LA STORIA DI ADOLPHE JACQUESSON

 

Nel 2004 ricorre il 160° anniversario di un'invenzione, semplice ma geniale, che si è diffusa in tutto il mondo e che è rimasta praticamente immutata dalla sua prima apparizione, malgrado tutti i progressi della tecnologia e le nostre sempre maggiori capacità di ricerca e di sviluppo.

Si tratta della capsula metallica che, con la tipica gabbietta in filo di ferro, trattiene il tappo delle bottiglie di Champagne e di tutti i vini spumanti prodotti nel mondo intero. Ci è tanto familiare e si è dimostrata così efficace e pratica da montare (ma anche da togliere quando si vuole stappare una bottiglia di Campagne) che verrebbe quasi da pensare che la gabbietta e la capsula siano esistite da sempre.

Invece non è così, perché l'idea e lo sviluppo dei primi prototipi furono merito di Adolphe Jacquesson, un produttore di Champagne di Chalon-sur-Marne, nella prima metà del 1800: è infatti del 15 novembre 1844 la data di deposito del "Brevetto d'invenzione" di vari tipi di capsule in lamierino, fissate sulla parte superiore del tappo ed assicurate al collo della bottiglia con vari sistemi, i principali dei quali consistevano in una gabbietta di filo di ferro ritorto. 

L'invenzione risolveva due problemi importanti che preoccupavano i produttori di Champagne dell'epoca: infatti parecchie bottiglie "perdevano" (bouteilles recouleuses), perché i tappi lasciavano filtrare del vino e dell'anidride carbonica: lo Champagne si ossidava, perdeva le sue qualità organolettiche e scompariva quasi completamente il suo caratteristico spumeggiare. 

Il secondo inconveniente era dovuto allo spago che tratteneva i turaccioli: la pressione interna faceva sì che il tappo fuoriuscisse un po', dato che lo spago tagliava il sughero e penetrava nel tappo; ciò creava le perdite di vino e gas che abbiamo visto.

Altre volte lo spago ammuffiva per l'umidità delle cantine, durante la fase di invecchiamento (quando qualche topolino non se lo rosicchiava), si indeboliva e si spezzava, liberando il tappo, che veniva poi espulso dalla forte pressione interna.

In effetti era sempre esistito il problema di una buona tenuta delle bottiglie di Champagne, sin dai tempi di Dom Pérignon, quando si era messo a punto il metodo per rendere spumeggiante il vino, grazie ad una seconda fermentazione provocata nella bottiglia. Allora le bottiglie (siamo alla fine del 1600) erano tappate con dei cavicchi di legno, sui quali veniva avvolta una corda di canapa, imbevuta di olio, e che venivano ficcati a forza nel collo delle bottiglie.

Si cercava poi di migliorare la tenuta, sigillando il collo delle bottiglie con cera liquida o con ceralacca; ben presto però ci si rese conto che questo sistema era tutt'altro che efficace, non tratteneva il gas ed era decisamente insufficiente a contrastare la pressione che si sviluppa nell'interno, che faceva fuoriuscire buona parte di queste chiusure precarie.

Si passò quindi ai tappi di sughero, che però, per la loro migliore tenuta, dovevano obbligatoriamente essere fissati con delle cordicelle di canapa, annodate a mano; l'operazione era tutt'altro che semplice e rapida, perciò venne messo a punto uno strumento (detto calbotin o calice o anche pot à ficeler) dove si inseriva la bottiglia, che veniva trattenuta saldamente durante l'operazione di legatura.

Il lavoro dei legatori era però difficoltoso (e doloroso per le mani) e richiedeva un notevole sforzo fisico; ma è solo verso il 1855 che un vigneron di Avize, Nicaise Petitjean, inventò e brevettò una macchina per legare i tappi con lo spago; l'apparecchio facilitava notevolmente il lavoro degli addetti alla legatura e migliorava il fissaggio dei tappi, che restava però precario, per le ragioni viste prima.

Per una maggior garanzia di tenuta, alcuni negozianti rinforzavano la legatura di canapa aggiungendo uno o due fili di ferro ritorto, che venivano fissati con l'aiuto di apposite pinze.

Se risolveva un problema, questo filo metallico ne creava un altro al momento di stappare la bottiglia: bisognava infatti tagliarlo con una pinza speciale o con un uncino di ferro, che lasciava dei bordi taglienti e pericolosi. Per facilitare l'apertura delle bottiglie, senza dover ricorrere a pinze o uncini (e soprattutto per evitare di ferirsi) qualcuno ebbe l'idea di prevedere un anello o un ricciolo sul filo di ferro ritorto, che poteva così essere rimosso più agevolmente.  Talvolta questo anello era munito di un sigillo in piombo sul quale era impressa la parola Champagne oppure il nome o il marchio del produttore o del negoziante.

Il lavoro per applicare la legatura di spago ed il rinforzo di filo di ferro era però lungo, difficoltoso e costoso; si incominciò così a perfezionare il filo di ferro, preformandolo, dandogli cioè una sagoma che ne facilitasse l'applicazione sul tappo ed il fissaggio sulla bottiglia: era nata la gabbietta (muselet).

All'inizio del secolo venivano fabbricate delle gabbiette molto semplici, previste per tre o quattro montanti, con un piccolo foro centrale nella parte superiore: le gabbiette venivano posate direttamente sul tappo e, qualche volta, veniva inserita una rondella zincata tra il sughero e la gabbietta. Poi Adolphe Jacquesson ebbe l'idea di utilizzare una capsula di lamierino fustellata e preformata, senza scritte o con impresso in rilievo la parola Champagne, che si dimostrò ben presto la soluzione vincente.

La capsula permetteva di fissare saldamente il tappo, di assicurare un'ottima tenuta, di far assumere al tappo la tipica forma rotondeggiante e regolare, era esteticamente valida e si poteva decorare con i simboli ed i marchi del produttore. 

Fu così che la forma della gabbietta si modificò nuovamente, il piccolo foro centrale divenne più grande per contenere la capsula, che venne stampata con quattro scanalature sul perimetro, per alloggiare saldamente i montanti: era la forma che ora conosciamo e che non è più cambiata. 

Il sistema dimostrò di essere pratico, affidabile, facile da installare e semplice da togliere, meno costoso delle altre alternative e si è generalizzato per tutti i vini spumanti, diventando anche un simbolo di qualità, tanto che è stato adottato (forse impropriamente) da altri prodotti quali il sidro, l'idromele, la birra. 

Le capsule sono sempre più belle, decorate con simboli, marchi, figurazioni attraenti e di prestigio, tanto da divenire ben presto oggetto di collezione tra gli appassionati: alcune capsule infatti sono delle vere e proprie opere d'arte!

In Francia si definiscono "placo-musophiles" (appassionati di capsule), vi sono scambi attivi tra i collezionisti e si è creato un piccolo commercio, che ha i suoi centri a Reims e ad Epernay. 

Per celebrare il 150° anniversario dell'invenzione di Jacquesson, si sono tenute a Chalon-sur-Marne delle manifestazioni, che hanno interessato la città e la regione: esposizioni sulla storia dello Champagne e sui mestieri legati alla produzione, all'elaborazione ed alla commercializzazione dello Champagne ed una Borsa internazionale di scambio delle capsule.

Quattro "Maisons" di Champagne: Joseph Perrier, Laurent-Perrier, Jacquesson et Fils ed Albert Le Brun hanno realizzato una capsula commemorativa (che figura sulle bottiglie di alcune cuvées elaborate espressamente per l'occasione); la serie delle quattro capsule è stata messa in vendita in uno speciale cofanetto di sughero.

È stata anche realizzata una brochure che ripercorre l'epopea di Jacquesson (che ha fatto altre invenzioni e reso possibili numerosi progressi nella produzione dello Champagne) e di tutte le scoperte, invenzioni, progressi che hanno costellato i trecento anni di storia dello Champagne, dalla nascita ai nostri giorni. 

La sua lettura permette di seguire e di comprendere quanto sia stata lunga e lenta l'evoluzione delle tecniche di tappatura delle bottiglie di Champagne, indispensabili per portare sulle nostre mense il vino più famoso del mondo, con intatte le sue inimitabili qualità e caratteristiche.

Forse sino ad ora abbiamo stappato la bottiglia che accompagnava un momento felice della nostra vita, ignorando questa lunga storia.