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Vittorio Alfieri - Mirra

Vittorio Alfieri download

Vittorio Alfieri

Mirra

ALLA NOBIL DONNA LA SIGNORA CONTESSA LUISA STOLBERG D'ALBANIA.


Vergognando talor che ancor si taccia, donna, per me l'almo tuo nome  in  fronte
di queste ormai giá troppe, e a te ben conte tragedie, ond'io di  folle  avrommi
taccia; or vo' qual d'esse meno a te dispiaccia di te fregiar: benché  di  tutte
il fonte tu sola fossi; e il viver mio non conte, se non dal dí che al viver tuo
si allaccia. Della figlia di Ciniro infelice l'orrendo a un tempo  ed  innocente
amore, sempre da' tuoi begli occhi il pianto elíce: prova emmi  questa,  che  al
mio dubbio core tacitamente imperíosa dice; ch'io di  MIRRA  consacri  a  te  il
dolore.

        VITTORIO ALFIERI

PERSONAGGI

CINIRO; CECRI; MIRRA; PERÉO; EURICLÉA; Coro; Sacerdoti; Popolo.

Scena, la reggia in Cipro

ATTO PRIMO


SCENA PRIMA

CECRI, EURICLÉA.

CECRI Vieni, o fida Euricléa: sorge ora appena l'alba; e sí tosto a me venir non
suole il mio consorte. Or, della figlia nostra misera tanto, a  me  narrar  puoi
tutto. Giá l'afflitto tuo volto, e i mal repressi tuoi sospiri, mi annunziano...
EURICLÉA Oh regina!... Mirra infelice, strascina una vita  peggio  assai  d'ogni
morte. Al re non oso pinger suo stato orribile: mal puote un padre  intender  di
donzella il pianto; tu madre, il puoi. Quindi a te vengo; e prego, che  udir  mi
vogli. CECRI È ver, ch'io da gran tempo di sua  rara  beltá  languire  il  fiore
veggo: una muta, una ostinata ed alta malinconia mortale appanna in lei quel  sí
vivido sguardo: e, piangesse ella!... Ma, innanzi a me, tacita stassi; e  sempre
pregno ha di pianto, e asciutto sempre ha il ciglio. E invan l'abbraccio;  e  le
chieggo, e richieggo, invano ognor, che il suo dolor mi  sveli:  niega  ella  il
duol; mentre di giorno in giorno io dal dolor strugger la veggio. EURICLÉA A voi
ella è di sangue figlia; a me, d'amore; ch'io, ben sai,  l'educava:  ed  io  men
vivo in lei soltanto; e il quarto lustro è quasi a mezzo giá, che al seno mio la
stringo ogni dí fra mie braccia... Ed or, fia vero, che a me, cui tutti  i  suoi
pensier solea, tutti affidar fin da bambina, or chiusa a me pure  si  mostri?  E
s'io le parlo del suo dolore, anco a me il niega, e  insiste,  e  contra  me  si
adira... Ma pur, meco spesso, malgrado suo,  prorompe  in  pianto.  CECRI  Tanta
mestizia, in quel cor giovenile, io  da  prima  credea,  che  figlia  fosse  del
dubbio, in cui su la vicina scelta d'uno sposo ella stavasi. I piú prodi  d'Asia
e di Grecia principi possenti,  a  gara  tutti  concorreano  in  Cipro,  di  sua
bellezza al grido: e appien per noi donna di  se  quanto  alla  scelta  ell'era.
Turbamento non lieve in giovin petto dovean recare i varj,  e  ignoti,  e  tanti
affetti. In questo, ella il valor laudava; dolci modi, in quello: era  di  regno
maggiore l'un; con maestá beltade era nell'altro somma: e qual piaceva piú  agli
occhi suoi, forse temea che al padre piacesse meno. Io, come madre e  donna,  so
qual battaglia in cor tenero e nuovo di  donzelletta  timida  destarsi  per  tal
dubbio dovea. Ma, poiché tolta ogni contesa ebbe Peréo, di Epíro l'erede; a cui,
per nobiltá, possanza, valor,  beltade,  giovinezza,  e  senno,  nullo  omai  si
agguagliava; allor che l'alta scelta di Mirra a noi pur tanto piacque; quando in
se stessa compiacersen ella lieta  dovea;  piú  forte  in  lei  tempesta  sorger
vediamo, e piú mortale angoscia la travaglia ogni dí?... Squarciar  mi  sento  a
brani a brani a una tal vista il core. EURICLÉA Deh, scelto pur non avesse  ella
mai! Dal giorno in poi, sempre il suo mal piú crebbe: e questa notte,  ch'ultima
precede l'alte sue nozze, (oh cielo!) a lei la estrema temei non  fosse  di  sua
vita. - Io stava tacitamente immobil nel mio letto, che dal suo non è lungi;  e,
intenta sempre ai moti suoi, pur di dormir fea vista: ma, mesi e  mesi  son,  da
ch'io la veggo in tal martír, che dal mio fianco antico fugge ogni posa. Io  del
benigno Sonno, infra me tacitissima, l'aíta per la figlia invocava: ei  piú  non
stende da molte e molte notti l'ali placide sovr'essa. - I suoi sospiri eran  da
prima sepolti quasi; eran pochi; eran rotti:  poi  (non  udendomi  ella)  in  sí
feroce piena crescean, che al fin, contro sua voglia, in pianto dirottissimo, in
singhiozzi si cangiavano, ed anco in alte strida. Fra il lagrimar, fuor del  suo
labro usciva una parola sola: «Morte... morte;» e in tronchi accenti  spesso  la
ripete. Io balzo in piedi; a lei corro, affannosa: ella, appena mi vede, a mezzo
taglia ogni sospiro, ogni parola e pianto; e, in sua regal fierezza  ricomposta,
meco addirata quasi, in salda voce mi  dice:  «A  che  ne  vieni?  or  via,  che
vuoi?...»  Io  non  potea  risponderle;  io   piangeva,   e   l'abbracciava,   e
ripiangeva... Al fine riebbi pur lena, e parole.  Oh,  come  io  la  pregai,  la
scongiurai, di dirmi il suo martír, che rattenuto in  petto,  me  pur  con  essa
uccideria!... Tu madre, con piú tenero e vivo  amor  parlarle  non  potevi,  per
certo. - Ella il sa bene s'io l'amo; ed anche, al mio parlar, di nuovo gli occhi
al pianto schiudeva, e mi abbracciava, e con amor mi rispondea. Ma, ferma sempre
in negar, dicea; ch'ogni donzella, per le vicine nozze, alquanto è  oppressa  di
passeggera doglia; e a me il comando di  tacervelo  dava.  Ma  il  suo  male  sí
radicato è addentro, egli  è  tant'oltre,  ch'io  tremante  a  te  corro;  e  te
scongiuro di far sospender le sue nozze: a morte va la  donzella,  accertati.  -
Sei madre; nulla piú dico. CECRI ... Ah!... pel gran pianto,... appena... parlar
poss'io. - Che mai, ch'esser può mai?... Nella sua  etade  giovanil,  non  altro
martíre ha loco, che d'amor martíre. Ma,  s'ella  accesa  è  di  Peréo,  da  lei
spontanea scelto, onde il lamento, or ch'ella  per  ottenerlo  sta?  se  in  sen
racchiude altra fiamma, perché scegliea fra tanti ella  stessa  Peréo?  EURICLÉA
... D'amor non nasce  il  disperato  dolor  suo;  tel  giuro.  Da  me  sempr'era
custodita; e il core a passíon nessuna aprir potea, ch'io nol vedessi. E a me lo
avria pur detto; a me, cui tiene (è ver) negli anni madre, ma in amore, sorella.
Il volto, e gli atti, e i suoi sospiri, e il suo silenzio, ah!  tutto  mel  dice
assai, ch'ella Peréo non ama. Tranquilla almen, se non allegra,  ella  era  pria
d'aver scelto: e il sai, quanto indugiasse a scegliere.  Ma  pur,  null'uomo  al
certo pria di Peréo le piacque: è ver,  che  parve  ella  il  chiedesse,  perché
elegger uno era, o il credea, dovere. Ella non l'ama; a me ciò pare: eppur, qual
altro amarne a paragon del gran Peréo potrebbe? D'alto cor la conosco; in  petto
fiamma, ch'alta non fosse, entrare a lei non  puote.  Ciò  ben  poss'io  giurar:
l'uom ch'ella amasse, di regio sangue ei fora;  altro  non  fora.  Or,  qual  ve
n'ebbe qui, ch'ella a sua posta far non potesse di sua man felice? D'amor non  è
dunque il suo male. Amore, benché di pianto e di sospir si pasca, pur lascia  ei
sempre un non so che di speme, che in fondo al cor traluce; ma di  speme  raggio
nessuno a lei si affaccia: è piaga insanabil la sua; pur troppo!...  Ah!  morte,
ch'ella ognor chiama, a me deh pria venisse!  Almen  cosí,  struggersi  a  lento
fuoco non la vedrei!... CECRI Tu mi disperi... Ah! queste nozze non  vo',  se  a
noi pur toglier ponno l'unica figlia... Or va; presso lei torna; e non  le  dir,
che favellato m'abbi. Colá verrò, tosto che asciutto il ciglio io m'abbia, e  in
calma ricomposto il volto. EURICLÉA Deh! tosto vieni. Io torno a lei;  mi  tarda
di rivederla. Oh ciel! chi sa, se mentre io cosí a lungo teco favellava chi  sa,
se nel feroce impeto stesso di dolor non ricadde? Oh! qual  pietade  mi  fai  tu
pur, misera madre!... Io volo; deh! non tardare; or, quanto indugi meno, piú ben
farai... CECRI  Se  l'indugiar  mi  costi,  pensar  tu  il  puoi:  ma  in  tanto
insolit'ora, né appellarla vogl'io, né a lei venirne,  né  turbata  mostrarmele.
Non vuolsi in essa incuter né timor, né doglia: tanto  è  pieghevol,  timida,  e
modesta, che nessun mezzo è mai benigno troppo, con  quella  nobil  indole.  Su,
vanne; e posa in me, come in te sola io poso.

SCENA SECONDA

CECRI.



Ma, che mai fia? giá l'anno or volge quasi, ch'io con lei mi consumo;  e  neppur
traccia della cagion del suo dolor ritrovo! - Di  nostra  sorte  i  Numi  invidi
forse, torre or ci von sí rara figlia, a entrambi  i  genitor  solo  conforto  e
speme? Era pur meglio il non darcela, o Numi.  Venere,  o  tu,  sublime  Dea  di
questa a te devota isola sacra, a sdegno la sua troppa  beltá  forse  ti  muove?
Forse quindi al par d'essa in fero stato me pur riduci?  Ah!  la  mia  troppa  e
stolta di madre amante baldanzosa gioja, tu vuoi  ch'io  sconti  in  lagrime  di
sangue...

SCENA TERZA

CINIRO, CECRI.

CINIRO Non pianger donna. Udito in breve ho il  tutto;  Euricléa  di  svelarmelo
costrinsi Ah! mille volte pria morir vorrei, che all'adorata nostra unica figlia
far forza io mai. Chi pur creduto avrebbe, che trarla a tal dovessero  le  nozze
chieste da lei? Ma, rompansi. La vita nulla mi cal, nulla il mio regno, e  nulla
la gloria mia pur anco, ov'io non vegga felice appien  la  nostra  unica  prole.
CECRI Eppur, volubil mai Mirra non era. Vedemmo in  lei  preceder  gli  anni  il
senno; saggia ogni brama sua; costante, intensa nel  prevenir  le  brame  nostre
ognora. Ben ella il sa, se di sua nobil scelta noi ci estimiam beati:  ella  non
puote quindi, no mai, pentirsene. CINIRO Ma pure, s'ella in cor sen pentisse?  -
Odila, o donna: tutti or di madre i molli affetti adopra con lei; fa ch'ella  al
fine il cor ti schiuda, sin che n'è tempo. Io t'apro il mio frattanto; e dico, e
giuro, che il pensier mio primo è la mia figlia. È ver, che amico farmi  d'Epíro
il re mi giova: e il giovinetto Peréo  suo  figlio,  alla  futura  spene  d'alto
reame, un altro pregio aggiunge, agli occhi miei maggiore. Indole umana, e cuor,
non men che nobile, pietoso ei mostra. Acceso, in  oltre,  assai  lo  veggio  di
Mirra. - A far felice la mia figlia, scer non potrei piú  degno  sposo  io  mai;
certo egli è di sue nozze; in lui, nel padre, giusto saria  lo  sdegno,  ove  la
data fe si rompesse; e a noi terribil anco esser può l'ira  loro:  ecco  ragioni
molte, e possenti, d'ogni prence agli occhi; ma nulle ai  miei.  Padre,  mi  fea
natura; il caso, re. Ciò che ragion di stato chiaman gli altri miei  pari,  e  a
cui son usi pospor l'affetto natural, non fia nel mio paterno seno mai  bastante
contra un solo sospiro della figlia. Di sua  sola  letizia  esser  poss'io,  non
altrimenti, lieto. Or va; gliel narra; e dille in un, che a me spiacer non tema,
nel discoprirmi il vero: altro non tema, che di far noi con se stessa  infelici.
Frattanto udir vo' da Peréo, con arte, se riamato egli s'estima; e il voglio  ir
preparando a ciò che a me non meno dorria, che a lui. Ma pur,  se  il  vuole  il
fato, breve omai resta ad arretrarci l'ora. CECRI Ben parli: io volo  a  lei.  -
Nel dolor nostro, gran sollievo mi arreca il veder, ch'uno voler concorde, e  un
amor solo, è in noi.



ATTO SECONDO


SCENA PRIMA

CINIRO, PERÉO.

PERÉO Eccomi a' cenni tuoi. Lontana molto, spero, o re,  non  è  l'ora,  in  cui
chiamarti padre amato potrò... CINIRO Peréo, m'ascolta. - Se te stesso  conosci,
assai convinto esser tu dei, quanta e qual  gioja  arrechi  a  un  padre  amante
d'unica sua figlia genero averti. Infra i rivali illustri, che gareggiavan teco,
ove uno sposo voluto avessi a Mirra io stesso  scerre,  senza  pur  dubitar,  te
scelto avria. Quindi, eletto da lei, se  caro  io  t'abbia  doppiamente,  tu  il
pensa. Eri tu il primo di tutti in tutto, a senno altrui; ma al mio, piú che pel
sangue e pel paterno regno, primo eri, e il sei,  per  le  ben  altre  doti  tue
veramente, onde maggior saresti d'ogni re  sempre,  anco  privato...  PERÉO  Ah!
padre... (giá d'appellarti di un tal nome io godo) padre, il piú grande, anzi il
mio pregio solo, è di piacerti. I detti tuoi mi attento troncar; perdona: ma mie
laudi tante, pria di mertarle, udir non posso. Al core degno sprone  sarammi  il
parlar tuo, per farmi io quale or tu mi credi, o brami. Sposo  a  Mirra,  e  tuo
genero, d'ogni alto senso dovizia aver degg'io:  ne  accetto  da  te  l'augurio.
CINIRO Ah! qual tu sei, favelli. - E perché tal tu sei, quasi a  mio  figlio  io
parlarti ardirò. - Di vera fiamma ardi, il veggo, per Mirra; e  oltraggio  grave
ti farei, dubitandone. Ma,... dimmi;... se  indiscreto  il  mio  chieder  non  è
troppo,... sei parimente riamato? PERÉO ... Io  nulla  celar  ti  debbo.  -  Ah!
riamarmi, forse Mirra il vorrebbe, e par nol  possa.  In  petto  giá  n'ebbi  io
speme; e ancor lo spero; o almeno, io men lusingo. Inesplicabil cosa,  certo,  è
il contegno, in ch'ella a me si mostra. Ciniro, tu,  benché  sii  padre,  ancora
vivi ne' tuoi verdi anni, e  amor  rimembri:  or  sappi,  ch'ella  a  me  sempre
tremante viene, ed a stento a me si accosta; in volto d'alto  pallor  si  pinge;
de' begli occhi dono a me mai non fa; dubbj,  interrotti,  e  pochi  accenti  in
mortal gelo involti muove; nel  suolo  le  pupille,  sempre  di  pianto  pregne,
affigge; in doglia orrenda sepolta è l'alma; illanguidito il fiore di sua  beltá
divina: - ecco il suo stato. Pur, di nozze ella parla; ed  or  diresti,  ch'ella
stessa le brama, or che le abborre piú assai che morte; or ne  assegna  ella  il
giorno, or lo allontana. S'io ragion le chieggo di sua tristezza, il  labro  suo
la niega; ma di dolor pieno, e di morte, il viso disperata la  mostra.  Ella  mi
accerta, e rinnuova ogni dí, che sposo vuolmi; ch'ella m'ami,  nol  dice;  alto,
sublime, finger non sa il suo core. Udirne il vero io bramo e temo a  un  tempo:
io 'l pianto affreno; ardo, mi struggo, e dir non l'oso. Or voglio  di  sua  mal
data fede io stesso sciorla; or vo' morir, che perder non la  posso;  né,  senza
averne il core, io possederla vorrei... Me lasso!... ah! non so ben s'io viva, o
muoja omai. - Cosí, racchiusi entrambi,  e  di  dolor,  benché  diverso,  uguale
ripieni l'alma, al dí fatal siam giunti, che irrevocabil  oggi  ella  pur  volle
all'imenéo prefiggere... Deh! fossi vittima almen di dolor tanto io solo! CINIRO
Pietá mi fai, quanto la figlia... Il tuo franco e caldo  parlare  un'alma  svela
umana ed alta: io ti credea ben tale; quindi men franco non mi udrai parlarti. -
Per la mia figlia io tremo. Il duol d'amante divido io teco; ah! prence, il duol
di padre meco dividi tu. S'ella infelice per mia cagion mai fosse!... È ver, che
scelto ella t'ha sola; è ver, che niun l'astringe... Ma, se pur onta, o timor di
donzella... se Mirra, in somma, a  torto  or  si  pentisse?...  PERÉO  Non  piú;
t'intendo. Ad amator, qual sono, appresentar puoi tu  l'amato  oggetto  infelice
per lui? ch'io me pur stimi cagion, benché innocente, de' suoi  danni,  e  ch'io
non muoja di dolore? - Ah! Mirra di me, del mio  destino,  omai  sentenza  piena
pronunzi: e s'or Peréo le incresce, senza temenza il dica: io non  pentito  sarò
perciò di amarla. Oh! lieta almeno del mio pianger foss'ella!... A me fia  dolce
anco il morir, pur ch'ella sia felice. CINIRO Peréo, chi  udirti  senza  pianger
puote?... Cor, né il piú fido, né in piú fiamma acceso del tuo, non  v'ha.  Deh!
come a me l'apristi, cosí il dischiudi anco alla figlia: udirti, e non ti aprire
anch'ella il cor, son certo, che nol potrá. Non  la  cred'io  pentita;  (chi  il
fora, conoscendoti?) ma trarle potrai dal petto la cagion tu forse del  nascosto
suo male. - Ecco, ella viene;  ch'io  appellarla  giá  fea.  Con  lei  lasciarti
voglio; ritegno al favellar d'amanti fia sempre un padre. Or, prence, appien  le
svela l'alto tuo cor che ad ogni cor fa forza.

SCENA SECONDA

MIRRA, PERÉO.

MIRRA Ei con  Peréo  mi  lascia?...  Oh  rio  cimento!  Vieppiú  il  cor  mi  si
squarcia... PERÉO È sorto, o Mirra, quel giorno al  fin,  quel  che  per  sempre
appieno far mi dovria felice, ove tu il fossi. Di nuzíal corona ornata il crine,
lieto ammanto pomposo, è ver, ti veggo: ma il tuo volto, e i tuoi sguardi,  e  i
passi, e ogni atto, mestizia è in te. Chi della propria vita  t'ama  piú  assai,
non può mirarti, o Mirra, a nodo indissolubile venirne in tale aspetto. È questa
l'ora, è questa, che a te non lice piú ingannar te stessa, né  altrui.  Del  tuo
martír (qual ch'ella sia) o la cagion dei dirmi, o almen dei dirmi,  che  in  me
non hai fidanza niuna; e ch'io mal rispondo a tua scelta, e che  pentita  tu  in
cor ne sei. Non io di ciò terrommi offeso, no; ben di mortal cordoglio pieno  ne
andrò. Ma, che ti cale in somma il disperato duol d'uom che niente ami,  e  poco
estimi? A me rileva or troppo il non farti infelice. - Ardita, e franca parlami,
dunque. - Ma, tu immobil taci?... Disdegno e  morte  il  tuo  silenzio  spira...
Chiara è risposta il tuo tacer: mi abborri; e dir non l'osi...  Or,  la  tua  fe
riprendi dunque: dagli occhi tuoi per sempre a tormi tosto mi  appresto,  poiché
oggetto io sono d'orror per te... Ma, s'io pur dianzi  l'era,  come  mertai  tua
scelta? e s'io il divenni dopo, deh! dimmi; in che ti  spiacqui?  MIRRA  ...  Oh
prence!... L'amor tuo troppo il mio dolor ti pinge fero piú assai,  ch'egli  non
è. L'accesa tua fantasia ti spigne oltre ai confini del vero. Io taccio  al  tuo
parlar novello; qual maraviglia? inaspettate cose odo, e non grate; e, dirò piú,
non vere: che risponder poss'io? - Questo alle nozze è il convenuto  giorno;  io
presta vengo a compierle; e di me dubita intanto il da me scelto sposo?  È  ver,
ch'io forse lieta non son, quanto il dovria chi raro sposo  ottiene,  qual  sei:
ma, spesse volte la mestizia è natura; e mal potrebbe darne  ragion  chi  in  se
l'acchiude: e spesso quell'ostinato  interrogar  d'altrui,  senza  chiarirne  il
fonte, in noi l'addoppia. PERÉO T'incresco; il veggo a espressi  segni.  Amarmi,
io sapea che nol puoi; lusinga stolta nell'infermo mio core entrata  m'era,  che
tu almen non mi odiassi: in tempo ancora, per la tua  pace  e  per  la  mia,  mi
avveggio ch'io m'ingannava. - In me non sta (pur troppo!)  il  far  che  tu  non
m'odj: ma in me solo sta, che tu non  mi  spregj.  Omai  disciolta,  libera  sei
d'ogni promessa fede. Contro tua  voglia  invan  l'attieni:  astretta,  non  dai
parenti, e men da me; da falsa vergogna, il sei.  Per  non  incorrer  taccia  di
volubil, tu stessa, a te nemica, vittima farti del tuo error vorresti:  e  ch'io
lo soffra, speri? Ah! no. - Ch'io t'amo, e  ch'io  forse  mertavati,  tel  debbo
provare or, ricusandoti... MIRRA Tu godi di vieppiú disperarmi... Ah! come lieta
poss'io parer, se l'amor tuo non veggo mai  di  me  pago,  mai?  Cagion  poss'io
assegnar di un dolor, che in me supposto è in gran parte? e che pur, se in parte
è vero, origin forse altra non ha, che il nuovo stato a cui mi  avvicino;  e  il
dover tormi dai genitori amati; e il  dirmi:  «Ah!  forse,  non  li  vedrai  mai
piú;...» l'andarne a ignoto regno; il cangiar di cielo;... e mille e mille altri
pensier, teneri tutti, e mesti; e tutti al certo,  piú  ch'a  ogni  altro,  noti
all'alto tuo gentile animo umano. - Io, data a te  spontanea  mi  sono:  né  men
pento; tel giuro. Ove ciò fosse, a te  il  direi:  te  sovra  tutti  estimo:  né
asconder cosa a te potrei,... se pria non l'ascondessi  anco  a  me  stessa.  Or
prego; chi m'ama il piú, di questa mia tristezza il men mi parli, e svanirá, son
certa. Dispregierei me stessa, ove pur darmi volessi a te, non ti apprezzando: e
come non apprezzarti?... Ah! dir ciò ch'io non penso, nol sa il mio labro: e pur
tel dice, e giura, ch'esser mai d'altri non vogl'io, che tua. Che ti poss'io piú
dire? PERÉO ... Ah! ciò che dirmi potresti,  e  darmi  vita,  io  non  l'ardisco
chiedere a te. Fatal domanda! il peggio fia l'averne certezza. - Or, d'esser mia
non sdegni adunque? e non ten penti? e nullo indugio omai?... MIRRA No; questo è
il giorno; ed oggi sarò tua sposa. - Ma,  doman  le  vele  daremo  ai  venti,  e
lascerem per sempre dietro noi queste rive. PERÉO Oh! che favelli?  Come  or  sí
tosto da te stessa affatto discordi? Il patrio suol,  gli  almi  parenti,  tanto
t'incresce abbandonare; e vuoi ratta cosí, per sempre?... MIRRA Il  vo';...  per
sempre abbandonarli;... e morir... di dolore... PERÉO Che ascolto? Il duol ti ha
pur tradita;... e muovi sguardi e parole disperate. Ah! giuro,  ch'io  non  sarò
del tuo morir stromento; no, mai; del  mio  bensí...  MIRRA  Dolore  immenso  mi
tragge, è ver... Ma no, nol creder. - Ferma sto nel proposto mio.  -  Mentre  ho
ben l'alma al dolor preparata, assai men crudo mi fia  il  partir:  sollievo  in
te... PERÉO No, Mirra: io la cagione, io 'l son (benché innocente) della orribil
tempesta, onde agitato, lacerato è il tuo core. - Omai vietarti sfogo  non  vo',
col mio importuno aspetto. - Mirra, o tu stessa ai  genitori  tuoi  mezzo  alcun
proporrai, che te sottragga a sí infausti legami; o udrai da  loro  oggi  tu  di
Peréo l'acerba morte.

SCENA TERZA

MIRRA.


Deh! non andarne ai genitori... Ah! m'odi... Ei mi s'invola... -  Oh  ciel!  che
dissi? Ah! tosto ad Euricléa si voli: né un istante, io rimaner vo' sola con  me
stessa...

SCENA QUARTA

EURICLÉA, MIRRA.

EURICLÉA Ove sí ratti i passi tuoi rivolgi, o mia  dolce  figliuola?  MIRRA  Ove
conforto, se non  in  te,  ritrovo?...  A  te  venía...  EURICLÉA  Io  da  lungi
osservandoti mi stava. Mai non ti posso abbandonare,  il  sai:  e  mel  perdoni;
spero. Uscir turbato quinci ho visto Peréo; te da piú grave dolore  oppressa  io
trovo: ah! figlia; almeno liberamente il tuo pianto abbia  sfogo  entro  il  mio
seno. MIRRA Ah! sí; cara  Euricléa,  io  posso  teco,  almeno  pianger...  Sento
scoppiarmi il cor dal pianto rattenuto... EURICLÉA E in tale  stato,  o  figlia,
ognor venirne all'imenéo persisti? MIRRA Il dolor pria ucciderammi, spero...  Ma
no; breve fia troppo il tempo;... ucciderammi poscia, ed in non molto... Morire,
morire, null'altro io bramo;... e sol morire, io merto. EURICLÉA - Mirra,  altre
furie il giovenil tuo petto squarciar non ponno in sí barbara  guisa,  fuor  che
furie d'amor... MIRRA Ch'osi tu dirmi? qual ria menzogna?...  EURICLÉA  Ah!  non
crucciarti, prego, contro di me, no. Giá da gran tempo io 'l penso: ma, se tanto
ti spiace, a te piú dirlo non mi ardirò. Deh! pur che almen tu meco  la  libertá
del piangere conservi!  Né  so  ben,  ch'io  mel  creda;  anzi,  alla  madre  io
fortemente lo negai pur sempre. MIRRA Che sento? oh ciel!  ne  sospettava  forse
anch'essa?... EURICLÉA E chi, in veder  giovin  donzella  in  tanta  doglia,  la
cagion non stima esserne amore? Ah! il tuo  dolor  pur  fosse  d'amor  soltanto!
alcun rimedio almeno vi avrebbe. - In questo crudel dubbio immersa giá  da  gran
tempo io stando, all'ara un giorno io ne venía della sublime nostra Venere diva;
e con lagrime, e incensi, e caldi preghi, e invaso  cor,  prostrata  innanzi  al
santo simulacro, il nome tuo pronunziava... MIRRA Oimè! Che  ardir?  che  festi?
Venere?... Oh ciel!... contro di me... Lo sdegno  della  implacabil  Dea...  Che
dico?... Ahi lassa!... Inorridisco,... tremo... EURICLÉA È ver, mal feci: la Dea
sdegnava i voti miei; gl'incensi ardeano a stento, e  in  giú  ritorto  il  fumo
sovra il canuto mio capo cadeva. Vuoi piú?  gli  occhi  alla  immagine  tremanti
alzar mi attento, e da' suoi piè mi parve con minacciosi sguardi  me  cacciasse,
orribilmente di furore accesa, la Diva stessa. Con  tremuli  passi,  inorridita,
esco del tempio... Io sento dal terrore arricciarmisi di nuovo, in  ciò  narrar,
le chiome. MIRRA E me pur fai rabbrividire, inorridir. Che  osasti?  Nullo  omai
de' celesti, e men la Diva terribil nostra, è da invocar per Mirra.  Abbandonata
io son dai Numi; aperto è il mio petto all'Erinni; esse v'han sole  possanza,  e
seggio. - Ah! se riman pur l'ombra di pietá vera in te, fida Euricléa,  tu  sola
il puoi, trammi d'angoscia: è lento, è  lento  troppo,  ancor  che  immenso,  il
duolo. EURICLÉA Tremar mi fai... Che  mai  poss'io?  MIRRA  ...  Ti  chieggo  di
abbreviar miei mali. A poco, a poco strugger tu vedi il mio misero corpo; il mio
languir miei genitori uccide; odíosa a me stessa, altrui  dannosa,  scampar  non
posso: amor, pietá verace, fia  'l  procacciarmi  morte;  a  te  la  chieggio...
EURICLÉA Oh cielo!... a me?... Mi manca la parola,...  la  lena,...  i  sensi...
MIRRA Ah! no; davver non m'ami. Di pietade magnanima capace il tuo senile  petto
io mal credea... Eppur, tu stessa, ne' miei teneri anni, tu gli alti avvisi a me
insegnavi: io spesso udía da te, come antepor l'uom debba alla infamia la morte.
Oimè! che dico?... - Ma tu non m'odi?... Immobil,... muta,... appena respiri! oh
cielo!... Or, che ti dissi? io cieca dal dolore,... nol  so:  deh!  mi  perdona;
deh! madre mia seconda, in te ritorna. EURICLÉA ... Oh figlia! oh  figlia!...  A
me la morte chiedi? La morte a me? MIRRA Non reputarmi ingrata; né che il  dolor
de' mali miei mi tolga di que' d'altrui pietade. - Estinta  in  Cipro  non  vuoi
vedermi? in breve udrai tu dunque, ch'io né pur viva pervenni in Epíro. EURICLÉA
Alle orribili nozze andarne invano presumi adunque. Ai genitori il tutto corro a
narrar... MIRRA Nol fare, o appien tu perdi l'amor mio: deh! nol far; ten prego:
in nome del tuo amor, ti scongiuro. - A un cor dolente  sfuggon  parole,  a  cui
badar non vuolsi. - Bastante sfogo (a cui concesso il pari non ho giammai) mi  è
stato il pianger teco; e il parlar di mia doglia: in me giá quindi addoppiato  è
il coraggio. - Omai poch'ore mancano al  nuzíal  rito  solenne:  statti  al  mio
fianco sempre: andiamo: e intanto, nel necessario alto proposto mio  il  vieppiú
raffermarmi, a te si aspetta. Tu del tuo amor piú che  materno,  e  a  un  tempo
giovar mi dei del fido tuo consiglio. Tu dei far sí, ch'io saldamente afferri il
partito, che solo orrevol resta.



ATTO TERZO


SCENA PRIMA

CINIRO, CECRI.

CECRI Dubbio non v'ha; benché non sia per anco venuto  a  noi  Peréo,  scontento
appieno fu dei sensi di Mirra. Ella non l'ama; certezza  io  n'ebbi;  e  andando
ella a tai nozze, corre (pur troppo!) ad infallibil morte. CINIRO Or, per ultima
prova, udiam noi stessi dal di lei labro il vero. In nome tuo ingiunger  giá  le
ho fatto, che a te venga. Nessun di noi  forza  vuol  farle,  in  somma:  quanto
l'amiamo, il sa ben ella, a cui non siam men cari noi. Ch'ella  omai  chiuda  in
ciò il suo core a noi, del tutto parmi impossibile; a noi, che  di  noi  stessi,
non che di se, la femmo arbitra e donna. CECRI Ecco,  ella  viene:  oh!  mi  par
lieta alquanto; e piú franco il suo passo... Ah! pur tornasse qual era!  al  sol
riapparirle in volto anco un lampo di gioja,  in  vita  io  tosto  ritornata  mi
sento.

SCENA SECONDA

MIRRA, CECRI, CINIRO.

CECRI Amata figlia, deh! vieni a noi; deh! vieni. MIRRA Oh ciel! che veggo? anco
il padre!... CINIRO T'inoltra, unica nostra speranza e vita; inoltrati secura; e
non temere il mio paterno aspetto, piú che non temi della madre. A  udirti  siam
presti entrambi. Or, del tuo fero stato se disvelarne la cagion ti  piace,  vita
ci dai; ma, se il tacerla pure piú ti giova o ti aggrada, anco tacerla,  figlia,
tu puoi; che il tuo piacer fia il nostro. Ad eternare il marital tuo nodo  manca
omai sola un'ora; il tien ciascuno per certa cosa: ma, se pur tu fossi  cangiata
mai; se t'increscesse al core la data fe; se la spontanea tua libera  scelta  or
ti spiacesse; ardisci, non temer cosa al mondo, a noi la svela. Non sei tenuta a
nulla; e noi primieri te ne sciogliam, noi stessi; e, di te degno,  generoso  ti
scioglie anco Peréo. Né di leggiera vorrem noi tacciarti: anzi, creder ci  giova
che maturi pensier novelli a ciò ti astringan ora. Da cagion vile esser non puoi
tu mossa; l'indole nobil tua, gli alti tuoi sensi, e l'amor tuo per  noi,  ci  è
noto il tutto: di te, del sangue tuo cosa non degna, né pur  pensarla  puoi.  Tu
dunque appieno adempi il voler tuo; purché felice  tu  torni,  e  ancor  di  tua
letizia lieti tuoi genitor tu renda. Or, qual  ch'ei  sia  questo  presente  tuo
voler, lo svela, come a fratelli, a noi. CECRI Deh!  sí:  tu  il  vedi;  né  dal
materno labro udisti mai piú amoroso, piú tenero, piú mite  parlar,  di  questo.
MIRRA ... Havvi tormento al mondo, che al mio si agguagli?... CECRI Ma, che fia?
tu parli sospirando infra te? CINIRO Lascia, deh! lascia,  che  il  tuo  cor  ci
favelli: altro linguaggio non adopriam noi teco. - Or via; rispondi.  MIRRA  ...
Signor... CINIRO Tu mal cominci: a te non sono signor; padre  son  io:  puoi  tu
chiamarmi con altro nome, o figlia? MIRRA O Mirra, è questo l'ultimo  sforzo.  -
Alma, coraggio... CECRI Oh cielo! Pallor di morte in  volto...  MIRRA  A  me?...
CINIRO Ma donde, donde il tremar? del padre tuo?... MIRRA Non tremo... parmi;...
od almen, non tremerò piú omai, poiché ad udirmi or sí pietosi state. -  L'unica
vostra, e troppo amata figlia  son  io,  ben  so.  Goder  d'ogni  mia  gioja,  e
v'attristar d'ogni mio duol vi veggo; ciò stesso il duol mi  accresce.  Oltre  i
confini del natural dolore il mio trascorre; invan lo ascondo; e  a  voi  vorrei
pur dirlo,... ove il sapessi io stessa. Assai giá  pria,  ch'io  fra  'l  nobile
stuol de' proci illustri Peréo scegliessi, in me cogli anni sempre la fatal  mia
tristezza orridi era ita ogni dí piú  crescendo.  Irato  un  Nume,  implacabile,
ignoto, entro al mio petto si alberga; e quindi, ogni mia forza  è  vana  contro
alla forza sua... Credilo, o madre; forte, assai forte (ancor ch'io giovin  sia)
ebbi l'animo, e l'ho: ma il debil corpo, egro ei soggiace;... e a lenti passi in
tomba andar mi sento... - Ogni mio poco e rado cibo, mi è tosco: ognor mi sfugge
il sonno; o con fantasmi di morte tremendi, piú che il vegliar, mi dan martíro i
sogni: né dí, né notte, io non  trovo  mai  pace,  né  riposo,  né  loco.  Eppur
sollievo nessuno io bramo; e stimo, e aspetto, e  chieggo,  come  rimedio  unico
mio, la morte. Ma, per piú mio supplicio, co' suoi lacci viva mi tien natura. Or
me compiango, or me stessa abborrisco: e pianto, e rabbia, e pianto ancora...  È
la vicenda questa, incessante, insoffribile, feroce, in cui miei giorni infelici
trapasso. - Ma che?... voi pur dell'orrendo  mio  stato  piangete?...  Oh  madre
amata!... entro il tuo seno ch'io, suggendo tue lagrime, conceda un breve  sfogo
anco alle mie!... CECRI Diletta figlia, chi può non piangere al  tuo  pianto?...
CINIRO Squarciare il cor mi sento da' suoi detti... Ma in somma pur, che far  si
dee?... MIRRA Ma in somma, (deh! mel credete) in mio pensier non  cadde  mai  di
attristarvi, né di trarvi a  vana  pietá  di  me,  coll'accennar  mie  fere  non
narrabili angosce. - Da che ferma, Peréo scegliendo, ebbi mia sorte  io  stessa,
meno affannosa rimaner mi parve, da prima, è ver; ma, quanto poi piú  il  giorno
del nodo indissolubil si appressava, vie piú forti le smanie entro al mio  cuore
ridestavansi; a tal, ch'io ben tre  volte  pregarvi  osai  di  allontanarlo.  In
questi indugj io pur mi racquetava alquanto; ma, col scemar del tempo, ricrescea
di mie Furie la rabbia. Oggi son elle, con mia somma  vergogna  e  dolor  sommo,
giunte al lor colmo al fin: ma sento anch'oggi, che nel mio petto di  lor  possa
han fatto l'ultima prova. Oggi a Peréo son io sposa, o  questo  esser  demmi  il
giorno estremo. CECRI Che sento?... Oh figlia!... E alle ferali nozze  ostinarti
tu vuoi?... CINIRO No, mai non fia. Peréo non ami; e  mal  tuo  grado,  indarno,
vuoi darti a lui... MIRRA Deh! non mi torre adesso; o dammi tosto a  morte...  È
ver, ch'io, forse, quanto egli me, non l'amo;... e ciò, neppure io ben mel so...
Credi, ch'io assai lo estimo; e che null'uomo avrá mia destra al  mondo,  s'egli
non l'ha. Caro al mio core, io spero, Peréo sará,  quanto  il  debb'esser;  seco
vivendo io fida e indivisibil sempre, egli in me pace,  io  spero,  egli  in  me
gioja tornar fará: cara, e felice forse, un giorno ancor mi  fia  la  vita.  Ah!
s'io finor non l'amo al par ch'ei merta, è colpa non di me, del  mio  stato;  in
cui me stessa prima abborrisco... Io l'ho pur scelto: ed ora,  io  di  nuovo  lo
scelgo: io bramo, io chieggo lui solo. Oltre ogni dire, a  voi  gradita  era  la
scelta mia: si compia or dunque, come il voleste, e come io 'l voglio, il tutto.
Poiché maggior del mio dolore io sono, siatel  pur  voi.  Quanto  il  potrò  piú
lieta, vengo in breve alle nozze: e voi, beati ve ne terrete un giorno. CECRI Oh
rara figlia! quanti mai pregj aduni! CINIRO Un po' mi acqueta il tuo parlar;  ma
tremo... MIRRA In me piú forte tornar mi sento, in favellarvi.  Appieno  tornar,
sí, posso di me stessa io donna, (ove il voglian gli Dei) pur che  soccorso  voi
men prestiate. CINIRO E qual soccorso? CECRI  Ah!  parla.  Tutto  faremo.  MIRRA
Addolorarvi ancora io deggio. Udite. - Al travagliato petto, e alla turbata egra
mia mente oppressa, alto rimedio or fia, di nuovi oggetti la vista; e in ciò  il
piú tosto, il miglior fia. L'abbandonarvi (oh ciel!) quanto a me costi, dir  nol
posso; il diranno le mie lagrime, quand'io darovvi il  terribile  addio:  se  il
potrò pur, senza cadere,... o madre, infra tue braccia estinta... Ma, s'io  pure
lasciar vi posso, il dí verrá, che a questo generoso mio sforzo, e vita, e pace,
e letizia dovrò. CECRI Tu di lasciarci parli? e il vuoi tosto; e in un lo temi e
il brami? Ma qual fia mai?... CINIRO Lasciarci? e a noi che resta, senza di  te?
Ben di Peréo tu poscia irne al padre dovrai; ma intanto pria lieta con  noi  qui
lungamente ancora.... MIRRA E s'io qui lieta esser per or  non  posso,  vorreste
voi qui pria morta vedermi, che felice sapermi in stranio lido? - Tosto,  piú  o
meno, il mio destin mi chiama nella reggia d'Epíro:  ivi  pur  debbo  con  Peréo
dimorarmi. A voi ritorno faremo un dí, quando il paterno scettro Peréo terrá. Di
molti figli e cari me lieta madre rivedrete in Cipro, se il concedono i Numi: e,
qual piú a grado a voi sará tra i figli miei, sostegno vel lasceremo  ai  vostri
anni canuti. Cosí a questo bel regno erede avrete del sangue  vostro;  poiché  a
voi negato prole han finor del miglior sesso i Numi. Voi primi allor  benedirete
il giorno, che partir mi lasciaste. - Al sol novello,  deh!  concedete,  che  le
vele ai venti meco Peréo dispieghi. Io sento in cuore certo un presagio funesto,
che dove il partir mi neghiate, (ahi lassa!) io preda in questa reggia  infausta
oggi rimango d'una invincibil sconosciuta possa: che a voi per sempre io sto per
esser tolta... Deh! voi pietosi; o al mio presagio fero  crediate;  o,  all'egra
fantasia dolente cedendo, secondar piacciavi il mio errore. La mia vita, il  mio
destino, ed anco (oh cielo! io fremo) il destin vostro; dal mio  partir,  tutto,
purtroppo! or pende. CECRI Oh figlia!... CINIRO  Oimè!...  Tremar  ci  fan  tuoi
detti... Ma pur, quanto a te piace, appien si faccia. Qual ch'esser possa il mio
dolor, pria voglio non piú vederti, che cosí vederti. - E tu, dolce consorte, in
pianto muta ti stai?... Consenti al suo desio? CECRI Morirne fossi almen  certa,
come (ahi trista!) il sono di viver sempre in sconsolato pianto!... Fosse  almen
vero un dí l'augurio fausto, che dei cari nepoti ella ne accenna!... Ma,  poiché
tale il suo strano pensiero, pur ch'ella viva, seguasi. MIRRA La vita, madre, or
mi dai per la seconda volta. Presta alle nozze io son fra un'ora. Il  tempo  vel
proverá, s'io v'ami; ancor che lieta io di lasciarvi appaia. - Or mi ritraggo  a
mie stanze, per poco: asciutto affatto recar vo' il ciglio all'ara; e  al  degno
sposo venir gradita con serena fronte.

SCENA TERZA

CINIRO, CECRI.

CECRI Miseri noi! misera figlia! CINIRO  Eppure,  di  vederla  ogni  giorno  piú
infelice, no, non mi basta il core. Invan l'opporci...  CECRI  Oh  sposo!...  io
tremo, che ai nostri occhi appena toltasi, il fero suo dolor la  uccida.  CINIRO
Ai detti, agli atti, ai guardi, anco ai sospiri, par che la invasi  orribilmente
alcuna sovrumana possanza. CECRI ... Ah! ben conosco, cruda  implacabil  Venere,
le atroci tue vendette. Scontare, ecco, a me fai, in questa guisa, il mio parlar
superbo. Ma, la mia figlia era innocente; io sola, l'audace io fui;  la  iniqua,
io sola... CINIRO Oh  cielo!  che  osasti  mai  contro  alla  Dea?...  CECRI  Me
lassa!... Odi il mio fallo, o Ciniro. - In vedermi moglie adorata del piú amabil
sposo, del piú avvenente infra i mortali, e madre per lui d'unica figlia  (unica
al mondo per leggiadria, beltá, modestia, e senno) ebra,  il  confesso,  di  mia
sorte, osava negar io sola a Venere gl'incensi. Vuoi piú? folle,  orgogliosa,  a
insania tanta (ahi sconsigliata!)  io  giunsi,  che  dal  labro  io  sfuggir  mi
lasciava; che piú gente tratta è di Grecia e d'Oríente omai  dalla  famosa  alta
beltá di Mirra, che non mai tratta per l'addietro in Cipro dal sacro culto della
Dea ne fosse. CINIRO Oh! che mi narri?... CECRI Ecco, dal giorno in  poi,  Mirra
piú pace non aver; sua vita, e sua beltá, qual debil cera al  fuoco,  lentamente
distruggersi; e niun bene non v'esser piú per noi. Che non  fec'io,  per  placar
poi la Dea? quanti non porsi e preghi, e  incensi,  e  pianti?  indarno  sempre.
CINIRO Mal festi, o donna; e fu il tacermel, peggio. Padre innocente appieno, io
co' miei voti forse acquetar potea l'ira  celeste:  e  forse  ancor  (spero)  il
potrò. - Ma intanto, io pur di Mirra or nel pensier concorro: ben forza è torre,
e senza indugio nullo, da quest'isola sacra il suo cospetto. Chi sa? seguirla in
altre parti forse l'ira non  vuol  dell'oltraggiato  Nume:  e  quindi  forse  la
infelice figlia, tal sentendo presagio ignoto in petto, tanto il  partir  desia,
tanto ne spera. - Ma, vien Peréo: ben venga: ei sol serbarci può la figlia,  col
torcela. CECRI Oh destino!

SCENA QUARTA

CINIRO, PERÉO, CECRI.

PERÉO Tardo, tremante, irresoluto, e pieno di mortal duol,  voi  mi  vedete.  Un
fero contrasto è in me: pur, gentilezza,  e  amore  vero  d'altrui,  non  di  me
stesso, han vinto. Men costerá la vita. Alto non duolmi, che il non  poter,  con
util vostro almeno, spenderla omai: ma l'adorata Mirra a morte  io  trarre,  ah!
no, non voglio. Il nodo fatal si rompa; e de' miei giorni a un tempo rompasi  il
filo. CINIRO Oh figlio!... ancor ti appello di tal nome; e il sarai  tra  breve,
io spero. Noi, dopo te, noi pure i sensi udimmo di Mirra: io seco,  qual  verace
padre, tutto adoprai perch'ella appien seguisse il suo libero intento:  ma,  piú
salda, che all'aure scoglio, ella si sta: te solo e vuole, e chiede; e teme, che
a lei tolto sii tu. Cagion del suo dolore addurne ella  stessa  non  sa:  l'egra
salute, che l'effetto pria n'era, omai n'è forse la cagion sola. Ma il suo  duol
profondo merta, qual ch'egli sia, pietá pur molta; né sdegno alcuno in te destar
debb'ella, piú che ne desti in noi. Sollievo dolce tu del suo mal sarai:  d'ogni
sua speme l'amor tuo forte, è base. Or, qual vuoi prova maggior  di  questa?  al
nuovo dí lasciarci (noi, che l'amiam  pur  tanto!)  ad  ogni  costo  vuole  ella
stessa; e per ragion ne assegna, l'esser piú teco, il  divenir  piú  tua.  PERÉO
Creder, deh, pure il potess'io! ma appunto  questo  partir  sí  subito...  Oimè!
tremo, che in suo pensier disegni ella stromento della sua morte farmi. CECRI  A
te, Peréo, noi l'affidiamo: il vuole oggi il destino. Pur  troppo  qui,  su  gli
occhi nostri, morta cadria, se ostare al suo voler piú a lungo cel sofferisse il
core. In giovin mente grande ha possanza il  varíar  gli  oggetti.  Ogni  tristo
pensier deponi or dunque; e sol ti adopra in  lei  vieppiú  far  lieta.  La  tua
pristina gioja in volto chiama; e, col non mai del suo  dolor  parlarle,  vedrai
che in lei presso a finir fia 'l duolo.  PERÉO  Creder  dunque  poss'io,  creder
davvero, che non mi abborre Mirra? CINIRO A me tu il puoi creder, deh! sí.  Qual
ti parlassi io dianzi, rimembra; or son dal  suo  parlar  convinto,  che,  lungi
d'esser de' suoi lai cagione, suo sol rimedio ella tue  nozze  estima.  Dolcezza
assai d'uopo è con essa; e a tutto piegherassi ella.  Vanne;  e  a  lieta  pompa
disponti in breve; e in un (pur troppo!) il tutto, per involarci al nuovo sol la
figlia, anco disponi. Del gran tempio all'ara, a Cipro tutta in faccia andar non
vuolsi; che il troppo lungo rito al partir ratto ostacol fora. In questa reggia,
gl'inni d'Imenéo canteremo. PERÉO A vita appieno tornato m'hai. Volo; a  momenti
io riedo.



ATTO QUARTO


SCENA PRIMA

EURICLÉA, MIRRA.

MIRRA Sí; pienamente in calma omai tornata, cara Euricléa,  mi  vedi;  e  lieta,
quasi, del mio certo partire. EURICLÉA Oimè! fia vero?... Sola ne andrai col tuo
Peréo?... né trarti al fianco vuoi, non una pur di tante tue fide ancelle? E  me
da lor non scerni, che neppur me tu vuoi?... Di me che fia, se  priva  io  resto
della dolce figlia? Solo in pensarvi, oimè! morir mi sento... MIRRA Deh! taci...
Un dí ritornerò... EURICLÉA Deh! il  voglia,  il  voglia  il  cielo!  Oh  figlia
amata!... Ah! tale durezza in te, no, non creda:  sperato  avea  pur  sempre  di
morirmi al  tuo  fianco...  MIRRA  S'io  meco  alcun  di  questa  reggia  trarre
acconsentir poteva, eri tu sola, quella ch'io chiesta avrei... Ma,  in  ciò  son
salda... EURICLÉA E al nuovo dí tu parti?... MIRRA Al fin certezza  dai  genitor
ne ottenni; e scior vedrammi da questo lido la nascente aurora. EURICLÉA Deh! ti
sia fausto il dí!... Pur ch'io felice almen  ti  sappia!...  Ella  è  ben  cruda
gioja, questa che quasi ora in lasciarci  mostri...  Pur,  se  a  te  giova,  io
piangerò, ma muta con la dolente genitrice... MIRRA Oh! quale muovi  tu  assalto
al mio mal fermo cuore?... Perché sforzarmi al pianto?...  EURICLÉA  E  come  il
pianto celar poss'io?... Quest'è l'ultima volta, ch'io ti vedo, e ti  abbraccio.
D'anni molti carca me lasci, e di dolor piú assai. Al tuo  tornar,  se  pur  mai
riedi, in tomba mi troverai: qualche lagrima, spero,...  alla  memoria...  della
tua Euricléa... almen darai... MIRRA Deh!... per pietá mi lascia; o taci almeno.
- Io tel comando; taci Essere omai per tutti dura io deggio; ed a me prima io 'l
sono. - È giorno questo di gioja e nozze. Or, se tu  mai  mi  amasti,  aspra  ed
ultima prova oggi ten chieggo; frena il tuo pianto,... e il mio. -  Ma,  giá  lo
sposo venirne io veggio. Ogni dolor sia muto.

SCENA SECONDA

PERÉO, MIRRA, EURICLÉA.

PERÉO D'inaspettata gioja hammi ricolmo, Mirra,  il  tuo  genitore:  ei  stesso,
lieto, il mio destin, ch'io tremando aspettava,  annunziommi  felice.  Ai  cenni
tuoi preste saranno al nuovo albór mie vele, poiché tu  il  vuoi  cosí.  Piacemi
almeno, che vi acconsentan placidi e contenti i genitori tuoi: per me non  altra
gioja esser può, che di appagar tue brame. MIRRA Sí, dolce sposo; ch'io giá  tal
ti appello; se cosa io mai ferventemente al mondo  bramai,  di  partir  teco  al
nuovo sole tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io tosto sola con te; non  piú
vedermi intorno nullo dei tanti oggetti a lungo stati testimon del mio pianto, e
cagion forse; il solcar nuovi mari,  e  a  nuovi  regni  irne  approdando;  aura
novella e pura respirare, e tuttor trovarmi al fianco pien di gioja e d'amore un
tanto sposo; tutto, in breve, son certa, appien mi debbe quella di pria tornare.
Allor sarotti meno increscevol, spero. Aver t'è d'uopo  pietade  intanto  alcuna
del mio stato; ma, non fia lunga; accertati. Il mio duolo, se  tu  non  mai  men
parli, in breve svelto fia da radice. Deh! non la paterna lasciata reggia, e non
gli orbati e mesti miei genitor; né cosa, in somma, alcuna  delle  giá  mie,  tu
mai, né rimembrarmi dei, né pur mai nomarmela. Fia questo rimedio, il  sol,  che
asciugherá per sempre  il  mio  finor  perenne  orribil  pianto.  PERÉO  Strano,
inaudito è il tuo disegno, o Mirra: deh! voglia il ciel, ch'ei non t'incresca un
giorno! - Pur, benché in cor lusinga omai non m'entri  d'esserti  caro,  in  mio
pensier son fermo di compier ciecamente ogni tua brama. Ove poi  voglia  il  mio
fatal destino, ch'io mai non merti l'amor tuo, la vita che per te sola io  serbo
(questa vita, cui tolta io giá di propria man mi avrei, s'oggi perderti  affatto
erami forza) questa mia vita per sempre consacro al tuo dolore, poiché a ciò  mi
hai scelto. A pianger teco, ove tu il brami; a farti, tra giuochi  e  feste,  il
tuo cordoglio e il tempo ingannar, se a te giova; a porre in  opra,  a  prevenir
tutti i desiri tuoi; a mostrarmiti ognor,  qual  piú  mi  vogli,  sposo,  amico,
fratello, amante, o servo; ecco, a quant'io son presto: e in ciò soltanto la mia
gloria fia posta e l'esser mio. Se non potrai me poscia amar tu mai, parmi esser
certo, che odiarmi almeno neppur potrai. MIRRA Che parli tu? Deh! meglio Mirra e
te stesso in un conosci  e  apprezza.  Alle  tante  tue  doti  amor  sí  immenso
v'aggiungi tu, che di ben altro oggetto, ch'io nol son, ti fa  degno.  Amor  sue
fiamme porrammi in cor,  tosto  che  sgombro  ei  l'abbia  dal  pianto  appieno.
Indubitabil prova abbine, ed ampia, oggi in veder ch'io scelgo d'ogni mio mal te
sanator pietoso; ch'io stimo te, ch'io ad  alta  voce  appello,  Peréo,  te  sol
liberator mio vero. PERÉO D'alta gioja or m'infiammi: il tuo bel labro tanto mai
non mi disse: entro al mio core stanno in note di  fuoco  omai  scolpiti  questi
tuoi dolci accenti. - Ecco venirne giá i sacerdoti, e la festosa turba, e i cari
nostri genitori. O sposa, deh! questo istante a te davver sia  fausto,  come  il
piú bello è a me del viver mio!

SCENA TERZA

SACERDOTI, CORO DI FANCIULLI, DONZELLE, E VECCHI; CINIRO, CECRI, POPOLO,  MIRRA,
PERÉO, EURICLÉA.

CINIRO Amati figli, augurio lieto io traggo dal vedervi precedere a  noi  tutti,
al sacro rito. In sul tuo viso è sculta, Peréo, la  gioja;  e  della  figlia  io
veggo fermo e sereno anco l'aspetto. I Numi certo abbiamo propizj.  -  In  copia
incensi fumino or dunque in su i recati altari; e, per far vie piú  miti  a  noi
gli Dei, schiudasi  il  canto;  al  ciel  rimbombin  grati  devoti  inni  vostri
alti-sonanti. CORO(1) «O tu, che noi  mortali  egri  conforte,  «fratel  d'Amor,
dolce Imenéo, bel Nume; «deh! fausto scendi; = e del tuo puro lume «fra i  lieti
sposi accendi «fiamma, cui nulla estingua, altro che morte. - FANCIULLO «Benigno
a noi, lieto Imenéo, deh! vola «del tuo german su i vanni; DONZELLE «e co'  suoi
stessi inganni «a lui tu l'arco, = e la farétra invola: VECCHI «ma scendi scarco
«di sue lunghe querele e tristi affanni: - CORO «de'  nodi  tuoi,  bello  Imenéo
giocondo, «stringi la degna coppia unica al mondo». EURICLÉA Figlia, che fia? tu
tremi?... oh cielo!... MIRRA Taci: deh! taci... EURICLÉA Eppur... MIRRA No,  non
è ver; non tremo. - CORO «O d'Imenéo e d'Amor madre  sublime,  «o  tra  le  Dive
Diva, «alla cui possa nulla possa è viva; «Venere, deh! fausta agli sposi arridi
«dalle olimpiche cime, «se sacri mai ti fur di Cipro i lidi. FANCIULLO «Tutta  è
tuo don questa beltá sovrana, «onde Mirra è  vestita,  e  non  altera;  DONZELLE
«lasciarci in terra la tua immagin vera «piacciati, deh!  col  farla  allegra  e
sana, VECCHI «e madre in breve di sí nobil prole, «che il padre, e gli avi, e  i
regni lor, console. - CORO «Alma Dea, per l'azzurre aure  del  cielo,  «coi  be'
nitidi cigni al carro aurato, «raggiante scendi; abbi i duo figli a lato; «e del
bel roseo velo «gli sposi all'ara tua prostráti ammanta; «e  in  due  corpi  una
sola alma traspianta». CECRI Figlia, deh! sí; della  possente  nostra  Diva,  tu
sempre umíl... Ma che? ti cangi tutta d'aspetto?... Oimè! vacilli? e appena su i
piè tremanti?... MIRRA Ah! per pietá, coi detti non cimentar la mia costanza,  o
madre: del sembiante non so;... ma il cor, la mente, salda  stommi,  immutabile.
EURICLÉA Per essa morir mi sento. PERÉO  Oimè!  vieppiú  turbarsi  la  veggo  in
volto?... Oh qual tremor mi assale! - CORO «La pura Fe, l'eterna alma Concordia,
«abbian lor templo degli sposi in petto; «e indarno sempre la infernale  Aletto,
«con le orribil suore, «assalto muova di sue negre tede «al forte  intatto  core
«dell'alta sposa, = che ogni laude eccede: «e, invan rabbiosa, «se  stessa  roda
la feral Discordia...» MIRRA Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte  le  Furie
ho in me tremende. Eccole; intorno col vipereo flagello e l'atre  faci  stan  le
rabide Erinni: ecco quai merta questo imenéo le  faci...  CINIRO  Oh  ciel!  che
ascolto? CECRI Figlia, oimè! tu vaneggi... PERÉO Oh infauste nozze! Non fia,  no
mai... MIRRA - Ma che? giá taccion gl'inni?... Chi al sen mi  stringe?  Ove  son
io? Che dissi? Son io giá sposa? Oimè!... PERÉO Sposa non sei, Mirra; né mai  tu
di Peréo, tel giuro, sposa sarai. Le agitatrici Erinni, minori no, ma dalle  tue
diverse, mi squarcian pure il cuore. Al mondo intero favola omai mi festi; ed  a
me stesso piú insoffribil, che a te: non io per  tanto  farti  voglio  infelice.
Appien tradita, mal tuo grado, ti  sei:  tutto  traluce  invincibile  tuo  lungo
ribrezzo, che per me nutri. Oh noi felici entrambi, che ti  tradisti  in  tempo!
Omai disciolta sei dal richiesto ed abborrito giogo. Salva, e libera,  sei.  Per
sempre io tolgo dagli occhi  tuoi  quest'odíoso  aspetto...  Paga  e  lieta  vo'
farti... Infra brev'ora, qual resti scampo a chi te perde, udrai.

SCENA QUARTA

CINIRO, MIRRA, CECRI, EURICLÉA, SACERDOTI, CORO, POPOLO.

CINIRO Contaminato è il rito; ogni solenne pompa omai cessi, e taccian  gl'inni.
Altrove itene intanto, o sacerdoti. Io voglio, (misero padre!) almen pianger non
visto.

SCENA QUINTA

CINIRO, MIRRA, CECRI, EURICLÉA.

EURICLÉA Mirra piú presso a morte assai, che a vita, stassi: il vedete, ch'io  a
stento la reggo? Oh figlia!... CINIRO Donne, a se medesma  in  preda  costei  si
lasci, e alle sue furie inique. Duro, crudel, mal grado mio,  mi  ha  fatto  con
gl'inauditi modi suoi: pietade piú non ne sento. Ella, all'altar venirne, contra
il voler dei genitori quasi, ella stessa il voleva: e  sol,  per  trarci  a  tal
nostr'onta e sua?... Pietosa troppo, delusa madre, lasciala: se pria noi  severi
non fummo, è giunto il giorno d'esserlo  al  fine.  MIRRA  È  ver:  Ciniro  meco
inesorabil sia; null'altro io bramo; null'altro io voglio. Ei terminar può  solo
d'una infelice sua figlia non degna i martír tutti. - Entro al mio  petto  vibra
quella che al fianco cingi ultrice spada: tu questa vita misera, abborrita, davi
a me giá; tu me la togli: ed ecco l'ultimo dono, ond'io ti prego...  Ah!  pensa;
che se tu stesso, e di tua propria mano, me non uccidi, a morir della  mia  omai
mi serbi, ed a null'altro. CINIRO Oh figlia!... CECRI Oh parole!... Oh dolor!...
Deh! tu sei padre; padre tu  sei;...  perchè  innasprirla?...  Or  forse  non  è
abbastanza misera?... Ben vedi, mal di se stessa è donna; ad ogni  istante  fuor
di se stessa è dal dolore... EURICLÉA O  Mirra...  Figlia,...  e  non  m'odi?...
Parlar,... pel gran pianto,... non posso... CINIRO Oh stato!...  A  sí  terribil
vista non reggo... Ah! sí, padre pur troppo io sono; e di tutti il piú misero...
Mi sforza giá, piú che l'ira, or la pietá. Mi traggo a pianger solo altrove. Ah!
voi sovr'essa vegliate intanto. - In se tornata,  in  breve,  ella  udrá  poscia
favellarle il padre.

SCENA SESTA

CECRI, MIRRA, EURICLÉA.

EURICLÉA Ecco, di nuovo ella i sensi ripiglia... CECRI Buona Euricléa,  con  lei
lasciami sola; parlarle voglio.

SCENA SETTIMA

CECRI, MIRRA.

MIRRA - Uscito è il padre?... Ei dunque, ei di uccidermi niega?... Deh!  pietosa
dammi tu, madre, un ferro; ah! sí; se l'ombra pur ti riman per  me  d'amore,  un
ferro, senza indugiar, dammi tu stessa. Io sono in senno appieno;  e  ciò  ch'io
dico, e chieggo, so quanto importi: al senno mio, deh! credi; n'è  tempo  ancor:
ti pentirai, ma indarno, del non mi aver d'un ferro oggi soccorsa. CECRI Diletta
figlia,... oh ciel!... tu, pel dolore, certo vaneggi. Alla  tua  madre  mai  non
chiederesti un ferro... - Or, piú di nozze non si favelli: uno  inaudito  sforzo
quasi pur troppo a compierle ti trasse; ma, piú di te potea natura; i Numi io ne
ringrazio assai. Tu fra le braccia della dolce tua madre starai sempre: e se  ad
eterno pianto ti condanni, pianger io teco eternamente voglio, né mai,  né  d'un
sol passo, mai lasciarti: sarem sol'una; e del dolor tuo stesso, poich'ei da  te
partir non vuolsi, anch'io vestirmi vo'. Piú suora a te, che  madre,  spero,  mi
avrai... Ma, oh ciel! che veggio?  O  figlia,...  meco  adirata  sei?...  me  tu
respingi?...  e  di  abbracciarmi  nieghi?  e  gl'infuocati  sguardi?...   Oimè!
figlia,... anco alla madre?... MIRRA  Ah!  troppo  dolor  mi  accresce  anco  il
vederti: il cuore, nell'abbracciarmi tu, vieppiú mi squarci... - Ma...  oimè!...
che dico?... Ahi madre!... Ingrata, iniqua, figlia indegna son io, che amor  non
merto. Al mio destino orribile me lascia;... o se di me vera pietá tu senti,  io
tel ridico, uccidimi. CECRI Ah! me stessa ucciderei, s'io perderti dovessi:  ahi
cruda! e puoi tu dirmi, e replicarmi cosí acerbe  parole?  -  Anzi,  vo'  sempre
d'ora in poi sul tuo viver vegliar io. MIRRA Tu vegliare al  mio  vivere?  ch'io
deggia, ad ogni istante, io rimirarti? innanzi agli occhi miei  tu  sempre?  ah!
pria sepolti voglio in tenebre eterne gli occhi miei: con queste man mie stesse,
io stessa pria me li vo'  sverre,  io,  dalla  fronte...  CECRI  Oh  cielo!  che
ascolto?... Oh ciel!... Rabbrividir mi  fai.  Me  dunque  abborri?...  MIRRA  Tu
prima, tu sola, tu sempiterna cagione funesta d'ogni miseria  mia...  CECRI  Che
parli?... Oh figlia!... Io la cagion?... Ma giá il tuo pianto  a  rivi...  MIRRA
Deh! perdonami; deh!... Non io favello; una incognita  forza  in  me  favella...
Madre, ah! troppo tu m'ami; ed io... CECRI Me nomi cagion?... MIRRA Tu, sí;  de'
mali miei cagione fosti, nel dar vita ad un'empia; e il  sei,  s'or  di  tormela
nieghi; or, ch'io ferventi prieghi ten  porgo.  Ancor  n'è  tempo;  ancora  sono
innocente, quasi... - Ma,... non regge a tante furie... il  languente...  mio...
corpo... mancano i piè,... mancano... i sensi... CECRI  Io  voglio  trarti  alle
stanze tue. D'alcun ristoro d'uopo hai, son certa; dal digiun tuo lungo nasce in
te il vaneggiare. Ah! vieni; e al tutto in me ti affida:  io  vo'  servirti,  io
sola.



ATTO QUINTO


SCENA PRIMA

CINIRO.


Oh sventurato, oh misero Peréo! Troppo verace amante!... Ah! s'io piú  ratto  al
giunger era, il crudo acciaro forse tu non vibravi entro  al  tuo  petto.  -  Oh
cielo! che dirá l'orbo padre? ei lo attendeva sposo, e felice; ed or di  propria
mano estinto, esangue corpo, innanzi agli occhi ei recar sel vedrá. -  Ma,  sono
io padre men di lui forse addolorato? è vita quella,  a  cui  resta,  infra  sue
furie atroci, la disperata Mirra? è vita quella, a cui l'orrido  suo  stato  noi
lascia? - Ma, udirla voglio: e giá di ferreo usbergo armato ho il core. Ella ben
merta (e il vede) il mio sdegno; ed in prova, al venir  lenta  mostrasi:  eppur,
dal terzo messo ella ode giá il paterno comando. - Orribil  certo,  e  rilevante
arcano havvi nascoso in questi suoi travagli. O il vero udirne dal di lei  labro
io voglio, o mai non voglio, mai piú, vederla al mio cospetto innante... Ma, (oh
ciel!) se forza di destino, ed ira di offesi  Numi  a  un  lagrimar  perenne  la
condanna innocente, aggiunger deggio l'ira d'un padre a sue  tante  sventure?  E
abbandonata, e disperata, a lunga  morte  lasciarla?...  Ah!  mi  si  spezza  il
core... Pure, il mio immenso affetto, in parte almeno, ora è mestier, ch'io  per
la prova estrema, le asconda. In suon di sdegno ella  finora  mai  non  mi  udia
parlarle: il cor sí saldo, no, donzella non ha, che incontro basti al non  usato
minacciar del padre. - Eccola al fine. - Oimè! come si avanza a tardi  passi,  e
sforzati! Par, ch'ella al mio cospetto a morire sen venga.

SCENA SECONDA

CINIRO, MIRRA.

CINIRO - Mirra, che nulla tu il mio  onor  curassi,  creduto  io  mai,  no,  non
l'avrei; convinto me n'hai (pur troppo!) in questo dí fatale a  tutti  noi:  ma,
che ai comandi espressi, e replicati del tuo padre, or tarda all'obbedir tu sii,
piú nuovo ancora questo a me giunge. MIRRA ... Del  mio  viver  sei  signor,  tu
solo... Io de' miei gravi,... e tanti falli... la pena... a te  chiedeva,...  io
stessa,... or dianzi,... qui... - Presente era la madre;... deh! perché allor...
non mi uccidevi?... CINIRO È tempo, tempo ormai, sí, di cangiar modi,  o  Mirra.
Disperate parole indarno muovi; e disperati, e in un tremanti, sguardi al  suolo
affissi indarno. Assai ben chiara in mezzo al dolor tuo traluce l'onta;  rea  ti
senti tu stessa. Il tuo piú grave fallo, è il tacer col  padre  tuo:  lo  sdegno
quindi appien tu ne merti; e che in me cessi l'immenso amor, che  all'unica  mia
figlia io giá portai. - Ma che? tu piangi? e tremi? e inorridisci?... e taci?  -
A te fia dunque l'ira del padre  insopportabil  pena?  MIRRA  Ah!...  peggior...
d'ogni morte... CINIRO Odimi. - Al mondo  favola  hai  fatto  i  genitori  tuoi,
quanto te stessa, coll'infausto fine che alle da te volute nozze hai posto.  Giá
l'oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi del misero Peréo... MIRRA Che ascolto?
Oh cielo! CINIRO Peréo, sí, muore; e tu lo uccidi.  Uscito  del  nostro  aspetto
appena, alle sue stanze solo, e  sepolto  in  un  muto  dolore,  ei  si  ritrae:
null'uomo osa seguirlo. Io, (lasso  me!)  tardo  pur  troppo  io  giungo...  Dal
proprio acciaro trafitto, ei giacea entro un mare di sangue: a  me  gli  sguardi
pregni di pianto e di morte inalzava;... e, fra  i  singulti  estremi,  dal  suo
labro usciva ancor di Mirra il nome. - Ingrata... MIRRA Deh! piú non dirmi... Io
sola, io degna sono, di morte... E ancor respiro?...  CINIRO  Il  duolo  orrendo
dell'infelice padre di Peréo, io che son padre ed infelice, io  solo  sentir  lo
posso: io 'l so, quanto esser debba lo sdegno in lui, l'odio, il desio di  farne
aspra su noi giusta vendetta. - Io quindi, non  dal  terror  dell'armi  sue,  ma
mosso dalla pietá del giovinetto estinto, voglio, qual  de'  padre  ingannato  e
offeso, da te sapere (e ad ogni costo io 'l voglio) la cagion vera di sí orribil
danno. - Mirra, invan me l'ascondi: ah! ti tradisce ogni tuo  menom'atto.  -  Il
parlar rotto;  lo  impallidire,  e  l'arrossire;  il  muto  sospirar  grave;  il
consumarsi a  lento  fuoco  il  tuo  corpo;  e  il  sogguardar  tremante;  e  il
confonderti incerta; e il vergognarti, che mai da te non  si  scompagna:...  ah!
tutto, sí tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;... son  figlie  in  te  le
furie tue... d'amore. MIRRA Io?... d'amor?...  Deh!  nol  credere...  T'inganni.
CINIRO Piú il nieghi tu, piú ne son io convinto. E  certo  in  un  son  io  (pur
troppo!) omai, ch'esser non puote altro che  oscura  fiamma,  quella  cui  tanto
ascondi. MIRRA Oimè!... che pensi?... Non vuoi col brando  uccidermi;...  e  coi
detti... mi uccidi intanto... CINIRO E dirmi pur non l'osi, che amor non  senti?
E dirmelo, e giurarlo anco ardiresti, io ti terria  spergiura.  -  Ma,  chi  mai
degno è del tuo cor, se averlo non potea pur l'incomparabil, vero, caldo amator,
Peréo? - Ma, il turbamento cotanto è in  te;...  tale  il  tremor;  sí  fera  la
vergogna; e in terribile vicenda, ti si  scolpiscon  sí  forte  sul  volto;  che
indarno il labro negheria... MIRRA Vuoi dunque...  farmi...  al  tuo  aspetto...
morir... di vergogna?... E tu  sei  padre?  CINIRO  E  avvelenar  tu  i  giorni,
troncarli vuoi, di un genitor che t'ama piú che se stesso, con l'inutil,  crudo,
ostinato silenzio? - Ancor son padre: scaccia il timor;  qual  ch'ella  sia  tua
fiamma, (pur ch'io potessi vederti felice!) capace io son d'ogni inaudito sforzo
per te, se la mi sveli. Ho visto, e veggo tuttor, (misera figlia!)  il  generoso
contrasto orribil, che ti strazia il core infra l'amore, e  il  dover  tuo.  Giá
troppo festi, immolando al tuo dover te stessa: ma, piú di te possente, Amor nol
volle. La passíon puossi escusare; ha forza piú assai di noi; ma il non svelarla
al padre, che tel comanda, e ten scongiura, indegna d'ogni scusa ti rende. MIRRA
- O Morte, Morte, cui tanto invoco, al  mio  dolor  tu  sorda  sempre  sarai?...
CINIRO Deh! figlia, acqueta alquanto, l'animo  acqueta:  se  non  vuoi  sdegnato
contra te piú vedermi, io giá nol sono piú quasi omai; purché tu a  me  favelli.
Parlami deh! come a fratello. Anch'io conobbi amor per prova: il nome. MIRRA  Oh
cielo!... Amo, sí; poiché  a  dirtelo  mi  sforzi;  io  disperatamente  amo,  ed
indarno. Ma, qual ne sia l'oggetto, né tu mai, né persona il saprá: lo ignora ei
stesso... ed a me quasi io 'l niego. CINIRO Ed io saperlo e deggio, e voglio. Né
a te stessa cruda esser tu puoi, che a un tempo assai nol sii  piú  ai  genitori
che ti adoran sola. Deh! parla; deh! - Giá, di crucciato padre, vedi ch'io torno
e supplice e piangente: morir non puoi, senza pur trarci in tomba. - Qual  ch'ei
sia colui ch'ami, io 'l vo' far tuo. Stolto orgoglio di re strappar non puote il
vero amor di padre dal mio petto. Il tuo amor, la  tua  destra,  il  regno  mio,
cangiar ben ponno ogni persona umíle in alta e grande: e, ancor  che  umíl,  son
certo, che indegno al tutto esser non può l'uom ch'ami. Te ne scongiuro,  parla:
io ti vo' salva, ad ogni costo mio. MIRRA Salva?... Che pensi?... Questo  stesso
tuo dir mia morte affretta... Lascia, deh! lascia, per  pietá,  ch'io  tosto  da
te... per sempre... il piè... ritragga... CINIRO O figlia unica amata;  oh!  che
di' tu? Deh! vieni fra le paterne braccia. - Oh cielo! in atto di forsennata  or
mi respingi? Il padre dunque abborrisci? e di sí vile fiamma ardi,  che  temi...
MIRRA Ah! non è vile;... è iniqua la mia fiamma; né  mai...  CINIRO  Che  parli?
iniqua, ove primiero il genitor tuo stesso non la condanna,  ella  non  fia:  la
svela. MIRRA Raccapricciar d'orror vedresti il padre, se la sapesse... Ciniro...
CINIRO Che ascolto! MIRRA Che dico?... ahi lassa!... non so quel  ch'io  dica...
Non provo amor... Non creder, no... Deh! lascia, te ne  scongiuro  per  l'ultima
volta, lasciami il piè ritrarre. CINIRO Ingrata: omai col  disperarmi  co'  tuoi
modi, e farti del mio dolore gioco, omai per sempre perduto hai  tu  l'amor  del
padre. MIRRA Oh dura, fera orribil minaccia!... Or, nel mio estremo sospir,  che
giá si appressa,... alle tante altre furie mie l'odio  crudo  aggiungerassi  del
genitor?... Da te morire io lungi?... Oh madre mia felice!... almen  concesso  a
lei sará... di morire... al tuo fianco... CINIRO Che vuoi tu dirmi?... Oh!  qual
terribil lampo, da questi accenti!... Empia, tu forse?... MIRRA  Oh  cielo!  che
dissi io mai?... Me misera!... Ove sono? Ove mi ascondo?... Ove morir? -  Ma  il
brando tuo mi varrá...(2) CINIRO Figlia... Oh!  che  festi?  il  ferro...  MIRRA
Ecco,... or... tel rendo... Almen la destra io ratta ebbi al par che la  lingua.
CINIRO ... Io... di spavento,... e d'orror pieno,  e  d'ira,...  e  di  pietade,
immobil  resto.  MIRRA  Oh  Ciniro!...  Mi  vedi...  presso  al   morire...   Io
vendicarti... seppi,...  e  punir  me...  Tu  stesso,  a  viva  forza,  l'orrido
arcano... dal cor... mi strappasti... ma, poiché  sol  colla  mia  vita...  egli
esce... dal labro mio,... men rea... mi moro... CINIRO Oh giorno! Oh delitto!...
Oh dolore! - A chi il mio pianto?... MIRRA Deh! piú non  pianger;...  ch'io  nol
merto... Ah! sfuggi mia vista  infame;...  e  a  Cecri...  ognor...  nascondi...
CINIRO Padre infelice!... E ad ingojarmi  il  suolo  non  si  spalanca?...  Alla
morente iniqua donna  appressarmi  io  non  ardisco;...  eppure,  abbandonar  la
svenata mia figlia non posso...

SCENA TERZA

CECRI, EURICLÉA, CINIRO, MIRRA.

CECRI Al suon d'un mortal pianto... CINIRO Oh cielo!(3) Non t'inoltrar...  CECRI
Presso alla figlia... MIRRA Oh voce! EURICLÉA Ahi vista! nel suo sangue a  terra
giace Mirra?... CECRI La figlia?... CINIRO Arretrati... CECRI Svenata!...  Come?
da chi?... Vederla vo'... CINIRO Ti arretra... Inorridisci...  Vieni...  Ella...
trafitta, di propria  man,  s'è  col  mio  brando...  CECRI  E  lasci  cosí  tua
figlia?... Ah! la vogl'io... CINIRO Piú figlia non c'è costei. D'infame  orrendo
amore ardeva ella per... Ciniro... CECRI Che ascolto? -  Oh  delitto!...  CINIRO
Deh! vieni: andiam, ten priego, a  morir  d'onta  e  di  dolore  altrove.  CECRI
Empia... - Oh mia figlia!... CINIRO Ah! vieni... CECRI Ahi sventurata!... Né piú
abbracciarla io mai?...(4)

SCENA QUARTA

MIRRA, EURICLÉA.

MIRRA Quand'io... tel... chiesi,...  darmi...  allora,...  Euricléa,  dovevi  il
ferro... io moriva... innocente;... empia... ora... muojo..


NOTE:

(1) Ove il coro non cantasse,  precederá  ad  ogni  stanza  una  breve  sinfonia
adattata alle  parole,  che  stanno  per  recitarsi  poi.  (2)  Rapidissimamente
avventatasi al brando del padre, se ne trafigge. (3) Corre incontro a  Cecri,  e
impedendole d'inoltrarsi, le  toglie  la  vista  di  Mirra  morente.  (4)  Viene
strascinata fuori da Ciniro.
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