4° LEZIONE
 


Cristo ha subìto l’ira di DIO

al posto dell’UOMO

« Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia vita eterna » (Giovanni 3, 16)

« Poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti » (Atti 17, 31) 

UN PARADOSSO

Dio ama l'uomo nonostante che sia peccatore perché Dio è santo e l'uomo è suo figlio. Questo amore divino però coesiste ed è strettamente legato con l'ira di Dio contro « ogni empietà ed ingiustizia degli uomini » (Romani 1: 18).

Questo amore di Dio per l'uomo e al tempo stesso questo odio per il peccato dell'uomo possono sembrare un assurdo paradosso. Nessuna logica umana e nessun pensiero filosofico potranno mai comprendere questa apparente contraddizione perché la mente umana non può andare oltre i confini del suo stretto e limitato orizzonte.

Dio invece è l’infinito. Il suo amore è senza limiti e senza condizioni. La sua grazia non può essere misurata e neppure descritta in termini umani. La sua potenza ed il suo intelletto vanno oltre i confini conosciuti dall'uomo. Non esistono aggettivi ed attributi che possano descrivere adeguatamente la sua grandezza e la sua maestà perché Egli è completamente Altro da tutto ciò che noi possiamo anche soltanto pensare.

Dicendo che Dio è perfetto e che Dio è santo noi non diciamo abbastanza della sua natura. Come cantavano i primi cristiani, Egli è il « beato ed unico Sovrano, il Re dei regnanti e Signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli umani ha mai visto né può vedere » (1° Timoteo 6, 15-16).

Il re Davide, riflettendo sulla natura umana, cantava: «Signore che cosa è l'uomo perché te ne curi? Un figlio d'uomo perché te ne dia pensiero? L'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa» (Salmo 144, 3-4). Anche il grande profeta Isaia, qualche secolo dopo, considerando la fragilità umana, diceva: « Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l'erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi » (Isaia 40, 6-7).

In effetti l'uomo è corrotto, difettoso, guasto fin dalle sue radici. Tutto ciò che è imperfetto è anche mortale, non dura per sempre, ha una fine. Tutto ciò che è imperfetto non può rendere perfetta nessuna cosa. L'uomo peccatore è destinato a morire! Non ha alcuna alternativa, non può salvare gli altri né può salvare se stesso. Anche le sue buone opere morali non sono sufficienti a salvarlo. Il suo destino è segnato fin dall'inizio. Ma quel che è ancora più grave è che l'uomo non ha alcuna scusa per i suoi peccati: « Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo » (Romani 2, 1) « con la tua du-rezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio » (Romani 2: 5).

C'è una speranza per l'uomo ?

Stando così le cose, sembrerebbe non esserci alcuna speranza. Sennonché, ecco il primo contributo di Dio per la salvezza dell'uomo:

L' AMORE DI DIO PER L'UOMO IN CRISTO

Giunto a questo punto l'uomo si trova di fronte ad un angoscioso dilemma: deve essere in qualche modo reso "giusto " e "perfetto ", altrimenti non potrà evitare la sua rovina ma, da solo, è assolutamente incapace di rendere se stesso " giusto " e " perfetto " in modo tale da potersi qualificare per la vita eterna, perché è troppo debole, senza forza, senza saggezza, schiavo del male, facile preda della sua stessa filosofia e della vanità ingannatrice secondo la tradizione del mondo (Colossesi 2, 8).

L'apostolo Paolo di fronte a questo dilemma esclama: « Sono uno sventurato!» e si chiede con l'angoscia nel cuore: «Chi mi libererà da questo corpo destinato alla morte? », ma aggiunge subito dopo: « Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! » (Romani 7, 24-25). Spetta dunque a Dio, con la sua infinita sapienza, trovare una soluzione al dilemma in cui si dibatte l'uomo per renderlo " giusto e perfetto ".

Così Dio, nella ricchezza della sua infinita misericordia proclama: « tutti sono giustificati gratuitamente per grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù » (Romani 3, 24). L'apostolo Paolo afferma che Dio ha potuto fare questo indipendentemente dalle restrizioni della legge (Romani 3, 21) e dal controllo della logica e del ragionamento umano (Romani 1, 21). Non era certamente un problema per Lui dal momento che Egli possiede una sapienza infinita.

Un grande mistero del piano di Dio è ora stato rivelato per mezzo di Cristo. Nonostante i fatti storici del Nuovo Testamento, per l'uomo è difficile comprendere, dal punto di vista razionale, la superiore grandezza e la profonda saggezza di Dio che è stata nascosta per secoli ed è stata rivelata solo ora per mezzo di Gesù Cristo.

Per secoli Dio ha nascosto il suo piano di redenzione per rendere l'uomo " giusto" e " perfetto ", altrimenti il nemico, Satana (che ha trascinato l'uomo nel peccato) non sarebbe caduto nella trappola. L'apostolo Paolo, infatti, scrivendo ai Galati dice: « Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessero l'adozione di figli » (Galati 4: 4-5)

Il segreto del piano di Dio, nascosto per secoli alle generazioni passate, è ora stato rivelato agli uomini ai tempi di Paolo (Colessesi 1, 26), il quale annunziava appunto come la sapienza di Dio ha reso ogni « uomo PERFETTO in Cristo» (Colessesi 1, 28).

Come è stato possibile per Dio rimanere "giusto " e "santo " ed al tempo stesso "giustificare " (salvare) i credenti in Cristo (Romani 3, 26)? Come è stato possibile per Dio rendere l'uomo " perfetto " dal momento che l'uomo non è " giusto "? In altre parole, se Dio è giusto e richiede giustizia dagli uomini, com' è che Egli può ignorare il peccato degli uomini?

Abbiamo già visto che: «l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà ed ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia » (Romani 1, 18). La giustizia richiede che il peccato sia in qualche modo pagato a causa dell'ingiustizia che è stata fatta sia nei confronti di Dio che nei confronti degli uomini. Vedremo ora, per mezzo di due considerazioni, come Dio ha risolto l'apparente incompatibilità fra i suoi attributi di amore e di giustizia nei riguardi del peccatore per donargli la vita eterna.

Prima considerazione: Gesù Cristo è stato l'unico essere umano a vivere una vita perfetta. Egli è diventato partecipe della carne e del sangue come noi tutti (Ebrei 2, 14; Galati 4, 4), eppure non ha mai commesso peccato: «Perché non abbiamo un sommo sacerdote (Gesù, il figlio di Dio) che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare » (Ebrei 4, 15). « Egli non commise peccato e non si trovò inganno nella sua bocca » (1 Pt 2, 22). «Colui che non ha conosciuto peccato» (2 Corinzi 5: 21). « Cristo essendo trovato nell'esteriore simile a un uomo, abbassò se stesso, dive,nendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce » (Fl 2, 8). Dio si è compiaciuto per l'ubbidienza di questo figlio e ha detto: «Questi è il mio amato Figlio, nel quale mi sono compiaciuto » (Matteo 3, 17; 17, 5). « La legge del peccato e della morte», come Paolo chiama i dieci comandamenti di Mosè in Romani 8: 2, ha dichiarato che « l'anima che pecca morirà » (Ezechiele 18, 20). Anche nel Nuovo Testamento troviamo scritto che « il salario del peccato è la morte » (Romani 6, 23). Cristo è l'unico uomo vissuto sulla terra che non doveva morire perché non si era macchiato di nessuna colpa.

Seconda considerazione: Tutti gli altri uomini « hanno peccato e sono privi della gloria di Dio » (Romani 6: 23). Cristo è stato perfettamente ubbidiente alla volontà di Dio, ubbidiente fino alla morte in croce. Pur essendo innocente, in quanto non aveva commesso nessun peccato, ha subito la condanna della morte in croce al posto di tutti gli uomini disubbidienti. Ecco il " perfetto " muore per gli imperfetti! l’" innocente " che muore per i colpevoli! Il " puro " muore per i peccatori! Pietro ha scritto: « Cristo ha sofferto una volta per i peccati, il giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio » (1 Pietro 3, 18) «Cristo ha sofferto per noi....Egli non commise alcun peccato e non fu trovato alcun inganno sulla sua bocca ...Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, vivessimo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti. Eravate infatti come pecore erranti, ma ora siete tornati al pastore e custode delle anime vostre » (1 Pietro 2, 21-25). In Romani al cap. 5 Paolo mette in contrasto la disubbidienza di Adamo con l'ubbidienza di Cristo: Adamo non ha creduto a Dio nel giardino di Eden, ma ha creduto a Satana e ha disubbidito al Creatore. Questa mancanza di fede, questa disubbidienza, questo peccato ha separato Adamo da Dio. Dio solo è immortale, ma Adamo, essendo una creatura, è mortale. Adamo perciò morì essendo stato sradicato dalla Fonte della Vita. Per conseguenza tutto il genere umano è nato in un mondo di peccato ed è stato destinato a morire. Cristo invece come uomo ha vissuto una vita giusta ed in perfetta ubbidienza alla volontà di Dio fino alla morte. Egli era il Santo di Dio, come Dio Padre, anche lui era Santo, puro e senza peccato. Dunque non è mai stato sotto la condanna di morte. Egli è la dimostrazione che Dio, il Creatore, ha fatto bene a creare l'uomo perché ogni uomo dovrebbe essere come lui. Cristo ha subìto la condanna a morte al posto dell'uomo.

Morendo sulla croce ha pagato il prezzo per il riscatto dell'uomo.

Paolo dice di Adamo: «Per mezzo di Adamo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v'è entrata la morte (cioè la condanna) la morte è passata su tutti gli uomini perché tutti hanno peccato (v. 12) e per la trasgressione di uno solo quei molti sono morti (v. 15). Il giudizio produsse la condanna da una sola trasgressione (v. 16). Per una sola trasgressione la condanna si è estesa su tutti gli uomini (v. 18). I molti sono stati costituiti peccatori (v. 19) » Poi Paolo fa una contrapposizione con Cristo: « Però la grazia di Dio e il dono fattoci dalla grazia dell'unico uomo Gesù Cristo, hanno abbondato verso i molti uomini (v. 15) e ha fatto capo alla giustificazione (v. 16). L'abbondanza della grazia e il dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di Gesù Cristo (v. 17) così con un solo atto di giustizia (il sacrificio di Gesù sulla croce) l a giustificazione che dà vita, si è estesa a tutti gli uomini (v. 18) e i molti saranno costituiti giusti (v. 19). Dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata (v. 20)».

In conclusione, Cristo è l'unico uomo che non ha mai peccato e quindi non doveva morire. Egli però era anche l'unica persona qualificata per poter pagare la pena di morte alla quale l'uomo era stato condannato per il suo peccato. Egli è perciò l'unico in grado di salvare l'uomo. Egli è l'unico salvatore del mondo! (Atti 4, 12).

Il secondo contributo di Dio per la salvezza dell'uomo:

L' IRA DI DIO CONTRO IL PECCATO IN CRISTO

Secondo la Scrittura, Dio è Santo e possiede due attributi relativi alla salvezza dell'uomo, cioè il suo amore e la sua ira. Dio ama il peccatore, ma odia il peccato nell'uomo! L'uomo è consapevole dell'ira di Dio contro la forza del male. «L'ira di Dio si rivela dal cielo sopra ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità nell'in-giustizia . . . ecc. ecc. ». Paolo continua per il resto del capitolo con un lungo elenco di peccati dell'uomo (Romani 1, 18-31) e conclude con queste parole: « Or essi, pur avendo riconosciuto il decreto di Dio secondo cui quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non solo le fanno, ma approvano anche coloro che le commettono » (Romani 1, 32). L'odio di Dio per il peccato si vede benissimo anche nel fatto che l'uomo è consapevole di meritare la morte quando trasgredisce la legge di Dio. L'amore di Dio per il peccatore è costato un prezzo molto alto, la vita stessa di Gesù Cristo. Ma non soltanto la vita! Il percorso di Gesù verso la croce è stato un lungo cammino di sofferenza, di dolore, di agonia e di umiliazioni durato quasi 18 ore durante le quali il sangue è uscito goccia dopo goccia dalle sue ferite. Cristo non è stato crocifisso su un altare dorato in una maestosa e bellissima cattedrale davanti ad un pubblico gentile e rispettabile. Egli è morto fra due ladroni che bestemmiavano e maledivano il giorno della loro nascita. Il posto si trovava vicino alla « gheenna » dove venivano scaricate le immondizie della città, il luogo più sporco, squallido e brutto che ci potesse essere. Il fumo acre e maleodorante dei rifiuti che bruciavano colpiva in maniera sgradevole gli occhi e le narici di coloro che passavano nelle vicinanze, sciami di mosche accorrevano sul sangue dei feriti e brulicavano indisturbate sui volti sudati ed agonizzanti dei condannati, sulle loro bocche contratte dal dolore, sui loro occhi socchiusi per il riverbero del sole, sui loro nasi dai quali stavano esalando l'ultimo respiro. Gesù stesso aveva detto di quel luogo, citando il profeta Isaia (Isaia 66: 24): « dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne ».

Poiché Gerusalemme era una città cosmopolita, la motivazione scritta della sua condanna, posta sopra il suo capo, era scritta in caratteri greci, latini ed ebraici (Luca 23: 38). Gesù è morto in un luogo dove l'odio era così forte che gli martellava nella testa; dove le persone senza cuore si prendevano beffe di lui dicendogli: « scendi dal croce, se è vero che sei figlio di Dio »; dove l'invidia e la vendetta erano le maggiori virtù; dove il tradimento assumeva la forma di un bacio; dove gli spietati aguzzini infierivano su di lui picchiandolo e sputandogli addosso; dove i più religiosi erano delle persone false ed ipocrite. La crocifissione era una tipica condanna romana eseguita da legionari per lo più scelti fra le persone più ignoranti, più spietate, più insensibili, più rozze e volgari che esistevano. Esse inchiodavano le loro vittime senza pietà sulla croce lasciandole esposte al calore del sole finché i loro corpi si gonfiavano ed i loro ventri si squarciavano spargendo tutto intorno le loro interiora. Alcuni storici sostengono che molto probabilmente questi carnefici si ubriacavano prima delle esecuzioni per non dover poi ricordare queste scene disgustose.

Fu proprio dall'alto di una di queste infami croci romane che Gesù elevò il suo grido disperato di dolore, grido che ha talmente impressionato le poche persone presenti da giungere fino ai nostri giorni con le stesse parole aramaiche pronunciate in quella occasione: « Eloì, Eloì, lammà sabactanì? » «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34).

La valle della Gehenna, usata al tempo di Gesù come discarica della città di Gerusalemme, è stata tristemente famosa in passato perché gli stessi re d'Israele e di Giuda, Acaz e Manasse vi praticarono dei sacrifici idolatri al dio fenicio Molok, facendo passare i loro figli e le loro figlie per il fuoco (2 Re 16, 3; 21, 6). Gesù quindi subì il martirio in un luogo infestato da ogni tipo di peccato e di ingiustizia.

Come figlio di Dio, la sua umiliazione deve essere stata grande! Tradito, abbandonato da Dio e dagli uomini, nessun accenno di simpatia, nessun amore, nessun conforto; soltanto il sole cocente che dalle rocce si rifletteva sulla sua faccia rigata di sangue e di sudore e la compagnia di due miserabili malfattori che bestemmiavano ed imprecavano per la loro mala sorte.

I suoi nervi erano tesi e rotti per l'insopportabile dolore, ma non gli fu concesso nessun lenimento. Sei ore di tormento e di umiliazione in quel luogo terribile dove regnava il peccato e la morte. Così è morto il Figlio di Dio, in quel luogo, in quella maniera. Egli è morto a causa del peccato! Egli è morto per il peccato! Era il peccato che lo uccideva! Egli è morto una volta per sempre per togliere i peccati dal mondo. Per cancellare dalla faccia della terra luoghi come quelli dove aveva subito il martirio: « . . . ma ora, una sola volta, alla fine delle età, Cristo è stato manifestato per annullare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso » (Ebrei 9: 26).

Ma perché? La domanda che spesso ci si rivolge è questa: Perché lui, perché proprio lui, l'uomo più buono, più perfetto, più giusto che sia mai vissuto sulla terra?

La risposta più semplice a questa domanda è: Si, proprio lui, perché soltanto lui, giusto e perfetto, poteva morire per i peccati di tutto il mondo. Quando Cristo è morto nel luogo più sporco e più profanato di questa terra, egli ha portato su di se i peccati di tutti gli uomini. Come abbiamo già visto, Dio odia il peccato. In quel momento l'ira di Dio si è scagliata contro il peccato.

E' già stato notato che Cristo era senza peccato, ma la Scrittura dice anche di più: «Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché, noi, morti al peccato, vivessimo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti » (1 Pietro 2, 24). « Poiché egli (Dio) ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui » (2 Corinzi 5, 21). « Egli è l'espiazione per i nostri peccati; e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Giovanni 2, 2).

Quando Cristo ha portato su di sé i peccati del mondo, Dio ha gettato ed ha lasciato cadere su di Lui tutta la sua ira contro il peccato. Circa settecento anni prima di Cristo, il profeta Isaia scriveva: « L'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti » (Isaia 53: 6) ed « egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità » (v. 5) (leggere tutto il capitolo).

L'ira di Dio contro il peccato dell'uomo è stata trasferita su Cristo e così Cristo ci ha «salvati dall'ira di Dio » (Romani 5, 9). L'amore di Dio per i peccatori è stato così dimostrato. Esso risulta evidente nella stessa crocifissione di Cristo (Romani 5, 6-8). E poi Dio ha dimostrato anche il suo amore per Cristo risuscitandolo dalla morte.

Così egli vive per sempre per intercedere per i peccatori: « . . . può anche salvare appieno coloro che per mezzo suo si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro » (Ebrei 7, 25)

Per la mentalità umana è un po' difficile, all'inizio, comprendere questo concetto di salvezza operata da Dio. Ma c'è una storia che ha aiutato molte persone a comprendere come Dio possa odiare il peccato, o come Dio possa essere « giusto », e al tempo stesso « perdonare » (giustificare) il peccatore.

IL RE DEI LOCRINI

Anselmo (600 d.C.) ha scritto una storia vera accaduta in Inghilterra, 500 anni prima di Cristo, durante il tempo dei piccoli re. Uno di questi era il re dei Locrini. Era un re rispettato da tutti i suoi sudditi perché era buono e giusto verso il popolo. Era molto severo con i trasgressori delle sue leggi, come del resto lo sono ancora oggi le autorità nel Medio Oriente. Se uno rubava pagava con la perdita della mano. Tutte le leggi del regno dei Locrini erano basate sul principio dell'« occhio per occhio, dente per dente ».

C'era una legge la cui trasgressione prevedeva la perdita di entrambi occhi. Il primo trasgressore di questa legge fu proprio il figlio del re. Questo fatto pose il sovrano di fronte ad un grave dilemma. Come padre egli avrebbe voluto perdonare il proprio figlio, ma come re non poteva farlo perché doveva essere giusto. Se si fosse mostrato clemente verso il figlio, i sudditi avrebbero detto che non era giusto. Se invece non avesse cercato di difendere suo figlio, tutti avrebbero detto che non era degno di essere un padre.

Il re, dopo aver meditato a lungo su questo problema, riunì il tribunale, i testimoni, i membri della giuria, il lettore della legge e gli esecutori. Il re sedeva in alto sul trono, il tribunale ed il figlio in una posizione inferiore. Allora il re dichiarò: «Se un qualsiasi membro di questo tribunale non dirà la verità, anch'egli dovrà pagare con la perdita di due occhi ». Quando i vari membri del tribunale ebbero riflettuto, decisero che valeva la pena di dire la verità. I testimoni dunque parlarono esitando e tremando perché essi dovevano testimoniare contro il figlio del re: « Eccellenza, nostro giusto ed amabile re, ci dispiace dire che abbiamo visto tuo figlio commettere questo delitto ». Così tutti, uno per uno, portarono questa testimonianza.

Allora il re chiese la decisione alla giuria. I portavoce della giuria, tutti pieni di paura, dissero con voce tremante: « Si, o re, anche noi siamo tristi di dover dire che tuo figlio è colpevole ». Il re poi, giratosi verso il lettore della legge, lo invitò a ripetere ciò che la legge stabiliva. Nel silenzio del tribunale risuonò imperioso il comando che esigeva il sacrificio di due occhi in riparazione del delitto commesso.

Allora il re scese dal trono, si accostò al figlio e ordinò all'esecutore della pena di procedere. Ma con meraviglia di tutti al figlio fu tolto un solo occhio, l'altro l'aveva dato il padre. Così la legge fu soddisfatta ed il re fu allo stesso tempo giudice giusto e padre amoroso.