Per quale motivo alcuni libri degli Ebrei furono ritenuti
sacri, ossia ispirati da Dio, ed altri no? Calvino ricorda una norma
che eliminerebbe qualsiasi discussione qualora fosse accolta in pieno
dai credenti: la Bibbia ha in sé stessa una tale potenza interiore
da interpellare l'uomo più di ogni altro scritto umano. Quindi
la Bibbia stessa si autoattesta ed ha in sé la sua propria credibilità
(autopistia).
«La Bibbia ha di che farsi
conoscere, perché produce un sentimento assai notorio ed infallibile
come hanno le cose bianche e nere di mostrare il loro colore e le cose
dolci e amare di palesare il loro sapore
» (ivi 1,7,2)
«La Bibbia si regge da
sola . . . ha un tale vigore da muoversi
» ("Istituzioni" 1,8,1)
«Tra tutti gli scritti
umani non ve n'è alcuno, di qualunque artificio brilli o sia
adorno, che abbia la forza di commuovere lo spirito fino a rapirlo.
Ma se da loro ci trasferiamo alla lettura dei libri sacri,
lo vogliamo o no, essi ci toccheranno così vivamente, trafiggeranno
talmente il nostro cuore, si infiggeranno in noi in modo tale che tutta
la forza dei retori e dei filosofi non sarà che fumo di fronte
all'efficacia della Bibbia.
Donde è facile accorgersi che le sacre Scritture hanno
la proprietà divina fi ispirare gli uomini. È la maestà
della materia, più che la grazia delle parole, che ci rapisce
in ammirazione per esse » (ivi 1,8,1).
Si tratta di un motivo
assai valido per molti scritti biblici che poco a poco trasformano
il cuore anche più duro, purché una persona con umile
sincerità ed amore si dedichi alla loro lettura. Tuttavia come
si può dire ispirato un libro, ad esempio Ester, che sembra inculcare
il genocidio in massa? Come si possono ritenere ispirati i primi nove
capitoli delle Cronache che sono una semplice lista genealogica? Come
si possono interpellare tali elenchi di nomi assai aridi e a prima vista
unitili? Come mai si può spiegare il diverso elenco esistente
tra cattolici e protestanti, per cui i primi accolgono i libri deuterocanonici
come ispirati mentre i secondi li respingono con gli ebrei? Come mai Lutero
poteva definire la lettera ispirata di Giacomo una "lettera di paglia",
se ogni scritto biblico si autentica per se stesso? se i libri sacri si
fanno conoscere per proprio conto, come il dolce o l'amaro, perché
mai alcuni gruppi religiosi non si accorgono di tale sacralità
ammessa da altri, per qualche libro sacro?
Credo sia bene al
riguardo mostrare i criteri che furono seguiti dai rabbini del 1° secolo
per determinare l'estensione della Bibbia ebraica, criteri che possono tuttora
rafforzarci nella nostra fiducia verso i libri ispirati.
Tutti sanno che
nell'epoca intertestamentaria erano sorte molte opere attribuite non
di rado a grandi personaggi dell'antichità ebraica (Enoc, Isaia,
Abramo, ecc.). Inoltre nel 1° secolo dopo Cristo, erano stati composti
anche gli scritti del Nuovo Testamento, ai quali i giudeo-cristiani attribuivano
un enorme valore. Per questo i rabbini giudicarono opportuno raggruppare
i libri per loro sacri, affinché servissero di norma per i giudei.
Ecco i principali criteri ai quali si sono ispirati.
1.
il criterio profetico
È il criterio
fondamentale che servì di base per la scelta dei libri sacro.
Ce lo assicura Giuseppe Flavio:
«Il diritto di scrivere
presso di noi era riservato ai profeti, che per ispirazione divina (katà
ten epignoian tèn apò theoù) conoscevano le cose
antiche o occulte. Noi non possediamo quindi migliaia di libri, che
si contraddicono gli uni con gli altri, ma solo 22 che contengono il
ricordo del passato e ai quali giustamente prestiamo fede
» ("Contro Apione" 1, 7-8).
«Non esiste divergenza
nei nostri scritti perché solo i profeti hanno chiaramente
raccontato i fatti lontani e antichi avendoli appresi per ispirazione
divina »
("Contro Apione" 1, 8).
Va però notato
che l'ispirazione profetica - secondo i rabbini - non si è
limitata ai profeti, ma è passata anche ai saggi. Secondo una
norma rabbinica «la profezia fu
tolta ai profeti e data ai sapienti, i quali non ne vennero mai privati
» (Talmud Bab., Baba Bathra 12 a). Secondo i rabbini
il saggio re Davide scrisse i Salmi; Salomone riversò la sua
propria esperienza nell'Ecclesiaste e forse nello stesso Cantico dei
Cantici, anche se la stesura definitiva e posteriore di questi libri si
attribuiva ad Ezechia e ai suoi scribi (cfr Pr 25, 1). Con tale paternità
si superarono gli ostacoli per i Proverbi e specialmente per l'Ecclesiaste,
il quale era guardato con molta diffidenza a motivo delle sue gravi
contraddizioni interne (cfr 4, 2; 9, 2) e per il suo scetticismo quasi
eretico: « Vanità
delle vanità, tutto è vanità
» (1, 3). Anche il Cantico dei Cantici godette diritto
di cittadinanza per l'interpretazione allegorica che gli si diede, in
quanto non vi si vide più un amore puramente umano tra sposo e
sposa, bensì tra Dio e Israele. Rabbi Aqiba giunse anzi a dire:
«Dio impedisce ad un israelita
di negare che il Cantico dei Cantici rende impure le mani (allusione
ai riti di purificazione dopo aver toccato un libro sacro). In ogni
età non vi fu un giorno più degno di quello nel quale
fu dato a Israele il Cantico dei Cantici. Tutti gli scritti (della Bibbia)
sono sacri, ma il Cantico dei Cantici è il più sacro di
tutti »
(Mishna Yadajim 3, 5).
Ad ogni modo l'ispirazione
profetica si sarebbe arrestata, secondo i rabbini, al tempo di Esdra
e Nehemia, per cui vennero da loro respinti tutti gli scritti composti
in data certamente posteriore. Ce lo conferma di nuovo Giuseppe Flavio
che così scrive:
«Tutto quel che avvenne
dal tempo di Artaserse fino ai nostri giorni è pure stato scritto,
ma questi libri non godono di medesimo credito dei libri precedenti,
perché non vi è stata una ininterrotta successione di profeti
» ("Contro Apione" 1, 8, 41-42).
Anche se la stesura
definitiva di Daniele è stata certamente posteriore ad Esdra
(rivolta maccabaica 170-160 a.C.), esso si poté salvare perché
attribuito ad un profeta vissuto durante l'esilio babilonese (586-538
a.C.).
Il medesimo criterio
appare anche nel seguente brano talmudico:
«Mosè scrisse il
proprio libro (la Torah), i capitoli riguardanti Balaam (Nm 22-24)
e il libro di Giobbe. Giosuè scrisse il primo libro e otto versetti
della Torah (quelli della morte di Mosè, Dt 34, 5-22). Samuele
scrisse il proprio libro, il libro dei Giudici e quello di Ruth. Davide
scrisse il libro dei Salmi secondo le direttive di dieci anziani: Adamo,
Melchisedec, Abramo, Mosè, Eman, Jedutun, Asaf e i tre figli di
Core. Geremia scrisse il suo proprio libro, quello dei Re e le Lamentazioni.
Ezechia e i suoi compagni scrissero Isaia, Proverbi, Cantico dei Cantici,
Ecclesiaste. I membri della Grande Sinagoga (fondata da Esdra) scrissero
Ezechiele, i dodici (profeti minori), Daniele e il rotolo di Ester. Esdra
scrisse il suo proprio libro e le genealogie delle Cronache sino al suo tempo;
Nehemia terminò le Cronache »
(Talmud Bab, Baba Bathra 14b-15a).
Quindi gli Ebrei
accolsero come sacri tutti quei libri che essi ritenevano composti da
profeti e che, con l'avveramento delle loro profezie, godevano del sigillo
divino. Per tale motivo la prima parte della Bibbia è detta legge
rivelata da Dio a Mosè, il più grande dei profeti (Dt 28,
15) e la seconda è chiamata dei Profeti (anteriori e posteriori)
in quanto anche i libri da noi impropriamente chiamati storici, per gli
Ebrei erano in realtà una profezia presentata con fatti anziché
con parole. Infatti Dio può palesarsi sia con la "Parola" sia con
le "opere", che sono pur sempre una concreta parola di quel Dio che dirige
il corso degli eventi storici. Per questo il vocabolo ebraico "davar"
indica non solo "parola" ma anche "fatto, episodio".
Furono così
eliminati tutti i libri apocalittici e deuterocanonici che vennero
composti quando più non vi era la successione profetica: tale
il caso dei Maccabei, di Enoc e di tutti gli scritti pseudoepigrafi.
2° criterio: accordo dello scritto con la legge mosaica
Mosè era ritenuto
il massimo dei profeti perché Dio gli parlò «
bocca a bocca » (Nm
12, 6-8), « come un uomo parla
con un altro » (Es 33, 11);
egli infatti « ascoltava Dio
che stava sopra il propiziatorio, in mezzo a due cherubini
» (Es 25, 22).
«Qual' è la differenza
tra Mosè e gli altri profeti?
Questi guardavano attraverso nove vetri, per di più
opachi, ma Mosè guardava attraverso uno soltanto e per di più
ben trasparente » (Lev. Rabbà
1, 14)
Mosè - dicevano
i rabbini - ricevette la sua rivelazione per dettatura da un libro
già preesistente in cielo. La Legge è quindi direttamente
ispirata da Dio; chiunque osi affermare che anche uno solo dei suoi
versetti non viene dal cielo, non avrà parte nel mondo futuro
(Talmud Bab. Sanh. 99a).
Nella legge sta
scritto in germe ciò che i profeti futuri erano destinati ad
annunciare:
«Ciò che i profeti
dovevano profetizzare alle generazioni future, lo ricevettero sul monte
Sinai. Mosè pronunciò tutte le parole degli altri profeti
assieme alle proprie, per cui chiunque pronunciò delle profezie
non fece altro che dare espressione alla sostanza della profezia mosaica
» (Exodus Rabbà 28, 6; 32, 8).
Quindi ogni testo
biblico deve essere in accordo con la Torah (Legge). Di qui i dubbi sorti
circa il libro di Ezechiele per le sue molte differenze con la legge mosaica
presentate circa la costruzione del futuro tempio di Gerusalemme e la futura
organizzazione sacerdotale. Rabbi Hanania ben Ezechia ottenne ben trecento
misure di olio in più per poter lavorare giorno e notte con luce
sufficiente e così raccogliere tutte le divergenze che ci si trovano
con la legge mosaica. La stessa difficoltà si ebbe per il libro di
Ester, il quale, per il fatto di non nominare mai il nome di Dio, sembrava
uno scritto insufficientemente religioso. Solo quando tali dubbi furono
risolti, allora anche questi libri (pervenuti a loro come sacri) furono
accolti dai rabbini nella collezione dei libri sacri senza alcuna riserva.
Per tale motivo
i rabbini hanno pure eliminato i libri dei cristiani, che alla legge
di Mosè, intesa letteralmente, sostituivano un'obbedienza interiore
più spirituale. Così i loro libri furono ritenuti scritti
di eretici (minim) da non includere quindi nel canone ebraico.
Tale ragione, anche
se non espressamente dichiarata, influì nel subcosciente rabbinico
e indusse i loro maestri a respingere tutta la letteratura neotestamentaria,
letta invece con diletto dai giudeo-cristiani.
I rabbini hanno escluso
tutta la letteratura apocalittica intertestamentaria perché
erronea per loro, in quanto la sua predizione non si era avverata.
Non aveva forse scritto Mosè che quando il preannuncio di un
fatto non si avvera si deve ritenere falso profeta colui che l'ha pronunciato?
(Dt 18). I libri apocalittici avevano annunciato l'improvvisa e imminente
gloriosa manifestazione del Messia con la confusione dei suoi nemici.
La grande rivolta del 66 si ispirava largamente alle idee esplosive degli
apocalittici, che garantivano l'intervento prodigioso di Dio a favore
del suo popolo. Invece la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. aveva
finito con l'annientare tutte le gloriose speranze dei giudei. Perciò
i rabbini, abbandonando questi sogni fantastici, sia pure dettati in buona
fede, esaltarono l'importanza della Legge e degli altri libri sacri. Inoltre
l'uso che alcuni di questi libri (Enoc) ebbero tra i giudeo-cristiani,
con l'intento di mostrare come Gesù fosse il Messia atteso, può
aver favorito l'opposizione rabbinica a tali scritti (R.C. Fuller).
Inoltre i rabbini
hanno sempre scoraggiato le speculazioni riguardanti le origini (del
mondo) e la fine dell'universo. Essi erano giustamente convinti che
l'ebreo è completo quando ascolta la Legge e ubbidisce. Essi
hanno quindi escluso dalla Bibbia gli scritti apocalittici, che provocavano
invece un interesse esagerato verso l'epoca finale dell'umanità,
dimenticando tutto quel che si sarebbe dovuto fare nel momento in cui
si viveva. I rabbini hanno così eliminato gran parte della letteratura
apocalittica dedita a grandi sogni speculativi circa il mondo futuro, nell'intento
di rendere più sopportabile la difficoltà del momento.
Furono inclusi nel canone solo quei libri che erano stati scritti
originariamente in ebraico (o aramaico), per cui vennero spazzate
via tutte le opere, giudaiche o cristiane, composte in greco. Non si
accolsero in tal modo il libro della Sapienza, il 2° Maccabei,
scritti recentemente in greco. Di conseguenza anche tutti i libri dei
cristiani, che erano stati composti in greco, non poterono godere alcun
diritto di cittadinanza sacra presso gli Ebrei.
Secondo lo Osborn furono accolti come sacri quei libri che venivano
adoperati nella liturgia sacra del tempio o della sinagoga
(1)
.
Quando a Nazareth, nella riunione del sabato, Gesù
lesse il testo di Isaia profetizzante la venuta del Messia per «
evangelizzare i poveri e per liberare gli oppressi
» non faceva altro che leggere il libro sacro presentatogli
dagli inservienti secondo l'uso sinagogale (Lc 4, 17-19). È
possibile che già verso il 1° secolo d.C. vi fosse un ciclo
annuale o triennale di letture tratte dal Pentateuco e dai Profeti. Anche
se la lettura attuale delle cinque Meghillot nelle feste liturgiche ebraiche
è di uso più tardivo, può tuttavia rispecchiare una
consuetudine più antica, anche se non del tutto identica nella
selezione dei brani (2)
.
Si può quindi concludere che i libri sacri andarono gradualmente
imponendosi come ispirati non tanto per la loro spiritualità,
perché in tal caso sarebbero più spirituali l'Ecclesiastico
e l'Imitazione di Cristo che non il libro di Ester, ma perché,
essendo stati scritti da profeti, erano sentiti dai rabbini come libri
utili ed essenziali alla difesa del giudaismo e alla missione storica del
popolo ebraico tra le nazioni. Si sentì che per mezzo loro la "Parola
di Dio" (davar 'elohim) si rivolgeva al suo popolo per istruirlo e rimproverarlo,
ma sempre per fargli superare tutte le prove: «
Egli ci ammaestrerà nella nostra condotta e sui sentieri
per cui dobbiamo camminare. Perché da Sion uscirà la Legge
e da Gerusalemme la parola del Signore
» (Is 2, 3). I pii giudei intuirono che questi libri costituiscono
davvero la « Scrittura ispirata
da Dio, utile a insegnare, a riprendere, correggere, a educare alla giustizia,
per rendere completo l'uomo di Dio, e per prepararlo a compiere ogni
opera buona » (2 Ti 3, 16).
(1) Così G. Osborn, "Cult and Canon", Uppsala
1955. il suo libro ha suscitato una controversia, per la quale rimando
a A. Guilding "The Fourth Gospel and Jewish Worship", Oxford 1960; L.
Morris, "The New Testament and the Jewish Lectionaries", London 1964.
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(2) Le meghillot ("rotoli") sono i cinque libri
letti in alcune festività: Il Cantico dei Cantici alla
festa degli Azimi (15-21 Nisan = marzo/aprile); Ruth a Pentecoste
(6 Siwan = maggio/giugno); le Lamentazioni nel nono del mese di
Ab (= luglio/agosto); l'Ecclesiaste (Qohèlet) nella
festa dei Tabernacoli i delle Tende (15-21 Tishri = settembre/ottobre);
Ester in quella dei Purim ("sorti" il 14-15 Adar = febbraio/marzo).
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Dopo questo questo
quarto capitolo della prima parte dell'opera "
Il Romanzo della Bibbia"
di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale
di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, puoi proseguire la lettura nel quinto
capitolo.