Genere:
yaoi
Raiting:
R, death-story
Pairing:
EtromXThomas
 Disclaimers: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.

Etrom

di Bombay

 

Non ho mai avuto problemi a svolgere il mio lavoro. Però quella volta esitai.

 

Sono passati molti anni da qual giorno eppure soffro ancora.

Io che dovrei essere insensibile e, soprattutto, imparziale, mi sono lasciato travolgere dai sentimenti.

Significa questo essere innamorati? Vivere e struggersi nel ricordo di una persona che non c’è più? Che ha lasciato questo mondo, con il volto e l’animo sereno di chi comprende ed accetta il suo destino, non con rassegnazione, ma con la tranquillità di chi ha concluso un viaggio?

Il vento mi scompiglia i capelli, ricordo quel giorno come fosse ora.

 

Dovevo svolgere il mio incarico, come sempre, arrivavo e lo conducevo via con me. Lo avevo fatto sempre per lunghi anni senza intoppi.

Quella volta dovevo portare via una ragazzo, che non aveva ancora compiuto i vent’anni, ma l’età non mi ha mai condizionato, ho accompagnato con me bambini appena nati e con loro, a volte, madri molto giovani.

 

Era una bellissima giornata di sole, nel parco molte persone trascorrevano in modo diverso quel sabato pomeriggio: intere famiglie, gruppi di ragazzi che giocavano a pallone, madri che portavano a spasso i loro bambini, giovani che si allenavano, coppie di innamorati che passeggiavano tenendosi per mano.

Un ragazzo correva da solo sulla pista adibita alla corse, si fermò a prendere fiato. Si tolse gli occhiali dalla leggera montatura e si passò la maglietta sul viso detergendosi il sudore.

Alto, forse un po’ troppo magro, dai capelli neri portati un po’ lunghi. Mi avvicinai a lui con passo deciso, subito si accorse si me, mi fissò sorridendo ed in quel momento persi me stesso, in quegli occhi neri e profondi, per sempre.

“Ci conosciamo?” mi chiese.

“No”

Non potevo esitare dovevo portare a termine il mio dovere, subito!

Si portò una mano alla fronte piegandosi in avanti, istintivamente lo sostenni.

“Tutto bene?” chiesi, sapendo bene che non era così. Chi meglio di me lo poteva sapere?

“Sì, ora passa” rispose con voce flebile, ma sicura.

Lo feci sedere sull’erba ed andai a prendergli dell’acqua. Perché stavo facendo tutto ciò? Mi interrogai, ma non seppi subito darmi una risposta o, forse, non volli.

“Grazie, da qualche giorno mi vengono degli improvvisi mal di testa e violenti capogiri, devo decidermi ad andare dal medico” mi disse, con la confidenza che si riserva ad un amico.

“Come ti chiami?” domandai anche se sapevo molte cose su di lui.

“Thomas Ford e tu?”

Aprii la bocca per rispondere poi la richiusi, Thomas reclinò il viso di lato in attesa.

“Etrom” mormorai quasi con timore, nessuno mi aveva mai domandato il nome.

“Etrom? Ma che razza di nome è?”

“Un nome come un altro” ribadii ridendo, quel giorno non lo portai via con me.

 

Il mattino seguente lo incontrai ancora, deciso e risoluto a portare a termine il mio incarico, ma non ce la feci e nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora. Più lo conoscevo e più… non sapevo cosa pensare, cosa fare e come comportarmi.

 

Passò così un mese in cui ci vedevamo tutti i giorni. Thomas era espansivo e dolce, mi raccontava di sé, della sua famiglia, degli studi e dei progetti futuri.

Io, invece, creavo menzogne su menzogne di un passato che non avevo, di legami mai esistiti.

 

Ci frequentammo, ci conoscemmo, ci innamorammo.

 

Non potevo crede a quello che stavo vivendo, mi sembrava un sogno, ma sapevo che non poteva perdurare, dovevo mettere fine alla nostra relazione, non potevo oppormi a Destino, non potevo indugiare ancora, non mi sarebbe stato permesso, già troppo spesso ero venuto meno al mio dovere, qualcun altro avrebbe svolto questa incombenza.

Non potevo permetterlo.

 

Quella sera cenammo insieme a casa di Thomas, mi aveva invitato visto che i suoi genitori erano fuori città per tutto il fine settimana, aveva cucinato per me.

Finito di sistemare la cucina, Thomas mi baciò e mi condusse nella sua stanza al piano superiore.

Lo baciai rimandando ancora il mio missione.

Ci amammo quella notte, fino al mattino, fino a quando i nostri sensi ed in nostri corpi vennero appagati.

Quella notte conobbi l’essenza della felicità, dell’amore e della vita.

Sì, mentre i nostri corpi si univano e si scioglievano in un unico corpo, un’unica anima ed un'unica mente. Sentii la vita palpitare in me, in lui più forte e luminosa che mai. Fu un’esperienza violenta e travolgente: unica.

 

Però, più si approssimava il giorno più sentivo dilagare dentro di me l’angoscia. Dovevo dirgli la verità, lo avevo ingannato troppo a lungo, ma sapevo che, nel momento stesso in cui gli avessi rivelato la verità, lo avrei perduto per sempre.

“Thomas, ti devo dire una cosa importante” iniziai, la mia voce risuonò tremante ed insicura alle mie stesse orecchie.

I suoi occhi neri si fecero attenti e curiosi.

“Ti ho mentito”

“Non mi ami?” domandò allarmato. Era questo ciò che temeva di più.

“Sì, più di me stesso, questa è l’unica verità che ti ho detto, ma è giusto che tu sappia chi sono in realtà”

“So chi sei” mormorò sorridendo dolcemente, lasciandomi senza parole, sistemandosi sopra di me.

“Non sai quello che dici” mormorai, eppure lessi nei suoi occhi che conosceva la verità da molto tempo, forse fin dal primo giorno.

“Etrom non è il tuo vero nome… tu sei…”

Posai le dita sulla labbra. No! non ero pronto

“Non dirlo” gridai “Non dirlo altrimenti…” lo ammonii disperato, ma Thomas e la scostò dal suo viso posandola sul petto all’altezza del cuore che pulsava lento e regolare.

“Morirò” disse con una calma ed una serenità che mi raggelò e le lacrime mi salirono agli occhi e piansi.

Piansi per la prima volta nella mia esistenza.

Mi asciugò le lacrime con le labbra e poi mi baciò con dolcezza.

“Sai, sono stato dal medico, due settimane fa, mi ha diagnosticato un tumore al cervello, secondo lui è un miracolo che sia ancora vivo. Non c’è molto da fare, un intervento è impossibile e le cure mi allungherebbero la vita, ma non di molto, soffrendo…”

Mi scostò i capelli scuri dal viso.

“Facciamo l’amore un’ultima volta”

Non seppi dirgli di no, così ci unimmo in un amplesso lungo e travolgente, colmo di passione, tristezza, amore, dolore…

“Sono felice di averti conosciuto” mormorò accarezzandomi le labbra con le dita.

“Non ho paura di morire, perché sei tu a condurmi via”

Scossi la testa, mai incarico fu per me così doloroso ed ingiusto, me ero già venuto meno ai miei ordini troppo a lungo, dovevo essere imparziale.

“Ti amo, Morte…” sussurrò sulle mie labbra.

Sentii la vita scivolare via dalle sue membra, la sua anima scorrermi tra le dita come sabbia.

Rimasi ore a piangere con il corpo esanime di Thomas stretto al petto, ripetendo il suo nome e quanto lo amavo.

 

Venni rimproverato e punito da Destino per la mia negligenza, ma non mi importava, se mi avesse condannato all’oblio eterno ne sarei stato più che felice, ma così non fu.

La mia punizione è questa: continuare ad esistere e ricordare. Solo questo mi resta. Solo questo per l’eternità.

Ho sperimentato l’amore e soffro ancora.

Ogni anno vengo qui in questo cimitero, davanti a questa lapide che porta il nome dell’uomo che amo.

 

Thomas A. Ford

15 dicembre 1985 – 15 maggio 2004

 

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