Lo stendardo di Lepanto: l’impronta della storia

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Stendardo di Lepanto (Gaeta) Piano di battaglia(Pisa) Stendardo turco (Pisa) P. Veronese

L’ultima battaglia della marina remica e la prima della marina moderna avvenne il 7 ottobre 1571 al largo delle isole Curzolari. La flotta della Sacra Lega riunita da papa S. Pio V, composta da navi e marinai d’ogni parte d’Europa e guidata dal venticinquenne ammiraglio don Giovanni d’Austria (1545–1576), figlio naturale dell’imperatore Carlo V il Grande, sconfisse duramente la flotta turca dell’ammiraglio Ali’ Paşa’ Muezzn (per la descrizione della battaglia cfr. Richard Humble 25 secoli di battaglie navali, capitolo Lepanto, ed. italiana a cura di Franco Lenzi e Riccardo Nassigh, Ed. Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981).

Lo scontro fu preannunciato da segni che ciascuna parte interpretò a proprio favore (Alberto Guglielmotti, ufficiale della marina Pontificia, narrò che si videro impressionanti fuochi di S. Elmo in forma di colonna sul mare lungo la rotta che portava verso Lepanto).

L’evento, importantissimo ma certamente non definitivo (l’impero turco visse fino al 1918 e continuò a fronteggiare le potenze occidentali in innumerevoli conflitti), fu salutato come una vera liberazione in tutta l’Europa. Con la fede dell’epoca, la vittoria fu attribuita all’intercessione della Madonna, dato che gli ammiragli cristiani avevano fatto recitare il Rosario ai propri uomini durante la navigazione, come aveva raccomandato il papa stesso (il quale era stato frate domenicano e dunque particolarmente sensibile a tale devozione diffusa dagli ordini mendicanti). L’anno successivo Pio V istituì la commemorazione della Vergine della Vittoria e nel 1573 Gregorio XIII istituì la festa del Rosario (prima domenica di ottobre, ma nel 1913 fissata da S. Pio X al 7 ottobre).

Tuttora in moltissime città d’Europa il 7 ottobre si fanno grandi feste, per entrambe le ricorrenze storiche intimamente legate. Nella nostra zona le feste, con sagre e tornei, sono particolarmente sentite nei castelli romani, feudo dell’ammiraglio Marcantonio Colonna (sul cui palazzo di Paliano appaiono in bassorilievo le galee turche con gli alberi mozzati e la bandiera musulmana umiliata e vinta) e nel sermonetano, feudo del cardinale Onorato Caetani (1554–1591) duca di Sermoneta e capitano della Guardia Pontificia.

Fu proprio il cardinale Caetani che fece dipingere al pittore di fiducia della sua famiglia, Girolamo Siciolante da Sermoneta (che operò in tutte le città vassalle dei Caetani), uno stendardo che doveva incoraggiare i cristiani e incutere timore tra i nemici. Esso fu benedetto dal papa e consegnato a Marcantonio Colonna il quale radunò la flotta pontificia a Gaeta prima di congiungerla con quella spagnola a Messina.

Lo stendardo era un vessillo a fiamma rossa bordata d’oro, nel quale la scena sacra Gesù crocifisso tra S. Pietro e S. Paolo e la scritta in hoc signo vinces (dipinte su entrambe le facce, ovviamente) apparivano vicino all’albero, una volta issato, mentre il vessillo proseguiva in colori uniformi per circa altri otto metri. Esso fu issato sulla nave di don Giovanni d’Austria sull’albero poppiero, pendente sul mare fin quasi a lambire le onde. L’aspetto originale è noto da vari dipinti ed affreschi coevi, in cui i pittori si avvalsero delle descrizioni di testimoni oculari.

Tra parentesi i nomi dei testimoni oculari di cui si avvalsero i pittori: Giorgio Vasari, Sala Regia del Vaticano (Marcantonio Colonna e Onorato Caetani); Andrea Michieli Vicentino, sala dello scrutinio nel Palazzo Ducale di Venezia (Sebastiano Venier; comunque il Vicentino partecipò alla battaglia; la galea su cui era imbarcato fu affondata ed egli fu poi tratto in salvo: così egli stesso si ritrasse tra gli altri naufraghi in un dettaglio della vasta tela); Correggio, biblioteca di S. Giovanni Evangelista a Parma (Cinzio de’ Nobili, di Boville Ernica, capitano di ventura al servizio del duca di Parma); Tiziano Vecellio, Prado di Madrid (don Giovanni d’Austria e, forse, Miguel de Cervantes); Paolo Veronese, Gallerie dell’Accademia di Venezia (Agostino Barbarigo). G. Coli e F. Gherardi palazzo Colonna di Roma (Marcantonio Colonna).

Cimeli della battaglia sono sparsi per l’Europa e ne ricordo i più famosi: SIMANCAS, Archivio di Stato: piano di battaglia vergato da don Giovanni d’Austria – TOLEDO, Hospital y Museo nacional de Santa Cruz: tre orifiamma, insegne di don Giovanni d’Austria e dell’ammiraglio sottordine Alvaro de Bazan marchese de Santa Cruz, issati sulle coffe di maestra delle rispettive navi di comando – PISA, S. Stefano de’ Cavalieri (appositamente costruita su progetto di Giorgio Vasari): otto fanali in rame dorato, bandiere e soprattutto il vessillo della nave ammiraglia (l’equivalente degli orifiamma) che fu conquistato dai guerrieri pisani delle navi “Capitana” e “Grifona” dopo un furioso combattimento, si tratta di un lungo pennello bianco con disegni geometrici augurali e un fitto ricamo d’oro (l’invocazione Allah ripetuta ventinovemila volte); a memoria dell’impresa tuttora si tiene la “regata di S. Ranieri” sull’Arno – RIVALTA, castello Zanardi Landi: Bandiere e cimeli – AMELIA, cattedrale, cappella di S. Bartolomeo: due stendardi turchi.

Monumenti celebrativi vennero eretti dappertutto (per es. il palazzo di Marcantonio Colonna in piazza Lepanto a Paliano, la loggia del Capitanio a Vicenza eretta da Andrea Palladio, S. Maria della Vittoria in piazza Vittoria a Napoli, voluta da Giovanna d’Austria, figlia di don Giovanni); anche la bandiera bianca crociata con i quattro mori bendati, simbolo della Sardegna, fu inalberata sul “tercio” dell’ammiraglia cristiana.

Per finire si tramanda che la corona del Rosario deriva da cimeli catturati ai turchi. Riporto una leggenda che si narra a Montodine: tra i trofei sottratti ai turchi, un oggetto in particolare colpì l’attenzione e la curiosità dei vincitori: una lunga catena forgiata di pregiati metalli costituita da una fitta successione di piccoli grani intercalati da grani più grossi che gli orientali usavano originariamente per contare e successivamente pregare. I superstiti dei diciassette montodinesi che parteciparono come rematori alla battaglia portarono tale oggetto (conservato con altri cimeli nel duomo di Crema) e ne trassero spunto per la realizzazione delle corone del Rosario, presso l’omonima confraternita che essi fondarono a Montodine.

Lo stendardo dell’ammiraglia cristiana fu affidato in perpetua custodia al vescovo di Gaeta Pietro Lunello da don Giovanni d’Austria, non appena tornato in Italia, per devozione alla Madonna, a S. Erasmo patrono dei marinai (ricordando i fuochi di S. Elmo che aveva visto prima della battaglia) e per devoto omaggio al padre Carlo V che aveva fortificato la città pochi anni prima. Si ignora come lo stendardo fosse mantenuto, ma ritengo probabile che, date le dimensioni, fosse ripiegato e racchiuso in una teca (come all’origine lo fu la sacra Sindone nella cappella dei duchi di Savoia), o, come ritengono altri, in un armadio con ante vetrate. Nel 1779 il vescovo Carlo Pergamo lo fece tagliare in modo da conservare solo le figure sacre e, stranamente, spostò la scritta sotto le figure; dopo il 1788 fu conservato nella nicchia centrale della parete fondale del presbiterio, rendendone visibile solo una faccia.

Nel corso del XIX sec. fu rigirato per consentire la vista dell’altra faccia (meglio conservata poiché non esposta alla luce) tagliando la scritta. Rimosso provvidenzialmente nel 1940, evitò i danni del bombardamento del 1943; fu sottoposto ad un primo restauro nel 1952 e ad uno più radicale nel 1976, quando fu evidente che l’ulteriore esposizione alla luce solare e al microclima della cattedrale avrebbe nociuto in modo irreparabile. Terminato il restauro, fu esposto nel 1976 e concesso in custodia al Centro Storico Culturale e collocato su un’intelaiatura metallica per meglio consentirne la conservazione e la visione di entrambi i lati.

Poiché si trattava di un vessillo, appositamente dipinto per l’occasione, la tela e le tinte utilizzate erano adatte a tale scopo ma non certamente adeguate a durare a lungo; la scena dipinta aveva anche un significato psicologico, nel suo aspetto vigoroso ma di fattura grossolana, ciò perché era concepita per essere vista da lontano, incoraggiando i combattenti cristiani e terrorizzando i nemici (che in pratica vedevano queste tre figure proteggere dall’alto la flotta cristiana e sventolando la lunga lingua rossa del vessillo verso le proprie navi). La sua intrinseca fragilità ha reso problematica la sua conservazione nei secoli (quando fu tagliato e ridotto alle attuali dimensioni, certamente il resto della tela era molto malridotto) e il suo restauro. Monumento di immenso valore, ricorda un tempo lontano quando il Mediterraneo era (ancora per poco) il centro del mondo e ciò che vi accadeva era destinato a determinare il cammino della storia. Meraviglia oggi il fatto che – conscio di ciò – don Giovanni d’Austria abbia voluto che questo monumento fosse conservato a Gaeta?

Graziano Fronzuto – agosto 2001