Genere:
non-yaoi, romantico, drammatico
Raiting:
NC-17
Disclaimers:
i personaggi non sono miei, ma della Ubisoft-Montreal.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

Dolorose verità

di Bombay

 

Le campane suonano incessanti, sottolineano ciò che ho commesso.

Ed io corro, corro tra la folla che grida e mi indica, cerco un nascondiglio, ma ci sono troppe guardie in giro.

Ad ogni angolo che svolto c’è qualcuno che mi riconosce e mi denuncia.

Corro per le vie, i polmoni mi bruciano, cado, mi rialzo. Sono stanco, sono ferito. Due uomini dietro di me con le spade sguainate, potrei fermarmi e ucciderle, ma altre ne arriverebbero, altro sangue a macchiare le mie mani.

Giro un angolo poi un altro, distanzio i miei nemici, giro ancora, un vicolo cieco, mi guardo attorno, non ci sono appigli, sono in trappola.

Alle mie spalle una porta si apre, qualcuno mi afferra per un braccio e mi trascina dentro. Cala il buio: è la fine.

Fuori le grida si quietano, hanno perso le mie tracce. Il buio mi avvolge, solo il mio respiro ed il rombo del mio cuore rompe questo silenzio assoluto.

Striscio nel buio pronto a colpire, chiunque mi abbia trascinato qui deve morire.

“Se ne sono andati, per un po’ staremo tranquilli”

Trattengo il respiro, una donna.

Il rumore delle persiane che vengono scostate, uno spicchio di luce solare fa capolino e rischiara questa oscurità.

Resto immobile pronto a scattare a colpire con la lama nascosta, estensione del mio braccio.

La osservo è piccola e minuta, non porta il velo, la sua pelle è chiara, i suoi occhi sono azzurri come il cielo d’estate ed i suoi capelli sono biondi come la sabbia del deserto.

E’ un angelo venuto dal cielo per punirmi dei miei misfatti.

E’ una straniera.

E’ bellissima.

 

Si volta e sorride, si avvicina lentamente, tenendo le mani in vista. La veste color sabbia le aderisce al corpo snello.

Mi muovo in maniera opposta al suo.

“Sei sempre così sospettoso?” domanda, la sua voce è leggera e limpida come una piuma.

“Sono prudente”

“Sospettoso” ribadisce continuando a sorridere.

La gamba ferita cede sotto il mio peso, barcollo e cado in ginocchio dinnanzi a lei.

Posa una mano sulla mia spalla.

“Non toccarmi” ringhio allontanando la sua mano in malo modo.

Fa qualche passo indietro e si siede su una cassa.

“Sei ferito e stanco, permettimi di aiutarti”

“No!” esclamo.

La mia missione non è ancora conclusa. Devo tornare alla Dimora e consegnare a Samir la piuma insanguinata, solo allora potrò riposare e tornare a Masyaf, da Al Mualim.

 

Mi porge una borraccia, nonostante sia assetato, rifiuto. Lei scuote la testa beve un lungo sorso.

“E’ solo acqua. Buona, fresca, limpida acqua”

Cedo alla sete, bevendo a grandi sorsi, il liquido fresco da sollievo alla mia gola arida.

“Devo andare…”

Le campane stanno ancora suonando, non hanno ancora smesso di cercarmi.

“Come vuoi, anche se non credo sia prudente”

“Chi sei?” domando dando voce al quesito che ronza nella mia testa da quando l’ho vista in volto.

“Mi chiamo Nadima” risponde, non ha mai smesso di sorridere, questa donna non ha paura di me.

“Perché mi aiuti?”

Scrolla le spalle con leggerezza “Ci deve essere un motivo? Eri in difficoltà… ho visto come hai aiutato quella donna al suk”

Sono molto sorpreso “Eri al suk?” quel quartiere è dall’altra parte rispetto a dove siamo ora.

Annuisce riponendo la borraccia “Perché hai aiutato quella donna?”

Scuoto la testa, non c’è un motivo preciso.

“Vedi, noi due siamo simili”

“No!” ribatto quasi gridando. Mi alzo in piedi, devo andarmene da qui.

“Non hai idea di chi io sia” mormoro più a me stesso che per lei.

“Forse sì, forse no” risponde avvicinandosi.

E’ davvero minuta, mi arriva alla spalla, potrei cingerle la vita con un braccio. Allontano quel pensiero.

Apro la porta, il suono delle campane si fa più distinto.

“Ci rivedremo” mormora quando sguscio fuori nel sole.

 

La Dimora di Masyaf è l’unico vero luogo che io possa chiamare casa. Apro gli occhi e fisso il soffitto di pietra della mia stanza.

Non c’è tregua per un uomo come me. Al Mualim mi ha già convocato, ha un’altra missione da affidarmi. Dopo tutto sono il suo uomo migliore.

La mia mente torna al ricordo di lei. Mai, prima d’ora, mi sono permesso di indugiare su una donna.

Mi alzo, mi lavo, mi vesto. Posiziono le armi al loro posto: sono pronto.

Mi reco dal Maestro, ascolto superficialmente le sue istruzioni, distratto ancora dai ricordi.

“Cosa ti turba, Altaϊr?”

Se ne è accorto.

“Nulla” mento.

“La missione che ti ho affidato è di massima importanza”

“Non vi deluderò, Maestro”

“No, non lo hai mai fatto, partirai domani all’alba”

 

Raramente ho del tempo libero per me. Mi aggiro per le strade affollate di Masyaf dirigendomi al mercato.

Mi fermo alla bancarella di un vecchio che vende datteri, ne acquisto un po’, continuando a camminare ne mangio un paio. Sono così assorto nei miei pensieri che urto una persona.

Mi volto per scusarmi e resto senza parole, degli occhi azzurri e limpidi mi fissando da un chador color panna.

Anche se non le vedo il viso so che sta sorridendo. Prosegue il suo cammino recando in mano un canestro. So che è sciocco, ma la seguo stando a un po’ di distanza da lei. Segue il sentiero e si allontana dal centro, verso una casa un poco discosta dalle altre. Entra e lascia l’uscio aperto.

Entro e nel momento stesso in cui chiude la porta, libera i capelli ed il viso dal velo.

“Cosa ci fai tu qui?” domando fissandola.

“Sono felice di rivederti” inizia lei.

“Ti ho fatto una domanda”

“Ti avevo detto che ci saremmo rivisti”

“Mi hai seguito?” domando afferrandola per un braccio, sospingendola contro il muro.

“Vuoi uccidermi?” chiede, è calma e tranquilla e questo mi fa adirare di più.

“Avrei dovuto farlo quel giorno a Damasco”

Posa la mano libera sul mio viso, celato dal cappuccio. Un brivido mi percorre la schiena, questa donna mi turba.

“Stai tremando…”

Con uno strattone la allontano da me.

“Perché sei qui? Non te lo chiederò un’altra volta” sbotto ed il rumore della lama nascosta sottolinea le mie parole.

“Ho dei parenti qui a Masyaf, gli unici che mi siano rimasti” mormora abbassando lo sguardo ed il dolce sorriso scompare dalle sue labbra.

“Lasciami, mi fai male”

Senza una parola la libero e lascio quella casa, rifugiandomi tra le possenti mura della Dimora.

 

Sono al cospetto di Al Mualim in attesa di ordini, l’ultima missione affidatami è andata a buon fine, senza intoppi, senza imprevisti.

“Hai fatto un ottimo lavoro, Altaϊr” mi elogia “Per questo ti affiderò un altro importante incarico, a Gerusalemme, questa volta”

Ascolto le istruzioni e quando mi congeda lascio la fortezza e scendo verso il paese. In questi giorni di lontananza non ho fatto altro che pensare a lei.

 

I miei incarichi, mi portano spesso lontano, a volte per giorni, a volte per settimane.

Raggiungo la casa, la porta e le finestre sono chiuse. Salgo sul tetto ed attendo.

La mia attesa è premiata, prima che il sole cali, Nadima, fa ritorno alla piccola casa, accompagnata da un uomo, che l’aiuta a portare delle ceste dentro l’edificio.

Quando l’uomo si allontana con il suo mulo, scendo dal tetto e mi accosto vicino alla finestra che ha aperto.

L’osservo togliersi il velo e sistemare la frutta dentro alle ceste, quindi si sposta nella stanza attigua e io mi muovo verso l’altra finestra, si toglie la veste. Distolgo lo sguardo e faccio un passo indietro. Attendo che torni nell’altra stanza.

Un lieve rumore attira la mia attenzione, mi volto pronto a colpire. E mi ritrovo faccia a faccia con lei che mi fissa con le mani piantate sui fianchi con fare bellicoso.

“Fuggi dalla mia casa come un ladro e poi, dopo dieci giorni, torni come niente e fosse e per di più mi spii mentre mi lavo?” sbotta facendo due passi avanti.

Indietreggio a quella piccola furia “Non è come pensi…” cerco di giustificarmi “E’ meglio andare dentro” suggerisco “Stiamo dando troppo nell’occhio”

La seguo all’interno sentendomi sciocco e stupido, perché sono tornato qui?

“Sono felice di rivederti… siediti…” inizia lei porgendomi un bicchiere con del the.

Si siede di fronte a me, solo il tavolo a dividerci.

“Domani partirò di nuovo…”

“Ah sì? E dove sei diretto?”

“A Gerusalemme”

“Qual è il tuo nome, non me lo hai ancora detto”

“Altaϊr, mi chiamo Altaϊr Ibn-La’Ahad”

“E’ un bel nome significa Aquila”

“Oppure Figlio di nessuno…” bisbiglio tristemente.

“Sai, Altaϊr, sei nella mia casa, bevi il mio the, sarebbe cortese da parte tua farmi vedere il tuo volto e smettere di celarti dietro le pieghe del cappuccio”

Ha ragione, con riluttanza abbasso il cappuccio rivelando il mio viso.

Sorride posando una mano sulla mia, istintivamente mi ritraggo.

“Hai paura di me?”

“No, io non ho paura di niente, donna”

Reclina il viso di lato scrutandomi con attenzione, infine scuote la testa ed un ampio sorriso le illumina gli occhi.

“Sei sempre così scontroso?”

Mi alto e mi risistemo il cappuccio sulla testa “Il sole è calato è meglio che vada”

Posa la mano sul mio braccio “No, ti prego… resta. Non ti farò più domande se questo ti mette a disagio…”

 

Resto per tutta la notte, parliamo e parliamo. Non ho mai raccontato tanto in una sola volta a qualcuno, ma quando all’alba lascio la sua casa, mi sento diverso ed un lieve senso di beatitudine serpeggia nel mio corpo.

Rientro alla Dimora solo per radunare alcune cose per il viaggio. Sulla soglia incontro Malik che mi squadra dalla testa ai piedi.

“Sei stato fuori tutta la notte?”

“Non sono affari tuoi, Malik” lo oltrepasso e vado a prepararmi.

Spesso la notte scendo al paese e resto semplicemente ad osservarla, mentre dorme o mentre fa piccole cose in casa, lei è ignara della mia presenza, meglio così.

Quel giorno fa molto caldo, la sera non è ancora calata, il rumore dell’acqua attira la mia attenzione.

Nelle piccola stanza Nadima ha trascinato un tinozza ed è immersa fino alle spalle, ha la testa appoggiata al bordo gli occhi chiusi le labbra leggermente aperte, l’acqua ondeggia, svelando il suo seno bianco, inturgidendole i capezzoli.

Si mordicchia il labbro inferiore ed emette in sospiro. Mi protendo un poco in avanti per osservarla meglio. Sono attratto da lei come una falena dalla fiamma.

Un rumore mi riscuote dalla mia contemplazione, per un soffio riesco a nascondermi.

Lei scatta a sedere guardandosi attorno sembra imbarazzata, esce dalla tinozza e scompare dietro ad un paravento.

 

Il mio cavallo è stremato, così come lo sono anche io. Masyaf non è lontana, non manca molto, finalmente potrò riposare.

Il mio incarico non è stato così semplice da svolgere come credevo, le informazioni che ho avuto erano poche ed incomplete, ho dovuto perdere un sacco di tempo per pedinare le persone giuste. Anche quando alla fine ho deciso di colpire, ho agito in modo frettoloso e distratto. La mia mente era assorta in un unico pensiero, tornare a Masyaf il più presto possibile, tornare da lei.

Scendo dal cavallo e lascio che pascoli e si disseti, a piedi mi dirigo per le vie del paese, illuminate dai bracieri e dalla luna.

Un passo dopo l’altro mi trascino verso la casa di Nadima. Dovrei torna prima alla Dimora e fare rapporto, ma voglio vederla, anche solo sbirciarla mentre dorme.

Le strade sono quasi deserte, ci sono solo poche guardie in giro, ma non badano a me.

Raggiungo il basso caseggiato mi accosto alla porta è chiusa dall’interno, faccio il giro dell’edificio fino alla bassa finestra, che trovo è aperta, le tende ondeggiano alla lieve brezza, con un mano le scosto, vedo solo il profilo del letto ed una sagoma più scura su di esso.

Si muove “Chi è la?”

“Sono Altaϊr…” rispondo a bassa voce, scende dal letto e mi corre incontro, mi getta le braccia al collo e mi abbraccia.

La stringo a me e respiro il profumo dei suoi capelli e del suo corpo.

“Non restare li fuori, entra”

“La porta è sprangata” ribatto salendo sul basso davanzale ed entrando nella stanza mentre Nadima accende una candela.

“In tempi come questi è meglio essere prudenti”

Sollevo un sopracciglio “Spranghi la porta, ma lasci la finestra aperta? Più che prudente, mi sembra sciocco”

Sorride reclinando la testa di lato, avvicinandosi.

“Ti preoccupi per me?”

“Forse”

Mi avvicino a lei, le poso una mano sul viso, Nadima posa la sua mano sulla mia, socchiudendo gli occhi e le labbra.

Mosso da un bisogno che mi è estraneo avvicino il mio volto al suo, le mie labbra alle sue fino a quando non si toccano, in una lieve carezza.

Mi ritraggo un poco, specchiandomi in quegli abissi azzurri.

“Non hai mai baciato nessuno?” domanda divertita, scostandomi il cappuccio dalla testa, passando le dita tra i miei corti capelli neri.

“No”

“No?”

“Lo trovi strano”

“Sì, per un uomo forte e bello come te” spiega posando un bacio sulla mia guancia.

Piego le labbra in un sorriso il tralice.

“Nessuno ti ha mai detto che sei bello… e forte…”

“No. Non ci sono donne alla fortezza”

Scoppia a ridere divertita sedendosi sul letto.

“Cosa c’è di tanto divertente?” la interrogo.

“Niente”

Mi siedo accanto a lei, le prendo il volto tra le mani rimirandola “Tu sei bella”

“Grazie, a me lo dicono spesso” risponde, nei suoi occhi limpidi è rimasta incatenata la sua risata, poso la mia bocca sulla sulla sua, l’assaporo come fosse un frutto raro e prezioso.

Un brivido le increspa la pelle chiara, mi scosto e le accarezzo le braccia nude sorride e questa volta è lei ad accostarsi a me, baciandomi con foga.

Si solleva un poco e a fior di labbra, mormora: “Come è andata a Gerusalemme?”

Tutto questo splendido momento si frantuma come fragile cristallo.

“Non è affar tuo”

“Credi che non sappia chi tu sia in realtà, Altaϊr? Tutti qui a Masyaf, persino i bambini, sanno chi vive nella fortezza di Al Mualim”

Chiudo gli occhi “Per una notte volevo dimenticare chi sono, ma non mi è stato concesso nemmeno questo”

“Perdonami… non volevo… non credevo…”

“E’ meglio che vada, il mio incarico non si è ancora formalmente concluso” ribatto dirigendomi verso la porta, la apro ed esco nella notte.

“Mi dispiace…” la sento gridare mentre mi allontano.

 

Stanco, ecco come mi sento. Paro un colpo, ma Malik è più veloce e mi atterra con facilità.

Fisso il cielo terso sopra di me, mentre il mio compagno mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi.

“Non è da te farti battere con così estrema facilità, va tutto bene, Altaϊr?”

Annuisco rimettendomi in piedi.

“Altaϊr! Altaϊr!”

Mi volto appoggiandomi alla staccionata del campo di addestramento. Kadar, il fratello minore di Malik mi corre incontro.

“C’è una donna alle porte della fortezza e chiede di te” mi informa eccitato.

Un mormorio si leva intorno a me. Noto chiaramente il sorriso sbieco sulle labbra di Malik, afferro un panno e mi detergo il sudore dal viso.

Lo lancio a Kadar e mi dirigo, senza una parola, verso l’ingresso.

La vedo ancora prima che lei veda me. Ho gli occhi di tutta la Dimora puntati sulla schiena e tutte le orecchie in ascolto.

La oltrepasso “Seguimi” ordino, senza fermarmi, senza controllare che mi stia effettivamente venendo dietro.

Cammino per un lungo tratto districandomi tra la gente, saluto un paio di persone e svolto dietro un angolo nascosto dalla vista.

“Sei forse impazzita” l’apostrofo mentre entra nel vicolo.

Abbassa la testa “Te ne sei andato così repentinamente, non mi hai dato nemmeno il tempo di…”

“Non c’era nulla da dire” la interrompo.

“Volevo solo scusarmi. Mio padre mi diceva sempre che sono una persona troppo invadente e che prima o poi mi sarei messa nei guai a causa della mia curiosità, ma non posso farci nulla, questa è la mia natura”

 

Risalgo lentamente verso la fortezza, ripensando alle sue parole ed alla sua espressione.

Sul portone trovo Malik ad attendermi.

“Così anche l’integerrimo Altaϊr si è piegato ai piaceri della carne ed è diventato un uomo”

“Fammi un piacere, Malik, sta zitto!”

“Suvvia, non sei il primo e non sarai nemmeno l’ultimo ad avere qualche scappatella con le ragazze del villaggio” sorride sornione “Siamo uomini, è la nostra natura” sottolinea.

Mi ritiro nel mio alloggio, ripensando alle parole di Malik. Mi siedo sulla finestra ed osservo il cielo limpido e terso.

E’ passato molto tempo dall’ultima volta che ho giaciuto con una donna. Ero solo un ragazzo, sorrido a quel ricordo lontano, fino ad ora non mi era mai pesato adesso il solo pensiero di lei infiamma le mie membra.

 

La notte è chiara e limpida, la luna non è più piena. Siedo su una delle piattaforme, con le gambe penzoloni nel vuoto. Da quassù si domina tutto il villaggio e buona parte dei campi. Questa fortezza è inespugnabile e ben difendibile, un luogo ideale per gente come noi.

Domani partirò alla volta di Acri. E’ meglio così, se per un po’ non la vedrò.

Mi poso una mano sulle labbra, posso ancora sentire il calore della sua bocca, il sapore del suo bacio. Traggo un profondo respiro, tutto il mio corpo freme a quel ricordo.

La mia vita si scandisce sempre nello stesso modo, ora però ho qualcosa che mi riporterà sempre qui: Nadima.

 

Tornato dalla missione ad Acri, il Maestro mi comunica che non ci saranno incarichi a breve per me.

Meglio così avrò più tempo per addestrarmi e per studiare, ultimamente ho trascurato parecchio, pergamene e libri.

Resto chiuso nella fortezza per parecchi giorni. Sto fuggendo, ne sono conscio.

Seduto sul letto mi prendo la testa tra le mani, non so cosa fare. Questo sentimento che sta nascendo dentro di me è dolce ed amaro, mi delizia e mi strazia.

Non so nulla di lei. Sollevo la testa di scatto a questo posso rimediare.

Scendo giù al paese, mi confondo tra la gente, raggiungo il mercato e mi metto in ascolto. Fermo un mercante e gli porgo un paio di domande dirette. Le risposte che mi da non mi piacciono per niente.

Mi dirigo alla casa di Nadima, so che non c’è, mi acquatto nell’ombra ed attendo.

La sento rientrare, entra nella stanza ed io le sono addosso le premo una mano sulla bocca impedendole di gridare.

“Mi hai mentito. Perché?” sibilo al suo orecchio. Si rilassa nella mia stretta quando comprende chi sono.

“Non ci sono tuoi parenti, qui a Masyaf. Nemmeno conoscenti. Perché sei venuta qui?”

La lascio andare si appoggia al muro.

“E’ vero, non ci sono parenti qui ed è anche vero che ti ho seguito, ma ho le mie ragioni, se mi lasci spiegare”

“Parla dunque” intimo incrociando le braccia sul petto.

“Vivevo a Damasco da un paio d’anni, mio padre aveva una buona attività come speziale, ma a quanto pareva il suo commercio dava fastidio a qualcuno, probabilmente al Re dei Mercanti. Hanno ucciso mio padre e poi ti lascio immaginare cosa hanno fatto a me…”

Abbassa lo sguardo e sospira le sue labbra tremano “Mi hanno concesso di continuare il lavoro di mio padre, alle loro regole si intende. Nel quartiere povero di Damasco giravano voci su Masyaf, sulla Confraternita e su come voi Assassini proteggiate la gente che vive qui. Quando ti ho visto al suk, per me hai rappresentato la salvezza, così appena ho avuto l’occasione ti ho aiutato e ti ho seguito”

“Perché non me lo hai raccontato subito?” domando posandole le mani sulle spalle.

“Non sembravi molto disposto ad ascoltare” risponde rifugiandosi tra le mie braccia “Perdonami” bisbiglia sollevando il viso. Mi chino su di lei e la bacio dolcemente.

“Resta con me questa notte”

“Non posso”

Sospira districandosi dal mio abbraccio. Voltandomi le spalle.

“Allora torna alla Dimora, dai tuoi confratelli e dal tuo Maestro” suggerisce con voce infinitamente triste.

“Nadima…”

“Se Al Mualim ti ordinasse di uccidermi, tu eseguiresti l’ordine?”

Mi umetto le labbra è una domanda difficile, se me l’avesse posta solo qualche settimana fa, avrei risposto senza esitazione sì, ora invece…

“Non lo so”

“Se ti chiedessi di lasciare tutto e venire con me?”

“No, il mio posto è qui e dove c’è bisogno della mia lama” rispondo.

“Capisco…”

Allungo una mano per toccarla, ma lei si scosta.

“Allora va’”

Con il cuore greve lascio quella casa.

 

Il mio incarico mi porta a Damasco, seguo la mia vittima e colpisco. Il sangue mi sporca le mani ed imbratta la mia veste candida.

Le campane iniziano a suonare, rimbombandomi nella testa, mi arrampico sul tetto e salto da uno all’altro confondendo i soldati. Mi nascondo in un gazebo ed attendo che si allontanino. Proseguo la mia fuga, via da qui, mentre le campane scandiscono i miei passi, il mio respiro, il battito del mio cuore.

Esco dalla città, una pattuglia viene nella mia direzione, mi nascondo in un cumulo di paglia.

Rubo un cavallo e mi precipito lungo la via per tornare a Masyaf. Lungo la strada di ritorno non trovo intoppi, fino a quando non giungo a poche miglia dalla mia destinazione.

Un Templare è fermo ad uno dei pozzi, sta abbeverando il cavallo, si è tolto l’elmo per rinfrescarsi.

Scendo dal mio destriero, mi avvicino silenziosamente, con un rapido gesto metterò fine alla sua miserabile vita.

Cosa lo abbia messo in allarme non saprei dirlo, ma il mio attacco non va a segno. Con un pugno nello stomaco mi atterra, rotolo su un fianco evitando il suo fendente e mi rialzo estraggo la spada e lo affronto.

Mi infligge una ferita al fianco ed esulta credendo di avermi messo al tappeto, ma non è così questa sua distrazione gli è fatale.

Rimonto in sella e sprono il cavallo al galoppo. Fa molto caldo, ho sete e la ferita mi pulsa in modo insopportabile.

Scivolo a terra barcollando pericolosamente, la Dimora sembra così lontana. Urto un paio di persone. inveiscono contro di me.

Socchiudo gli occhi, la luce del sole mi infastidisce. Invece di imboccare la via che sale e porta alla fortezza prendo quella che scende un poco.

Quando giungo alla casa la mia vista è offuscata vedo indistintamente una figura corrermi incontro e chiamarmi. La sua mano fresca si posa sul mio viso bollente.

“Credevo te ne fossi andata” sussurro.

“Sei ferito… appoggiati a me”

Mi conduce in casa, l’oscurità e la frescura è benvenuta. Mi fa stendere sul suo letto, le lenzuola di lino sanno di lei.

“Sei stato troppo tempo sotto il sole e hai perso molto sangue, ma la ferita non è grave”

Con un panno umido mi deterge il viso ed il petto. Solo in quel momento mi rendo conto che mi ha denudato fino alla cintola. Mi riscuoto dal torpore, non è da me abbassare tanto la guardia.

“Dove sono le mie armi”

“E’ tutto in quel canestro”

“Non ho mai permesso a nessuno di avvicinarsi tanto a me” borbotto mettendomi seduto.

“Forse è perché ti fidi di me”

“Forse…”

Mi prende la mano sinistra tra le sue, sfiora il mio dito anulare mancante.

“Chi ti ha fatto questo?”

“Sono stato io”

Spalanca gli occhi sconvolta “Cosa spinge un uomo a mutilarsi in tal modo?”

“Era necessario per servirsi al meglio la lama nascosta, per poterla utilizzare con il pugno chiuso”

Scuote la testa “Per cosa combattete voi Assassini?”

“Per la pace. Perché questa inutile e sanguinosa guerra volga al termine”

 

Prima che cali la notte lascio la sua casa e torno alla Dimora, faccio rapporto al Maestro e mi ritiro nella mia stanza.

Sto per cedere al sonno quando Malik entra senza bussare.

“Sono stanco, vattene” biascico, voltandogli le spalle.

“Al Mualim mi ha chiesto di indagare su quella donna”

Scatto a sedere e punto i miei occhi in quelli neri del mio confratello.

“Cosa?” sussurro, dovevo immaginarlo, che le voci sarebbero giunte al Maestro. Avrei fatto meglio a parlargliene di persona, prima che si fomentassero strane dicerie.

“Non ti fidare di lei, Altaϊr. E’ un consiglio da amico”

Scuoto la testa “Tu non la conosci”

“L’amore può rendere ciechi” risponde tristemente alzandosi. Lo osservo lasciare mestamente la stanza.

Mi alzo, mi vesto, scivolo tra le ombre della notte. Silenzioso ed inosservato.

Evito la porta e mi dirigo alla finestra, la tenue luce di una candela illumina la stanza, è seduta ad un piccolo scrittoio, posto in un angolo della stanza, i capelli le ricadono morbidamente sulle spalle ed adombrano una parte del suo viso. E’ concentrata a scrivere una lettera.

“Nadima…” la chiamo.

Lei si volta ed è sorpresa nel vedermi, per un momento sul suo volto passa un’espressione che non riesco a decifrare, ma è solo un fugace istante, il sorriso le illumina subito il viso.

“Sono felice che tu sia tornato così presto da me. Come va la ferita?”

“E’ solo un graffio dopotutto”

Entro nella casa mentre lei, con rapidi gesti, ripone il materiale per scrivere. Si avvicina a me, le prendo il viso tra le mani, mi chino su di lei.

“Va tutto bene? Sei strano”

“Ora va tutto bene” sussurrò baciandole la bocca calda.

Mi cinge la vita con le braccia aderendo al mio corpo, le passo le dita tra i capelli.

“Vieni dalla Dimora” domanda scostandosi appena da me.

“Sì. Perché?”

“Sei armato fino ai denti”

“E’ l’abitudine, mi sento quasi nudo senza di esse”

Ride sfilando dalla mia cintura i pugnali da lancio lasciandoli cadere a terra con un clangore.

“Cosa fai?”

“Ti spoglio” risponde sorridendo maliziosa.

La spada raggiunge i pugnali seguita poco dopo da quella corta che porto sulla schiena.

Sbuffa slacciando ad una ad una le fibbie del bracciale della lama nascosta.

“Fa attenzione” sussurro aiutandola “Potresti farti male”

Ignora il mio commento togliendomi il bracciale di cuoio.

“Ti senti a disagio senza le tua armi”

“Non ora. Solo più leggero” rispondo, sospingendo la sua veste oltre le sue esili spalle e questa con un fruscio si posa sulla mie armi.

L’ammiro nella sua splendida nudità. Si accosta contro di me, avverto il calore del suo corpo attraverso gli abiti.

Faccio scorrere le dita sulla pelle liscia della sua schiena, scendo fino ai suoi glutei rotondi e sodi.

Traffica con le mie cinture, ne scioglie un paio e sbuffa spazientita. Rido allontanandola un poco. Mi tolgo la cintura, la fascia rossa e la pellegrina, strattona la mia sopraveste.

“Sei impaziente”

“Tu no?”

“Non sai quanto”

In breve tutti i miei abiti si ammassano a terra. La sospingo verso il letto baciandole il viso, il collo, le spalle.

Si sdraia portandomi con sé, scendo a baciarle il seno, accarezzandola piano, la sua pelle si increspa di mille brividi, le sue mani danzano sulla mia schiena.

Sfiora con le dita alcune cicatrici che solcano la mia pelle abbronzata. Mi fissa con i suoi occhi azzurri, sembra turbata.

“Non essere triste per me”

“Non è questo…” sussurra distogliendo lo sguardo dal mio, sospirando piano.

La bacio piano, assaporando la sua bocca, giocando con la sua lingua. Mi circonda i fianchi con le gambe.

“Ti prego…” sussurra.

La penetro lentamente assaporando ogni singolo istante, Nadima inarca la schiena ed emette un basso gemito. Affondo inesorabilmente ed in lei mi perdo.

Non sono più Altaϊr l’assassino, lo sciacallo di Masyaf, sono semplicemente un uomo che fa l’amore con la donna di cui è innamorato.

Ci muoviamo in una danza antica, i nostri gemiti si fondono così come i nostri corpi ed i nostri cuori.

Tremo nel corpo caldo di Nadima che ansima il mio nome.

Restiamo allacciati fino a quando i nostri respiri tornano regolari. Scivolo al suo fianco, Nadima si solleva afferra il lenzuolo di lino e copre i nostri corpi sudati, infine si accoccola contro di me, posando la testa bionda sul mio petto.

 

La tenue luce dell’alba, mi desta dal dolce sonno in cui mi sono lasciato andare.

Nadima, dorme ancora stretta a me. Le accarezzo i capelli e la schiena, mugola nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.

“Devo andare” sussurro baciandole la fronte.

“Resta ancora un po’…” bisbiglia baciandomi la guancia e poi le labbra.

“Sai che non posso… anche se vorrei…”

 

Risalgo la china verso la fortezza evito volutamente il portone principale, entro non visto da una delle porte laterali. Eludo un paio di confratelli, raggiungo senza intoppi il mio alloggio.

“Il figlio prodigo è tornato a casa”

Resto immobile sulla soglia, Al Mualim è seduto sul baule ai piedi del mio letto.

“Maestro” saluto entrando chiudendomi la porta alle spalle.

“Se ti ordinassi di uccidere quella donna, accetteresti l’incarico?”

Deglutisco serrando i pugni “Sì” la stessa domanda che ha fatto Nadima.

Si alza e mi gira intorno scrutandomi “Hai raggiunto il grado più alto, Altaϊr, non gettare tutto al vento per una donna”

Con queste parole abbandona la stanza, lasciandomi solo con i miei pensieri.

 

Le strade sono più affollate del solito. Meglio così, potrò mimetizzarmi più facilmente tra la folla.

Sto seguendo il mio obbiettivo da un po’. Sembra difficile trovare un posto adatto per assassinarlo.

Un mendicante mi urta e  mi chiede del denaro, lo ignoro continuando a seguire il mio bersaglio. Svolta in una via, ottimo ora è momento di colpire!

Mi avvicino furtivo e lo trafiggo, il suo corpo non ha ancora toccato il suolo ed io sono già lontano.

Ripercorro a ritroso il percorso, le guardie corrono nella direzione opposta, mi fermo ad una bancarella confondendomi con la gente, quando i soldati si sono allontanati porgo uno sguardo alla merce esposta, sono stoffe pregiate.

La mia attenzione viene catturata da un taglio di seta rosa, sottile e delicato, come Nadima.

Sorrido pensando a lei sfioro la stoffa è morbida come la sua pelle.

“Volete quella stoffa signore?” domanda l’ometto curvo trotterellando verso di me con un sorriso sdentato.

“Sì” rispondo senza riflettere, contratto sul prezzo.

“E’ un ottimo affare, vostra moglie sarà estasiata, la mia quando le regalavo qualcosa impazziva di gioia. Ah tempi lontani”

Abbasso lo sguardo stringendo tra le mani l’involto.

Cosa siamo Nadima ed io? Ci frequentiamo da quasi un anno. Mi chiedo perché Al Mualim mi sia così  ostile e perché Malik continui a mettermi in guardia su di lei. La vedono tutti come un nemico, ma non lo è. Come potrebbe una fanciulla come lei?

Sono così assorto nei miei pensieri che urto una donna che trasporta una giara, questa cade e si infrange.

“Guardie aiuto!!!” grida fuggendo.

“Laggiù! E’ l’assassino!” urla una guardia all’altra.

Fuggo incurante di chi urto, mi aggrappo ad una sporgenza, mi isso su un tetto, mi stanno ancora seguendo, salto da un tetto all’altro, vedo un gazebo e mi ci rifugio. Mi appiattisco a terra, cercando di calmare il mio respiro. Li sento gridare, ma dopo un poco se ne vanno brontolando.

Resto steso a terra fissando le tende del gazebo muoversi al vento. E’ tempo di tornare a Masyaf.

 

Ascolto distrattamente le parole di Al Mualim, la mia mente è lontana, attendo con ansia il calar delle tenebre.

“Mi stai ascoltando, Altaϊr?”

Mi riscuoto “Sì, maestro”

“Cosa ho appena detto?”

Resto muto abbassando lo sguardo, scuote la testa con un sospiro “Va a riposare, ragazzo. Non ho incarichi per te”

Appena fuori dalla biblioteca incontro Malik “Hai portato a termine un altro incarico con successo” mi elogia, ma le sue parole sono venate di invidia.

“Sì, dopotutto sono il migliore” ribatto continuando a camminare.

“Non sarei tanto borioso se fossi in te”

“Se fossi in me lo saresti eccome, Malik” ribatto.

Ride continuando a seguirmi “Senti, questa sera, Kadar, io ed altri confratelli andiamo al paese per passare qualche ora in allegrezza, vuoi unirti a noi?” propone.

“No, ho altro da fare” replico secco.

Malik sospira incrociando le braccia sul petto “Vai da lei?” domanda e sa benissimo quale sia la risposta, quindi taccio.

“Altaϊr…” esordisce, ma prima che inizi una predica alzo la mano e lo zittisco.

“Sono stanco ed ho bisogno di un bagno. Non ho voglia di ascoltare le tue parole”

“Tu non capisci…”

“No, sei tu quello che non vuole capire, lasciami in pace, non sono l’unico nella fortezza ad avere una relazione, ma solo io vengo ostacolato ed esasperato dal maestro e da te”

“E’ un nemico”

Scoppio a ridere “Ho fatto le mie indagini, non è nulla di tutto ciò. Quello che ti fa parlare è solo l’invidia perché lei ama me e non te…”

Scuote la testa “I nostri nemici sono astuti ed usano qualunque mezzo per annientarci”

“Non lei”

“E’ una donna sola, senza marito o fratelli, non lo trovi strano?”

“No!” rispondo ostinato, incrociando le braccia sul petto.

“E’ impossibile parlare con te” sbotta allontanandosi “Comunque se cambiassi idea, cosa che non farai, sai dove trovarci”

 

La risata cristallina di Nadima mi giunge alle orecchie. Non è sola.

Mi avvicino alla finestra e sbircio dentro, è seduta al tavolo e parla con un uomo.

Resto in ascolto ma non dicono nulla di interessante e finalmente, il suo ospite se ne va.

“Non credevo si sarebbe trattenuto tanto a lungo”

Sobbalza e si volta nella mia direzione “Da quanto sei lì?”

“Da abbastanza… chi è quell’uomo?” domando entrando.

“Un amico, un mercante di Damasco…” balbetta nervosa.

Socchiudo gli occhi si comporta in modo strano “Ti trastulli con lui quando sono lontano”

“No!” esclama “Non pensarlo nemmeno un istante, io non potrei mai tradirti”

L’attiro verso di me e la bacio, dissetandomi di lei.

“Ti ho portato una cosa. Quando l’ho visto ho pesato subito a te” mormoro porgendole l’involto

“Si è un po’ sgualcito trasportandolo”

“Non ha importanza” mi rassicura scartandolo.

“E’ bellissima!” esclama accarezzando il tessuto.

“Mai quanto te” rispondo, sospingendola verso il letto.

 

Ogni notte, mi reco da Nadima per dimenticare la confraternita, per ritrovare me stesso.

Siamo seduti sul letto assaporando un frutto succoso e dolce.

“Sai sarei proprio curiosa di vedere la fortezza, mi piacerebbe fare l’amore nella tua stanza”

Scuoto la testa, pulendomi le mani su un panno.

“No, non è possibile”

“Perché no?”

“La fortezza non è accessibile a chi non fa parte della confraternita”

“Vuoi dirmi che in quell’edificio sono tutti assassini?”

“Sì di vari gradi e preparazione, non ci sono persone esterne”

“Ma gli approvvigionamenti? Non venite certo al villaggio a rifornirvi”

“No, c’è un portone sul retro dove arrivano i carri, ma per portarli all’interno ce ne occupiamo noi”

Si imbroncia incrociando le braccia sul petto “Ed i panni, non dirmi che ve li lavate voi?”

Annuisco sorridendo alla sua espressione incredula.

“Non c’è modo di entrare per qualcuno che non fa parte della confraternita. Se ti portassi all’interno infrangerei una regola del Credo”

Inclina il viso di lato “Non capisco che Credo può avere un assassino?”

Le scosto una ciocca di capelli dal viso.

“Il Credo dell’Assassino consiste in tre dogmi a cui tutti gli Assassini, degni di onore, si devono attenere”

“E quali sono?” domanda fermando la mia mano che scende verso il suo seno.

“Trattieni la lama dalla carne degli innocenti, nasconditi alla vista, mai compromettere la confraternita”

“Non li hai mai infranti?”

“No, mai e non inizierò ora portandoti all’interno della fortezza. Mi dispiace, va contro tutti i miei principi”

“Allora dovrei assolvere questa mancanza in qualche altro modo… assassino” sussurra sospingendomi tra i cuscini.

“Interessante…”

 

Rientro furtivo alla Dimora, in uno dei corridoi incontro Malik, sul suo volto è dipinta un’espressione strana, indecifrabile.

“Il Mastro ti ha convocato. Ti aspetta nella biblioteca”

Sicuramente mi affiderà un nuovo incarico, spero sole che la richiesta di qualche giorno fa, non diventi concreta.

Mi fermo dinnanzi alla sua scrivania ed attendo che termini di scrivere sul suo libro.

Si alza e mi squadra dalla testa ai piedi.

“Hai l’aria stanca”

Non raccolgo la sua provocazione restando in silente attesa.

“Devi recarti in un villaggio qui nel Regno”

Mi illustra chi e dove colpire, mi ordina di partire immediatamente ed eseguire l’incarico il più celermente possibile.

 

Attraverso il villaggio, Nadima non era in casa, potrebbe essere ovunque, non ho tempo di cercarla.

Prendo una via laterale, la quale passa vicino ad una fontana dove le donne si recano a lavare i panni e lì, la vedo, intenta a fare il bucato e chiacchierare con altre fanciulle. Incrocia il suo sguardo con il mio, sorride sotto il chador e comprende che questa notte non andrò da lei.

 

E’ notte fonda quando torno a Masyaf, mi avvicino silenzioso alla casa di Nadima. Sono stato lontano un sol giorno eppure mi sembra passato molto più tempo.

Un ombra lascia la sua casa, è troppo buio per distinguerla in questa notte senza luna, le vie sono scarsamente illuminate dai bracieri.

Intuisco che qualcosa non va appena vedo la porta dell’edificio: è aperta.

Entro con il cuore in gola, l’odore metallico del sangue mi giunge alle narici. Una candela solitaria rivela ciò che non vorrei vedere.

Nadima è riversa a terra, in una pozza del suo stesso sangue, le hanno tagliato la gola.

Mi inginocchio accanto a lei, sollevo il suo corpo esangue, la stringo a me.

Bacio le sue labbra tiepide cullandola avanti ed indietro, mentre un singhiozzo scuote il mio petto.

Per quanto tempo resto in quello stato non saprei dirlo.

Adagio il suo corpo a terra, mi guardo intorno, mancano delle oggetti. Altri sono stati spostati.

Prendo la candela, do’ fuoco ad un paio di ceste, la guardo per un’ultima volta e lascio quella casa per sempre.

 

Raggiungo la Dimora, oltrepasso il portone principale, c’è uno strano fermento per essere notte fonda. Kadar mi viene incontro con un’espressione angosciata. A quel ragazzo si legge tutto in volto.

“Altaϊr…” lo sospingo di lato proseguendo il mio cammino. Sulle scale, che portano alla biblioteca, Malik mi attende.

Gli sferro un pugno, non tenta nemmeno di difendersi. Ora so chi ha agito e per volontà di chi.

Avanzo fino al tavolo di Al Mualim, il quale mi sta chiaramente aspettando.

“PERCHE’?” grido sbattendo le mani sul ripiano di legno.

“Era necessario” ribatte con calma, facendomi andare in bestia.

“Vi ho chiesto perché?”

“Era la figlia di un Templare e mandava a Gerusalemme informazioni su si noi”

“Menzogne!” urlo, ma il Maestro prosegue: “Informazioni che tu le fornivi, ma che fortunatamente Malik ha sempre intercettato. Ho atteso, Altaϊr, che tu aprissi gli occhi e vedessi l’inganno da lei perpetrato ai tuoi danni, manovrata dai Templari. Ho aspettato per due anni purtroppo il tempo ora è giunto, andava eliminata per evitare di compromettere la Confraternita”

“No, non è vero…” le lacrime offuscano la mia vista, tutto si fa sfocato ed indistinto.

“Non è vero…” replico. Al Mualim si alza e si avvicina.

“Sei stato solo un povero stolto. Ti sei lasciato sedurre da quella sgualdrina”

Questo è troppo la lama scatta ed io mi avvento sul mio Maestro.

Malik ed un altro confratello mi bloccano, mi trascinano indietro, trattenendomi per le braccia.

Le mie gambe cedono e crollo in ginocchio singhiozzando.

“Che patetico spettacolo. Trai forza da questo evento ragazzo”

 

Vengo scortato nella mia stanza, Malik congeda l’altro confratello, restiamo soli.

“Mi dispiace Altaϊr, davvero. Questo forse può aiutarti a fare chiarezza” sostiene posando sullo scrittoio un libretto rilegato in pelle nera, ha tutto l’aspetto di essere un diario.

Sta per lasciare la stanza, lo afferro e lo scaravento a terra gli sono sopra con un balzo, estraggo la lama nascosta, ma a pochi centimetri dalla sua gola mi fermo. A cosa servirebbe se non a macchiarmi le mani ancora una volta? Se prendessi la vita di Malik nessuno la restituirebbe a Nadima.

Le mie lacrime, come gocce di pioggia, bagnano il viso del mio confratello, mi accascio su di lui.

“So che non serve a molto, ma mi dispiace sinceramente per quanto è successo” mormora battendomi una mano sulla spalla.

“Io l’amavo, Malik, l’amavo…”

“Lo so. L’ho capito subito, ho cercato di metterti in guardia, ma ci sono cosa che non si possono controllare. Se solo non fosse stata la figlia di un Templare…”

Mi sollevo lasciandolo andare, si alza e se ne va, abbandonandomi al mio dolore ed al mio tormento.

Prendo il libretto che ha lasciato ed inizio a sfogliarlo.

 

Non è stato difficile avvicinarlo, anche se è un Assassino è un uomo desideroso di amore ed attenzione, non sarà difficile per me raggirarlo.

 

Chiudo gli occhi posando la testa sul bordo del letto. Tutto ciò che mi ha fatto credere erano menzogne. Nulla è reale, tutto è lecito. L’avevo dimenticato.

 

Mi ha raccontato particolari interessanti di cui nessuno di noi era a conoscenza. Infondo anche loro perseguono la pace. Altaϊr ci crede fermamente. Nonostante tutto c’è del buono in lui. Più lo conosco e più mi piace… so che non dovrei affezionarmi a lui, ma non si possono controllare i sentimenti.

 

Più leggo queste righe più mi rendo conto di quanto sono stato cieco, ingenuo e sciocco.

 

Ha scoperto che non ci sono parenti qui a Masyaf, credevo avrebbe svolto delle indagini su di me molto prima di adesso, meglio così.

Non è stato difficile inventarmi un’altra bugia. Ho visto il suo corpo irrigidirsi al mio racconto, posso dire di essere sulla strada giusta a breve mi dirà tutto ciò che voglio.

 

Quanto sono stato sciocco avrei dovuto, indagare più a fondo, verificare, quando ero a Damasco se, quanto mi aveva narrato, era vero. Non l’ho fatto, reso cieco dal sentimento che cresceva dentro di me.

 

Non mi aspettavo che tornasse tanto presto, mi ha quasi sorpresa a scrivere la lettera a mio padre.

Però sono stati momenti meravigliosi, nessun uomo mi ha mai fatto sentire così… speciale.

E’ stato tenero e forte ed in ogni suo gesto traspariva l’amore. Ora ne sono certa, Altaϊr è innamorato di me.

Io non sono degna del sua amore. Meriterebbe qualcun’altra.

 

Menzogne su menzogne, bugie su bugie ed io ho creduto ad ogni parola che usciva dalle sue labbra piegate da quel sorriso dolce ed ammaliante.

 

Sono stata fortunata, Altaϊr non ha sentito la conversazione dall’inizio, ma solo la fine ed ha frainteso ciò che ha visto come un uomo innamorato. E’ geloso. Gli ho detto che non potrei mai tradirlo, in realtà lo faccio di continuo. Nella sua semplicità mi ha recato un dono, se solo non fosse un Assassino potrei amarlo come merita.

Ma che dico… non devo lasciarmi trasportare dai sentimenti. Devo invece preoccuparmi del perché le mie missive non giungano a Roberto.

 

In queste pagine c’è tutta la nostra relazione, sorrido amaramente.

 

Non sono riuscita a farmi portare all’interno della Dimora. Altaϊr è incorruttibile, fermamente devoto al suo Credo.

In realtà non mi importa, avrò bisogno di più tempo per svolgere il mio incarico. Potrò avere più occasioni per stare con lui.

Ogni volta che entra nella mia casa, il cuore inizia a battermi più forte e, quando le sue labbra si posano sulle mie, dimentico tutto quanto.

Vorrei poterlo amare, senza secondi fini, perché è questo che merita e merito anche io.

 

Mi asciugo il viso e traggo un profondo sospiro. Sembra quasi che provasse qualcosa per me, ma forse mi sto illudendo di trovare delle riposte che in realtà non ci sono.

Volto pagina è l’ultima, è macchiata di sangue, la stava scrivendo quando Malik l’ha raggiunta per ucciderla.

 

Altaϊr è partito, non ho idea di dove sia andato e quando tornerà. Spero solo non stia lontano troppo a lungo.

Ho preso una decisione rischiosa, non tollero che mio padre controlli la mia vita per sempre.

Quando Altaϊr tornerà vorrei raccontargli tutto, anche se so che si adirerà. Rivelerò dell’inganno perpetrato ai danni degli Assassini, svelerò che mio padre è un Templare, gli confesserò che lo amo. La morte sarà benvenuta se viene dalla sua lama. Non infrangerà il Credo, perché io non sono un innocente, ma un nemico, il loro più acerrimo.

E’ l’unico modo in cui posso dimostrare che il mio amore è sincero. Che non è una menzogna. Che l’ho ingannato solo all’inizio.

Qualunque cosa accada non…

 

Stringo il diario al petto. Se solo fossi tornato qualche ora prima. Tutto si sarebbe evitato.

Mi prendo la testa tra le mani, tutto questo non ha senso.

Al Mualim non controllerà più la mia vita, sarò solo io a prendere le decisioni che guideranno le mia azioni, come lo riterrò meglio per me.

Sono un Priore, ho il rango più alto all’interno della Confraternita e la mia preparazione è superiore a tutti gli Assassini qui presenti.

Ogni Templare che mi verrà dinnanzi cadrà. Fino a quando non ne rimarrà nessuno.

La rabbia scorre in me allo stesso ritmo del mio sangue. Stringo i pugni facendo un bieco sorriso.

La mia prossima missione: recuperare un manufatto al Tempio  di Salomone, sottrarlo a Roberto di Sable, Gran Maestro dei Templari.

Al Mualim non mi ha ordinato di ucciderlo, ma morrà ugualmente. Sarà uno dei tanti Templari che cadrà per mano  mia!

Malik e Kadar ti accompagneranno”

“Non ho bisogno di aiuto, posso cavarmela benissimo da solo” sbotto irritato, saranno solo un intralcio ai miei piani.

“Il compito che ti ho affidato è di vitale importanza non deludermi”

“Non lo farò”

Lascio la biblioteca, scendo le scale, Malik e Kadar mi attendono appena fuori dal portone.

Senza una parola mi seguono e ci dirigiamo alla volta di Gerusalemme!

 

 

 

 

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