afflitto  della  vostra
infelice situazione tanto più che mi è impossibile di darvi il minimo conforto -
anche con parole di consolazione - perché il mio cuore, come il vostro, è  pieno
d'amarezza. Il neonato della mia Francesca si chiama Manlio e  ha  già  quaranta
giorni. Verrete a  vederlo,  non  è  vero?  e  presto,  mia  diletta  amica.  Vi
attendiamo. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 17 luglio 1873. Speranza amatissima, Battistina mi scrisse:  desiderava
molto vedere sua figlia ed io ad essa: che pazientasse, che io stesso l'invierei
a cercarla, in caso voi tardaste molto a tornare sul continente. Anita poi,  con
più senno di me, mi dice: che brama terminare la sua educazione, conforme al mio
e vostro desiderio. Quanto avete sofferto nella caduta, carissima mia! I  vostri
cavalli di Caprera saranno  certamente  più  docili  del  vostro  passe-partout.
Venite dunque e presto. Tutti vi salutano caramente ed io sono sempre vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 20 agosto 1873. Speranza amatissima, come vedete dalla mia  calligrafia
ho la mano paralizzata. Ho dovuto stare a letto per molti  giorni,  ma  ora  sto
meglio. Ricevete di nuovo i miei ringraziamenti più sinceri per  tutto  ciò  che
avete fatto per Anita e per sua madre (che merita poco una tale bontà). In altri
momenti mi avreste visto arrivare all'improvviso a Khalépa; oggi sono inchiodato
a quest'isola, senza potermi muovere. Se vi fosse gradito avere una  persona  di
fiducia per accompagnarvi qui, potrei  mandarvi  Menotti.  Scrivetemi  a  questo
proposito e datemi in generale  più  spesso  notizie.  Per  la  vita  vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 2 settembre 1873. Speranza amatissima, vi domando  oggi  notizie  della
vostra preziosa salute; più tardi non potrò forse più, causa il  reumatismo  che
si fa spesso sentire alla mia mano destra. Raccontatemi tutti i vostri dolori  e
le vostre speranze, mia carissima amica. Più siete infelice, più mi siete  cara.
Francesca, Clelia e Manlio vi mandano un  bacio  e  io  sono  sempre  vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 23 settembre 1873. Speranza amatissima, abbisogno  di  notizie  vostre,
vogliate darmene ogni corriere, ve ne prego. Qui tutti vi salutano caramente  ed
io sono sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 30 settembre 1873. Speranza amatissima, avete con voi Ernesto e ne sono
contento. La presenza di vostro figlio lenirà certamente i dolori  a  cui  foste
dannata da sorte troppo crudele. Io dico spesso che questo mondo non è fatto per
la gente onesta. Voi, tanto buona e generosa, vi siete  trovata  in  un  inferno
sulla terra. Venga presto la primavera, ch'io possa baciarvi la  mano  benefica.
Credo meglio che Battistina non sia andata da Anita e non vada più. Troppo avete
fatto per essa e per tutti. Scrivetemi sempre e per la vita vostro G. Garibaldi.

Tutti vi salutano caramente.


Caprera, 6 ottobre 1873. Speranza amatissima, grazie per la gentilissima  vostra
del 20 scorso e per la ricetta per cui vi prego di  ringraziare  il  Dr.  Vaume,
Sono fortunato di sentirvi migliorata. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 14 ottobre 1873. Speranza amatissima, vi ho contristata raccontandovi i
miei dolori e vi prego di perdonarmi. Quanto alla ricetta  che  avete  avuto  la
grande bontà di mandarmi, non ne farò alcun  uso,  perché  non  credo  alla  sua
efficacia per guarire il mio male cronico. I miei migliori ringraziamenti per la
vostra gentile lettera del 28 del mese scorso. Le vostre lettere mi  confortano:
scrivetemi sempre, come farò da parte mia. Avete sempre Angelina con voi? Ditemi
nella vostra prossima che siete meno triste; ciò mi renderà felice. Francesca  e
Clelia si ricordano affettuosamente a voi.  Manlio  sarà  il  vostro  beniamino,
quando lo vedrete; ha due denti. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 4 novembre 1873. Speranza amatissima, «Questo mondo non è fatto  per  i
buoni», così dicevo al Salto, quando il Ministro della Guerra d'allora, il  Gen.
Pacheco, mi annunciò da Montevideo la morte della mia prima Rosita. Ripeto  oggi
la stessa frase ogni volta che passo davanti alla tomba della mia  seconda  Rosa
che era, come la prima, un angelo! E anche voi  avete  perduto  la  perla  della
vostra famiglia. Che dolore! Povero il vostro fratello! Io comprendo l'immensità
dell'angoscia del suo  cuore  di  padre.  Vi  prego  di  dirmi  come  state,  ma
sopratutto che siete abbastanza forte per sopportare  la  vostra  così  profonda
afflizione. Un saluto cordiale da tutti. Sono sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 2 dicembre 1873. Speranza amatissima,  sono  pienamente  d'accordo  con
voi; bisogna ritirare Anita dalla  pensione  perché  diventi,  sotto  la  vostra
guida, una donna di casa. Voi  fissate,  come  epoca  dell'uscita,  il  mese  di
luglio. Ditemi quando dovrò informarne la fanciulla e  la  maestra.  Non  vorrei
agire troppo precipitosamente, ma farò in ogni caso ciò  che  mi  consiglierete.
Salutare da parte mia Angelina, e ditele che le sono veramente grato delle  cure
che vi prodiga. Ditemi quando pensate di poter lasciare il letto e presso a poco
quando avremo la felicità di avervi a  Caprera.  Tutti  vi  salutano  e  pensano
affettuosamente a voi. Sono sempre vostro G. Garibaldi.

Italia è a Roma e non ha figli. Francesca vi  prega  di  essere  la  madrina  di
Clelia, cosa di cui vi sarei riconoscentissimo.


Caprera, 16 dicembre 1873. Speranza amatissima, troverete qui acclusa  la  copia
della mia lettera alla signora Maier.

«Vous direz à Anita de ma part: qu'il vaut mieux ne pais faire des fautes que de
se répentir après les avoir faites; et  que  j'espère  par  sa  conduite  future
qu'elle saura vous les faire oublier. «Dites lui: que je suis  un  Général  sans
solde, et par conséquent pas riche, et qu'elle abandonne donc ses  velléités  de
luxe et de coquetterie, pour n'être qu'unc bonne et  hônnete  femme  de  ménage.
Vous lui direz: qu'elle  doit  considérer  Madame  de  Schwartz  comme  sa  mère
adoptive, qui a déjà eu des soins immenses pour elle et  à  qui  elle  devra  sa
fortune future. Madame de Schwartz ira ou enverra prendre Anita dans le mois  de
juillet prochain, et si elle est sage, comme j'espère, elles viendront  ensemble
à Caprera. Surtout qu'Anita aie beaucoup de soins pour Madame de Schwartz.  Elle
méritera ainsi toute ma reconnaissance. Je vous prie de faire lire la présente à
Anita et en vous remerciant pour la bienveillance que  vous  continuez  à  avoir
pour ma fille, je suis votre devoué G.».

Questa mia lettera è stata determinata da due lettere della signora  Maier,  che
vi unisco. Desidero che l'approviate e sono per la vita vostro G. Garibaldi.

Ho dimenticato di dirvi che ho ricevuto da Anita una lettera  piena  di  lamenti
che ho stracciata senza rispondere.


Caprera, 20 gennaio 1874. Speranza amatissima, a quest'ora la  Signora  Maier  è
avvertita che nel luglio voi ritirerete  Anita  dal  suo  istituto;  avrete  già
ricevuto copia di una lettera che la Signora Maier mi ha inviata. Io  credo  che
sarà meglio che teniate Anita presso di voi  per  aiutarvi  ed  io  scriverò  in
questo senso alla ragazza, nel caso in cui ella non abbia nessun altro  progetto
in vista. Io pure provai dei violenti dolori al ginocchio  della  gamba  ferita,
quando  prigioniero,  invalido  e  in  pericolo  al  Varignano,   ero,   o   mia
benefattrice, l'oggetto delle vostre  cure  più  affettuose.  Vorrei  che  Anita
potesse essermi utile come bastone da invalido; ciò mi renderebbe tanto  felice.
Mi ricordo che Barberini mi ha parlato spesso e favorevolmente del Dott.  Sanini
di Parma. Clelia e Francesca sono contente e riconoscenti della  gentile  vostra
accettazione. La vostra figlioccia vi ricorda  sempre  con  affetto  e  ricambia
l'affettuoso vostro bacio. A rivederci presto. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 27 gennaio 1874. Speranza mia, a tanti mali e affanni che vi  assillano
senza  pietà  mancava  la  disubbidienza  di  mia  figlia!  Apprezzo   l'immenso
sacrificio da voi fatto e ve ne sarò riconoscente  tutta  la  vita.  La  Signora
Maier ha male interpretato il nostro comune desiderio educando Anita nel  lusso,
questo mostro del nostro secolo, come l'avete ben definito. È mio desiderio  che
Anita faccia tutto ciò che può esservi utile. Ciò le sia di regola  per  la  sua
condotta futura: io non vi transigerò. Scrivetemi sempre e credetemi per la vita
vostro G. Garibaldi.


Caprera, 10 marzo 1874. Speranza amatissima, quando avrò il  bene  di  avervi  a
Caprera, decideremo dell'avvenire di Anita. Mi  duole  molto  che  accanto  alle
tante afflizioni che amareggiano la vostra vita, abbiate anche  delle  noie  per
mia figlia, e vorrei dare  il  mio  sangue  per  liberarvi  da  questi  fastidi.
L'inverno è stato molto più dolce qui  degli  anni  scorsi;  vedo  dalla  vostra
lettera che in Creta come nel sud dell'Italia è stato molto rigoroso.  Francesca
e la Pisceni vi salutano cordialmente. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 4 maggio 1874. Speranza amatissima, la vostra lettera del 18  del  mese
scorso mi ha afflitto, perché lascia trasparire tutto  il  dolore  della  vostra
anima. Sono del tutto incapace di consolarvi, essendo io stesso così  esacerbato
da tante cose che vi racconterò quando avrò il bene  di  baciarvi  la  mano.  Vi
hanno tradita, mia povera amica, e vi tradiranno ancora, come hanno tradito me e
mi tradiranno di nuovo. Non è così  in  questo  mondo  perverso  che  si  chiama
civile? Venite a passare qualche giorno con noi in questa isola.  Troverete  qui
della gente che vi ama: venite. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 25 maggio 1874. Speranza amatissima, quando arriverete a Caprera saremo
tutti felici. Vi aspettiamo dunque e io sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 28 maggio 1874. Speranza amatissima, vi attendo  dunque  l'8  del  mese
venturo con la matrona, il piccolo cane e tutto ciò che vi piacerà  d'avere  con
voi. Spero che riposerete qui il vostro  fisico  stanco.  Vedrete  come  i  miei
dolori mi hanno provato e piangeremo  insieme.  Un  saluto  cordiale  da  tutti.
Sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 22 giugno 1874. Speranza amatissima, un sincero ringraziamento  per  la
graziosissima fotografia che è di già messa nell'album di Francesca, come per la
birra, il formaggio, i biscotti e il sapone. A cominciare da bell'uomo noi tutti
qui sentiamo la vostra assenza e speriamo di  rivedervi  fra  poco.  Nell'attesa
scrivetemi sempre e consideratemi per la vita come vostro G. Garibaldi.

Vi mando due lettere che sono venute qui per voi.


Caprera, 7 luglio 1874. Speranza amatissima, la vostra buona lettera del 28  del
mese scorso era attesa da noi con ansia. La notizia data da un giornale  che  un
treno di viaggiatori, diretto da Zurigo a Winterthur, aveva deviato  e  che  una
signora era ferita, ci ha molto inquietati. Le disgrazie nella  vita  sono  così
frequenti! E lo sapete bene anche voi. Datemi, vi prego, sempre vostre  notizie.
Tutti qui vi salutano cordialmente. Sempre vostro G. Garibaldi.

Clelia e bell'uomo, al quale ho appena dato un FlikFlok, vi mandano un fiore.


Tügen nel Tirolo, 3 agosto 1874. Amatissimo amico,  grazie  mille  per  la  cara
premura espressa nelle preziose righe del 7 luglio. Sto bene e non  presi  parte
alla disgrazia sulla ferrovia. Sto qui per pochi giorni, colla sorella, in santa
solitudine, ma gli affari di famiglia, l'ingratitudine e la  mancanza  di  cuore
dei nostri figli, per i quali si sacrifica tutto, mi riempie  di  duolo.  L'aria
rigida di queste valli alpestri non confà agli  occhi  miei;  perdonate  dunque,
amatissimo, se scrivo poco e male. Devo  però  dirvi  che  ebbi  ieri  la  buona
notizia che l'ottimo Sgarallino mi ha trovato una donna di servizio di 35  anni,
senza figli, ma maritata; ne sono contenta. Soffro qui nella città fra il  lusso
e tante sciocchezze mondane e sospiro il ritorno a Creta. Poi  tutte  le  spese,
anche quelle di viaggio, sono raddoppiate di prezzo. Basta, spero  di  scrivervi
più lietamente e degnamente, quando avrò  lasciato  il  nord  e  la  così  detta
civilizzazione. Ebbi una  lettera  di  Anita.  Sta  bene  e  pare  contentissima
all'idea di venire con me. Un caro saluto a Francesca e tanti baci al bell'uomo.
La Zingarella non deve rotolarsi sulla terra, se non vuol ricevere quattro e più
Flik Flok Flak dalla sua madrina. Che ne dite? Mi occupo sempre  delle  Memorie.
Baciando la santa mano che le  scrisse,  mi  dico  ben  di  cuore  tutta  vostra
Speranza.

Scusate, scusate! Scrivo così male!


Caprera, 8 agosto 1874.  Speranza  amatissima,  credo  che  sia  meglio  che  mi
mandiate Anita qui per regolare la cosa con Battistina. Benché abbiate già avuto
tanti fastidi per causa di mia figlia, vi chiedo, mia  eccellente  amica,  anche
quest'ultimo sacrificio. Conducetela con voi fino a Livorno quando  verrete,  vi
prego, e là consegnatela  al  mio  amico  Andrea  Sgarallino  (major).  Egli  la
accompagnerà a Caprera. Mi direte se questa proposta sia di  vostro  gradimento,
poiché con tutta la gratitudine che vi devo, sarei infelice se dovessi  causarvi
il minimo dispiacere. Per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 10 agosto 1874. Cara e gent.ma Signora De Schwartz, non  vi  scrivo  io
stesso essendo la mia mano paralizzata. Sono molto contento che abbiate  trovato
una buona domestica e ancora più felice che Anita vi  accompagni  volentieri.  I
miei amici di  Sicilia  mi  fanno  sperare  che  daranno  200.000  lire  per  il
manoscritto autografo delle mie Memorie. Ma siccome questa fortuna mi sembra  un
po' troppo brillante, avrò occasione di scrivervene più tardi. Tuttavia, se essa
si realizza e voi non possiate trovarmi una somma ancora più forte, vi  pregherò
di lasciare il manoscritto, al  vostro  ritorno,  presso  il  Signor  Malatesta.
Flik-Flok-Flak sono qui  all'ordine  del  giorno  per  la  vostra  figlioccia  e
bell'uomo. Francesca e tutti vi salutano. Scrivete sempre; sono tutto vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 1 settembre 1874. Speranza amatissima, Battistina  non  mi  scrive  che
quando  ha  bisogno  di  denaro;  presto  mi  scriverà  di  nuovo   ed   allora,
rispondendole, la metterò al suo posto. Intanto invio a voi,  egregia  amica,  i
miei migliori ringraziamenti per la  generosità  di  cui  mi  avete  dato  prova
assumendovi l'educazione e l'assistenza di mia figlia Anita, e sarò  ben  felice
se vorrete continuare a proteggerla e a tenerla presso di voi, non solo a Creta,
ma dovunque. Vi unisco due righe  per  Anita  e  sono  per  la  vita  vostro  G.
Garibaldi.


Caprera, 2 settembre 1874. Cara e gent.ma  Baronessa  De  Schwartz,  mio  figlio
Menotti non ha per il momento l'intenzione di far stampare le  mie  Memorie.  Vi
prego dunque di consegnargliele e se Menotti non ha la fortuna  di  incontrarvi,
incaricatene il Sig. Malatesta. Sono con riconoscenza vostro G. Garibaldi.


Caprera, 28 settembre 1874. Speranza amatissima, nuova gratitudine da parte  mia
per la generosa risoluzione di continuare il non facile incarico dell'educazione
e protezione della mia Anita. Bramo sommamente una nuova vostra lettera, che  mi
rassicuri sullo stato della vostra salute. In una mia antecedente vi scrissi che
Menotti desidera che le mie Memorie non sieno pubblicate per ora e spero  avrete
ricevuto tale lettera. Scrivetemi e sono sempre vostro G. Garibaldi.


Livorno, 4 ottobre 1874 Carissimo Amico, quanto  vi  sono  riconoscente  per  la
bella sorpresa che mi faceste mandandomi qui in dono I  Mille!  Questo  prezioso
libro, ornato dalle affettuose parole che vi scriveste, ha un valore  indicibile
per me e ne vado veramente superba. Grazie anche per la vostra cara lettera  del
28 settembre: non dubitate, caro amico, avrete il vostro manoscritto non  appena
avrò verificato l'opinione di Longman, cosa che  mi  interessa  per  Voi  assai.
Rispetto la vostra decisione di non pubblicar le Memorie. La mia salute, giacché
gentilmente ne parlate, mi ha dato l'ultimo mese una grave inquietudine. Dovendo
vivere ci piace di farlo con le  minori  sofferenze  possibili  perché  esse  ci
levano sempre la possibilità di fare quell'atomo di bene che possiamo al  nostro
prossimo. Basta, per non tediarvi, vi dirò  che,  ammalata  a  Ginevra,  dovetti
consultare due dottori i quali mi fecero temere di avere  il  principio  di  una
grave malattia di stomaco. Passo in silenzio il viaggio  che  feci  sola,  sola,
trascorrendo le notti (scusatemi le parole) con  vomiti  continui  e  fortissimi
dolori. A Firenze il male mi  tormentò  talmente  che  fu  forza  consultare  il
Ghinozzi. Prendo i rimedi che mi ordinò e benché sia lontana dal  benessere  che
godeva a Caprera, sto di certo meglio di prima. Dunque  speriamo.  Parto  domani
per Roma, ove riposerò quindici giorni,  prima  di  ritirarmi  nella  mia  beata
solitudine di Creta. Ora una domanda. Volete - se trovo  la  persona  a  Roma  -
ch'io le parli sopra quel soggetto matrimoniale del quale parlammo quando stetti
con Voi? Ed ora un'altra notizia che vi assicuro non  contribuì  a  sanarmi  per
viaggio. Da molti mesi io vi pregai di scrivere alla Signora Maier che Anita  la
lascerebbe nel luglio. Ma, viste tante difficoltà, dovetti  pregarla  di  tenere
Anita fino al 7 ottobre. Poi, non desiderando di mandare Anita né a Nizza  né  a
Caprera, ma sempre sperando di averla  con  me,  se  non  quest'anno,  forse  il
prossimo, e così di terminare  onorevolmente  e  con  mia  intera  soddisfazione
un'opera che il mio affetto per Voi, grande dei grandi, mi fece intraprendere  e
non avendo trovato la casa idonea per Anita in Isvizzera, ammalata  com'io  era,
scrissi alla Maier che volevo lasciarle Anita ancora di più. Questa  Signora  mi
telegrafò il giorno prima ch'io partissi da Ginevra: La mia casa è piena, ma per
riguardo vostro farò di tutto e terrò l'Anita. Eccomi tranquillizzata!  Parto  e
vi scrivo da Torino: Anita resta per ora a Winterthur. Figuratevi la mia  rabbia
quando ricevetti il giorno appresso dalla Signora Maier una lettera furibonda in
cui diceva: Vi telegrafai che terrei Anita per tranquillizzarvi sul momento,  ma
non lo posso, non ho un buco dove metterla: poi le idee di  viaggio,  di  venire
con voi le fanno girare la testa: non posso prenderne più la responsabilità! Per
fortuna io conosceva un'ottima pensione nel Cantone  de  Vaud,  dove  le  figlie
della mia più intima amica furono educate con eccellenti risultati. Per dire  la
verità ho sentito parlare tanto bene di quel «pensionnat» che  dovendo  lasciare
Anita in Isvizzera ve l'avrei messa, se non avessi temuto di offendere la  Maier
levandogliela. Se fossi stata contenta in tutto della Maier, non  vi  avrei  mai
pregato di levarla da Winterthur. Ora la cosa si fa da sé e  sono  convintissima
che Anita guadagnerà molto. Di certo mi ha dato un bel da fare a scrivere di qua
e di là e se non mi conosceste potreste pensare: Che diavolo! Speranza mi scrive
che Anita resta a Winterthur e due giorni dopo la mette in  un  altro  Istituto!
Perciò vi  ho  tediato  raccontandovi  tutto  l'andamento  della  cosa.  Ora  ho
stabilito che l'8 di questo mese Anita sarà accompagnata da persona  fidatissima
da Winterthur a Echallens - un viaggio in ferrovia di circa 10 o 12 ore. Ho  già
mandato il primo trimestre alla Sig. Cruchet,  le  ho  scritto  già  tre  lunghe
lettere. Anita le è caldamente raccomandata non solo dal suo  illustre  nome  ma
dalla mia amica di Ginevra che ebbe a Echallens le sue figlie.  Il  «Pensionnat»
di Echallens è posto, così sento, in un bel parco ove le giovani godono tutto il
bene della  campagna.  La  ferrovia  tocca  il  paesetto  Echallens,  situato  a
piccolissima distanza di Lausanne. Io avrei dovuto domandarvi il permesso  prima
di prendere questa decisione ma: 1° Il tempo non bastava per ottenerlo prima del
7 ottobre e un sentimento di onore leso mi fa desiderare di non  lasciare  Anita
un'ora a Winterthur dopo l'8. 2° Chiedendo il vostro permesso,  sembrerebbe  che
io volessi liberarmi di Anita. 3° So che avete - e  con  ragione  spero  -  ogni
fiducia in me e che siete ben persuaso che voglio unicamente  il  vero  bene  di
Anita. Ora, se per sanzionare la mia azione, voleste  gentilmente  scrivere  due
sole righe a

M.lle Cruchet Pensionnat Cruchet - Echallens près Lausanne (Suisse)

sarebbe bene, così la Cruchet saprà che onorate la mia scelta e che sperate ogni
bene per la vostra figlia. Mi rincresce di tediarvi con una sì lunga lettera, ma
era mio dovere di spiegarvi tutto. Lo faccio non per voi, ma per dirvi  che  non
mi restava altro da fare e che, a parte l'incomodo di tante lettere, sono felice
di sapere Anita dalla Cruchet e non più a Winterthur. Spero che  non  scriverete
nessuna lettera di ringraziamento alla  Maier  perché  ha  dimostrato  rapacità,
mancanza di cuore verso di me, ammalatissima ed in viaggio,  mancanza  d'affetto
per Anita che aveva da sei anni e mezzo da figlia in casa, mancanza di  rispetto
verso il suo nome, insomma ogni difetto degli svizzeri  interessati.  Un  saluto
affettuoso a Francesca. Vostra di cuore Speranza.


Caprera, 14 ottobre 1874. Speranza amatissima, grazie mille per quanto fate  per
la mia Anita. Scriverò ad essa ed alla signora Cruchet. Contentissimo di sapervi
migliorata in salute, bramo vi  abbiate  cura  e  massime  avere  spesso  vostre
notizie. Vi prego di non occuparvi dell'affare matrimonio  per  non  dare  ombra
all'avvocato Crispi. Francesca, Clelia e Flik, Flok, Flak vi salutano  caramente
ed io sono sempre vostro G. Garibaldi.


Caprera, 17 novembre 1874. Speranza amatissima, che Dio vi accompagni nel vostro
faticoso viaggio e conservi  la  vostra  salute  che  mi  è  così  preziosa!  Ho
sottoscritto oggi un atto di cessione delle mie Memorie per la somma di  200.000
lire al Comune di Palermo, riservandomi i diritti d'autore e alla condizione che
non saranno pubblicate senza il mio consenso. Lo  vedete,  non  sono  condizioni
disprezzabili! Telegraferò in proposito al Sig.  Dennis.  Non  ho  ricevuto  che
ieri, dopo sedici giorni, la vostra lettera del primo di questo mese. Scrivetemi
subito. Sono per la vita vostro G. Garibaldi.


Caprera, 23 dicembre 1874. Speranza amatissima, quanto sono  addolorato  di  non
sapervi contenta! Ma chi lo è in questo mondo? Credo che andrò a Roma, ma non so
quando. Il Comune di Palermo esita a consegnare le mie Memorie agli Archivi  per
la somma di 200.000 lire; esse sono presso Albanese e  sono  in  conseguenza  di
nuovo a mia disposizione. Ho ricevuto una lettera da Anita  e  le  ho  risposto.
Pare che sia stanca del pensionato. In ogni caso, penserete voi a ciò. Lascio  a
voi la cura della traduzione tedesca delle mie Memorie e sono per la vita vostro
G. Garibaldi.


Caprera, 18 marzo 1875. Speranza amatissima, siete  proprio  perseguitata  dalla
sventura e ne sono profondamente addolorato. Faceste benone con Anita e spero vi
sarà compagna fedele ed affettuosa. Scrivetemi sempre. Io sono breve per la mano
addolorata. Francesca ed  i  bimbi  vi  salutano  caramente.  Sempre  vostro  G.
Garibaldi.


Roma, 30 marzo 1875. Speranza amatissima,  spero  che  Anita  sarà  degna  della
vostra affezione e che verrete a trovarmi tutte e due a Roma appena che lo stato
del vostro braccio vi permetterà di viaggiare. Io dovrò restare parecchi mesi in
questa città prima di poter pensare al mio Tuscolo. Mi  occupo  dei  lavori  del
Tevere e del porto, della bonifica della campagna romana, e non  vorrei  lasciar
raffreddare l'entusiasmo attuale. Scrivetemi sempre e datemi delle buone notizie
del vostro braccio. Francesca, Clelia e il bell'uomo vi  salutano  cordialmente.
Per la vita vostro G. Garibaldi.


Roma,  7  maggio  1575.  Speranza  amatissima,  non  mi  scrivete  niente  della
condizione della vostra salute, che mi interessa più di ogni altra cosa.  Ditemi
dunque per quanto riguarda Anita se Menotti deve venire  a  prenderla  verso  il
mese di giugno o a un'altra epoca che vi sarà più  comoda.  Fatemi  sapere  come
state e credetemi per la vita vostro G. Garibaldi.

Francesca e tutta la famiglia vi salutano.


Frascati 24 giugno 1875. Speranza amatissima, con Menotti oggi è  giunta  Anita,
ben portante e fatta donna; ma con una carica  di  pidocchi,  come  non  ho  mai
veduto creatura umana averne tanti! Ve lo dico per darvi un concetto delle donne
a cui l'avete affidata. Francesca ha cominciato la pettinatura e  spero  fra  un
mese di quotidiana pulizia di liberare la  ragazza  dagli  ospiti  incomodi.  Da
Anita ho saputo che state bene e ne sono felice. Scrivetemi sempre,  comandatemi
e tenetemi per la vita, con gratitudine, sempre vostro G. Garibaldi.

P.S. Tutti qui vi salutano.
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Creato da: Astalalista - Ultima modifica: 25/Apr/2004 alle 12:38 Etichettato con ICRA
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