GIUOCHI CON GLIU STRÙMMEĜLIE

 

 

Si tratta della trottola di legno che si fa girare per mezzo di un filo di spago prima avvolto su di essa e poi tirato con forza, mentre si lancia.

Strùmmeĝlie deriva dalla parola greca stòbilos, pigna, pina; infatti la trottola ha proprio la forma di una pigna, che gira su una punta di acciaio conficcata al centro della parte più affusolata. La sua origine è antichissima: la conoscevano già gli Egiziani 3500 anni fa ed i Babilonesi che ne avevano di terracotta raffiguranti animali o persone. Facendo scavi a Tebe e in Africa Orientale, luoghi così distanti e diversi tra loro, sono state trovate trottole di legno o di terracotta. Conosciuta anche in Grecia e a Roma, ne parlano Platone, Aristotele e Catone. Nel 1901 un commerciante americano ne costruì una grandissima a scopo propagandistico. Sempre all’inizio del secolo furono costruite trottole metalliche a pressione, che emettevano suoni, ma non ebbero successo.

Una trottola piccola si dice cicelle, una grande tabbacchere, la piccola appendice superiore si dice perepicchie. Una trottola che saltella si dice che abballe e non è una buona trottola, che invece deve ruotare su un pavimento liscio strisciando con la punta aderente ad esso. È difficile che una trottola acquistata non balli perché, è necessario che l’asse della punta passi per il centro di gravità: più se ne discosta e più i saltelli sono alti. I ragazzi non conoscono questa legge fisica, tuttavia intuiscono che  bisogna operare sulla punta, che generalmente sostituiscono con una di acciaio fatta costruire appositamente per il tipo della propria trottola: prova e riprova, andando avanti per tentativi, arrivano sempre ad aggiustare la trottola. Se durante il lancio la trottola resta impigliata con la punta allo spago, si dice che fa cuoppe; se rotola sul fianco, fa carròzze. I giochi con gliu strummeĝlie richiedono abilità e destrezza notevoli.

 

 

1 -  A CARIÀ

 

Il gioco consiste nel trasportare  (carià) una trottola dal principio alla fine di un percorso stabilito. Il ragazzo indicato dalla conta mette a terra la sua trottola e i compagni a turno devono spostarla, spingendola con i colpi delle loro trottole. Ciascuno lancia la trottola, la raccoglie sulla mano senza turbarne il moto (l’apare) e infine la scaglia su quella che sta sotto, che, sollecitata dai colpi, si sposta di un tratto più o meno lungo a secondo della violenza del colpo ricevuto. Il giocatore che non riesce a toccare la trottola che si trova sul terreno, deve sostituirla con la propria e il giuoco continua. La trottola che viene spinta fino al punto di arrivo viene penalizzata con colpi di punta da quelle degli altri partecipanti. A tale scopo si scava per terra una piccola buca dove viene posta la trottola con la punta in giù, pronta a ricevere i colpi; i giocatori, a turno, afferrano saldamente ciascuno la propria trottola e sferrano tre colpi per arrecare il maggior danno possibile: se la punta colpisce il centro della malcapitata  vi resta infissa e, quando viene estratta, lascia un buco, per cui, buco dopo buco, la trottola diventa tutta un colabrodo. Il colpo di striscio stacca una scaglia, gliu fasuĝlie, il fagiolo, e, fasuĝlie dopo fasuĝlie, la povera trottola diventa irriconoscibile e spesso finisce spaccata a metà.

 

 

2 -  A PEZZACCHE O SPACCASTRÙMMEĜLIE

 

Si traccia a terra una circonferenza del diametro di 120-130 centimetri, improvvisando un compasso con la trottola, alla cui punta viene legato uno spago che funge da raggio. Ciascun giocatore lancia la sua trottola all’interno della circonferenza. La trottola comincia a girare descrivendo una specie di spirale che va restringendosi fino a che continua a girare senza spostamenti; quando essa non sta più in piedi, si corica su un fianco e l’energia residua la fa spostare ancora per poco. Se esce fuori dalla circonferenza, il proprietario la raccoglie e partecipa alla seconda parte del gioco, se invece resta dentro la pone al centro della circonferenza fino a che un compagno non la spinge fuori nel modo seguente: apare la propria trottola, cioè se la fa saltare sul palmo della mano con un perfetto colpo della punta dell’indice, e dà nu nitcchie, cioè la scaglia contro la trottola che intende salvare; se non vi riesce al primo tentativo può provare una seconda e anche una terza volta se è necessario. Di solito dopo gliu nticchie, la trottola aparate continua a ruotare più o meno a lungo, secondo la carica di energia che possiede. Quando il giocatore stima che la sua trottola stia per fermarsi, dà l’ultimo colpo, la capate, che si dà con la testa e con maggiore energia senza preoccuparsi che la trottola faccia carròzze, come può capitare per i colpi normali. Il giocatore che si vuole divertire, invece di mettere fuori la trottola che gli sta a cuore, cerca di colpire le altre trottole prigioniere con la punta, la pezzacche, per procurare su di esse un piccolo foro; se la sua esce fuori, l’apare e ricomincia a colpire le malcapitate. Il gioco è rischioso, perché se non colpisce le trottole o fa fermare la sua dentro il cerchio, deve lasciarla prigioniera. I colpi di punta, pezzacche, che procurano danni alle trottole, danno il nome al gioco.

 

 

3 -  A SCACCIÀ

 

Come nel gioco precedente si traccia a terra una circonferenza del diametro di 120-130 centimetri. Al centro del cerchio si depone la posta in bottoni, monete o altro. Fatta la conta il primo lancia la trottola, di solito una tabbacchere, l’apare e finché può dà nu nticchie, ovvero un colpo con la punta alle monete o bottoni per farli uscire dal cerchio. Quando la tabbacchere sta per fermarsi, dà l’ultimo colpo, la capate, con il corpo stesso della trottola. Tutte le monete spinte fuori dal cerchio, scacciate, spettano al giocatore. Se nel cerchio restano ancora monete, entra in gioco il secondo ragazzo e così via fino a che le monete non siano state tutte prese. Il gioco riprende deponendo una nuova posta e rifacendo la conta.

 

 

4 -  TUTTO O NIENTE

 

Per questo gioco occorre una piccola trottola costituita da un prisma a sezione quadrata con il lato di circa 15 millimetri, alto più o meno 2 centimetri. Una delle basi prosegue a piramide e quindi finisce a punta, la base opposta ha nel centro una piccola asta poco più lunga di un centimetro, che si impugna per far ruotare la trottolina sul vertice della piramide. Sulle quattro facce  del prisma spiccano le lettere  T,  N, M, P, cioè Tutto, Niente, Metà, Paga. Stabilita la posta (bottoni, mandorle, nocciuole, soldi), i giocatori, a turno, fanno ruotare la trottolina. Quando essa si ferma, la lettera segnata sulla faccia superiore decide il gioco: con T il giocatore  prende tutto ciò che è in gioco, con N non prede nulla, con M prende la metà e con P paga la posta stabilita.


GIUOCHI CON FILO E SPAGO

 

 

1 -  GIUIOCHI DI PRESTIGIO

 

Con un semplice filo di spago legato ad anello si possono fare giochi di destrezza per sbalordire i compagni che non conoscono il piccolo trucco. Si tratta di far passar due volte l’anello di spago intorno al dito o al polso di  un compagno, oppure ad un’asola. Apparentemente sembra che lo spago sia ben agganciato e impossibile da toglire; in realtà restano liberi due capi dell’anello, per cui risulta semplice sfilarlo.

 

 

2 -  GLIU LACCE

 

Gliu lacce è un cordone che ogni ragazzo fa per proprio conto, gareggiando con i compagni a chi è riuscito ad ottenerlo più lungo. Per intrecciarlo è necessario un rocchetto, ovvero una di quelle bobine di legno cui è avvolto il refe per cucire. Intorno al foro che si trova su una base del rocchetto il ragazzo fissa quattro chiodini, intorno ai quali avvolge il filo di cotone o di lana, avanzi dei lavori della mamma. Con la punta di uno stecchino di ferro o di legno si fa in modo che il filo scavalchi i chiodini, intorno ai quali si continua ad avvolgere il refe. Procedendo in questo modo gliu lacce, il cordoncino, esce man mano dal foro che si trova sulla base opposta del rocchetto.

 

 

3 -  IL FILO E IL BOTTONE

 

Si prende un grosso bottone, con due fori nei quali si fa passare un filo di cotone di circa  un metro e se ne legano le estremità. Si prendono le due estremità del doppio filo e si fa girare alcune volte il bottone. Si stira il filo e il bottone si mette a girare; mollando appena il filo, il bottone per inerzia continua a girare facendo avvolgere il filo nel senso contrario. Prima che il bottone si fermi, si stira nuovamente il filo e si continua fino a che il bottone acquista sufficiente forza e fino a quando si vuole, come un volano, una specie di jo-jo con movimento rotatorio alternato.

 

 

4 -  LE FIGURE COL FILO

 

Si prende un filo di spago sottile lungo circa  un metro e se ne legano i due capi. Un ragazzo tende il filo così legato tra le mani come quando si vuole dipanare una matassa: ripigliando il filo ora con i medi, ora con i mignoli e gli indici, si forma un  intreccio. Un altro partecipante ripiglia il filo dal primo, e ottiene un altro intreccio, e così di seguito fino a quando non si riesce più a procedere per il complicato groviglio cui è ridotto l’anello di spago. A ciascun intreccio si dà un nome: la culla, la graticola, le candele….

In Toscana il gioco è detto Ripiglino ( Vocabolario della lingua Italiana Zingarelli, pag.1317; Dizionario della lingua Italiana Garzanti, pag. 1476).

 

 

5 -  LO SPAGO E IL BOTTONE

 

Con un filo di spago si forma un anello nel quale si infilano le gambe, che si allargano  fino a che il filo si regge a metà polpacci. Un oggetto circolare del diametro di 4-5 centimetri, di solito  un grosso bottone, si dispone al centro e si fa girare in senso antiorario insieme ai due fili aderenti in due punti diametralmente opposti, facendo in modo che il filo resti teso al punto giusto. Quando il filo si è attorcigliato abbastanza, si lascia libero il bottone allargando contemporaneamente le gambe. L’energia trasmessa fa svolgere il filo, che trasmette al bottone una spinta rotatoria, tanto più forte quanta più energia si spende. Alla fine, libero, il bottone parte e corre davanti al giocatore, finché si arresta. I ragazzi fanno a gara  a chi manda più lontano il bottone.

A Terracina è conosciuto come cancanèlla (Genesio Cittarelli, Dizionario Terracinese, Tipografia Tirrena, Terracina 1992, pag. 389).

 

 

6 -  MAZZAFIAMME

 

È la fionda ricavata da due fili di spago legati con una estremità al lati minori di un rettangolino di pelle, dove viene praticato un apposito foro destinato a portare la pietra da lanciare. Uno dei fili di spago termina con un cappio in cui infilare un dito della mano perché la fionda non sfugga completamente. L’altro capo è quello che si lascia al momento giusto, perché il sasso parta nella direzione voluta, dopo aver fatto volteggiare la fionda fino a raggiungere la massima velocità. In mancanza del rettangolino di pelle, i ragazzi sanno sostituirlo formando con lo stesso spago un intreccio di tre fili adatto a contenere il sasso.

 

 

7 -  SECA SECA

(Vedi n. 104, pag. 69, “Canti e Poesie Popolari a Gaeta” dello stesso autore)

 

Si gioca in due. Si comincia come nel gioco delle figure col filo. Ad un certo punto dell’ intreccio ciascuno afferra due precisi capi, due da un lato e due dal lato opposto: ne risulta una croce. Ciascuno dei due ragazzi tira la destra e molla la sinistra: l’intreccio si allunga e si accorcia alternativamente sui due bracci della croce. Poi si invertono i movimenti, cioè si tirano le sinistre e si mollano le destre, e  così di seguito, come due operai che manovrano una sega. I due ragazzi accompagnano i movimenti al ritmo di una strofetta:

 

Seca seca mastu Ccicce

Sega sega mastro Ciccio

Na panèlle e nu sasicce

Una pagnottella e una salciccia

Gliu curtieglie ne’ taglieje

Il coltello non tagliava

E mastu Ccicce s’arraggeje

E mastro Ciccio si arrabbiava

 

 

 

GIUOCHI PER OTTENERE SUONI

 

È una grande soddisfazione per i ragazzi costruire con le proprie mani un semplice strumento che produca un suono più o meno piacevole utilizzando materiale povero.

 1 -  GLIU STUPPACCE

E’ un bastone cilindrico, lungo 10 centimetri, dal diametro di 2-3 centimetri, con un condotto interno di 7-8 millimetri di diametro. Si introduce nel buco una giusta quantità di stoppa, bagnata con la saliva, e si spinge con uno stantuffo adagio adagio e a colpetti perché la stoppa diventi compatta. Prima che si presenta all’uscita, si introduce un altro fiocco di stoppa e si comprime come il precedente. Si dà un colpo secco ed energico e ne esce un proiettile inoffensivo, che percorre qualche metro accompagnato da un piccolo scoppio provocato dall’aria compressa tra i due stoppacci.

 

 

2 -  IL FISCHIETTO (gliu ziscarieglie)

Il tempo adatto per costruire un piccolo fischietto è quando maturano le albicocche.  Il ragazzo ne prende il nocciolo e lo struscia ripetutamente sulla pietra da entrambe le facce fino a consumarle per ottenere due buchi, l’uno in corrispondenza dell’altro. Con una punta dura estrae la polpa e il fischietto è pronto. Soffiando attraverso uno dei fori, si produce un suono simile al fischio.

3 -  LA CANNA

  Si taglia un pezzo di canna tra due nodi consecutivi in modo da ricavare un tubo libero da ambo le estremità, nel quale si intaglia un foro di circa un centimetro. Si copre una estremità con della carta velina, si soffia nell’altra. Attraverso le vibrazioni della carta, viene emesso un suono dal timbro nasale, simile a quello del saxofono. Con questa specie di zufolo i ragazzi riproducono qualsiasi motivo e qualsiasi virtuosismo. In Francia questo giocattolo ha entrambe le estremità coperte da una membrana ed è detto mirliton : non ha il termine equivalente in italiano.

Ciaikoiskij, nel balletto “Lo Schiaccianoci” ha inserito anche la “Danse des Mirlitons”, affidata a tre flauti.

 

4 -  LA FOGLIA

Si dispone una foglia liscia e lanceolata fra i due pollici affiancati. Si avvicinano i pollici alle labbra, si soffia e la foglia vibra emettendo un suono delicato.

 

 5 -  LO STELO

  Sì, si tratta per l’appunto di uno stelo di biada, quella selvatica che cresce spontanea lungo i nostri sentieri. Si prende, dunque, uno stelo, si tronca vicino a un nodo e se ne lasciano circa 10 centimetri dall’altra parte. Con un coltellino si intacca vicino al nodo, creando una sorta di ancia lunga 2 centimetri. Soffiando dalla parte dell’ancia, si riesce ad ottenere un suono gradevole.

 

 

 

GIUOCHI CON LE MONETE

 

Qualche volta anche i ragazzi giocano con le piccole monete sonanti, gli spiccioli.

 

1 -  BARRACCHE

Per stabilire l’ordine, secondo il quale i giocatori devono intervenire, si procede nel  modo descritto. Si segna una riga per terra con il filo di una moneta e se ne limita la lunghezza con due piccole linee. Quindi si fissa una base e da questa i giocatori lanciano una moneta cercando di farla fermare il più vicino possibile alla riga. Chi la manda più vicino è il primo, lo seguono tutti gli altri secondo il piazzamento della propria moneta. Il primo passa una moneta sotto la scarpa o, affidandosi alla sorte, la fa volteggiare e la prende a volo sotto la scarpa. L’ultimo dispone sul palmo della mano tutte le monete in gioco e le lancia in aria; gli toccano tutte le monete che cadono con la stessa faccia della moneta che il primo tiene ancora sotto la scarpa. Il giuoco continua con il secondo, poi con il terzo e così via finché restano monete da lanciare. Se per caso alla fine resta ancora qualche moneta, cosa difficilissima, essa tocca all’ultimo

 Il gioco è conosciuto a Terracina come A métte sótte o Arm’e’ ssànte (Genesio Cittarelli, Dizionario Terracinese, Tipografia Tirrena, Terracina 1992, pag. 387).

 

 

2 -  BATTA MURO

A batta muro si può giocare in più persone. Il gioco consiste nel battere la moneta contro un muro; essa rimbalza e poi si ferma a una certa distanza. Il giocatore la cui moneta capita vicino ad un’altra già a terra, a una distanza inferiore alla misura stabilita (di solito quella di un filo di paglia), prende la moneta a terra e ha diritto a ripetere la battuta, anche più volte. Altrimenti passa la mano al compagno successivo.

 

 

3 -  CAPE E ROCE

Si tratta del ben noto giuoco di “testa e croce”, considerato d’azzardo per le scommesse che, in certi casi, sono troppo alte.

Era praticato fin dai tempi di Roma antica, dove era detto caput aut navis, poiché le monete avevano raffigurata su una faccia la testa di Giano e sull’altra una nave. È citato da G. Basile come capo o croce (Lo Cunto de li Cunti, Edizione Laterza 1976, quarta giornata, pag. 284). In Abruzzo è detto A calacré e a caravalà (Antonio De Nino, Giuochi fanciulleschi negli usi e costumi Abruzzesi, vol. VI, Studio Bibliografico Adelmo Polla, Avezzano 1981, pag. 278).

I giocatori lanciano in alto due monete tenendole tra il pollice e l’indice, l’una sull’altra, testa contro testa, in modo che esse presentino dalla parte superiore una la testa e l’altra il rovescio, che una volta rappresentava una croce. Le monete non devono tremolare o capovolgersi, ma devono battere sul pavimento nella posizione in cui sono state disposte. Battendo al suolo, esse rimbalzano e poi ricadono. Se si fermano entrambe con la testa sù, il giocatore vince la posta fissata all’inizio e le eventuali scommesse; se una presenta la testa e l'altra la croce, il rovescio, ripete il lancio; se entrambe si fermano con la croce, perde e passa la mano a un altro. Il lancio può essere annullato da parte dei giocatori, prima che le monete cadano al suolo, pronunciando la parola : “Bèglie”. In questo caso il giocatore afferra al volo le monete perché gli altri non vedano come sarebbero cadute.