Lettere a LE SCIENZE

 

Nella premessa al Messaggio del GFN (sez.X) abbiamo dichiarato "guerra" ad oltranza alla fisica contemporanea, ma non particolarmente ai fisici suoi rappresentanti. Per questi, anche se li attacchiamo sul piano dottrinario (non essendo in causa quello professionale), non abbiamo né avremo nessun motivo o atteggiamento di personale ostilità: a meno che essi non vogliano impersonare la fisica attuale e personalizzare la loro polemica nei nostri confronti.

Questa sezione rappresenta la nostra "postazione": come abbiamo promesso, da qui colpiremo senza tregua la Torre di Babele di assurdità e contraddizioni che si sono stratificate nel corso di più di un secolo sul pensiero umano, inebetendolo. È assolutamente certo che di essa non rimarrà pietra su pietra al nascere del Terzo Millennio.

La nostra attenzione sarà rivolta principalmente al mensile ufficiale dell'establishment accademico, ma non si limiterà ad esso. Mentre continueremo nelle altre sezioni il discorso sistematico sulla nuova fisica, avremo qui un osservatorio stabile di analisi polemica verso tutto quanto avrà il significato di una ottusa continuità con le fantasie delle concezioni tradizionali, in qualunque sede ciò si manifesti.

 

1) La prima lettera pubblicata in questa sezione porta il numero d'ordine XVI. Ciò avviene, perché dal giugno 1976 al gennaio 1981 il titolare di queste pagine inviò al direttore del periodico scientifico una serie di quindici lettere - ciascuna con una sua premessa -, prendendo ad argomento ogni volta un articolo della rivista e polemizzando con le tesi in esso sostenute, messe a confronto con la visione unigravitazionale dell'universo.

I nostri lettori avranno, già da soli, bene immaginato che quelle lettere furono tutte tranquillamente cestinate dal direttore di allora. In una di esse l'autore prometteva che un giorno le avrebbe pubblicate, suscitando verosimilmente le commiserazioni dei redattori. Costoro dovettero sentirsi confortati nella loro noncuranza, quando la serie epistolare sembrò infine chiudersi, senza ulteriori fastidi, con la quindicesima lettera nel gennaio del 1981.

Nessuno poteva allora prevedere che quella voce importuna, che si poteva così facilmente affondare nel cestino di un ufficio, sarebbe riemersa sulla più democratica rete di informazione offerta a un eretico dalla tecnica moderna.

Il direttore attuale si è comportato con la lettera XVI come il suo predecessore con tutte le altre. La differenza è oggi che il cestino del suo ufficio non coincide con quello dei calcolatori di tutto il mondo.

Gli articoli presi di mira dalla lettera uscirono su LE SCIENZE nell'agosto del 1997 (Buchi neri e universi paralleli: Le equazioni della relatività einsteiniana ammettono soluzioni compatibili con l'esistenza di universi paralleli, tra i quali l'informazione fluisce attraverso cunicoli spazio-temporali) e nel settembre successivo (titolo in copertina: Lampi di raggi gamma, un mistero dell'astrofisica).

I riferimenti WEB sui due argomenti sono: sez.I, "Il nostro logo…: b) La favola dell'orco…"; "Ed ecco quindi…: cap.II".

 

Napoli, 26 settembre 1997 (XVI)

Egregio Direttore,

dopo aver letto su LE SCIENZE n.348 (agosto 1997) l'articolo Buchi neri e universi paralleli di Fernando de Felice ed essermi imbevuto "attraverso cunicoli spazio-temporali" di quella dotta informazione sugli universi paralleli, Le consiglierei di visitare il sito WEB del Gruppo Fisica Nuova di Napoli, di cui Le fornisco l'indirizzo e dal quale l'informazione fluisce più naturalmente alla luce del sole, anche a proposito di quei Lampi di raggi gamma messi in copertina sul numero di settembre, che rappresentano un "mistero" (come tanti altri fenomeni di questo nostro vero universo) solo per la cecità della fisica contemporanea:

http://xoomer.virgilio.it/cid12

 

 

2) La lettera precedente è l'ultima ad essere stata inviata per posta a LE SCIENZE. Per le nuove, ci sarà sicuramente qualcuno che ne informerà il direttore, il quale, se vorrà, sa dove trovare la corrispondenza che lo riguarda. La lettera XVII esiste già nel nostro WEB, essendo rappresentata dall'articolo Caso o finalità? presente nella sez.VII, che si inserisce in una polemica tra lettori e direttore a proposito di un articolo pubblicato nel gennaio del 1996.

 

Napoli, 24 gennaio 1998 (XVII)

Egregio Direttore,

col presente aggiornamento delle pagine WEB del Gruppo Fisica Nuova nasce un'altra sezione - la VII - di quelle pagine, dedicata a Etica e conoscenza. Il primo articolo (Caso o finalità?) interviene su un argomento che suscitò molta discussione tra i Suoi lettori, alcuni pro, altri contro un articolo di Richard Dawkins uscito nel 1996 (La natura: un universo di indifferenza). Lei si schierò nel numero di aprile di quell'anno a favore dell'antifinalismo del Dawkins con un commento alle critiche di diversi lettori, dal quale si evinceva che - come sostiene esplicitamente Dawkins - sono scientifici quelli che negano ogni scopo riconoscibile dell'esistere e del vivere e sprovveduti tutti gli altri. Legga, se ne ha tempo e voglia, quel mio contributo e mi metta pure tra gli sprovveduti.

 

 

3) Attenzione, profani! LE SCIENZE n.354 del febbraio 1998 recano un articolo di Luciano Pietronero, Marco Montuori e Francesco Sylos Labini, La struttura frattale dell'universo, con questo sommario: "Al paradigma dell'omogeneità dell'universo dati e concetti nuovi portano a sostituire una descrizione della distribuzione delle galassie ispirata alla meccanica statistica moderna e alla geometria frattale". Dopo un tale minaccioso riassunto non è certo consigliabile che vi avventuriate nella lettura dell'articolo. Cercheremo noi di darvene una chiave più comprensibile.

Cominciamo dai "frattali". Immaginate il gioco dei fiammiferi, fatto con degli stecchi proporzionalmente sempre più piccoli e sempre più grandi, disposti in maniera da ampliare un disegno iniziale sia nella direzione del piccolo sia in quella opposta del grande. Avrete così creato una geometria frattale, con la quale potrete divertirvi a fare l' "universo degli stecchi". Questo presenterà una somiglianza esteriore con l'andamento geometrico delle strutture naturali, per una ragione che diremo e che i patiti dei frattali non conoscono. Lo ammettono gli stessi articolisti: "È bene chiarire sin d'ora che la geometria frattale non costituisce, di per sé, una teoria fisica, in quanto non spiega il motivo per cui la natura genera le strutture frattali". Detto questo, essi descrivono con un linguaggio astruso da iniziati la dislocazione di galassie e ammassi di galassie, in base ai cataloghi astronomici, come rispondente allo schema d'una tale geometria, che è "autosimilare" (ciascun tratto è simile a ogni altro in ingrandimento o in impiccolimento) e "a legge di potenza" (le dimensioni si ingrandiscono o si impiccoliscono secondo potenze e non secondo fattori).

Ed ecco il vizio fondamentale, più volte da noi denunciato, dello scientismo contemporaneo: un vizio, del resto, apertamente confessato, come abbiamo sopra visto. Si è per caso scoperto un modo di "descrivere" approssimativamente con un'operazione geometrica la morfologia della natura, ignorandone però del tutto le cause genetiche ("la geometria frattale non costituisce una teoria fisica, ecc.") e si gabella questo come un metodo scientifico di indagine fisico-naturalistica. In realtà la somiglianza c'è, ma è casuale, ed è dovuta al fatto, ignorato dai fisici, che i caratteri di autosimilarità e di esponenzialità appartengono non solo a un fittizio "universo di stecchi", ma - concretamente - a un reale universo ondulatorio, caratterizzato da una propagazione gravitazionale eccentrica, a spirale logaritmica.

È questa geometria, sicuramente fisica (quella della nostra "equazione cosmologica": sez.III), e non artificiale (come il gioco dei mattoncini nelle costruzioni dei bambini!), che ha, appunto, geneticamente i caratteri di autosimilarità ed esponenzialità, riscontrabili del resto in tutto l'universo, e non solo tra le galassie, come si sforzano di dimostrare gli autori del dottissimo e difficilissimo articolo.

Per concludere, signori profani, vi consiglio di espandere idealmente nello spazio cosmico la figura che fa da logo iniziale di queste pagine WEB, disponendo lungo la banda spirale stelle, galassie ed ammassi di galassie. Troverete che i "pieni" (la banda spirale) e i "vuoti" (il resto dello spazio) non si equivalgono, ma i primi sono inferiori ai secondi e non sono proporzionali ai volumi: vedrete, cioè, che la materia nell'universo non è distribuita con "omogeneità", ma con "invarianza di scala e leggi di potenza". Così facendo vi risparmierete l'immensa fatica di leggere l'articolo e l'incubo di un mostruoso, interminabile gioco di fiammiferi.

 

Napoli, 15 febbraio 1998 (XVIII)

Egregio Direttore,

non mi resterebbe che consigliarLe di leggere la premessa indirizzata ai profani, i quali - secondo il giusto parere dell'epistemologo Feyerabend - devono assurgere al ruolo di soli legittimi giurati di un discorso che voglia essere propriamente scientifico e non da Sibilla Cumana.

Aggiungerò per Lei una notazione strettamente tecnica, che ha però il senso di una precisa raccomandazione a valutare tecnicamente la validità di dimostrazione scientifica che la mia "equazione cosmologica" manifesta in relazione all'argomento dell'articolo da Lei pubblicato.

Riporto quanto si legge alla voce FRATTALI di Nicola Rosato nell'Appendice V (1979-1992) dell'Enciclopedia Italiana:

"Molti modelli cosmologici sono basati sull'ipotesi di una distribuzione uniforme della materia nello spazio. Ciò significa che la quantità di materia contenuta in una sfera di raggio r (abbastanza grande) è proporzionale a r3. (…) In particolare, negli anni Sessanta, Mandelbrot ha proposto di postulare una distribuzione frattale della materia nell'universo, cioè una densità di materia proporzionale non a r3, ma a rD con 1 < D < 3. (…) l'ipotesi di Mandelbrot è sostanzialmente confermata dall'analisi della distribuzione statistica delle galassie, che conduce a ipotizzare una dimensione frattale dell'universo di 1,2 (molto poca materia rispetto ai vuoti). Studi ancora più fini, di M. Geller e J. Huchra, conducono a una dimensione frattale D dipendente dalla zona di universo."

In sostanza, l'intero articolo uscito su LE SCIENZE si riduce a questo: tutto sarà perfettamente a fuoco, solo se agli stecchi dei frattali si sostituiranno le lenti dell'equazione cosmologica. Non farlo richiederà ben difficili motivazioni.

 

 

4) Rivolgo un pressante consiglio a tutti i lettori di queste lettere. Procuratevi subito il numero 3/1998 (marzo) della rivista NEWTON. Vi troverete alle pagg.70-77 sotto il titolo "La particella di Dio" il campionario più completo e meglio condensato, da conservare per le generazioni future, di tutte le corbellerie che la fisica contemporanea ha saputo mettere insieme, con un crescendo rossiniano, in questa fine di secolo. Dopo di che, alle soglie del Terzo Millennio, si apre la gara per quei fisici che vorranno passare alla storia quali ultimi pubblici sostenitori dello "squark" come "partner supersimmetrico" del quark (Joyce, fonte di questa parola, si starà rivoltando nella tomba!). Leggeremo con attenzione tutta la successiva letteratura (fanta)scientifica per dare la targa d'oro di "Fisico della Terra piatta" all'ultimo in senso assoluto. È pronto lo spazio per la sua fotografia.

 

Napoli, 23 febbraio 1998

Egregio direttore di NEWTON,

Le abbiamo segnalato a parte il sito del Gruppo Fisica Nuova di Napoli. Se lo ha visitato e se ne ha letto attentamente il contenuto (cosa di cui, in verità, è lecito dubitare), pensiamo sia il caso di conservare le "superstringhe" per le "superscarpe", anche se sarà difficile trovarne a 26 dimensioni.

Il Suo articolo, pure se in modo paradossale, contiene tuttavia tre istanze positive:

l'universo in una formula: quella che Lei cerca è nella sezione III del nostro sito e si chiama "Equazione Cosmologica";

la particella di Dio: è il "fotone-gravitone" (Fiat lux!) e lo troverà nella sezione IV dello stesso sito;

il disegno di una struttura fondamentale (la piccola spirale, sigla finale dell'articolo): è il logo di testa delle nostre pagine.

Lei non ci crederà, ma le cose stanno proprio così.

 

 

5) Apertasi appena la gara che avevamo indetta con la lettera precedente, ecco che essa si è subito accesa e i primi aspiranti si fanno avanti per vincerla. Le cattedre mondiali di Relatività Generale si preparano a rinominarsi "cattedre di Relatività Tolemaica", dedicandosi allo studio degli epicicli, che qualcosa hanno a che vedere con la relatività e che erano ancora di moda al tempo di Dante:

Solea creder lo mondo in suo periclo / che la bella Ciprigna il folle amore / raggiasse, volta nel terzo epiciclo. (Par. , canto VIII)

La letteratura può aiutare, quando viene meno la credenza nella Befana.

 

Napoli, 14 marzo 1998 (XIX)

Egregio direttore,

quello che il professor Tullio Regge pensa della "fusione fredda" (vedi lettera pubblicata su LE SCIENZE n.355, marzo 1998), lo sappiamo dal lontano 11 novembre 1991, quando egli, commentando su LA STAMPA un esperimento di "fusione calda" avvenuto in Inghilterra, scriveva: "Anzitutto la notizia appare molto più seria di quella della fusione fredda, ormai screditata".

Ciò che invece pensiamo noi, lo si può leggere nel capitolo della sez.II intitolato: "Elettricità liquida" e "fusione fredda": ciò che la fisica odierna vede, ma non capisce…

Poiché alle orecchie del professore giungono voci allarmanti secondo cui, ancora oggi, la fusione fredda non si decide a tirare le cuoia, come egli ardentemente desidera, quella sorta di "carbonari", che sulla Costa Azzurra starebbero alacremente lavorando ad un progetto di fusione fredda, sono da lui pressantemente invitati ad uscire allo scoperto e a dare infine le "prove" della scientificità del loro lavoro.

Altro motivo di preoccupazione è il fatto che da tempo "il noto astrofisico Arp, suo malgrado novello Galileo, conduce una battaglia disperata contro il modello del big bang", per di più "osannato da una vera armata di accesi sostenitori, quasi tutti volonterosi dilettanti che agiscono fuori dall'ambiente scientifico". Tutto ciò nel silenzio, che il professore giudica ambiguo, dei suoi colleghi, probabilmente "dovuto al timore di aver messo il piede su una buccia di banana e di rovinare in questo modo la propria reputazione".

Che il big bang sia una bufala (per usare la parola che il prof. Regge riferisce alla fusione fredda), è anche nostra ferma convinzione, come si evince dalla sez.I di queste pagine. Ma dal momento che il professore freme per avere le benedette "prove" di tutto quanto si propone teoreticamente al giudizio del mondo scientifico, viene immediato di chiedergli che ci dia in laboratorio una prova di un piccolo big bang, del quale è un così fedele assertore.

 

 

6) Riconosciamo compunti, in relazione ad alcune critiche, il carattere "oltranzista" dei nostri attacchi, ma non vediamo modo o stile più leggeri, atti a smascherare l'inganno scandaloso che si perpetra da più di un secolo contro la ragione umana e ne paralizza le capacità di vittoria sul minaccioso degrado planetario di questo fine-millennio.

Veicolo di tale inganno sono le riviste cosiddette "scientifiche" che, fiancheggiando quella ufficiale, propagandano come sacre verità, a suon di tamburi, le favole insulse della fisica contemporanea.

Favola per favola, ne riproponiamo una nella lettera che segue.

 

Napoli, 9 maggio 1998

Egregio direttore di SCIENZA NUOVA,

il Gruppo Fisica Nuova di Napoli ha inviato anche a Lei un messaggio di carattere generale, che La rimanda a questo sito e il cui sintetico significato - se Lei ricorda la più famosa delle fiabe di Andersen - è che quel "re" che è rappresentato dalla fisica contemporanea è ormai "nudo", ma lui non se ne accorge e la sua corte finge di non saperlo.

La nuova fisica è il "bambino" che ha svelato all'improvviso la nudità dell'imperatore: costui non ha ormai più convenienza a insistere nel tentativo di far credere alla gente la fandonia dei propri abiti nuovi. La quale è del tipo di quelle che la Sua rivista pubblica nel suo secondo numero sul tempo e sull' "ipertempo", che corre all'indietro come il gambero, e sulle quattro, nove, dieci e - via farneticando - ventisei dimensioni dello spazio (v. qui lettera quarta alla Sua consorella NEWTON).

Perché Lei non pensi che sia soltanto una nostra isolata opinione, riporto testualmente, col sistema di copia e incolla, quanto ci scrive uno studente di fisica di una delle nostre università, del quale non siamo autorizzati a precisare l'identità:

"… Intanto, dal momento che condivido appieno i Suoi giusti

attacchi a quel tipo di mentalita`, tipica dell`

ambiente accademico, che fa del non-senso una

sorta di emancipazione intellettuale dal "basso

volgo" dei non addetti ai lavori, La metto al

corrente (nel caso non ne sia gia` a conoscenza)

che e` uscita da poco una nuova rivista scienti-

fica dal titolo "Scienza Nuova" (edizione italiana

di "New Scientist"). Nel secondo numero di tale

rivista (che ho acquistato circa un'ora fa) viene

riportata una serie di articoli sul "problema del

tempo" nella fisica teorica. C'e` da mettersi le

mani ai capelli! E` veramente incredibile come ci

si possa perdere negli artifici matematici a

scapito di quel vero "senso fisico" che dovrebbe

caratterizzare l'osservazione della natura dei

fenomeni.

So che Lei ha gia` spedito numerose lettere al

mensile "Le Scienze" per illustrare il penoso

brancolare nel vuoto della cosiddetta "fisica

moderna". Ho dunque pensato che avrebbe potuto

interessarLe sapere della nascita di questo nuovo

giornale che, sotto il fuorviante titolo "Scienza

Nuova", si dimostra essere nient'altro che l'enne-

simo bollettino di quell`establishment "scientifico"

che in realta` sappiamo non portare nulla di

veramente innovativo (e nemmeno di scientifico)

alla conoscenza umana."

 Le raccomandiamo di non ironizzare su lettere come questa e di non sottovalutarle, perché non è l'unica e il loro numero è destinato a crescere rapidamente, fino a quando la "rivoluzione" unigravitazionale risveglierà dal letargo i nostri fisici teorici, che - per rimanere in clima favolistico - potremmo paragonare uno per uno alla bella fanciulla "addormentata nel bosco".

 

 

7) Dio mio, come si può polemizzare in modo comprensibile con LE SCIENZE? I lettori confrontino il linguaggio delle nostre pagine WEB col seguente brano tratto dal numero di giugno delle rivista (articolo di Michael J. Duff: La teoria un tempo chiamata "delle corde"):

"…se la supersimmetria permette 11 dimensioni, perché le supercorde si fermano a 10? Infine, se vogliamo pensare le particelle puntiformi come corde, perché non pensarle come membrane, o più in generale come oggetti a p dimensioni (inevitabilmente chiamati p-brane)? Così, mentre la maggioranza dei teorici si gettava sui "super-spaghetti", un gruppo piccolo, ma entusiasta, stava cominciando a desiderare i "super-ravioli". Una particella, che ha zero dimensioni, percorre una traiettoria unidimensionale - o "linea-universo" - mentre evolve nello spazio-tempo. Analogamente, una corda (che ha una sola dimensione, la lunghezza) lascia dietro di sé un "foglio-universo" bidimensionale, e una membrana (che ha due dimensioni) percorre un "volume-universo" tridimensionale. In generale una p-brana lascia dietro di sé un volume-universo di p+1 dimensioni. (Naturalmente la p-brana deve potersi muovere liberamente nello spazio-tempo, e quindi p+1 non deve superare il numero di dimensioni di quest'ultimo.)"

Chiaro, no? Moltiplicate ora questa prosa luminosa per diciotto colonne della rivista e vi farete un'idea dell'intero articolo.

 

Napoli, 10 Giugno 1998 (XX)

Egregio direttore,

sul n.358 della Sua rivista (giugno 1998) sono finalmente usciti allo scoperto i "carbonari" della fusione fredda, che il prof. Regge minacciava di fucilazione alla schiena nel precedente numero di marzo e che io citai nella lettera XIX del 14 marzo scorso. Lo hanno fatto con due belle lettere: la prima di Sergio Focardi e Francesco Piantelli, del Dipartimento di fisica dell'Università di Siena, e l'altra di Mauro Lombardi, di Faenza.

E' particolarmente notevole il fatto che i due fisici di Siena ricordino al prof. Regge lo stesso episodio che io posi nel 1973 all'inizio del mio saggio La gravità e le altre "forze" (interamente riprodotto nella sez.V di questo sito): ovvero, di quegli accademici del tempo di Galileo che si rifiutavano di guardare nell'occhiale, perché i pianeti medicei non potevano esistere senza il permesso di Aristotele.

La fusione fredda vale forse più dei satelliti di Giove. per meritare un trattamento migliore dagli accademici di oggi? In ogni caso, molto meno dei miliardi di dollari necessari per quelche istante di quella calda, tanto cara ai cattedratici dei nostri giorni.

 

 

8) Vogliamo dare un consiglio cordiale a quegli studenti che, superati gli esami di maturità attualmente in corso, pensano di iscriversi a un istituto universitario di fisica cosiddetta teorica, immaginando di conquistarsi chissà quale aureola di scienza superinfusa (come la dantesca e paradisiaca gratia Dei). Raccomandiamo loro caldamente di non farlo, dando - se mai - la preferenza a studi fattivi di ingegneria, con i quali almeno faranno cose pratiche,, immediatamente utili a loro stessi e al prossimo. Eviteranno, se non altro, di montarsi la testa con fanfaluche, come quelle che andiamo raccogliendo a piene mani, in questo nostro epistolario, dal novanta per cento (siamo benevoli) delle pubblicazioni e delle dichiarazioni accademiche. Salvo - tuttavia - che non si lascino allettare, piuttosto che dall'aureola, dai lauti e non teorici finanziamenti che ricevono gli scienziati, di cui si parla nella lettera che segue, per fare quelle cose inutili che fanno.

 

Napoli, 20 Luglio 1998 (XXI)

Egregio direttore,

dunque in Giappone un'agguerrita équipe di scienziati, dopo essersi seppellita per anni sotto il monte Ikena, in una vecchia miniera a 1000 metri di profondità, con "22500 tonnellate d'acqua purissima" raccolta in un gigantesco contenitore, ha finalmente scoperto che i neutrini hanno una massa, invece che niente, come le fate (LE SCIENZE n.359, luglio 1998). E' il caso di dire che tutti quei cervelloni rischiano veramente di affogare in un "bicchier d'acqua", se - come leggiamo - "poter affermare che il neutrino ha una massa è già un progresso di portata eccezionale per la fisica moderna". Se avessero fatto le scuole elementari con un profitto alquanto migliore, avrebbero capito fin d'allora che - come il sottoscritto sosteneva, deriso, nel 1969 - particelle fisiche di massa nulla (fotoni, neutrini) non potevano logicamente esistere.

Il fatto, peraltro, presenta un aspetto comico proprio per quanto riguarda LE SCIENZE e mette conto di raccontarlo per esteso. La documentazione che ho delle disavventure poco conosciute del pensiero fisico contemporaneo è imperitura come la memoria dell'elefante: ho l'onore di possedere, tra l'altro, l'intera collezione della Sua rivista, accuratamente annotata, anche se il mio compito non oscuro è quello di demolirne totalmente la credibilità.

Svariati anni dopo che la fisica unigravitazionale nasceva anche sull'idea che il fotone non potesse avere massa zero, ma fosse, al contrario, l'unità assoluta di massa, il sospetto che quella particella avesse - appunto - una massa, benché piccolissima, cominciò a serpeggiare nelle affaticate menti dei fisici. Ma ecco che, nel tentativo di salvare dal naufragio la relatività che la negava, su LE SCIENZE n.97 (settembre 1976) certi Goldhaber e Nieto se ne uscirono con una mirabile alzata d'ingegno, sostenendo che, se il fotone aveva una massa, "in tal caso l'universo dovrebbe differire soltanto di poco da un universo contenente fotoni senza massa". Una mia lettera (la IV della prima serie), con la quale ironizzavo su un'indecenza di quel genere, andò come tutte le altre cestinata.

Dovevano passare ventidue anni prima che un Suo redattore mi desse oggi ragione, scrivendo: "(…) in fisica la differenza tra zero e poco più di zero è enorme: basta pensare a che cosa succede quando uno zero finisce a denominatore di una frazione…" (LE SCIENZE. numero attuale: Scoperta in Giappone la massa del neutrino, di Marco Cattaneo).

Ma a tutto c'è rimedio. Proprio oggi il Gruppo Fisica Nuova ha aggiornato il contenuto di questo sito WEB, parlando dei neutrini (sez.III: La gravitazione ondulatoria, cap.IV, § 7). Chissà che quei poveri minatori forzati del monte Ikena non finiscano - alla buonora! - per capirci qualcosa.

 

 

9) Premessa breve. Verifichiamo l'uso che gli scienziati fanno del verbo "sapere".

 

Napoli, 21 Settembre 1998 (XXII)

Egregio direttore,

nell'intervista rilasciata dal prof. Alessandro Bettini a Francesca Rosati (LE SCIENZE n.361, settembre 1998) si legge:

"Il punto fondamentale è che la scala di energia alla quale avviene l'unificazione delle forze forte ed elettrodebole, quella verificata dagli acceleratori attuali, è di alcune centinaia di GeV, mentre sappiamo [il corsivo è nostro] che l'unificazione con la gravità dovrebbe avvenire a un'energia molto superiore, 100 milioni di miliardi di volte maggiore."

Tale affermazione è l'equivalente di quella già da noi riferita nel primissimo capitolo di queste pagine Web e apparsa su LE SCIENZE n.308 (aprile 1994): secondo John Horgan, per unificare la gravitazione con le altre forze cosmiche sarebbe necessario un acceleratore "della circonferenza di mille anni luce", e cioè di nove milioni e mezzo di miliardi di chilometri!

La domanda è questa: per sapere che la gravitazione e le altre forze cosmiche sono la stessa cosa, non si potrebbe spendere un po' meno "energia" e leggere queste nostre pagine, dalle dimensioni assai più ragionevoli?

 

 

10) La lettera che segue è un doveroso aggiornamento alla quarta di questa rubrica, da noi scritta in data 23 febbraio 1998. Le dimensioni dell'universo, che erano allora appena 26, sono oggi 43, e precisamente 11+32. C'è stata un'offerta speciale al supermarket della fisica teorica.

 

Napoli, 11 Ottobre 1998

Cara RAI,

di tutto, di più. Ieri sera il prof. Antonino Zichichi ha fatto da mattatore nello Speciale TG1 delle 23, condotto dal povero Bruno Mobrici. Diciamo questo in senso assolutamente letterale: lui, infatti, da "galileiano convinto" e sostenitore del dovere di "riproducibilità" di qualsiasi fenomeno che possa dirsi "scientifico", ha spietatamente liquidato due malcapitati ospiti della stessa trasmissione: la dottoressa Fiorella Terenzi, che sostiene che l'universo è "donna" e registra la "musica delle stelle", e il dott. Fulvio Frisone, paraplegico, che cerca - vincendo il proprio doloroso handicap - la spiegazione teorica della fusione fredda.

Il cavallo di battaglia del prof. Zichichi è l'affermazione ricorrente che anche gli spaghetti sono fatti solo di "protoni, neutroni ed elettroni". Egli però è alla ricerca, nelle viscere del Gran Sasso (anche lui minatore, come quelli del monte Ikena: vedi lettera n.8), della prima "superparticella", rivelatrice di un "supermondo", nel quale finalmente lui potrà associare alle già ben note "superstringhe" i suoi amati "superspaghetti", con relativo marchio di fabbrica. A suo tempo, egli ci elargirà anche la dimostrazione della "riproducibilità galileiana" di qualcosa che abbia - come lui ieri ci ha rivelato con grande sicurezza - "11 più 32 dimensioni".

E' stupefacente come tutti gli scienziati "galileiani" (e qui casca Popper!) siano capaci di predicare bene e razzolare male, con la faccenda della "sperimentabilità" della scienza, che deve tutto "provare e riprovare", tranne le loro fantasie. Tenuto conto di quello che dicono e dei finanziamenti che ricevono, si direbbe - a onor del vero - che predicano male e razzolano molto bene.

 

 

11) I lettori avranno capito che, se abbiamo per un bel po' trascurato questa sezione, il motivo è stato l'impegno che abbiamo messo nel portare avanti il discorso su importanti fronti della nuova fisica. Non è mancato, certo, il materiale per la nostra abituale valutazione del mondo fantasmagorico della cosmologia ufficiale. Determinante per la ripresa della nostra attenzione è stato, però, l'ultimo numero della rivista intestataria di questa sezione: LE SCIENZE n.367, marzo 1999. E' il numero che ha deciso la gara da noi indetta con la lettera n.4 del 23 febbraio 1998 per l'assegnazione della targa d'oro di "Fisico della Terra piatta": il Gruppo Fisica Nuova, riunitosi allo scopo, ha deliberato di attribuirla ex aequo ai numerosi autori di tre eccezionali articoli, che il direttore Enrico Bellone ha raccolto in uno "speciale" sotto il titolo esaltante di La nuova rivoluzione cosmologica. Una rivoluzione nata da una incrollabile fissazione dell'astrofisica contemporanea: che, cioè, il red shift si identifichi con un effetto Doppler elettromagnetico, più o meno rabberciato, e che quindi l'universo sia in espansione, dopo il famigerato Big bang. Il che equivale a una frottola trasformatasi in una certezza.

E' assolutamente spettacolare il seguito di fantasie da Walt Disney che i tre articoli sono riusciti a mettere insieme: tanto che il GFN ha discusso a lungo se conservare alla targa il titolo di "Fisico della Terra piatta" o cambiarlo in quello di "Fisico degli Universi a bolla". Ma alla fine si è deciso di mantenere il nome originario, perché nel secondo degli articoli si parla seriamente di una geometria di "universo piatto": leggere per credere. Vi abbiamo aggiunto solo come epigrafe un titolo testuale dal medesimo articolo: "Il nulla ha la sua importanza" e la didascalia di un buio oceano di palle e palline sparse tra le galassie (a pag.47): "La loro presenza [di particelle "virtuali"!] è conseguente a un principio di base della meccanica quantistica combinato con la relatività speciale: non vi è niente di esatto, neppure il nulla".

Che cosa non ti combina una "combinazione" come questa!

 

Napoli, 15 Marzo 1999 (XXIII)

Egregio direttore,

alla premessa non posso che aggiungere le mie congratulazioni e una domanda: cosa mai ci sarà di galileiano negli "universi a bolla"? Forse il personaggio di Simplicio, come prototipo di chi ci crede.

 

 

12) Cari lettori, è la prima volta che una nostra lettera viene scritta a commento non di un articolo già pubblicato su LE SCIENZE, ma dell'annuncio di un articolo. Sul numero attuale (368, aprile 1999) se ne preannunzia per maggio uno intitolato Un big bang in laboratorio di Madhusree Mukerjee. Il fatto ha per noi una curiosa singolarità. Se riandate alla nostra lettera del 14 marzo 1998, vi trovate una sfida "galileiana" al prof. Regge perché ci desse "in laboratorio una prova di un piccolo big bang, del quale è un così fedele assertore". Pensate che ci abbiano letto? E che il direttore abbia commissionato apposta un articolo per svergognarci?

Se così fosse, noi ricorderemo ai lettori la fortunata serie televisiva del tenente Colombo, dove il protagonista, con l'apparenza sprovveduta del suo discinto impermeabile, dimostra ogni volta in modo inconfutabile che non si può in nessun caso e con nessun mezzo "provare" ciò che non è vero e che l'assassino vorrebbe far credere vero.

Nel caso del big bang c'è un'aggravante: l' "assassino" (il tale o la tale Mukerjee), per quello che ci vorrà dimostrare in laboratorio - che cioè tutta la materia dell'universo, quella di innumerevoli miliardi di galassie, sia stata un giorno compressa in un punto adimensionale dello spazio - è mille volte più ingenuo di un bambino che con una stellina pirotecnica di quelle natalizie gioca col papà fingendo di fargli vedere delle stelle vere. Con l'ulteriore aggravante, che il bambino sa di giocare, mentre il tale o la tale Mukerjee crederà di fare sul serio, sostituendosi addirittura al Padreterno.

I nostri lettori conoscono da tempo che la fisica unigravitazionale ha smascherato senza scampo l'origine invereconda di quella vera e propria turba psichica della fisica odierna, che è il big bang, e stanno dalla parte del poliziotto. Già da prima della puntata. 

 

Napoli, 10 Aprile 1999 (XXIV)

Egregio direttore,

segua i telefilm del tenente Colombo.

 

 

13) Cari lettori, il direttore di LE SCIENZE non ama i telefilm del tenente Colombo. E così. incurante del nostro amichevole invito a lasciar perdere le "prove" in laboratorio del big bang, ha mantenuto la parola, pubblicando sul numero di maggio (369), con un grosso richiamo in copertina, il minacciato articolo del tale o della tale (il dubbio resta insoluto) Mukerjee. La situazione è risultata, in effetti, di gran lunga peggiore di quella da noi prevista nella lettera precedente, e ci ricorda quanto Cicerone dice nel De divinatione a proposito degli indovini, meravigliandosi di come uno di questi non scoppi a ridere nel guardare in faccia un altro indovino: basterà sostituire agli indovini i cacciatori di piccoli big bang.

Chi, come noi, ha trovato il grosso coraggio di leggere l'articolo, ne ricava - tutto sommato - chiaramente due cose. La prima è che gli strenui sperimentatori non sanno assolutamente nemmeno loro come potrebbero dimostrare l'indimostrabile, col loro nuovo acceleratore a fasci incrociati RHIC, non ancora in funzione. Sotto il titolo - azzeccatissimo - "In cerca di fumo", leggiamo: Il problema è che "non c'è nessuna prova inconfutabile" ribatte Hallman. "Niente di specifico da trovare per poter dire 'Evviva, l'ho trovato!'. I teorici hanno presentato una lunga lista di cose da cercare, ognuna ipotizzata per provare la presenza dell'evanescente plasma. Purtroppo, una serie di complicati effetti nucleari potrebbe contraffare la maggior parte di questi indizi, o addirittura cancellarli. E via di questo passo, l'intero articolo procede disperatamente tra i "forse" e i "purtroppo", avvolto da un fitto "fumo" di evanescenze, per cui la "materia densa e calda" dell'universo primordiale dà piuttosto l'idea del caffè espresso appena uscito dalla macchinetta.

La seconda è, guardando nello stesso articolo le fotografie delle immense apparecchiature costruite per questo "nulla", il calcolo mentale di quanti miliardi di dollari vanno letteralmente "in fumo" allo scopo di fare scrivere al tale o alla tale Mukerjee un articolo come questo. Gli stessi miliardi di dollari che si spendono, in altro campo, per fabbricare un aereo capace di lanciare bombe "intelligenti" che scambiano ospedali per caserme. La connessione sfuggirà ai fisici teorici, dato il loro modo di pensare, ma non ai nostri lettori, abituati a valutare la potenza delle lobbies in entrambi i settori, spesso strettamente associati. Non per nulla E = mc2 è stato scritto sulla coperta di una portaerei.

 

Napoli, 11 Maggio 1999 (XXV)

Egregio direttore,

un secolo per sopportare ancora "lo scontro e il tonfo" e "la conta degli angeli" (altri immaginifici titoli dell'articolo Un piccolo big bang ) è stato troppo per questa povera umanità.

Che al prossimo millennio ne siano risparmiati di consimili...

 

 

14) Facciamo presente ai lettori che il dotto periodico LE SCIENZE ha inaugurato un nuovo sport: quello dei preannunci fantaumoristici, a divertimento assicurato.

Come tutti ormai sanno, noi non abbiamo bisogno dell'articolo in carne ed ossa per cominciare a ridere. Nel mese di aprile toccò al "piccolo big bang in laboratorio". Per il prossimo luglio ci viene promesso di Smascherare i buchi neri (saggio poliziesco di Jean-Pierre Lasota), ma purtroppo non nel senso che noi daremmo all'espressione: cioè di far capire ai bambini che quegli orchi dell'universo non possono assolutamente esistere. Al contrario, il Lasota ci darà "una prova diretta" della loro esistenza: una specie di calza misteriosa, piena di dolciumi e di carboni, che dimostra ad ogni 6 di gennaio l'esistenza della befana. Per il momento accontentiamoci di sapere che la "prova diretta" è la seguente: "l'energia sparisce da certe regioni dello spazio senza lasciare traccia".

Vi ricordate (sez.I, "Il nostro logo...") di Van Allen che stava per impazzire, vedendosi sparire sotto gli occhi il campo magnetico di Giove, mentre il Pioneer 10 avanzava verso il pianeta? Chi sa che il Lasota non soffra della "sindrome di Van Allen"? Lo sapremo dal numero di luglio.

 

Napoli, 18 Giugno 1999 (XXVI)

Egregio direttore,

non dirò altro, ma come si fa a pensare che la natura abbia potuto inventarsi un meccanismo di "autodivoramento" così insensato come un "buco nero"? Racconti così, lasciamoli firmare, per favore, dai fratelli Grimm!

 

 

15) Era proprio vero, amici lettori. Come avevamo esattamente previsto, il Lasota era afflitto dalla "sindrome di Van Allen"! L'articolo Smascherare i buchi neri, che - disdegnando i nostri avvertimenti - il direttore di LE SCIENZE ha pubblicato egualmente sul n.371 di luglio, è tutta una farneticazione, che nasce dal fatto che ciò che "sparisce" agli occhi del visionario Jean-Pierre Lasota è in realtà ciò che "non c'è" dove lui guarda: così come il campo magnetico di Giove, fatto a "lingue" spiraliformi, non "spariva" affatto al passaggio del Pioneer, ma semplicemente "non c'era". 

Immaginate una girandola di cui registrate gli intervalli tra i passaggi sulla vostra visuale dei suoi bracci emittenti. Se siete sufficientemente lontani dalla girandola e anche fantasiosi come il Lasota, voi potreste interpretare l'intermittenza della luce come dovuta a un oggetto luminoso che ruoti intorno a qualcosa di oscuro che se lo sta divorando. E' appunto questa, con alcuni altri ammennicoli sempre di fantasia, l'origine più comune della credenza fiabesca nei buchi neri.

Tali dettagli aggiuntivi (registrazione di raggi X, particolarità ottiche di vario genere, ecc.) confondono le povere idee degli astrofisici compagni del Lasota, convincendoli che gli "orchi" non abitano solo a Disneyland ma sono in agguato in tutto l'universo.

Ma il più bello è che, mentre scrivevamo queste righe, abbiamo appreso da IL MESSAGGERO di lunedì 19 luglio che i "bambini" del Massachusetts Institute of Technology, sicuri che quegli orchi esistano davvero, hanno intimato ai "bambini" del Brookhaven National Laboratory, compagni del tale o della tale Mukerjee (nostre precedenti nn.12 e 13), di smetterla col loro tentativo di riprodurre in laboratorio "un piccolo big bang", perché da quella "materia calda e densa" potrebbe sortire - come dalla lampada di un cattivo Aladino - un piccolo buco nero capace di trangugiare la Terra con tutto il sistema solare.

L'ingresso al "Castello del Terrore" è compreso nell'abbonamento a LE SCIENZE.

 

Napoli, 20 Luglio 1999 (XXVII)

Egregio direttore,

un fisico "galileiano", come la scienza moderna ama catalogarsi per origine e metodo, dovrebbe avere come suo fondamento il principio che il "comparire" dal nulla o lo "scomparire" nel nulla di qualcosa di fisico attiene alla magia, al miracolo o all'illusionismo.

Se Lei non si deciderà a leggere seriamente nella nostra sez.I i capitoli relativi alle pagine intitolate "Ed ecco quindi..." e "Il nostro logo, detective...", non potrà rendersi conto del fatto che sui fenomeni riguardanti la variabilità stellare le nozioni della fisica corrente valgono men che zero e si contornano di un'aureola di assoluto ridicolo.

Questo caldo invito che Le rivolgo mi esime dal contestare una per una le assurdità dell'articolo da Lei accolto nella Sua rivista. Le faccio solo presente che il campo di una singola stella può essere a bracci di spirale, esattamente come il campo magnetico di Giove, e ciò - insieme col fenomeno perfettamente naturale della pulsazione (v. la nostra sez.III, cap.IV) - è all'origine di tutte le apparenze che portano alla folle idea dei buchi neri. Aggiungo che l'intervallo temporale, che spesso si riscontra, tra visibile e raggi X è dovuto proprio alla diversa distribuzione della materia emittente a varia frequenza lungo un braccio di spirale e alla rotazione di questo. Quanto alla forma a "pera", questa non indica che la stella "è stata deformata dalla gravità del buco nero", ma è semplicemente l'aspetto che un braccio di spirale deve presentare in determinate prospettive della sua rotazione.

Il resto è favola o sogno.

 

 

16) I Greci chiamavano Nemesi la dea che ristabiliva la giustizia punendo le azioni tracotanti degli uomini. Ed è quella che oggi colpisce inesorabilmente il direttore di LE SCIENZE Enrico Bellone per nome e cognome, poiché ha voluto firmare lui personalmente, sempre nel numero di luglio, una sprezzante stroncatura di un libro uscito di recente: LA FINE DELLA SCIENZA di John Horgan (Adelphi, Milano, 1998).

La cosa riveste per noi un interesse singolare. Infatti, nel primo capitolo del nostro sito ("Un fantasma che ha quattro secoli") ci è capitato di criticare aspramente lo stesso John Horgan, che allora piaceva a Enrico Bellone, per un articolo intitolato La metafisica delle particelle, uscito su LE SCIENZE nel 1994, pieno zeppo di tutte le assurdità che la fisica attuale ha saputo tesaurizzare.

Ebbene, John Horgan è miracolosamente rinsavito, oltre qualsiasi nostra aspettativa, ma ha suscitato proprio per questo le ire bollenti di Bellone. Compiendo un vero salto evolutivo, ha capito che la "scienza" di cui era seguace ha tirato le cuoia. Amaramente, Enrico Bellone annota: Una curiosità: John Horgan è stato redattore di "Scientific American".

Un destino davvero "cinico e baro"!

 

Napoli, 27 luglio 1999 (XXVIII)

Egregio direttore,

riportiamo per intero la Sua sarcastica conclusione sul libro di John Horgan LA FINE DELLA SCIENZA, che Lei recensisce nel n.371 di luglio:

"Una curiosità: John Horgan è stato redattore di "Scientific American". Poi gli è successo, come egli stesso ammette, di scoprire che esiste una domanda talmente importante da dover essere indicata come la Domanda. Ovvero: "Perché c'è qualcosa invece del nulla?". Ecco, dunque, la ragione per cui la scienza è finita."

Dal Suo sarcasmo nasce il dilemma: o Lei conosce la risposta, o giudica la domanda cretina. Per quanto ci riguarda, stiamo questa volta con John Horgan e pensiamo che, con quella "Domanda", l'homo sapiens si trasformò in homo sapiens sapiens.

 

 

17) Lettori cari, il terrore corre tra le pagine di LE SCIENZE, assumendo le sembianze di un sempre più violento sarcasmo negli scritti del direttore Enrico Bellone contro il diffondersi delle critiche alla "scienza" contemporanea. In questo torrido mese di agosto ci sono state risparmiate le invettive analoghe del Prof. Tullio Regge, che ha forse preferito andarsene in vacanza.

Come sempre, notiamo con non celata soddisfazione il fatto che siamo costantemente antesignani in questa offensiva, che Bellone dice rivolta a "denigrare la scienza". L'editoriale del n.372 di agosto così comincia: "E' senza tregua la gara in corso tra un manipolo di opinionisti di grido, l'ala più intransigente degli animalisti e alcuni comici. La posta in gioco è alta: chi riuscirà a meglio denigrare la scienza?"

Nella categoria dei comici c'è Beppe Grillo, il quale aveva "invitato i cittadini a non finanziare Telethon in quanto punta di diamante delle multinazionali che ci stanno scientificamente assassinando con l'ingegneria genetica".

Ma il massimo reprobo della banda è il filosofo Umberto Galimberti, il quale ha annunciato "in un lungo articolo apparso su "La Repubblica", che gli scienziati non fanno davvero parte di Homo sapiens, ma sono un sottoprodotto così deteriore dell'evoluzione biologica da rendere urgenti alcune misure legislative". E Bellone continua, sempre più costernato: "Il saggio galimbertiano è un appello ai Ministri della Pubblica istruzione e della Ricerca scientifica, ai quali si chiede di non potenziare l'insegnamento delle scienze nelle scuole e di irrobustire, invece, la cultura umanistica. Questo invito è la necessaria conseguenza della tesi centrale di Galimberti, secondo la quale tutti gli scienziati, e, più in generale, i possessori di "competenze specializzate", sono creature disumanamente ignoranti perché nessuno ha insegnato loro a pensare con la propria testa".

A Bellone la tesi di Galimberti appare orripilante, ma dovrebbe ricordarsi che gli scienziati "specialisti" sono quelli che, anche secondo George Bernard Shaw, sanno tutto su nulla. Conclude poi con uno strano confronto ironico tra Einstein scienziato e Kant filosofo, ovviamente a tutto sfavore di Kant: forse perché, al tempo del liceo, il ragazzo futuro direttore aveva antipatia per la "Critica della Ragion Pura".

Noi faremo, invece, i più caldi complimenti a Beppe Grillo e a Umberto Galimberti, pur sottolineando la nostra priorità nel giudizio circa il grado evolutivo della specie scienziato contemporaneo tra le parenti di Homo sapiens (vedi lettera precedente).

 

Napoli, 10 agosto 1999 (XXIX)

Egregio direttore,

a proposito del rapporto tanto discusso tra le due culture, la cultura umanistica e quella scientifica, desidero raccontarLe come è nata la "fisica unigravitazionale", anche se Lei storcerà il naso e ne trarrà ulteriore conferma per la Sua opinione a riguardo.

Nella primavera del 1969 insegnavo latino e storia al magistrale "Virgilio" di Pozzuoli. Un giorno, ebbi a spiegare agli allievi un passo del libro VI dell'Eneide: quello in cui Anchise espone al figlio Enea, disceso nell'Ade, la dottrina pitagorica dell'Anima universale. Al verso 727 lessi e tradussi: Mens agitat molem, "una Mente fa muovere la massa universale". Il pensiero mi corse istintivamente alla formula newtoniana F = ma dei miei ricordi liceali: la "forza" è ciò che imprime a una "massa" un' "accelerazione".

Riflettei. Uno può credere o no nell'esistenza di un'Anima universale che muove le cose, ma in ogni caso il termine "Anima" indica un ente creduto reale che è causa del movimento. Ma nella formula della dinamica newtoniana quale significato ha l'espressione "ciò che..."? Evidentemente, nessuno. Quindi io non sapevo ancora, dalla fisica che avevo studiato ai miei lontani tempi, cos'è la "forza". L'unica idea che ne avevo era quella muscolare.

Passai in rassegna altre formule fisiche, per esempio E = mv2/2: l' "energia" è ciò che una "massa" manifesta se viene moltiplicata per una "velocità" al quadrato e divisa per 2. L'effetto: quello di una martellata su un dito. E così via, attraverso tutta la fisica moderna fino ai giorni nostri. Non c'era verso di uscire da ciò che.

Da quel momento capii che, se volevo dare un senso alle cose, dovevo cominciare dal bandolo della matassa. Nacque così la fisica unigravitazionale.

Con una "tabula rasa".

 

18) I lettori che vorranno rileggere la lettera 15) del 20 luglio scorso, si renderanno ulteriormente conto del valore del titolo che abbiamo dato a una pagina della sezione XI: La Fisica Unigravitazionale ha il dono della "profezia". A smentire l'assurda lettura di certa variabilità stellare in termini di orbitazioni binarie e di inesistenti buchi neri, avanzata dal Lasota sul numero di luglio di LE SCIENZE, avevamo detto testualmente al direttore: Le faccio solo presente che il campo di una singola stella può essere a bracci di spirale, esattamente come il campo magnetico di Giove, e ciò (...) è all'origine di tutte le apparenze che portano alla folle idea dei buchi neri. (...) Quanto alla forma a "pera", questa non indica che la stella è stata "deformata dalla gravità del buco nero", ma è semplicemente l'aspetto che un braccio di spirale deve presentare in determinate prospettive della sua rotazione.

Non ci crederete, lettori. Due mesi dopo, su LE SCIENZE di settembre (n.373) si riporta la seguente notizia

in testa a un servizio informativo corredato da una fotografia, che è proprio quella di una stella di forma spirale: se la guardaste di taglio, vedreste esattamente la forma a "pera" degli incubi di Lasota!

 

Napoli, 15 settembre 1999 (XXX)

Egregio direttore,

dovrà convenire che queste nostre lettere entreranno tra i libri profetici, se la fisica unigravitazionale è frutto di fantasia. In ogni caso è evidente, data la loro efficacia predittiva, che è un grave errore non prenderle in attenta considerazione.

 

19) I lettori conoscono il motivo dello sdoppiamento di ciascuna delle nostre lettere al direttore in due parti distinte. In effetti il vero colloquio è con essi e si limita alla premessa. Il direttore, infatti, è - come interlocutore - assolutamente irriducibile, e se ci rivolgiamo a lui nella seconda parte, è solo per la galleria che andiamo preparando sui "tolemaici" della scienza contemporanea. Nel suo editoriale del numero di ottobre di LE SCIENZE egli eleva al cielo la solita dolorosa lagnanza contro l'incomprensione che avverte nella società attuale per le sublimi concezioni di quella scienza. Così ci informa sdegnato, avendolo appreso da Salman Rushdie, che "lo stato del Kansas ha, in pratica, cancellato l'evoluzionismo e il big bang dai programmi d'esame"e che "in Alabama i testi scolastici dicono ai giovani che nessuno può sapere come è nata la vita sulla Terra, in quanto nessuno era presente per vedere come stavano le cose".

Naturalmente anche noi inorridiamo all'idea che qualcuno cancelli acriticamente qualcosa dai programmi d'esame, ma ci vien fatto di pensare da che pulpito viene la predica, osservando che il direttore ha cancellato dal libro di testo della sua mente, altrettanto acriticamente, la distinzione tra evoluzionismo darwiniano ed evoluzionismo lamarckiano e quella tra fantasia e realtà nel caso del big bang.

Quanto al sapere come è nata la vita sulla Terra, sembra che il direttore ne abbia assoluta contezza, mentre a noi pare che egli non sia molto più in là, sull'argomento, del famoso "brodo primordiale" col quale Riccardo Pazzaglia sintetizzava in un varietà televisivo le sue cognizioni in materia.

 

Napoli, 20 ottobre 1999 (XXXI)

Egregio direttore,

a proposito dell'articolo Alla scoperta della massa del neutrino di Kearns, Kajita e Totsuka (LE SCIENZE n.374, ottobre 1999), Le ricordo la mia lettera del 20 luglio 1998, al n.8) di questa rubrica, nella quale consigliavo agli scienziati minatori di uscire dalle viscere delle montagne, fidandosi della fisica unigravitazionale. Questa, infatti, fin dal suo atto di nascita, risalente al 1969, va affermando instancabilmente che non esistono in natura particelle prive di massa e che anche il fotone - contrariamente alla credenza corrente, condivisa dagli autori - ha una massa.

Nella stessa lettera suggerivo un luogo di questo sito, nel quale si svelava il mistero del neutrino, visto come "isotopo" di un infinitesimale sistema fotonico. Tale interpretazione viene ora precisamente confermata dalle piccolissime differenze e variazioni di massa rivelate dai tre tipi di neutrini di cui si parla nell'articolo citato.

Poiché da allora ad oggi vedo essere aumentata la capacità del serbatoio di "acqua purissima" da 22.500 a 50.000 tonnellate, consiglierei di non esagerare, se si vogliono evitare bollette troppo salate.

 

20) Una premessa lunga a una lettera breve: sappiamo già che è assai più proficuo il colloquio coi lettori che col direttore di LE SCIENZE. Il numero 376 di dicembre della rivista nostra beniamina contiene un reportage fatto di dieci ponderosi articoli,  opera di altrettanti grandi scienziati, su cosa ci si aspetta dalla ricerca e dalla scienza a partire dal 2000. Non possiamo, ovviamente, darvi conto di tutto: ci limitiamo a svelarvi il trucco principale che si nasconde nel secondo di quegli articoli e che è significativo del modo di ragionare - per così dire - degli scienziati contemporanei (soprattutto se "grandi"): quel modo sostanzialmente "truffaldino", da noi più volte sottolineato, specie nella sez.I del sito, col quale si mettono le toppe della fantasia al vestito sbrindellato della fisica teorica attuale.

L'articolo, di Steven Weinberg dell'Università del Texas, è intitolato: "Una fisica unificata entro il 2050 ?". Prescindiamo ora dal fatto che la fisica è già unificata e si chiama "fisica unigravitazionale" e che, per la strada di Weinberg, non lo sarebbe nemmeno nel 20050 o molto più in là (dice lui che, per unificare la gravitazione con le altre forze, "ci vorrebbe un acceleratore con un diametro quasi uguale alle dimensioni della nostra galassia"!). Vediamo piuttosto che cosa capisce un lettore di normale cultura (che pensiamo non abbia alcuna difficoltà a capire il linguaggio di questo sito), posto di fronte al passo seguente del grande scienziato, e aiutiamone l'interpretazione:

Il modello standard è una teoria quantistica dei campi di tipo speciale; si dice che è una teoria "rinormalizzabile". Questo termine risale agli anni quaranta, quando i fisici stavano imparando a usare le prime teorie quantistiche dei campi per calcolare piccoli spostamenti dei livelli di energia atomica. Essi trovarono che i calcoli che facevano uso delle teorie quantistiche continuavano a produrre valori infiniti, una situazione che di solito indica che una teoria ha gravi difetti o è stata spinta oltre i suoi limiti di validità. Col tempo si scoprì un modo per trattare gli infiniti assorbendoli in una ridefinizione - o "rinormalizzazione", appunto - di poche costanti fisiche, come la carica e la massa dell'elettrone. La versione minimale del modello standard, con una sola particella scalare, contiene 18 di queste costanti. Le teorie nelle quali questo procedimento funziona sono chiamate rinormalizzabili e hanno una struttura più semplice di quella delle teorie non rinormalizzabili.

Noi abbiamo già smascherato la truffa contenuta in questo arzigogolo, a proposito della nascita stessa della teoria quantistica, nel cap.IV b), parte quarta, della sez.III, occupandoci del "corpo nero" e di Planck. Ora, perciò, ci resta solo da evidenziare, con la spiegazione dell'oscuro testo citato, che il metodo è quello generale adoperato dalla "scienza" attuale e consiste nel truccare i suoi risultati teorico-sperimentali, per far credere di aver risolto problemi della cui reale natura essa non ha, al contrario, capito assolutamente nulla.

Dunque, i calcoli che "continuavano a produrre valori infiniti" sono quelli di equazioni create a supporto delle teorie, ma che, spinte oltre certi limiti, "sballano", dando valori infiniti che, fisicamente, - come è ovvio - non dovrebbero dare. A questo punto, una persona che non sia un "grande scienziato" trarrebbe una sola inevitabile conclusione: la teoria è sbagliata, come loro stessi, del resto, sono tentati di ammettere (rileggere il testo sopra riferito). Ma sarebbe un vero peccato, dopo tanta fatica. E allora "si rinormalizza" la teoria, mettendo semplicemente il carro avanti ai buoi: ovvero, si prendono alcuni dati prestabiliti sperimentalmente - le "costanti" fisiche - e rispetto ad essi si correggono le equazioni, introducendovi parametri matematici artificiosi, in maniera da costringerle a scartare gli infiniti e a produrre valori fisicamente ragionevoli.

Vedete ora voi, cari lettori, se sia il caso di prestar fede a simili spudorati imbrogli. Vi pregherei anche di mettere a confronto, per qualità di chiarezza, il testo citato (risparmiandovi pietosamente il resto dell'articolo) e quello di questa premessa.  

 

Napoli, 15 dicembre 1999 (XXXii)

Egregio direttore,

parliamo d'altro. Dopo le lettere nn.15 e 18 di questa rubrica, a me pare sia risultato chiaro che sui fenomeni di variabilità stellare la cosmologia odierna gareggia validamente per "scientificità" con gli epicicli di Tolomeo. Dal numero attuale della Sua rivista apprendiamo che si stanno usando tali profonde conoscenze per trovare conferme alla teoria della relatività ("Anche per Einstein gli esami non finiscono mai" di Marco Cagnotti).

E' come dare a uno studente un tema sulla Divina Commedia, attribuendola a San Francesco.

 

21) L'editoriale del numero di gennaio 2000 di LE SCIENZE, citato da noi nella Nota di aggiornamento del 14 febbraio (sez.IX, Programma operativo) merita di essere ricordato per il suo esordio, che riferiamo testualmente con le parole di Enrico Bellone: Ancora una volta sono costretto a toccare la questione dei rapporti tra "Le Scienze" e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Ancora una volta, infatti, è stata respinta la richiesta di inserire le nostre pubblicazioni nell'elenco dei periodici con "elevato valore culturale". Il lamento prosegue a lungo, con le motivazioni stroncatorie della Commissione ministeriale e sotto il significativo titolo: A ciascuno il suo. Al quale noi non aggiungeremo altro.

Il numero 378 di febbraio registra inopinatamente l'accordo del prof. Tullio Regge con la collocazione "tolemaica" da noi riferitagli nella premessa alla lettera n.5 di questa rubrica. La sua Opinione reca, infatti, il titolo: La relatività di Einstein tra Copernico e Tolomeo. E anche a questo non aggiungiamo commenti. 

Informiamo i lettori che i fisici del CERN di Ginevra, sotto la direzione di Luciano Maiani, hanno battuto sul tempo quelli del Brookhaven National Laboratory di Long Island nel produrre la "materia densa e calda" di cui alle nostre precedenti lettere nn.12, 13 e 15, con una sola variante. Quello che noi tentavamo di descrivere come una sorta di primordiale "caffè espresso" uscito dal big bang, sembra piuttosto definibile nei termini di una polenta al "vinavil", data la presenza cospicua di gluoni che sarebbero la colla dei quark. Il brodo di cottura sono i miliardi di dollari sottratti alle cose importanti di questo povero mondo.

 

Napoli, 14 febbraio 2000 (XXXIII)

Egregio direttore,

ciò che si apprezza dell'articolo Qual è il destino della vita nell'Universo? di Krauss e Starkman, nell'attuale numero della Sua rivista, è la scheda riassuntiva di Folco Claudi, intitolata Un po' di lessico cosmologico, che condensa in una sola pagina di noticine fiabesche le altre otto di noiosissime assurdità parascientifiche dell'intero articolo.

Il presupposto è sempre lo stesso, sul quale siamo tornati più volte: la frottola del big bang assunta a verità di fede. Manca solo un bel libro di preghiere dedicato ad essa.

Il merito di Folco Claudi è quello, almeno, di aver trasformato in una pilloletta vitaminica una interminabile cucchiaiata di olio di fegato di merluzzo.

 

22) "Toc! toc!"  -  "Chi è?"  -  "C'è una porta nello spazio-tempo?"  -  "Il portone a fianco. Bussare al Leonardo Bianchi."

La struggente domanda è sulla copertina del n.379 (marzo 2000) di LE SCIENZE. Anche i non napoletani avranno capito che il Leonardo Bianchi è un ospedale psichiatrico. Al quale si accede con una caffettiera in testa carica di "energia negativa".

Chi pensa che stiamo esagerando, legga il seguente testuale inizio dell'articolo relativo a quella domanda: Energia negativa: la sfida della fisica, degli "infermieri" (matti) Lawrence H. Ford e Thomas A. Roman:

"Può una regione di spazio contenere meno di nulla? Il senso comune suggerirebbe di no: il massimo che si può fare è rimuovere tutta la materia e la radiazione e lasciare il vuoto. Ma la fisica quantistica ha una collaudata abilità nello smentire l'intuizione, e questo caso lo conferma. Risulta infatti che una regione di spazio possa contenere meno di nulla: la sua energia per unità di volume, o densità di energia, può valere meno di zero."

Seguono otto pagine buone a occupare quella regione di spazio.

 

Napoli, 12 marzo 2000 (XXXIV)

Egregio direttore,

è perfettamente comprensibile che Lei abbia nutriti fondi di magazzino costituiti da articoli simili a quello da noi citato nella premessa. Ma non si potrebbe consigliarLe di fare un numero, per esempio, centuplo, per smaltirli tutti in una volta e non pensarci più?

 

23) Dopo alcuni mesi di relativa tregua nello spaccio dei fondi di magazzino di cui alla precedente nostra lettera - il che ci aveva consentito di godere alquanto neghittosamente degli ozi estivi -, LE SCIENZE hanno ripreso col n.386 di ottobre 2000 il lancio di quegli articoli mirabolanti nei quali credono solo gli autori. "Le dimensioni invisibili dell'universo" è opera di un trio intercontinentale - un arabo, un greco e un georgiano - dai nomi troppo lunghi per la fatica di una citazione. Basti dire che, per far quadrare i conti della loro fantacosmologia, i tre aggiungono una ad una "dimensioni extra" all'universo: "arrotolate in cerchi talmente piccoli che è impossibile rilevarli". Per farcele capire sarebbe stato lo stesso se gli autori avessero impastato l'articolo mescolando le loro tre diverse lingue, come ai tempi della torre di Babele.

Come preludio, c'è poi il duo Bellone-Regge, generosamente e univocamente proteso a guarire i malati di Alzheimer, Parkinson, diabete, ecc. grazie alla produzione di embrioni umani (gli scarti nella spazzatura), col prelievo vampiristico delle loro cellule staminali.

Su questo secondo punto desideriamo ora intrattenere il direttore della rivista.

 

Napoli, 6 ottobre 2000 (XXXV)

Egregio direttore,

mi congratulo con Lei per il neologismo di Sua invenzione col quale designa il "pre-embrione". Il termine è fatto apposta per scansare lo scomodo, usuale "embrione umano" e con esso la taccia di omicidio da cui Lei ironicamente tiene a salvaguardare Blair e Clinton, "per le loro scelte sulla ricerca in biologia e medicina".

Da ciò si evince che Lei conosce precisamente il momento in cui un pre-embrione, idoneo alla macellazione, diventa embrione, acquistando finalmente quel diritto alla vita che nemmeno milioni di Alzheimer gli possono togliere. E non solo per divieto di un'etica religiosa ("la dimensione dell'anima" del Suo titolo dissacrante), ma anche di una morale laicamente umana, degna di questo nome.

I Suoi oppositori, invece, vanno derisi perché cianciano appunto di "anima" a proposito di un grumo di materia - a Suo avviso - indifferenziata, quella della morula, che sarebbe magari diventata a suo tempo, per esempio, il prof. Enrico Bellone o il prof. Tullio Regge.

 

I nostri avveduti lettori sanno che questa rubrica si è apparentemente interrotta in rapporto alla conclusione teoretica fissata con la nostra Nota del 22 0ttobre 2000 in "Programma operativo" (sez.IX), mentre ha avuto in realtà un prosieguo fino all'aprile del 2001 con vari ulteriori spunti in "Miscellanea di attualità" del nostro Progetto Conventio 2001. Anche questa successiva fase è approdata a una sua definizione effettuale con la nota "Il traguardo" del 27 aprile 2001. Ma chi ha seguito la nostra pluriennale polemica, rivolta principalmente a LE SCIENZE, sa anche che la redazione della rivista ha messo in campo per l'oggi e per il domani più lontano tutto quanto, della fisica teorica e della cosmologia contemporanee, potesse dare divertente materia al nostro commento. Basterà qualche ovvio esempio, come, sul n.402 di febbraio 2002, "Resiste la relatività ristretta", secondo un altro inutile esperimento di tipo interferometrico come quello di Michelson e Morley (per cui la relatività avrà sempre più ragione, pur restando sempre più una bufala), e l'articolo "In ascolto delle onde gravitazionali", dove gli autori propongono i soliti colossali "stetoscopi" cosmici per captare "sfuggenti" onde: quelle stesse per le quali, senza che loro se ne accorgano, i loro sederi pesano sulle sedie che li sostengono. (E' curioso che di quei sederi Olopoiema, in quanto programma universale, dia persino la forma, anche con l'altro fronte...: sez.XII, Uso di Olopoiema, "Le strutture raggiate".)

Rileviamo che il numero di marzo 2002 ci presenta, per la penna di Enrico Bellone, uno scontro di giganti: due illustri sostenitori del professore Antonino Zichichi si schierano contro la "diffamazione" scientifica fattane dallo stesso Bellone, che ne aveva stroncato un recente libro nel numero di dicembre 2001. Per quanto ci riguarda, il Gruppo Fisica Nuova sta valutando i titoli degli antagonisti. Il prof. Zichichi avanza a suo favore la scientificità "galileiana" di un universo fatto di "11 più 32 dimensioni" (vedi lettera n.10 dell'11 ottobre 1998). Enrico Bellone controbatte formidabilmente, facendo pubblicare un articolo di diverse dottissime pagine, dal quale si scopre che una regione di spazio può "contenere meno di nulla" (vedi lettera n.22 del 12 marzo 2000).

Dobbiamo ammettere che ci riesce difficile valutare a confronto, sul piano della scienza galileiana, le "43 dimensioni" di Zichichi col "meno di nulla" di Bellone. Confessiamo, tuttavia, di propendere leggermente con la nostra simpatia per l'entusiasmo ottimistico del prof. Zichichi, a paragone delle continue lagrime del duo Bellone-Regge sull'incomprensione del mondo profano per l'avanzamento della ricerca scientifica.

In particolare, il prof. Bellone, nell'editoriale del corrente numero di maggio 2002, lamenta che i detti profani non sentano "alcun bisogno di sapere che cosa siano le simmetrie o i neuroni, e si limitano ad avere paura degli OGM o dell'elettrosmog". A nostra volta, gli chiederemmo se lui stesso conosce la causa naturale delle simmetrie - bilaterale, pentaradiata, chirale, ecc. -, visto che nessuno al mondo è in grado di dircela (v. FORMA, seconda voce, nell'Enciclopedia Italiana), a meno che non abbia letto le pagine di Fisica Nuova sull'argomento (già nella sezione I, oppure in "Le strutture biologiche"  nella sezione III). Aggiungiamo che lo stesso numero odierno della rivista contiene un articolo ("La dinamo terrestre in laboratorio"), le cui assurdità a proposito del magnetismo terrestre possono essere apprezzate solo da chi abbia letto il nostro saggio su "Magnetismo e terremoti" nella sezione V.

Concludiamo ricordando che, dal novembre 2001 al marzo 2002, abbiamo aperto sulle pagine del sito il "secondo fronte" della nostra battaglia per una conoscenza non distorta  da idoli e preconcetti: quello della matematica pura, richiamata ai principi dei grandissimi matematici dell'antichità.

P. S. Il numero di giugno 2002 della rivista nostro "caro nome" ci tira per i capelli a fare questa postilla, non perché richieda una qualche aggiunta di merito alla precedente nota, ma solo per avvertire gli spericolati lettori dell'articolo Gli impulsi gamma di rinunciare a capirci qualcosa e di leggere la spiegazione del fenomeno in due brevi capitoli della sezione I del sito ("I dieci aspetti più misteriosi dell'universo astronomico" - tra questi, proprio i cosiddetti gamma bursts -  e "La loro unica spiegazione: il campo unigravitazionale"). Gli autori dell'articolo sono cinque e messi in ordine non alfabetico ma di importanza accademica: da Remo Ruffini, che i "buchi neri" se li sognava, prima ancora che venisse in mente a qualcuno che ci fossero, all'ultimo, che "prepara la tesi sotto la direzione di Ruffini". L'espressione ricorrente nell'articolo è "Abbiamo dimostrato che...". Che cosa, lo sa solo Iddio.

Un amico ci manda, in riferimento alle nostre ormai famose "Trombe di Gerico", il titolo autentico di un seminario tenuto tempo fa da un professore di Cosmologia e Gravitazione. Eccolo: "Genericità delle singolarità isotrope in cosmologia di brana". Aggiunge che a lui è sembrato perfino più assurdo della regione di spazio che, su LE SCIENZE di marzo 2000, può contenere "meno di nulla". Ci permettiamo affettuosamente di rimanere del nostro avviso sulla assoluta insuperabilità di quel limite del risibile in materia di opinioni "scientifiche". E tuttavia siamo grati della segnalazione, perché ci consente di accogliere occasionalmente, in una rubrichetta spicciola, quelle che si potrebbero classificare, con una espressione presa in prestito da un settimanale umoristico (non ricordiamo più quale), "spigolature di ilarità".

Il merito di quel titolo è, in primo luogo, quello di volgere in comico lo studio pedante delle figure retoriche col ridicolo ossimoro della frase "genericità delle singolarità". In secondo luogo, il termine "isotrope" ci rende edotti del fatto che i cervelloni contemporanei non hanno ancora capito, anche solo guardando una galassia come una conchiglia, che l'isotropia non esiste nell'universo, dato che la propagazione gravitazionale fondamentale è eccentrica e a spirale logaritmica e solo le leggi di composizione ondulatoria della nuova fisica possono spiegare una apparenza di isotropia in strutture che sono, in realtà, di simmetria speculare o chirale, spesso in forma pluri-raggiata.

Ma poiché il sito di Fisica Nuova ha dato fondo anche a tutte le inimmaginabili amenità della fisica teorica ufficiale, ecco l'invito ai lettori affinché si documentino presso di noi sulla più misteriosa delle parole di quel titolo, che è "brana". Vadano dunque a leggersi la premessa n.7 di questa sezione (alla lettera del 10 giugno 1998), dove troveranno una lunga citazione da LE SCIENZE del giugno di quell'anno e si rifocilleranno con le "p-brane", abbreviazione di "p-membrane", ovvero "oggetti a p dimensioni" di un universo a dimensione di follia.

Sorvoliamo, infine, sul fatto che le "singolarità" sono, ad esempio, gli zeri fisicamente assurdi di equazioni fisicamente sbagliate (ci siamo già intrattenuti sul trucco della "normalizzazione" delle equazioni messa in atto dai fisici allo scopo di rimediare a quelle storture), per concludere su una considerazione di costume. Che è questa: prima che nascesse la nuova fisica, convegni come quello sulla "cosmologia di brana" potevano tenersi nel religioso ossequio di tutti, con un preciso turno tra relatori depositari del verbo e ascoltatori che fingevano di capire, pronti tuttavia - questi ultimi - a succedere come depositari del verbo per essere a loro volta ascoltati con finta condiscendenza in altri convegni a  catena. Il gioco sicuramente continuerà ancora a praticarsi, ma non è più del tutto privo di rischi, perché già molta gente ne è avvertita. Uno è quello che un giorno o l'altro suonino le Trombe di Gerico.

Ci avverrà di tanto in tanto di aggiungere a questa rubrica di lettere, ufficialmente chiusa, qualche comunicazione che giudichiamo possa mantenere desta l'attenzione dei lettori sulle imperturbabili assurdità del pensiero scientifico contemporaneo, affinché i suoi rappresentanti non si illudano su un qualche assopimento della nostra opera di erosione critica nei loro confronti. Le lettere che riceviamo e le visite assidue che vengono da ogni parte del mondo ai nostri siti ci assicurano dell'efficacia di tale opera su lunga durata. Sabato 22 maggio 2004, nella sala della Libreria Guida-Merliani a Napoli abbiamo tenuto una conversazione sul tema "Universo o multiversi?", in riferimento all'articolo "Universi paralleli" di Max Tegmark, uscito su LE SCIENZE, n.418, di giugno 2003.

L'aggettivo imperturbabili col quale si sono definite quelle assurdità, trascinate per dodici pagine piene di bolle colorate fino al cosiddetto "IV livello" di "multiversi", ci sembra il più adatto ad esprimere lo shock di ammirazione che si prova per un docente di fisica e astronomia all'Università della Pennsylvania, il quale già nella terza colonna dell'articolo, "impaccando" - come dice precisamente lui - combinatoriamente i protoni in numero di 10 alla 118.ma di un "volume di Hubble" (come il nostro universo, presunto finito), ne dimentica la variabile di spin, che manda completamente all'aria il suo "scombinatissimo" calcolo! Uno studente del primo liceo  potrebbe già dirgli che una molecola di orto-idrogeno si differenzia da una di para-idrogeno per avere i due protoni ruotanti nello stesso senso, invece che in senso opposto. Se questo avviene per il solo idrogeno, è inimmaginabile l'infinita variabilità dell'isomeria di spin in un intero universo...

Ciò semplicemente detto, sarà inutile riassumere tutta la conferenza di cui si è fatto sopra cenno. Essa ha richiamato i "profani" al loro dovere di massima attenzione critica all'indottrinamento "divulgativo" degli "addetti ai lavori", il cui potere allucinatorio li porta - nel caso presente - a credere nella cieca ripetizione all'infinito di un medesimo universo combinativo, privo di reale intelligente coscienza e quindi di ogni credibile morale.

P.S. (21/7/2004) Contrariamente a quanto  si è detto poc'anzi concludendo, diversi amici sono del parere che occorra invece offrire al pubblico dei lettori un testo più ampio della conferenza e meglio aderente al contenuto complessivo di essa, per il rilevante significato delle argomentazioni svolte. Il che facciamo ora molto volentieri.

 

Universo o multiversi?

di Renato Palmieri

 

Secondo la filosofia di Socrate il male è l’ignoranza, il bene è la conoscenza. Accettata questa distinzione, si va subito incontro alla necessità di risolvere l’ambiguità dei termini conoscenza e scienza. Si dice solitamente che la scienza è “neutrale”: cioè può essere applicata al bene oppure al male. Già questa affermazione contraddice il concetto socratico, per il quale il vero conoscere è sempre buono nei suoi effetti. In realtà la cosiddetta neutralità è solo della tecnica, che può andare nelle due direzioni. Ne è esempio pratico la differenza tra il chirurgo e il medico. Il primo è un operatore tecnico, che deve possedere una manualità molto precisa ed abile per fare quello che fa. Ma il chirurgo può agire praticamente nei due sensi: effettuare un’operazione giusta e naturale per una professione beneficamente intesa, oppure – ad esempio – praticare un espianto di organi da un bambino rapito per farne commercio (il che, sappiamo, rientra purtroppo nei casi possibili). Il medico, invece, non deve solo imparare la terapeutica utile a guarire le malattie, ma altresì sintonizzarsi umanamente con l’ammalato, essere nei confronti di quello una persona buona, consentendogli alla fine di farsi giudice della sua stessa opera di medico.

Socrate afferma che il vero conoscere è, di per sé, – come si è detto per il medico – un binario obbligato verso il bene. Perciò la “scienza”, nel significato puro del termine, è per sua istituzione positiva. L’epistemologo Feyerabend, scomparso di recente, sostiene che di essa i veri e soli giudici non sono gli “addetti ai lavori”, ovvero gli esperti tecnici, che dalle teorie fanno discendere una loro pratica (come può essere anche quella delle guerre), ma solamente i “profani”, interessati a un proprio bene comune. Il presente discorso vuole andare esattamente in questa duplice direzione.

La rivista accademica LE SCIENZE, nel numero 418 di giugno 2003, riporta un articolo di Max Tegmark, professore di fisica e astronomia all’Università della Pennsylvania, intitolato “Universi paralleli”. Il sottotitolo è: “Non è fantascienza: l’esistenza di altri universi è una conseguenza diretta delle osservazioni cosmologiche”.

Si tratta di ben dodici pagine, piene di bolle colorate e di grafici e diagrammi pseudodivulgativi, che, fin dal sottotitolo, sono l’esempio più evidente di come la “competenza” viene strumentalizzata ai fini di una visione drogata della realtà, da imprimere in modo “subliminale” nella sua appariscenza e incomprensibilità proprio nella coscienza dei profani, così da renderli il più possibile soggiogati  e impotenti rispetto alle scelte pratiche degli unici detentori del “sapere scientifico”.

Come nel caso dell’imperatore, la cui nudità è gridata soltanto da un bambino, bisogna esser venuti da una condizione di profanità alla conoscenza dei reali meccanismi di teoria e pratica vigenti negli ambienti accademici, per scoprire le assurdità e i danni di un discorso come quello fatto dal Tegmark. Il problema vero è che una tale opera di smascheramento non va indirizzata agli stessi tecnici autori del guasto, i quali sono assolutamente controinteressati ad accettare la critica, ma soprattutto ai profani, incapaci da soli di scoprire le falle logiche e scientifiche in senso proprio di un articolo specialistico. La mia attività di indagine nel mondo della scienza è rivolta da vari decenni a far luce in tal senso, e così mi propongo di fare in questo caso specifico.

La buona sorte ha voluto che già nella seconda pagina l’autore incorra in un errore macroscopico, per una felice distrazione dovuta alla personale eccessiva fiducia nelle sue credenziali di “competente”. Questo mi esime dal rincorrere per tutte e dodici pagine le molte altre incongruenze teoriche, che sarebbe comunque arduo svelare una per una ai non competenti. Va detto tuttavia, riassuntivamente, che nell’intero articolo non c’è assolutamente nessuna prova della categorica asserzione del sottotitolo: che cioè sia dimostrata da “osservazioni cosmologiche” la tesi portante dell’autore sull’esistenza di infiniti “universi paralleli”, ciascuno finito in sé.

L’articolo comincia in modo accattivante, suggerendo alla fantasia del lettore che esistano “infiniti altri mondi abitati, e non solo uno, ma infiniti fra essi ospitano persone che hanno il vostro stesso aspetto, nome e ricordi e che sperimentano tutte le possibili permutazioni delle vostre scelte di vita”.

La scena iniziale sembra idilliaca: un nostro alter ego sta leggendo la rivista non in uno ma in infiniti tra infiniti altri “universi paralleli”, avendo avuto finora con tutta la restante umanità la stessa identica esistenza ripetuta infinite volte e potendo avere in futuro le medesime o diverse scelte di vita sempre per infinite volte, in compagnia di tutta la materia presente nel nostro particolare universo e rimescolata in un finito, benché immenso, numero di combinazioni possibili. E tuttavia, se fosse vera, la scena sarebbe terrificante: se facessimo appello al solo aspetto emotivo dell’ipotesi, la respingeremmo subito con orrore, sostituendo nella nostra immaginazione alla pacifica lettura della rivista anche uno solo dei terribili fatti della storia o della cronaca di nostra esperienza, che si ripeterebbe identico per infinite volte.

Ma lasceremo stare le emozioni, per smontare in partenza, già al cosiddetto “primo livello di multiversi”, il presunto “ragionamento” combinatorio del Tegmark. Dunque egli si dichiara certo, dalle imprecisate sue “osservazioni cosmologiche”, che nello spazio infinito non c’è un solo universo fisico – come crede una persona normale – ma infiniti universi paralleli, ognuno finito in sé, che egli chiama “volume di Hubble”. A una certa temperatura, stabilita dallo stesso autore, tale universo finito conterrebbe un numero di protoni rappresentabile nella cifra di 10 elevato alla 118.ma potenza. “Impaccate” (vocabolo dell’autore medesimo) tutte le configurazioni possibili di tale immenso numero di protoni in altrettanti diversi “volumi di Hubble”, se ne deduce che in uno spazio infinito ogni configurazione, cioè ogni “istantanea” di ciascun universo, deve inevitabilmente ripetersi infinite volte: l’uscita di un certo numero del lotto, anche ritardando, si ripeterà comunque all’infinito, se le estrazioni sono infinite.

Tralasciamo ora anche il fatto che in un universo in continuo mutuo movimento dinamico le configurazioni posizionali dei protoni non possono essere in numero finito, perché non “incasellabili”, come dice e mostra graficamente di fare lo stesso autore, ma si svolgono lungo infiniti non calcolabili percorsi continui. Sorvoliamo inoltre sull’altro fatto, che la realtà materiale dell’universo non è costituita dal solo numero di protoni ma dal concorrere strutturale di innumerevoli altre particelle, come elettroni e neutroni. Arriviamo così al punto dell’errore madornale che l’autore commette, riducendo il calcolo combinatorio alle sole posizioni dei protoni e ignorando la variabile di spin. Un alunno di liceo potrebbe ricordargli che una molecola di orto-idrogeno si differenzia da una di para-idrogeno per avere i due protoni ruotanti nello stesso senso, invece che in senso opposto. Se questo avviene per il solo idrogeno, è inimmaginabile l’infinita variabilità di quella che si chiama “isomeria di spin” in un intero universo: cioè il cambiamento delle interazioni chimico-fisiche e dei loro effetti strutturali riferito alla differente disposizione degli assi di rotazione delle particelle nel tessuto atomico della materia.

Sarà, a questo punto, del tutto superfluo occuparci del successivo, ancora più “scombinato” discorso dell’autore sui “multiversi di secondo, terzo e quarto livello”: quelli che differiscono dal primo livello – “posizionale” – per proprietà “inflazionistiche” o “stato quantistico” (ci sono espressamente i “dadi” con cui Dio giocherebbe!), o addirittura per invalidità di ogni legge fisica nota del nostro povero, antico, vero Universo…

Per concludere, l’avvertimento che ne viene ai “profani”, cui abbiamo dedicato queste nostre considerazioni, è di prestare la massima attenzione critica all’indottrinamento “divulgativo” degli “addetti ai lavori”, il cui potere allucinatorio li porta, nel caso presente, a credere nella cieca ripetizione all’infinito di un medesimo universo combinativo, privo di reale intelligente coscienza e quindi di ogni credibile morale.

P. S. (Dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004). Sul numero 437 (gennaio 2005) di LE SCIENZE, Tullio Regge si scandalizza del fatto che “La Stampa” abbia recepito, in un articolo a firma Lanterna Rossa, la frase di Heidegger “La scienza non è sapere” e cita con altrettanto disgusto la definizione di “ingegneria” data da Croce all’opera di Fermi e del gruppo di Roma. Il disdegno è tutto schierato a testuale favore di “nucleare, elettrosmog, OGM e terapia genica”, l’avversione ai quali è “espressione del permanere di un sentimento antiscientifico a livello popolare”. Da quanto i nostri lettori hanno potuto conoscere attraverso di noi sul generale valore teorico della scienza contemporanea, si arguirebbe che Heidegger abbia letto con anticipo profetico saggi di scienza come quello ora illustrato dei “multiversi” o l’altro, sul numero stesso su cui scrive Regge, intitolato”Computer a buchi neri”. Questo secondo è già tutto contenuto nella massima di Wheeler citata dagli autori: “It from bit”, e  si potrebbe riassumere in una parola che Croce avrebbe sostituito a “ingegneria”, e cioè “fantasticheria” (Per averne un’idea, leggere qui nella sezione XII “Cicloni e galassie. Buchi veri e buchi neri”).

Sul merito delle cose che Regge depreca, osserviamo che lo scienziato opinionista possiede evidentemente idee certe su come un’umanità immersa nel nucleare smaltirebbe miliardi di tonnellate di scorie atomiche, o sui mezzi per impedire che una trasformazione genica improvvida possa causare un altro disastro planetario come quello dell’AIDS (vedi sempre sul medesimo numero della rivista “L’enigma delle origini dell’AIDS”), o sul modo di riciclare amabilmente quella da lui soavemente ricordata “radioattività sparsa nei mari dai sommergibili statunitensi”.

Ma, a fronte di tanto progressivismo (irriso da quello stesso Leopardi che Regge chiama a suo sostegno), la scienza geologica contemporanea, per esempio, si affida ancora solo al pennino parkinsoniano dei suoi sismografi per tenersi vanamente sull’avviso circa il tremendo fenomeno dei terremoti, che se ne ride bellamente del furore scientifico dell’accademia e delle sue “faglie”, “placche” e “subsidenze”. Sono ormai trentasei anni che la fisica unigravitazionale ha unificato magnetismo e gravitazione, indicando come prodromo dell’evento sismico il verificarsi di una crisi di carattere magnetico, che, rilevata precocemente da una rete di idonee apparecchiature (come fanno spesso gli animali, del tutto naturalmente), risparmierebbe al genere umano catastrofi simili a quella che ci ha appunto consigliato questo poscritto. Facciano quindi il favore, gli scienziati  progressisti in servizio permanente, di leggersi “senza spocchia” - secondo i buoni propositi di Regge - ma con un po’ di attenzione nella sezione V l’articolo “Magnetismo e terremoti. La previsione dei sismi”, pubblicato per la prima volta nel lontano 1972.

Ultime notizie dallo tsunami: Una bella gara tra la natura e l'uomo. Sono morte 225mila persone, il doppio delle vittime della guerra in Iraq! Vince un outsider: tutta la fauna selvatica si è salvata! Un effetto collaterale non previsto dal "computer a buchi neri" dei grandi scienziati contemporanei ...   

Ultime notizie da LE SCIENZE: Uno tsunami sulla comunità scientifica mondiale. E' un articolo degli australiani Charles H. Linewear e Tamara M. Davis sul numero 440 di aprile 2005: "Piccoli equivoci sul Bing Bang". Nonostante il lodevole tentativo di attenuazione dello shock grazie all'uso dell'aggettivo piccoli, si tratta in realtà di un vero e proprio maremoto che colpisce la buona reputazione della comunità scientifica internazionale, trattata alla stregua di una massa di presunti scienziati superficiali e più o meno ignoranti: "(...) L'espansione dell'universo è come l'evoluzione darwiniana anche in un altro senso: la maggior parte degli scienziati pensa di averla capita, ma pochi sono d'accordo sul suo vero significato." (...) "Scienziati famosi, autori di libri di testo di astronomia e noti divulgatori hanno fatto affermazioni scorrette, fuorvianti o facilmente equivocabili sull'espansione dell'universo." Segue una lunga requisitoria rivolta agli sprovveduti, corredata di ben sei riquadri con altrettante lezioni ex cathedra, in ognuna delle quali c'è la doppia presentazione illustrata del concetto "sbagliato" e di quello "giusto". Per buona sorte, però, si è verificata un'onda anomala di ritorno, che ha finito per investire gli stessi Grandi Inquisitori, con la fortuita inversione dei cartellini di "giusto" e "sbagliato". In effetti, il risultato pratico non è comunque assolutamente cambiato: si trattava, in entrambi i casi, delle solite fissazioni fantasiose che si autodefiniscono "scientifiche" invece di "fantascientifiche".

Ultime notizie dal ciclone “Ratzinger”: Il Papa censurato. Più impressionante di uno tsunami sul mondo cristiano ci è apparso il fatto che, già dal solenne giorno d’inizio del suo pontificato, domenica 24 aprile 2005, il nuovo papa Benedetto XVI si veda censurata la propria omelia di insediamento da tutti i giornali che abbiamo potuto successivamente  consultare e – incredibile a dirsi – dallo stesso organo ufficiale della Chiesa Cattolica, L’OSSERVATORE ROMANO di oggi 25 aprile, nella sintesi per capitoli di prima pagina. In preda allo sbalordimento, abbiamo inviato la seguente lettera al quotidiano napoletano IL MATTINO:

Egregio Direttore, cominciamo bene! Il nuovo Papa è stato censurato da tutti i giornali, a mia conoscenza, e – sia pure in modo meno evidente – perfino da L’OSSERVATORE ROMANO. Nell’ampia sintesi che il giornale della Curia fa in prima pagina dell’omelia di insediamento del Pontefice, al capitolo “L’anello del pescatore”, si legge: “Frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario”. Curiosamente, manca il breve ma fondamentale concetto che il Papa fa precedere a quelle parole: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio, ecc.”. C’è quindi qualcuno in ogni redazione che teme di urtare la suscettibilità dei neodarwinisti, per i quali conta solo la sentenza di Jacques Monod: “L’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo.” (IL CASO E LA NECESSITA’, conclusione). Per favore, non censuri anche me, sebbene io sia tanto meno importante del Sommo Pontefice. Renato Palmieri

La censura è mascherata dal fatto che il paginone centrale contiene il testo inevitabilmente completo del discorso papale, ma è tuttavia reale, perché il passo mutilo in prima pagina toglie il necessario supporto logico alle parole che seguono: ciascun uomo è “il frutto di un pensiero di Dio”, in quanto “non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione”. Nei giornali “laici” la censura è totale.

La cosa riveste per noi una particolare importanza, perché stiamo appunto svolgendo a Napoli, presso la Libreria Marotta in Via dei Mille, un ciclo di conversazioni sul tema “Universo causale e non casuale”, rispetto a cui la frase di papa Ratzinger ci è sembrata la migliore benedizione Urbi et orbi che ci potessimo augurare.

 Etica, frutto di Conoscenza

23 maggio 2005. Raccogliamo in questa sezione VIII le fila del nostro discorso epistemologico e civile,  in aderenza al concetto ripetutamente espresso, che la nullità teoretica della scienza contemporanea, a partire dagl'inizi del secolo scorso, è origine e riflesso del violento disordine della società umana, contraltare morale d'un progresso tecnologico unicamente fine a se stesso. Paradigmatico di tutto ciò può considerarsi l'articolo sui "multiversi" uscito su LE SCIENZE n. 418, da noi analizzato poco avanti, dove la falsità scientifica della tesi corrisponde alla concezione di un universo ciecamente e infinitamente ripetuto, e perciò irrimediabilmente privo di un qualsiasi fondamento morale. Invitiamo quindi i lettori a voler considerare come qui confluenti i nostri appunti di sez.VII (Etica e conoscenza) e quelli di CONVENTIO 2001 (Miscellanea di attualità) e di AERE PERENNIUS sulle "guerre umanitarie".

In particolare, gli ultimi due argomenti di Etica e conoscenza e, in questa sezione, la lettera del 6 ottobre 2000 ritornano, dopo cinque anni, di drammatica e più grave attualità con la minacciata totale libertà di scempio di embrioni umani, al simulato scopo di "pura" e "caritativa" ricerca scientifica. Affidare a referendum un problema riguardante il significato stesso di "vita" e "umanità" è, di per sé, quanto di più "disumano" possa concepirsi, ma del tutto in linea con l'arroganza sconfinata dei "padreterni" della scienza attuale. I referendum sono, per giunta, istituzionalmente tali da consentire ai più begli ipocriti di andare a votare "no", dichiarandolo al colto e all'inclita, ma sapendo bene che, grazie al meccanismo del quorum, faranno vincere i "sì".

In perfetta corrispondenza con questa diffusa insensibilità verso le ragioni profonde della natura umana, è il comportamento di buona parte della stessa specie umana, ivi compresi i padreterni di cui sopra, nei confronti dei nostri compagni viventi: gli animali e le piante. Non abbiamo cosa migliore da aggiungere, a tale riguardo, se non una splendida testuale lettera  della signora Lidia Iannelli di Napoli, pubblicata su IL MATTINO di sabato 21 maggio e intitolata "Alberi sfrondati, nidi abbattuti":

"Non parlo di qualche lampione spento, ma di violenza. Solleciti giardinieri (del Comune?) hanno sfrondato gli alberi del Cardarelli: ora, in primavera, indifferenti alle decine di nidi scaraventati a terra. Una strage di piccoli e di uova. Alcuni ragazzi, in periferia, hanno giocato a pallone usando gattini appena nati, facendoli a pezzi.. Quante saranno le insospettabili persone, magari frequentatrici assidue della messa, che preparano bocconi avvelenati per i randagi, condannando a un'atroce agonia chi già vive di paura, di fame, di freddo? Quando le istituzioni autorizzano o addirittura praticano la crudeltà verso esseri viventi, quando la religione con l'indifferenza e il silenzio mostra di considerare "cose" le creature di Dio e si affanna, invano, a costruire solo il rispetto per l'uomo, perché poi ipocritamente ci strappiamo le vesti se gli uomini sono capaci di sgozzare i propri simili, torturarli, gasarli? La pratica della violenza e della barbarie dà assuefazione,, rende insensibili alla sofferenza altrui, allena a cercarci un alibi, un motivo valido per qualsiasi vergognosa azione."

P. S. Avremmo veramente da pubblicare una terribile foto sull'abbattimento criminale dei cuccioli di foca, e da ricordare la caccia alle balene, o - come abbiamo già fatto - la caccia pura e semplice, che priva milioni di nidi delle cure parentali, e le corride della "cattolicissima" Spagna, e l'accecamento dei cardellini a Napoli per un guadagno maggiore, e i combattimenti tra cani, e la vivisezione  dei Signori della medicina, e...  Al ricordato papa Ratzinger, che ama i gatti, vorremmo raccomandare la scomunica per l'abbandono vacanziero di migliaia di cani e gatti ad ogni estate. Oh, Santo Francesco, dàgli tu una mano e una voce...!

 

La sconfitta dei "padreterni" e la vittoria del Padreterno

12-13 giugno 2005. Cari lettori, usiamo con soddisfazione il carattere grassetto per questa nota, che è il più bel seguito che ci si potesse augurare alla precedente del 23 maggio, con la quale riordinavamo le fila della nostra lunga battaglia contro i piccoli "padreterni" della cosiddetta "libera ricerca scientifica": gli aspiranti clonatori degli esseri umani, i violentatori della vita prenatale, gli espiantatori di organi da corpi palpitanti, i trapiantatori di teste di scimmie, i vivisezionatori di cavie e animali superiori, i creatori di "chimere" - ibridi tra uomini e bestie -, i fautori del razzismo eugenetico, i manipolatori di embrioni e denaro pubblico a scopi denominati "terapeutici".

I referendum dovevano essere in Italia lo strumento del loro decisivo trionfo, debellato per fortuna dal rigetto sprezzante dei tre quarti dell'elettorato italiano. Il quale, contro le loro aspettative, ha intuito nella sua stragrande maggioranza, che dall'abbattimento delle barriere esistenti avrebbero avuto mano libera le categorie che abbiamo ora elencate e già operanti nel mondo. Queste contavano sul potere allucinatorio, diffuso a piene mani anche attraverso i mezzi di informazione, della confusione deliberata tra "scienza" - la loro - e scienza, nel suo significato vero e proprio, divise da uno spartiacque tanto semplice, quanto inconfutabile: subito all'atto dell'incontro tra ovulo e spermatozoo si crea irreversibilmente il progetto totale dell'individuo uomo. Eppure i "laicissimi" del ai referendum hanno avuto la sfacciataggine di ricorrere a San Tommaso, il quale riteneva che l'anima venisse infusa da Dio quaranta giorni dopo il concepimento! Questo, perché non c'è evidentemente, secondo una ragione rettamente laica, nessun momento riconoscibile in modo scientifico, nel quale un "pre-embrione", degno di massacro, si trasformerebbe in un "embrione", degno di rispetto!

Vero è che i referendari erano già andati oltre San Tommaso, arrivando subito all'Inquisizione e ai processi alle streghe. Alcuni di loro hanno cercato di ricorrere al braccio secolare, per ottenere la condanna penale dei loro avversari. E' augurabile che si ravvedano presto, per evitare le terribili conseguenze di un ridicolo universale.

Quanto al Padreterno, chi legge Caso o finalità? in "Etica e conoscenza", sa perché ha vinto Lui.

 

La "maturità" dei "maturatori"

23 giugno 2005. Come nel caso dei referendum, anche gli esami di maturità hanno visto la disfatta dei propugnatori di "verità" prefabbricate. Sono stati i ragazzi, questa volta, a rigettare in massa i luoghi comuni di un tema, dove la traccia coincide con lo svolgimento: tanto che un alunno sbrigativo potrebbe  anche solo mettere la firma sotto di essa e consegnare il compito alla commissione. Non si riesce veramente a capire, come i "maturatori" ministeriali non percepiscano che il modo più diseducativo di proporre un tema è di darne un indirizzo che sia del tutto privo di problematicità. Quello di attualità su Einstein è piaciuto quasi solo all'astrofisica Margherita Hack (IL MATTINO, 23 giugno): "E' stata una scelta che tiene conto dell'importanza della scienza nella società". Ma solo il 3% degli allievi vi si è avventurato e c'è da augurarsi che una sia pur piccola parte di questi lo abbia svolto con un minimo di capacità critica: la qual cosa farebbe bene ai loro professori. Magari questi ragazzi ardimentosi non saranno arrivati al punto di constatare che la "curvatura dello spazio-tempo" è un'espressione destituita di senso, ma per fortuna l' "anno della fisica", con le celebrazioni scontate di Einstein e della sua lingua più che famosa (giusta condanna ai suoi sostenitori!), dovrebbe tornare solo nel 2105. C'è tempo per dimenticarsene.

I temi di maturità hanno avuto, peraltro, anche dei critici ultrà. L'aggettivo "imponderabile", attribuito alla Natura nel tema sulle catastrofi naturali, ha fatto saltare i nervi a Mario Tozzi, geologo del CNR, che accusa (sempre sul MATTINO): "E' un chiaro segnale del prevalere di una cultura umanistica, di un pregiudizio antiscientifico duro a morire". I nostri lettori sanno bene che la geologia accademica (si leggano più su le nostre note sullo tsunami) ha sui terremoti  minori capacità predittive dei nostri animali domestici. Eppure Mario Tozzi condanna l'ignoranza della cultura e della scuola italiane (LA REPUBBLICA, 23 giugno), quando si parla di "natura imponderabile", perché di un futuro terremoto "(noi geologi) sappiamo con buona approssimazione quanto sarà forte e dove colpirà". Egli era, evidentemente, solo un po' distratto in occasione dei tremendi sismi di non molto tempo fa. Del resto, - rassicura -: "Basterebbe non abitare nelle zone pericolose e costruire meglio per difendersi". Cosa che anche Barbanera ci consiglia.

 

I Ciechi di Brueghel e le comete

4 luglio 2005. Il numero 443 di LE SCIENZE (luglio 2005) ha preceduto solo di qualche giorno il "bum!" di Deep Impact: il bombardamento della cometa "Tempel 1" da parte della NASA. Chiariamo subito perché mettiamo insieme le due cose. C'è sulla rivista una pagina di réclame a uno dei tanti stucchevoli convegni encomiastici in onore di Einstein, che hanno punteggiato questo anno 2005. I partecipanti alla festa di celebrazione ci sono sembrati, appunto, quei Ciechi del famoso quadro di Brueghel, che non si accorgono che il capocordata è già caduto nella fossa. Il fatto è che, tra tante comete oggetto dell'attenzione degli astrofisici odierni, essi non avevano osservato bene, mentre cadeva su Giove, proprio quella che aveva buttato nella fossa il loro condottiero: la cometa Shoemaker-Levy, nel luglio 1994. Non ripeteremo qui tutto quello che i lettori già sanno da vari punti del sito: e cioè, in sintesi, che la gravità gioviana ha sgranato i frammenti della cometa, risucchiando in caduta prima i più piccoli e poi i più grandi, e mandando a quel paese il "principio di equivalenza" su cui è fondata la teoria di Einstein. Il che, del resto, avviene da sempre - ed è anche risaputo - nella frammentazione meteoritica (i frammenti più piccoli hanno un percorso più breve e cadono prima), senza che se ne abbia da qualche addetto ai lavori un qualche straccio di motivazione. Veramente, un tentativo di spiegazione si può trovare in SCIENZA & TECNICA/72 (Annuario della EST Mondadori: Materiale extraterrestre sulla Terra, di Brian Mason), ma è tale da rappresentare il massimo della cecità di cui sopra, perché conferisce alla quantità di moto la capacità accelerante di una forza! (Si tratta solo di capire che la "quantità di moto" è un valore a posteriori rispetto al fenomeno e non può avere sulle masse effetti primitivi di accelerazione...) Addirittura comica, tra la prima e la seconda edizione di EST Mondadori, la cancellazione abortiva di quella spiegazione, per la quale le masse maggiori avrebbero una velocità maggiore, mentre è vero esattamente il contrario! Per farla breve, i ciechi anzidetti esaltano un Einstein, che col "principio di equivalenza" è rimasto alle pietre di Galileo buttate giù dalla Torre di Pisa e non si è accorto che su distanze appena planetarie quel principio vale zero. La gravità, infatti, si comporta esattamente come, per l'elettromagnetismo, uno spettrografo di massa, accelerando di più le masse minori e incurvandone di più la traiettoria.

Una considerazione più generale riguarda il rendiconto di tutta l'esplorazione spaziale finora effettuata, dalle origini ad oggi. Ogni nuova impresa è stata preceduta e accompagnata da un'attesa miracolistica di scoperte decisive circa l'origine dell'universo e della vita sulla Terra. Ma a un'accurata ricerca i lettori si troveranno d'accordo con noi, nel constatare che gli unici risultati sicuri sono stati gli "splash" su Giove della cometa Shoemaker- Levy e il "bum" di Tempel 1. Ogni volta coronati dai battimani e dagli abbracci dei tecnici spaziali nei laboratori di controllo.

Diamo atto questa volta, per giustizia, all'astrofisica Margherita Hack di un suo azzeccato giudizio (sotto sotto, politico...): "Ecco, ora hanno bombardato anche la cometa. Dal punto di vista scientifico l'interesse è limitato. Si è trattato di una iniziativa più spettacolare che altro" (IL MATTINO, 5 luglio 2005).

 

Ai signori Fisici Accademici

e, per conoscenza, a tutti i nostri Lettori

Premessa

Il 1° settembre 2005 abbiamo inviato per e-mail a 152 enti, persone e organi di informazione, divisi in 11 gruppi, la nota che segue, quale "Comunicazione". Essa è ispirata in generale al contenuto dei due precedenti capitoli, ma con un carattere strettamente tecnico, "a titolo di documentazione per gli sviluppi futuri della questione". Tutti gli altri fisici, ma anche ogni altro competente di materie scientifiche e filosofiche, non raggiunti direttamente dalla nota, sono invitati a prenderla in considerazione in questa sede, tenendo conto - se vorranno - di questa Premessa, che facciamo a scopo di puntuale chiarimento dei nostri obiettivi in principale riferimento ai fisici accademici.

La "Comunicazione" significa due cose, in questo "anno della fisica" stracolmo di celebrazioni del centenario della "relatività ristretta":

1°) Il cosiddetto "principio di equivalenza", fondamento della "relatività generale" (1916), è inesistente: la frammentazione delle meteoriti dimostra che in un campo gravitazionale le masse minori sono accelerate di più di quelle maggiori, e cadono prima. Già nel 1986 la revisione degli esperimenti di Eötvös ne diede la prima avvisaglia, con la nascita d'una ridicola "quinta forza", o "supercarica".

2°) Il cosiddetto "principio di invarianza della velocità della luce", fondamento della "relatività ristretta" (1905), è inesistente: l'esperimento interferenziale di Michelson-Morley non poteva verificare nulla in questo senso, perché le frange di interferenza non hanno nessuna capacità motoria - cosa che la fisica d'oggi ignora - rispetto all'apparecchiatura che le produce (così come, per analogia, un arcobaleno rispetto alla Terra).

Stando così irrevocabilmente le cose, i signori Fisici Accademici sono pregati di prendere atto che l'umanità  non potrà troppo a lungo - "storicamente" parlando - continuare a sopportare l'inganno d'un nuovo "tolemaismo", i cui moderni "epicicli" non hanno nemmeno l'apparente razionalità di quelli di Tolomeo.

In questa sintesi preliminare s'inquadra l'iniziativa in questione. La quale non si propone assolutamente di convertire alcuno a sposare immediatamente questa tesi, che tuttavia resta incontrovertibile. Bensì intende - questo sì - fermare ognuno alle proprie responsabilità. Queste, ovviamente, nella presente controversia, non hanno nessun carattere punitivo per nessuno (lo avevano anticamente per gli innovatori), né di condanna morale (ciascuno è libero nella propria coscienza). Ma hanno, però, un valore storico indiscutibile. Ed è per datare appunto le responsabilità "storiche", che abbiamo deciso la presente iniziativa, la quale, come sa chi l'ha trovata nella propria casella postale, è con "ricevuta di ritorno".

Comunicazione a Enti scientifici e organi d’informazione

Lo scrivente Renato Palmieri, in rappresentanza del GRUPPO FISICA NUOVA (GFN) di Napoli, invia la nota che segue, dal titolo: La frammentazione meteoritica e il “principio di equivalenza”, affinché sia conservata agli atti a titolo di documentazione per gli sviluppi futuri della questione.

La frammentazione meteoritica e il “principio di equivalenza”

La presente nota è un’analisi del ricorrente fenomeno della frammentazione delle meteoriti attraverso l’atmosfera. Tale fenomeno manifesta modalità costanti, suscettibili quindi di una lettura omogenea da un evento all’altro, senza possibilità di introdurre nell’interpretazione particolari cause ad hoc per ogni singolo evento.

Il fenomeno viene descritto nell’articolo Materiale extraterrestre sulla Terra di Brian Mason, pubblicato nell’Annuario “Scienza & Tecnica 72” della EST Mondatori, dove si legge (pag. 104):

“Una meteorite è soggetta a violenti sforzi meccanici e termici durante il tragitto nell’atmosfera, cosicché essa può frantumarsi in centinaia o migliaia di frammenti dando origine a uno sciame meteoritico. (…) Le meteoriti di una scia si distribuiscono generalmente in un’area ellittica detta ellisse di dispersione, con l’asse maggiore nella direzione di moto della meteorite. Nell’ambito dell’ellisse di dispersione le meteoriti appaiono distribuite in maniera regolare secondo le loro dimensioni: i (frammenti) più grandi concentrati nell’estremità più lontana dell’ellisse rispetto alla direzione di moto, i più piccoli all’estremo opposto, mentre i frammenti di dimensioni intermedie si concentrano in mezzo.”

Oltrepassiamo temporaneamente la spiegazione che se ne dà, arrivando alla conclusione:

“La più estesa ellisse di dispersione finora conosciuta è quella della meteorite di Allende, Messico, lunga 50 km e larga 12 (fig. 2).”

La didascalia della figura conferma esattamente la descrizione precedente:

“Ellisse di dispersione dello sciame di meteoriti caduto presso Allende (Messico) l’8 febbraio 1969. Le linee in colore sono i possibili  percorsi dello sciame che proveniva da sud-ovest. Il frammento più grande di tutto lo sciame (110 kg) fu ritrovato all’estremo nord-orientale dell’ellisse di dispersione, presso il Rancho El Cairo; la dimensione dei frammenti decresce progressivamente da NE verso SW; i triangoli in colore indicano i punti di ritrovamento principali.”

Torniamo alla spiegazione che del fenomeno, così chiaramente descritto e con modalità costanti nelle sue ricorrenze, viene data nel testo del Mason al punto prima sorvolato:

“La ragione è che il momento delle masse maggiori, che è più elevato, le porta più lontano.”

Ebbene tale motivazione è contraria alle più comuni conoscenze di leggi fisiche non controverse. Significa infatti che la causa di una diversa accelerazione impressa ai frammenti di una massa originariamente unica non sarebbe una variazione di forza, ma di quantità di moto: cioè, di una grandezza fisica valutabile “post factum”, ma primitivamente inefficiente!

In realtà, il fenomeno è rivelatore, nella sua regolarità, della falsità cosmologica del cosiddetto “principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale”, nato dall’esperimento galileiano sui gravi (la tradizione delle pietre fatte cadere dalla Torre di Pisa) e assunto da Einstein a fondamento della relatività generale. Tale principio, per cui tutte le masse attratte in un campo gravitazionale vi cadrebbero con eguale accelerazione (”ascensore di Einstein”), è valido solo in apparenza su percorsi di collisione brevi in proporzione ai corpi e ai campi interagenti, come negli esperimenti finora effettuati, da Galileo all’ungherese Eötvös. E’ vero, invece (come confermato da una recente rilettura dei calcoli del fisico ungherese), che la gravità si comporta in modo identico all’elettromagnetismo in uno spettrografo di massa: le masse minori vengono accelerate e incurvate di più dal campo attraente rispetto a quelle maggiori, che cadono più lentamente e con traiettoria più lunga.

Se si rilegge l’intera descrizione della frammentazione meteoritica sopra riportata alla luce delle considerazioni ora fatte e a confronto dell’irrilevanza assoluta del tentativo di spiegazione offerto dalla fisica corrente, si dovrà concludere cancellando dalle leggi scientifiche la credenza nel detto “principio”: ciò anche a titolo di “falsificazione” popperiana della teoria che ne ha fatto il proprio fondamento.

La riprova dello stato di confusione in cui versa il pensiero accademico sull’interpretazione del fenomeno è data dalle due differenti versioni delle sue modalità, che si trovano nelle due successive edizioni della citata EST Mondatori. Nella prima edizione del 1963, a proposito dei frammenti meteoritici, alla voce “Meteorite” si legge (vol. VI, pag. 731):

“(…) quelli di massa maggiore continuano a velocità maggiore e perciò hanno un percorso più lungo”;

nell’edizione del 1970, con la spiegazione abolita (vol. VIII, pag. 368):

“(…) quelli di massa maggiore hanno un percorso più lungo”.

Come si vede, abrogato quale spiegazione il “momento delle masse”, sparisce anche il grossolano errore della “velocità maggiore”: in realtà, le masse maggiori sono più lente, e “perciò hanno un percorso più lungo”!

La presente nota ha messo in primo piano l’analisi di un fenomeno cosmologico ripetitivo, per evitare l’intromissione pretestuosa di polemiche su presunte cause episodiche invece che generali. Chi scrive, rileva peraltro che anche un evento unico, come la caduta su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy nel luglio 1994, ha manifestato le stesse modalità generali della descritta frammentazione meteoritica: i pezzi più piccoli hanno preceduto, nella generalità evidente del fenomeno, quelli maggiori. La gravità gioviana non poteva fare eccezione a una regola universale e i frammenti della cometa non cadevano dalla Torre di Pisa.

 

Renato Palmieri

Via Tito Angelini, 41 - 80129 Napoli

repalmi@libero.it

http://xoomer.alice.it/cid12

Appendice

La nota precedente – da valutare nel suo stretto contenuto tecnico, indipendentemente da questa sua postilla – è stata inviata di proposito, in forma circolare, in questo scorcio dell’anno 2005: “anno della fisica”, dedicato alla celebrazione centenaria della relatività di Einstein e, mediante la comunicazione ora fatta, al suo giubilato “storico”. Ciò prescinde dall’accoglienza che le potranno fare i diversi destinatari, ivi comprese le abituali qualifiche di follia e simili: il conto delle rivoluzioni scientifiche (ce ne avverte Thomas Kuhn) non si fa nell’immediato ed è rischioso per chi lo trascura, fidando sulla vita apparente del paradigma “normale”.

Si  precisa anzi che il crollo reale della relatività si dovrà in futuro datare al 1969, cioè al sorgere della fisica unigravitazionale, e il vero e proprio “atto di morte” al luglio 1994, cioè alla caduta su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy, le cui modalità toglievano definitivamente qualsiasi valore al “principio di equivalenza” e confermavano le concezioni allora ultraventennali della nuova fisica.

La comunicazione precedente ha preso a proprio argomento centrale non quell’evento particolare, proprio perché unico e perciò cavillosamente controvertibile, ma un fenomeno del tutto normale e ricorrente: quello – comunemente noto – dei particolari aspetti manifestati dalla frammentazione meteoritica, i cui tentativi ufficiali di spiegazione sono del tutto infondati, in base alle leggi fisiche illustrate nei testi scolastici dei licei e non contestate da nessuno.

Alla fisica unigravitazionale e ai suoi testi, raccolti nel sito Internet suindicato, occorre rivolgersi per la destrutturazione di tutti gli altri “principi” e presunte “prove” della relatività (*), e soprattutto per la radicale ricostruzione delle leggi reali dell’Universo fisico, in una visione unitaria che va dal microcosmo estremo al macrocosmo più lontano.

La forma di comunicazione scelta è certamente irrituale, ma è giustificata dal debolissimo discrimine tra sopravvivenza e distruzione dell’umanità cui ha portato una troppo lunga distorsione del pensiero razionale rappresentata – per oltre un secolo, appunto – dalle teorie relativistiche. Si tratta di un moderno “tolemaismo”, peggiore dell’antico, perché all’errore aggiunge un’assoluta irrazionalità e proprio con questa gli si è conferita un’aureola di suprema intelligenza e di sacra indiscutibilità, facendone trincea d’un potere che esclude ogni controllo. I dèmoni delle guerre e delle violenze alla Natura, che oggi imperversano, si possono esorcizzare solo con un ripristino dei diritti della ragione e con uno shock della Conoscenza.

E’ compito urgente di ciascuno, specie se competente, quello di concorrere ad accelerare un processo di rinnovamento del pensiero scientifico, sottraendosi  a una routine burocratica o abitudinaria di supporto della situazione esistente. Accade intanto che in due licei italiani – un liceo classico del Nord e uno scientifico del Sud – due studenti d’avanguardia, una ragazza e un ragazzo, hanno conseguito la maturità col massimo dei voti sostenendo agli esami le nuove idee, rispettivamente di Fisica Unigravitazionale e della connessa Geometria Fondamentale (il coronamento cinematico di Archimede agli Elementi di Euclide), con una tesi appositamente scritta e illustrata al computer. Segno importante di crescita d’un movimento, che avanza in modo autonomo per sue precipue qualità naturali e per incontrastabili istanze dei tempi.

 

(*) Come la relatività generale nasceva dalla presunzione d’un “principio” inesistente, quello di equivalenza, così la relatività ristretta era stata partorita – appunto nel 1905 – da un altro “principio” falso: quello della “costanza della velocità della luce”, nato dall’incomprensione dell’esperimento di Michelson-Morley. Quell’esperimento, essendo strumentalmente interferenziale, cioè di tipo ondulatorio, non avrebbe mai potuto verificare la componibilità di tale velocità! Questo perché, mentre la fisica corrente crede che le “frange” abbiano un comportamento motorio come il “raggio” corpuscolare di luce che va e viene, esse costituiscono in realtà una “struttura” magnetica solidale col sistema generante: l’apparecchiatura famosa di lastre e specchi a croce. Si pensi, per analogia, a un arcobaleno rispetto alla superficie terrestre: chi si sognerebbe di teorizzare misure di locomozione su quella “frangia” naturale, configurata dal magnetismo terrestre? Un semplice telescopio, invece, effettua benissimo in modalità corpuscolare quella verifica che non può fare l’interferometro, riscontrando la ben nota aberrazione – e cioè la composizione cinematica, appunto – della luce irraggiata dalle stelle. In definitiva, un secolo è davvero troppo per una teoria fondata su due “principi” inconsistenti, col loro seguito naturale di assurdità.

 

Libera "scienza" in libero Stato

Su LE SCIENZE n. 448 (dicembre 2005) si legge l'editoriale di cui al titolo, senza le virgolette, che abbiamo aggiunte noi alla parola scienza. La motivazione della nostra solita irriverenza è duplice. Si trova, in primo luogo, alle pagine 30-31 della rivista nei tre articoli centrali di astrofisica, e in particolare nel primo dei tre, intitolato "Figlie di un buco nero. Ci sono giovani stelle vicino al buco nero al centro della Via Lattea". Non abbiamo qui il tempo di occuparci degli altri due, ma già i rispettivi titoli ci dicono che, quando i fisici teorici s'imbattono in fenomeni cosmici che non capiscono, non sanno fare altro che lavorare di fantasia. Ci basti perciò osservare che l'articolo al primo posto è tale nella sua assurdità da risultare addirittura comico. I nostri lettori, che nella sezione XII hanno letto il capitolo "Cicloni e galassie. Buchi veri e buchi neri" ridono già da soli, soprattutto leggendo la didascalia della figura a pag. 31: "IL CENTRO DELLA VIA LATTEA: il buco nero è nella zona chiara nel mezzo". La materia del ridere è, che resta assolutamente misterioso come si possa imbastire un articolo sulla base di rilevazioni astronomiche che lo smentiscono una dopo l'altra di sana pianta e che confermano invece pienamente la nostra tesi, che cioè al centro della galassia ci sia un buco vero, analogo alla zona di calma al centro di un ciclone! Amici cari, stropicciamoci gli occhi, dopo aver letto testualmente il primo periodo dell'articolo: "Per la prima volta, osservazioni astronomiche confermano che un buco nero, anziché inghiottirle, ha favorito  la formazione di nuove stelle"! Incredibile ma vero: nel momento in cui la prossimità di "giovani stelle di grande massa" al centro della galassia dimostra che non può starci un "buco nero", che le avrebbe inghiottite, si ha il coraggio di avanzare ipotesi sui meccanismi per cui quelle stelle si trovano lì, tranquille e indifferenti alla voracità di un colossale "orco nero"! E si faccia attenzione, le ipotesi sono due, sempre testuali: "... le stelle si erano formate a centinaia di anni luce di distanza ed erano poi migrate verso il centro della Via Lattea; oppure si erano formate sul posto con un meccanismo poco noto". Il "meccanismo poco noto" si commenta da sé. Ma sappiate che la prima ipotesi, quella della fantastica migrazione stellare, viene smentita dagli autori medesimi nella parte conclusiva dello stesso articolo, in base al rapporto col numero troppo basso delle stelle di piccola massa, ugualmente presenti in zona. Vi risparmiamo ora i nomi inutili e complicati degli astrofisici autori di queste "scientifiche" osservazioni.

Ma passiamo al secondo aspetto delle nostre virgolette. Lo "statuto di libertà", così definito dall'editorialista, è quello di chi non accetta di rassegnarsi al catastrofico risultato del referendum sulla totale "libertà di ricerca", del 12-13 giugno del corrente 2005, che i tre quarti dell'elettorato italiano hanno giustamente respinto e di cui ci siamo occupati poco sopra in questa stessa sezione. La suddetta "libertà di ricerca" dei padreterni scientifici avrebbe dovuto consentire il massacro "sperimentale" e "terapeutico" degli embrioni umani, la clonazione sempre "umana" e "umanitaria", le prove di farmaci sul modo più semplice di usare la tazza del gabinetto per liberarsi di un feto, e consimili altre "libertà". Senza parlare di quei medici sadici e imbecilli, i quali scoprono che animali torturati con la privazione del sonno finiscono col morire (come prima di loro si faceva nel medioevo con certi condannati a morte) e di altri "sperimentatori" di nostra conoscenza (vedere nella sezione VII, cap. 4°) che trapiantano le teste alle scimmie, invece di provare con le proprie.

Sul tema ricordiamo ai lettori che "L'espresso" n. 23, di prima del referendum, uscì con una copertina intitolata "100 sì": vi si vedevano 100 liete facce di "scienziati, artisti, intellettuali, industriali e sportivi" che "si schierano per il referendum"; dentro, le 100 motivazioni. Inviammo al giornale il 13 giugno la lettera seguente:

Egregio direttore,
a quando una copertina con le 100 facce di dopo il referendum? O con quella che avevano da embrioni e non erano ancora "persone"? Magari ci si poteva fare sopra una bella sperimentazione! Consideri intanto disdetto il mio abbonamento alla scadenza.
Distinti saluti.
Renato Palmieri

P.S. La fantacosmologia del predetto numero di dicembre galoppa su LE SCIENZE nel numero 449 di gennaio 2006, con "strillo" in copertina: L'illusione della gravità. Sottotitolo a pag. 69: "La forza di gravità e una delle tre dimensioni dello spazio potrebbero essere illusioni generate da particolari interazioni tra particelle e campi che avvengono in un universo a due dimensioni", di Juan Maldacena. Non avevamo dubbi sull'illusionismo, da noi sempre denunciato, delle teorie cosmologiche accademiche. Dello stesso nostro parere è finalmente persino un premio Nobel, Robert Laughlin (effetto Hall quantistico, 1998), in un suo attualissimo libro: Un universo diverso, censurato sotto questo aspetto nella recensione a pag. 114 della stessa rivista. L'articolo sopra citato è - a riprova - un campionario mirabile di fantasie, a tal punto da sembrare addirittura volutamente autoironico: "Un approccio molto promettente a una teoria quantistica della gravità è la teoria delle stringhe, elaborata fin dagli anni settanta *. La teoria delle stringhe elimina alcuni degli ostacoli per la costruzione di una teoria quantistica della gravità che abbia una logica coerente. La teoria delle stringhe, però, è ancora incompleta, e non è stata ancora compresa fino in fondo. In altre parole, noi teorici delle stringhe abbiamo elaborato alcune equazioni approssimate, ma non conosciamo le equazioni esatte. Non conosciamo nemmeno il principio che spiega la forma delle equazioni, e ci sono innumerevoli incognite che non sappiamo come calcolare". Sulla base di così elevate conoscenze, il nostro povero universo, messo nelle mani di questi "teorici delle stringhe", vede sparire o aumentare continuamente le sue normali dimensioni e soprattutto "non ha un bordo ben definito" e "di conseguenza non è chiaro come si possa definire una teoria olografica: non c'è alcun posto in cui mettere l'ologramma". Noi, più fortunati, possiamo invece definire l'articolo come un riuscito cocktail tra il "dadaismo" infantilistico del primo Novecento (consulti l'autore l'Enciclopedia Italiana...) e il "dadaumpa" sgambettante delle sorelle Kessler.

* Ecco su di essa il parere del citato Laughlin: "La natura politica delle teorie cosmologiche spiega perché possano amalgamarsi così facilmente con la teoria delle stringhe, un corpo matematico con il quale in realtà hanno ben poco in comune. La teoria delle stringhe è lo studio di un tipo immaginario di materia, costruito sulla base di oggetti allungati, le stringhe, mentre tutti gli esperimenti hanno dimostrato che la materia che conosciamo (compresa la materia nucleare calda) si basa su particelle subatomiche puntiformi. La teoria delle stringhe è un argomento estremamente divertente, perché alcune delle sue relazioni interne sono sorprendentemente semplici e belle. Non ha peraltro alcuna altra utilità pratica, se non quella di alimentare il mito della teoria ultima. Non ci sono prove sperimentali dell'esistenza delle stringhe in natura, e per giunta la particolare matematica che contraddistingue questa teoria non permette di calcolare o prevedere più facilmente alcun comportamento sperimentale conosciuto" (pag. 239). "Oltre al suo leggendario appetito per un gran numero di dimensioni superiori, la teoria delle stringhe dimostra tutti i propri limiti anche su scale spaziali inferiori, benché si tratti solo di quelle più piccole, e non ha mai dimostrato di poter evolvere in un modello standard su scale spaziali superiori, come invece richiesto dalla compatibilità con gli esperimenti" (pag. 143).

 

Dante interpretato da LE SCIENZE

L'articolo L'eco dei buchi neri sul numero 450 di febbraio 2006, di Jacobson e Parentani, getta finalmente luce su due tormentati versi dell'Inferno di Dante: il famoso "Papè Satàn, papè Satàn aleppe" e il meno noto "Raphèl maì amècche zabì almi". La dotta dissertazione è però troppo lunga e difficile per essere qui riassunta, con osservazioni del tipo "... nello spazio-tempo curvo che circonda un buco nero uno dei due fotoni può rimanere intrappolato all'interno dell'orizzonte, mentre l'altro resta da solo all'esterno", a rischio - poverino! - di venire "stirato infinitamente", come nelle antiche stanze di tortura. Alcune idee guida, tuttavia, si rilevano con chiarezza: "Per quanto ne sappiamo oggi, la relatività generale e la meccanica quantistica sono incompatibili". Inconveniente facilmente superabile con una separazione consensuale. Si minaccia altresì La rivincita dell'etere (titolo del capitolo conclusivo), con la sconsolata, profetica previsione dello stesso Einstein: "Ma poi non rimarrebbe nulla del mio castello in aria, compresa la teoria della gravitazione, e nulla del resto della fisica moderna". E' la prova indiscutibile d'un altissimo genio!