27 Dicembre 1997
Un sistema gravitazionale è costituito dall'insieme delle configurazioni orbitali delle parti componenti. Un tale vincolo si estende dai più piccoli corpuscoli - che sono le particelle elementari, i fotoni - a corpi via via più grandi, come particelle subatomiche (elettroni, protoni, neutroni, ecc.), atomi, molecole, e nel macrocosmo asteroidi, satelliti, pianeti, stelle o galassie reciprocamente orbitanti.
L'orbitazione di due corpi è sempre vicendevole, essendo ognuno nel fuoco d'un'ellisse percorsa dall'altro corpo. Quando la massa (numero dei fotoni costituenti) di uno dei due corpi è molto più grande dell'altra, la velocità con cui il corpo maggiore percorre l'orbita intorno al corpo minore è molto inferiore a quella con la quale il corpo minore orbita intorno al maggiore: pertanto la prima orbitazione, lentissima, viene mascherata dalla spiccata velocità della seconda. Sembrerà allora che sia esclusivamente il corpo più piccolo a girare intorno a quello più grande, e non anche l'inverso (*).
Consideriamo appunto, per semplificare, una tale orbitazione, che può essere quella di un elettrone rispetto a un protone, come di un pianeta rispetto al Sole. La fisica moderna ha, a questo proposito, ingarbugliato enormemente le cose, allorché, imbattutasi nel duplice aspetto - corpuscolare e ondulatorio - delle particelle subatomiche e non riuscendo a conciliare le due manifestazioni d'una stessa particella, ha irragionevolmente abbandonato il modello planetario dell'atomo. E' nato così il famigerato "principio di indeterminazione" di Heisenberg, che afferma che è impossibile distinguere anche teoricamente l'elettrone-corpuscolo, per esempio, dall'elettrone-onda e che il primo si trova probabilisticamente dovunque siano i fronti d'onda del secondo. Il che è altrettanto assurdo, quanto dire che allo stadio il fischietto dell'arbitro, oltre che in bocca a questo, sta nelle orecchie dei centomila spettatori della partita. La spiegazione è invece nel fatto che la materia più minuta gravitante nel campo dell'elettrone disegna l'ondulazione gravitazionale di questo, al modo in cui, di ogni astro irraggiante, l'immagine spettroscopica (ondulatoria) è delineata dalla materia irraggiata sotto forma di fotoni lungo le sue linee magnetiche e non può confondersi con l'aspetto intrinseco (corporeo) dell'astro stesso.
Si conclude quindi che la forma ondulatoria d'un elettrone come d'un corpo celeste è descritta dalla materia satellite, frantumata e dispersa sulle superfici d'onda prodotte dal corpo; ad esempio, l'arcobaleno, le aurore polari, le fasce di Van Allen raffigurano l'aspetto "ondulatorio" della Terra, il cui sferoide interno ne segna quello "corporeo"- Su scala maggiore e a un più avanzato stadio di aggregazione materiale, gli anelli di Saturno o le fasce di asteroidi e i gruppi di comete intorno al Sole disegnano anch'essi delle curve di onde megamagnetiche ("Tempo nuovo", nn. 1-2/1972, pag. 34) prodotte dai due astri. Il dualismo apparente di onda e corpuscolo nelle particelle subatomiche nasce dalla molto maggiore intensità d'irraggiamento - proporzionalmente alla massa - dei campi subatomici rispetto a quelli siderali e dalla rapidità delle orbitazioni: la "nuvola" della radiazione è perciò spettroscopicamente assai marcata e la localizzazione istantanea del corpuscolo lungo l'orbita sperimentalmente impossibile. Ma da questo ad affermare l'insussistenza anche teorica di ogni precisa localizzazione e l'identità tra la particella e le sue onde c'è un abisso, che solo l'assurdità "indeterministica" può presumere di colmare.
Un altro equivoco da chiarire riguarda quella che abbiamo definita "rapidità" delle orbitazioni microcosmiche e che la fisica corrente immagina come "velocità elevatissima", con cui tali orbitazioni si svolgerebbero. Per quanto ciò possa sembrare paradossale a prima vista, i due concetti non si identificano, Le orbite subatomiche sono rapidissime, nel senso che una particella ne può tracciare miliardi, intorno a un'altra, in un secondo, e tuttavia esse sono percorse a bassa velocità. Se per ipotesi una particella intranucleare gira in un miliardesimo di secondo su un'orbita lunga un miliardesimo di millimetro, essa compie in un secondo un carosello vorticoso di un miliardo di rivoluzioni, ma alla modesta velocità di un solo millimetro al secondo, che è 30 milioni di volte inferiore alla velocità di rivoluzione della Terra (circa 30 km/s).
La lunghezza dell'orbita e la velocità di orbitazione sono, beninteso, da misurare relativamente al corpuscolo attraente, considerato fermo. Supponiamo che due ciclisti debbano correre nello stesso senso su due piste circolari concentriche: le loro posizioni di partenza siano lungo un raggio. L'orbita del corridore esterno rispetto a quello interno è rappresentata dalla lunghezza della circonferenza esterna. Perché egli compia una tale orbita effettuando un solo giro del circuito, è necessario che il ciclista interno sia fermo: la velocità orbitale sarà data dal rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il tempo impiegato a percorrerla. Se invece il ciclista interno è anch'egli in moto, non basteranno evidentemente un solo giro e il tempo rispettivo, affinché quello esterno veda tutti i lati del compagno, e cioè compia un'orbita intera intorno a lui, ma ci vorranno più giri, ossia un tempo maggiore. La velocità orbitale quindi diminuisce (la lunghezza dell'orbita è sempre quella della circonferenza esterna, ma il tempo aumenta), e può essere addirittura zero, se i due ciclisti hanno la stessa velocità angolare: essi in tal caso si rivolgono costantemente lo stesso fianco. Pertanto può accadere che, pur correndo il più velocemente possibile sulle loro piste, i due corridori abbiano una velocità orbitale reciproca pari a zero.
L'esempio ora dato non corrisponde se non approssimativamente alla realtà delle orbite gravitazionali, che nello spazio sono curve reciproche molto complicate: i due ciclisti dovrebbero in effetti percorrere ciascuno una propria ellisse intorno all'altro, posto in uno dei fuochi. Esso ci è servito tuttavia per distinguere il giro (visto dall'esterno) di un corpo che insegue un altro dalla sua rivoluzione, che è strettamente rispettiva al corpo attraente e deve prescindere anche dai moti di rotazione dei corpi interagenti: in astronomia infatti si parla di "rivoluzione siderea", e cioè indipendente dal moto di rotazione. Può inoltre dare un'idea delle orbite vicendevoli tra i pianeti d'un sistema come quello solare, del tutto ignorate nella comune rappresentazione planetaria.
Nell'esempio più su citato, il miliardo di rivoluzioni al secondo della particella intranucleare corrisponderà quindi a più miliardi di giri compiuti in un secondo, proporzionalmente cioè al numero di giri necessario per effettuare un'orbita (o rivoluzione) completa.
Diversa, ovviamente, dalle velocità orbitali subatomiche è la velocità di traslazione delle particelle, che è spesso elevatissima, fino a toccare la velocità della luce, essendo inerente a fattori gravitazionali più generali. Nel caso dei ciclisti, la loro velocità di traslazione rispetto all'esterno è quella con la quale ciascuno percorre la propria pista. Se dovessero per qualche motivo abbandonarla, essi si proietterebbero verso l'uscita con una velocità molto superiore a quella di reciproca orbitazione.
Esaminiamo ora la forma geometrica che un'orbita gravitazionale può assumere, in dipendenza della velocità di orbitazione del corpo gravitante A' relativa al corpo attraente A (supponendo - come già s'è detto - il primo di massa molto inferiore al secondo). Sappiamo che l'orbitazione non è un fenomeno riferibile ai due soli corpi orbitanti: essa è una condizione di equilibrio dinamico fra la vicendevole attrazione e quella dei campi esterni. La collisione fra i due corpi ("caduta" dell'uno sull'altro) è causata dalla prevalenza dell'interazione reciproca su quella esterna, e inversamente la fuga o deviazione ("riflessione" di ciascuno rispetto all'altro), dalla prevalenza dell'interazione esterna su quella reciproca.
Siano Voc e Vof le velocità rispettivamente minima e massima, entro i cui limiti - per date masse, distanze e direzioni istantanee di A e A' e determinate intensità dei campi circostanti - il corpo gravitante A' orbita intorno ad A, considerato fermo. Alla velocità Voc l'orbita di A' è circolare, caso limite dell'ellisse. Per Vc ("velocità di collisione") < Voc l'orbita si modifica da circolare in spirale centripeta: A' cade su A con una traiettoria di collisione, che nel tratto finale e per distanze proporzionalmente brevi assume un andamento in apparenza radiale (caduta "a piombo"), ma in realtà spirale nel suo sviluppo completo. Sappiamo che ciò è dovuto alla più volte illustrata struttura a vortice del campo gravitazionale e si dimostra nelle infinite forme spirali esistenti in natura (galassie, cicloni, conchiglie, disposizione di foglie e semi, traiettorie di meteoriti e di particelle, ecc.).
Per velocità crescenti e comprese tra Voc e Vof , l'orbita si modifica da circolare ad ellittica, di forma sempre più allungata. L'asse maggiore tocca la massima estensione al limite Vof , che è la più alta delle "velocità orbitali" Vo . Quindi per Vf ("velocità di fuga") > Vof la traiettoria da ellittica si trasforma in parabolica e poi in iperbolica: A' sfugge ad A entrando a gravitare in un campo esterno, prevalente su A.
Un'orbita ellittica viene percorsa con velocità variabile da un minimo, nel punto più lontano dal corpo di riferimento ("apo-A": apogeo, afelio), a un massimo, nel punto più vicino ("peri-A": perigeo, perielio); un'orbita circolare, invece, con velocità costante.
La differenza Vof -- Voc = Vto si dice "tolleranza orbitale" ed è proporzionale alla velocità orbitale minima Voc . Ad esempio:
Voc = 100 m/s; ..Vof = 140 m/s; . .Vto = 40 m/s;
Voc = 1000 m/s; ... Vof = 1400 m/s; .. .Vto = 400 m/s.
Supponiamo di far subire ad A' per un tempo brevissimo un'interazione gravitazionale straordinaria, tale da accelerare o decelerare lungo la direzione istantanea la velocità di normale orbitazione di A' (**). Avverrà allora una modificazione assiale dell'orbita, che diventa più ellittica per un aumento di velocità e meno ellittica per una diminuzione.
Ora, all'interno della tolleranza orbitale esistono dei limiti entro cui la variazione di velocità, una volta cessata l'interazione straordinaria, tende ad essere eliminata dalle normali interazioni dei campi preesistenti: sicché l'orbita, dopo una serie di oscillazioni, ritorna all'incirca quella di prima. Questa fascia mediana di Vto rappresenta l' "elasticità" Veo del sistema (A, A'), e naturalmente ha valori diversi (percentualmente a Vto) a seconda delle condizioni interattive precedenti l'evento straordinario. Se la variazione occasionale di velocità supera la fascia di elasticità, l'orbita si modifica permanentemente: rimane cioè "deformata". Se infine detta variazione oltrepassa lo stesso margine di tolleranza orbitale, l'orbitazione non può sussistere e si ha collisione di A' con A per Vc < Voc o fuga di A' verso l'esterno per Vf > Vof : nel primo caso il sistema subisce uno "schiacciamento", nel secondo la "rottura". Il margine di Vo compreso tra l'elasticità e lo schiacciamento o la rottura costituisce la "plasticità" Vop .
Negli esempi numerici di cui sopra, supponendo Veo = 50% di Vto , (rispettivamente 20 e 200 m/s), una variazione di velocità tra 110 e 130 m/s e tra 1100 e 1300 m/s è temporanea: dopo un certo tempo dalla cessazione della causa che l'ha provocata, la velocità ritorna al valore medio e l'orbita alla forma normale. Si ha plasticità nei limiti 100-110, 130-140 e 1000-1100, 1300-1400 m/s.
Bisogna infine precisare che la fascia di elasticità si riduce con l'aumento della durata dell'interazione occasionale. Se infatti questa si mantiene abbastanza a lungo, introdurrà nel sistema totale delle modificazioni stabili, tali da alterare lo stesso valore Voc , provocando quindi una "deformazione permanente" dell'orbita originaria.
Se l'interazione straordinaria ha un effetto direzionale, e cioè non si esercita lungo la direzione istantanea di A', ma su una direzione angolata rispetto a quella, essa allora trasformerà l'orbita di A' in un'altra più o meno ampia (di maggiore o minore raggio medio), e cambieranno - rispettivamente decrescendo o crescendo - tutti i valori delle Vo : ossia Voc , Vof , Vto , Veo , Vop . Infatti, a misura che il raggio orbitale aumenta, la velocità necessaria a che si verifichi l'orbitazione tra i due corpi è sempre più bassa, a causa del diminuire dell'intensità gravitazionale reciproca: si consideri, per esempio, la velocità alla quale orbitano i diversi pianeti intorno al Sole, in rapporto alla scala delle loro distanze dall'astro centrale.
Anche la modificazione radiale dell'orbita - come quella assiale - è un fatto reversibile (elasticità) o irreversibile (plasticità), una volta cessata l'interazione occasionale. Se il raggio medio della nuova orbita si diversifica dal precedente entro determinati limiti in più o in meno, la fine dell'evento contingente riporta l'orbita alla forma originaria; altrimenti si ha deformazione permanente.
Il mutare dei valori delle Vo in relazione alla nuova orbita comporta che, per un'orbita radialmente più ampia e quindi a più bassa Voc e Vof , la precedente velocità di orbitazione Vor può risultare troppo elevata rispetto alle nuove Vo e perciò trasformarsi in Vf ; viceversa, per un'orbita più stretta, ossia a più alta Voc e Vof , l'originaria Vor può essere troppo bassa per il nuovo valore di Vo e quindi diventare Vc . Si ha allora la rottura del sistema nel primo caso, e nel secondo lo schiacciamento.
In ogni fenomeno di elasticità e di plasticità sono generalmente presenti entrambe le forme - assiale e radiale - di queste proprietà, potendo tuttavia prevalere caso per caso ora l'una, ora l'altra.
Tale è dunque la spiegazione gravitazionale di tutti i fenomeni relativi all'elasticità dei corpi, ivi compresa la tipica funzione biologica dell' "elasticità muscolare", cui si deve la capacità contrattile dei muscoli.
Abbiamo detto che l'orbitazione è una condizione di equilibrio dinamico fra l'attrazione reciproca dei corpi orbitanti considerati e quella dei campi esterni sugli stessi corpi. È ovvio che un tale equilibrio non può essere perfetto ed eterno, a causa del continuo mutare delle situazioni gravitazionali nell'intero universo. Dato un "sistema gravitazionale", o semplicemente corpo - costituito, come s'è visto, da un insieme di minori sistemi macro- o microscopici (corpi, corpuscoli, particelle, e infine "atomi assoluti", cioè fotoni) vicendevolmente orbitanti con una certa stabilità -, dopo un tempo più o meno lungo di osservazione constateremo delle modificazioni rilevanti nel sistema, dovute alle ininterrotte interazioni gravitazionali sia interne sia esterne al corpo. Tali modificazioni, accumulandosi, determineranno infine alterazioni così estese e profonde da rendere il sistema del tutto diverso da quello originario o addirittura da frantumarlo e disperderlo. Tutto ciò deriva appunto dal fatto che la stabilità delle mutue orbitazioni non è assoluta, ma solo temporanea, per le continuamente mutevoli condizioni di equilibrio gravitazionale nella materia cosmica.
Prendiamo dunque in esame, per un certo sistema gravitazionale, i possibili sviluppi della sua organizzazione materiale.
Come primo caso, supponiamo che l'equilibrio del sistema sia alterato da una costante prevalenza dell'attrazione esterna su quella interna. Avverrà allora che le orbite si allargheranno gradualmente, prima quelle delle parti periferiche, poi via via quelle delle zone interne. Decresceranno perciò i valori generali delle Vo , sicché le originarie velocità di orbitazione Vor risulteranno superiori a tali valori, diventando velocità di fuga rispetto al sistema. Questo si espanderà sempre più e le sue parti se ne distaccheranno progressivamente migrando verso i campi esterni, fino alla completa dispersione del sistema stesso.
In termini magnetici (v. "Tempo nuovo" nn. 1-2/1972), tale processo comporta la risoluzione dei domini più piccoli in domini progressivamente maggiori e infine la perdita di ogni evidente caratteristica magnetica nel dismagnetismo.
Il secondo caso è rappresentato dalla prevalenza dell'attrazione interna su quella esterna. Le orbite tendono a restringersi, prima le più interne, poi quelle periferiche. Crescono pertanto i valori delle Vo , rispetto a cui le primitive velocità di orbitazione finiscono col risultare troppo basse e si trasformano in velocità di collisione. Il sistema allora si contrae: aumenta la coesione delle sue parti, che si addensano verso il centro di massa. Magneticamente, si ha una progressiva miniaturizzazione dei domini: la materia procede lungo la "scala magnetica" dal dismagnetismo al paramagnetismo e quindi al diamagnetismo.
La caduta d'un corpo secondario (pianeta o satellite) dalla propria orbita verso l' "occhio" d'un vortice gravitazionale dominante provoca la collisione del corpo planetario col "nucleo" del sistema considerato: per es., d'una cometa col Sole, nucleo del sistema solare, o di un satellite artificiale con la Terra, nucleo del sistema Terra Luna, e analogamente d'un elettrone col protone, e così via. "Collisione" è propriamente l'inserirsi del corpo collidente in una zona circostante il centro di massa del corpo colliso, nella quale la densità della materia di quest'ultimo impedisce ogni orbitazione totale intorno ad esso.
Per chiarire questo concetto, consideriamo un satellite artificiale orbitante intorno alla Terra. Finché l'orbita è sufficientemente fuori degli strati densi dell'atmosfera terrestre, essa ha un regime di relativa stabilità; se invece corre all'interno di un certo limite di densità dell'aria, il moto orbitale viene frenato e progressivamente trasformato in moto di collisione: questa si verifica già nel momento in cui l'attrito atmosferico impedisce al satellite di compiere un'orbita completa intorno alla Terra.
Il risultato finale della collisione è che le parti del corpo collidente - in questo caso, il satellite - non costituiscono più un insieme orbitante intorno al "nucleo" - la Terra -; ma, disunendosi e intromettendosi nelle strutture del nucleo stesso (aria, oceani, crosta solida), diventano elementi di sistemi gravitazionali molto più ristretti di quello primitivo, nei quali va a disperdersi la massa del corpo originario. Le parti o particelle di quest'ultimo entrano nell'ambito di domini gravitazionali locali, di ordine sia macroscopico (come rocce o masse d'acqua o di aria), sia microscopico (molecole, atomi, corpuscoli subatomici), in cui si miniaturizza - come sopra detto - la situazione di partenza: l'orbitazione dell'intero satellite intorno alla Terra si frammenta, dopo la collisione, in una molteplicità di eventi gravitazionali relativi all'interazione tra le parti più o meno grandi del satellite e quelle parti della Terra con le quali le prime si sono mescolate in seguito all'impatto.
Nella maggiore o minore stabilità reciproca delle parti costituenti un qualsiasi sistema gravitazionale consiste la condizione detta di "stato" (solido, liquido, gassoso) del sistema. E' un errore di prospettiva ritenere che ciò riguardi solo la materia di ordine molecolare o atomico (per la quale si aggiunge lo stato plasmatico). Se consideriamo una galassia regolare o un ammasso globulare, si può calcolare che nelle zone centrali ci siano condizioni di equilibrio gravitazionale tali da determinare una relativa fissità delle posizioni stellari reciproche: i movimenti delle parti nei confronti dell'intero sistema coinvolgono solidalmente un numero stragrande di stelle, che sono all'incirca fisse le une rispetto alle altre (ogni accelerazione essendo più o meno bilanciata da un'accelerazione eguale e contraria). In queste zone il sistema stellare può quindi dirsi - fatte le proporzioni: stelle al posto di molecole o atomi - allo stato "solido". Verso la periferia, invece, questa condizione di stabilità va alterandosi: le interazioni reciproche tra le stelle sono sempre meno equilibrate, a misura che dal centro del sistema si procede verso l'esterno, e quindi le stelle acquistano una vicendevole maggiore autonomia, che le porta a rimescolarsi mutuamente. Il decrescere progressivo dell'equilibrio centrale segna dunque il passaggio del sistema stellare dallo stato "solido" del nucleo a quello "liquido" delle zone mediane e "gassoso" dell'estrema periferia: in questa sono particolarmente numerosi gli effetti di deviazione e fuga gravitazionale tra le singole stelle, pur sussistendo un prevalente legame complessivo che fa gravitare reciprocamente tutte le parti del sistema stellare. "Stati di transizione" sono anche individuabili tra l'uno e l'altro di questi indicati come fondamentali nelle condizioni aggregative dei sistemi materiali.
Si evidenzia così sempre di più il significato cosmologico della fisica unigravitazionale, che stabilisce l'assoluta unità dell'universo dal microcosmo al macrocosmo. Naturalmente, se la legge di strutturazione gravitazionale è unica, sono diversissime le condizioni che si riscontrano nella materia, a seconda che si consideri di essa l'aggregazione atomico-molecolare ovvero quella macrocosmica e siderea. Un atomo ha una struttura particolarissima e abbastanza regolare, confrontabile solo in modo assai generico con quella di un sistema planetario. Ma ciò non nasce - come ritiene la fisica attuale, che del resto ha un'idea confusissima di quella struttura - da diversità di leggi fisiche, che separerebbero la natura del microcosmo, con le sue cosiddette "cariche elettriche", "antiparticelle", "forze nucleari", ecc., da quella del macrocosmo, dominata dalla gravitazione newtoniana. E' invece chiaro che la regolarità strutturale dell'atomo dipende dal fatto che esso segna i primi ed intimi stadi aggregativi della materia, nei quali si manifesta necessariamente un ordine di gran lunga maggiore che nelle successive e sempre più ampie stratificazioni macrocosmiche.
A proposito della gravitazione newtoniana, è da rilevare l'assurda proprietà, che essa attribuisce al centro di massa e che è stata accettata in modo acritico dai moderni, di assommare in sé miracolosamente la forza gravitazionale dell'intera massa: ciò implica che esso sopporti il peso di tutta la massa circostante e sia quindi schiacciato da pressioni inconcepibilmente alte (***). Viene così del tutto trascurato il fatto evidente che, in una sfera materiale, procedendo lungo un diametro dalla superficie verso il centro, se è vero che aumenta la massa soprastante attratta in direzione del centro e quindi aumenta in rapporto a ciò la pressione verso il centro stesso, diminuisce però la massa attraente in corrispondenza della parte di diametro restante e aumenta, con effetto di alleggerimento, la massa attraente verso la superficie, in direzione del punto di partenza. Ma la cosa più strana è che questa elementare considerazione viene tenuta nel giusto conto, quando si descrivono le interazioni nucleari (W. R. Fuchs, La fisica moderna illustrata, figura a pag. 258: "Un corpuscolo all'interno del nucleo atomico è completamente legato dalle forze di corpuscoli circostanti. Invece un corpuscolo alla superficie del nucleo è attratto solo verso l'interno"); è invece irragionevolmente messa da parte nei confronti dell'interazione gravitazionale: tanto forte è la suggestione mitica della legge di Newton!
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(*) Il significato geometrico-gravitazionale di "intorno a" è chiarito nell'articolo successivo La gravità e le altre "forze": la reciprocità delle orbitazioni si manifesta nella rotazione della linea apsidale.
(**) Si distingua la velocità di orbitazione Vor , effettiva, dalla velocità orbitale Vo , teorica.
(***) SAPERE, n. 753, pagg. 16-21.
Tempo nuovo, Napoli 1973, n.2:
Torniamo al problema della contrazione d'un sistema gravitazionale causata dal prevalere dell'attrazione interna su quella esterna. La progressiva miniaturizzazione dei domini magnetici comporta il continuo decrescere delle relative velocità orbitali Vo . Ne derivano due principali conseguenze, che passiamo ad esaminare: una consiste nell'aumento della "conduttività" elettrica; l'altra nella diminuzione della "temperatura assoluta", nel significato che più oltre definiremo e non in quello dell'inutile scala Kelvin.
Quando i domini magnetici di una sostanza sono molto piccoli, particelle in moto di traslazione attraverso essi hanno scarse probabilità di esserne catturate. Abbiamo già visto nel precedente capitolo che le velocità di traslazione sono più elevate delle velocità di orbitazione. Infatti la traslazione è un moto gravitazionale influenzato da domini esterni più ampi, complessi ed intensi di quelli attraverso i quali si compie. Pertanto i piccoli domini, con le basse velocità orbitali ad essi relative, non riescono a trattenere se non una minima parte del flusso di particelle esterne, ossia quelle poche che, decelerate da contrastanti interazioni gravitazionali, assumono una velocità pari o inferiore alle Vo dei singoli domini, entrando in moto di orbitazione o di collisione rispetto ai corpuscoli materiali.
Definiamo la "resistenza" della sostanza a un flusso di corpuscoli, in traslazione attraverso essa, come la capacità di trattenere un numero maggiore o minore di particelle in transito. È subito evidente che la resistenza è tanto minore (e inversamente, maggiore la "conduttività"), quanto più spinta è la miniaturizzazione dei domini magnetici, perché più basse sono le Vo , e quanto più regolare è la loro struttura e organizzazione, perché meno frequenti sono le dispersioni interne e meno sensibili gli effetti deceleranti.
Così, pur prescindendo in questa sede dallo studio della costituzione intima dell'atomo, abbiamo potuto stabilire le cause gravitazionali della "corrente elettrica". I corpuscoli in causa sono principalmente gli elettroni, particelle che, raggiungendo nei loro moti orbitali la periferia atomica, sono più facilmente soggette a fenomeni di trasmigrazione in massa. Ci siamo già occupati del significato gravitazionale dell' "attrattività" e della "repulsività" nei fenomeni elettrici e del rapporto protone-elettrone . Aggiungiamo qui che la "corrente elettrica" non va immaginata sotto la rappresentazione schematica di un flusso all'incirca lineare di elettroni, bensì come la traslazione di innumerevoli successivi "occhi" ciclonici lungo il conduttore, con vortici di elettroni simili a quelli delle masse atmosferiche. Lo spostamento lineare di elettroni è dunque limitato rispetto alla massa totale degli elettroni coinvolti, verificandosi essenzialmente la trasmissione a catena di successive perturbazioni elettroniche sotto forma di vortici da un capo all'altro del conduttore.
La seconda conseguenza della miniaturizzazione dei domini magnetici è la diminuzione della "temperatura assoluta", che, ripetiamo, non ha nessun riferimento con la corrente definizione della stessa.
A questo proposito, è da rilevare il carattere rudimentale dei comuni concetti fisici di termodinamica. Consideriamo, per esempio, due oggetti identici per forma e volume, uno di ferro e uno di oro, aventi un termometro incorporato. Portiamo ora gli oggetti alla stessa temperatura (supponendola entro i limiti dello stato solido): quella che il termometro segna - quali che siano la scala e lo "zero" di riferimento - e che il nostro senso del tatto avverte, è la "temperatura impropria, o strumentale" ed ha un valore composito, fisicamente ambiguo. È facile infatti osservare che l'effetto identico prodotto nel termometro (eguale espansione ed ascesa della colonnina di mercurio) è stato provocato in condizioni diversissime della materia costituente i due oggetti. Tale diversità si può ridurre a due principali fattori, entrambi ben evidenti: la densità, maggiore nell'oro che nel ferro, e il grado magnetico, essendo l'oro una sostanza diamagnetica (ossia con domini più piccoli) e il ferro una sostanza paramagnetica (con domini più ampi).
Abbiamo innanzi detto che minori domini comportano minori velocità orbitali Vo e quindi minori velocità effettive di orbitazione Vor nelle strutture corpuscolari: questo elemento, se non fosse compensato da altre condizioni, dovrebbe produrre nel termometro un'espansione minore per l'oro che per il ferro, per effetto della semplice differenza di struttura atomica tra i due metalli. Essendo infatti ognuno dei corpuscoli corrispondenti (elettroni, protoni, neutroni, ecc.) animato nell'oro da velocità di orbitazione comparativamente inferiori rispetto al ferro, vi si deve riscontrare - in termini convenzionali - un' "energia cinetica" meno elevata. Ma nell'indicazione del termometro ciò sarà evidentemente compensato dall'altra diversa condizione, la quale è la densità, maggiore nell'oro che nel ferro. Ed infatti ogni unità di volume del bulbo termometrico viene colpita nell'oro da un maggior numero di particelle che nel ferro: l' "energia cinetica" (Ec = m v2/2) assorbita dal mercurio è eguale nei due casi, proprio perché si stabilisce un equilibrio tra due diversi fattori, e cioè nell'oro a una massa volumetrica (o densità) maggiore corrisponde una minore velocità corpuscolare, nel ferro a una densità minore una maggiore velocità delle particelle. In definitiva, una eguale "temperatura strumentale", essendo ben nota la differente densità del ferro e dell'oro, è la prova certa - proprio sulla base della formula dell' "energia cinetica" - che le velocità corpuscolari sono meno elevate nell'oro che nel ferro. Stante poi la diversa natura magnetica delle due sostanze, rimane confermato ciò che s'è detto precedentemente, che il diamagnetismo (oro) è caratterizzato da velocità orbitali inferiori - per i singoli domini - a quelle del paramagnetismo (ferro).
Accertato il carattere misto della "temperatura impropria, o strumentale", definiamo ora il senso della nostra "temperatura assoluta", la cui importanza vedremo tra poco: questa deve riferirsi a una scala che tenga conto esclusivamente di uno dei due fattori della temperatura impropria, cioè delle velocità corpuscolari. In altre parole per una eguale temperatura strumentale dell'oro e del ferro, il primo è invece - quanto alla temperatura assoluta - più "freddo" del secondo.
Per renderci ben conto del differente modo di variare delle due temperature, costruiamo delle scale esemplificative. Supponiamo di comprimere un gas, in maniera che la sua massa volumetrica (o densità d), e cioè la massa totale delle sue particelle nell'unità di volume, si raddoppi successivamente secondo i valori convenzionali 2 (iniziale), 4, 8, ... Supponiamo inoltre di poter misurare la velocità media delle particelle del gas, indicando col valore convenzionale 1 la velocità media iniziale e con essa la relativa "temperatura assoluta" del gas prima della compressione. La semplice contrazione del gas, con l'aumento della densità e il restringersi dei domini magnetici, indurrà nei moti corpuscolari una riduzione della velocità media.
Vediamo ora come variano la temperatura impropria TS , cui assegniamo il valore dell' "energia cinetica" dell'unità volumetrica di gas, e quella assoluta TA per differenti riduzioni della velocità media iniziale: la temperatura strumentale di partenza (T'S) sarà
T'S = 2 * 12 / 2 = 1
e la temperatura assoluta
T'A = 1
A) Nell'ipotesi che la riduzione di velocità delle particelle sia del 25% per ogni raddoppio della densità, avremo:
d' = 2; d" = 4; d"' = 8
v' = 1; v" = 0,75; v"' = 0,5625
T'A = 1; . T"A = 0,75; .. T"'A = 0,5625
T'S = 1; . T"S = 1,125; T"'S = 1,2656
(cioè: .2 * 12 / 2; .4 * 0,752 / 2; ..8 * 0,56252 / 2 )
Risulta dunque che, per una riduzione del 25% nella velocità media delle particelle ad ogni raddoppio della densità, il gas diventa strumentalmente sempre più "caldo", ma in senso assoluto sempre più
"freddo".B) Supponendo invece che la riduzione della velocità media sia del 33,(3)% per ciascun raddoppio della densità, la scala sarà la seguente:
.d' = 2; . d" = 4; ... d"' = 8
.v' = 1; . v" = 0,(6); .. v"' = 0,(4)
.T'A = 1; ... T"A = 0,(6); T"'A = 0,(4)
.T'S = 1; ... T"S = 0,(8); T"'S = 0,79
(cioè: .. 2 * 12 / 2; .. . 4 * 0,(6)2 / 2; 8 * 0,(4)2 / 2 )
In tal caso, quindi, il gas diventa sempre più "freddo" sia per il nostro termometro, sia in assoluto.
C) Perché infine la temperatura strumentale rimanga stazionaria, la riduzione di velocità delle particelle dovrà essere di poco inferiore al 30%, esattamente come segue:
.d' = 2; . d" = 4; .d"' = 8
.v' = 1; . v" = 1/
Ö 2 = 0,707; v"' = 0,5.T'A = 1; .. T"A = 0,707; T"'A = 0,5
.T'S = 1; .. T"S = 1; T"'S = 1
(cioè: .. 2 * 12 / 2; . 4 * (1/
Ö 2)2 / 2; .. 8 * 0,52 / 2 )Il gas, sempre più compresso e sempre più "freddo" secondo la temperatura assoluta, conserverà ora invariata la temperatura strumentale.
Si comprende, così, facilmente, che la temperatura strumentale da sola, col suo carattere composito dovuto alla concorrenza di densità e velocità corpuscolari, misura i fenomeni calorici in maniera squilibrata e contraddittoria, contrassegnando con risultati alterni (aumento, diminuzione o stabilità) processi che in assoluto sono unidirezionali. L'uso indifferenziato della temperatura impropria nella termodinamica corrente impedisce pertanto un'esatta valutazione teorico-pratica dei fenomeni stessi, specie in riferimento ai problemi dei passaggi di stato.
Ciò che abbiamo detto a proposito della contrazione d'un sistema gravitazionale vale, con ragionamento inverso, per l'espansione del sistema in caso di prevalente attrazione esterna (il primo dei due casi da noi considerati come alteranti lo stato di equilibrio orbitale). Si deve pertanto osservare che, mentre la velocità corpuscolare media (e quindi la temperatura assoluta) tende ad aumentare con l'espansione, la temperatura strumentale diminuisce, rimane invariata o cresce a seconda della percentuale minore o maggiore dell'incremento di velocità in rapporto al decrescere della densità.
A questo riguardo, si possono leggere nei comuni testi di fisica incredibili assurdità, come la seguente spiegazione del raffreddamento di un "gas reale" che si espanda adiabaticamente (cioè senza scambi di calore col mondo esterno):
"Un tale raffreddamento è spiegabile se si pensa che le molecole costituenti un gas reale, nell'allontanarsi le une dalle altre, subiscono un rallentamento (e quindi una diminuzione dell'energia cinetica) dovuto all'azione delle forze di coesione che, seppur debolmente, tendono a mantenerle unite" (Fisica di Caianiello, De Luca e Ricciardi, 2° vol., pagg. 134-135).
In realtà è evidente che l'espansione del gas si è potuta verificare solo per un fenomeno esattamente contrario a quello ivi ipotizzato e cioè per un acquisto dì velocità, che provoca nelle molecole un comportamento di reciproca fuga invece che di attrazione coesiva: se il sistema cionondimeno si raffredda strumentalmente per "diminuzione dell'energia cinetica", questa diminuzione è dovuta al forte decremento della densità, che viene ad essere più influente dell'aumento di velocità delle singole molecole nella formula dell'energia cinetica.
Per convincersene, è opportuno esaminare concretamente il processo nella "macchina di Linde" (testo citato, pag. 135). Prelevata una certa quantità di aria dall'atmosfera, la comprimiamo fino ad una pressione di circa 200 atm (fase I), inviandola quindi a un refrigerante, che la riporta alla temperatura ambiente (fase II). Aperta una valvola, la pressione scende da 200 a 20 atm (fase III): nel gas che così si espande si riscontra un raffreddamento di circa 50°C. Ebbene, l'interpretazione data dagli autori del testo attribuisce tale raffreddamento alla semplice espansione del gas che avviene nella fase III, prendendo come erroneo punto di riferimento la "temperatura ambiente" riottenuta nella fase II. È vero invece che il raffreddamento assoluto (non quello improprio, o strumentale) è stato provocato già nella fase I, di compressione, che ha costretto le particelle d'aria a ridurre progressivamente le proprie velocità corpuscolari. L'iniziale riscaldamento strumentale si spiega con l'aumento della massa volumetrica, non ancora compensato dal diminuire graduale delle velocità atomiche. La refrigerazione della fase II, ristabilendo la temperatura ambiente nonostante il forte aumento della densità, cioè della massa per unità di volume, ci dice, proprio con la formula Ec = m v2/2, che le velocità corpuscolari sono già molto diminuite nell'aria da noi compressa: quando questa viene liberata attraverso la valvola, i suoi moti orbitali atomici, pur registrando delle accelerazioni nella fase di decompressione, risultano di gran lunga meno veloci rispetto alle normali condizioni atmosferiche. Di qui il raffreddamento strumentale di 50°C, che ha la sua ovvia origine assai più a monte della fase di espansione del gas e che dimostra, uno tra mille possibili esempi, la puerilità concettuale della odierna fisica teorica.
Del resto, se i "gas reali" folleggiano in questo modo nei libri di fisica, figuriamoci quelli "ideali o perfetti"! Dire che hanno la bacchetta magica, è poco: "Dalle relazioni testé scritte si deduce che al diminuire della temperatura si riducono il volume e la pressione del gas perfetto, finché, alla temperatura di -273,l5°, entrambi divengono nulli" (testo citato, pag. 90)!
E veniamo finalmente al motivo determinante di questo lavoro: il rapporto vero tra magnetismo e calore.
Questa fondamentale relazione resta incomprensibile nella sua essenza, finché si cerca di stabilirla sulla base della "temperatura strumentale", che introduce - come s'è visto - nei risultati aspetti contraddittori e paradossali. Diventa invece chiarissima alla luce del nostro concetto di "temperatura assoluta". Infatti il progresso dell'organizzazione magnetica della materia, dal dismagnetismo al paramagnetismo e al diamagnetismo, coincide con una continua diminuzione della temperatura assoluta, cioè delle velocità corpuscolari, conseguenza univoca del processo di addensamento gravitazionale. Non è invece direttamente legato alle variazioni della temperatura impropria, che per le ragioni dette manifesta delle inversioni di senso rispetto alla temperatura assoluta.
Serviamoci, per un esempio, delle nostre scale teoriche. In un gas con caratteristiche analoghe a quello della scala A (come l'anidride carbonica), noi riscontreremo, comprimendolo, questo risultato: nonostante un progressivo aumento della temperatura strumentale TS , il gas a un certo punto perviene a liquefarsi, a causa della miniaturizzazione sempre più spinta dei domini magnetici e del continuo diminuire delle velocità corpuscolari.
Si verifica tuttavia che, in rapporto alla struttura atomica di ciascun gas, la riduzione delle velocità corpuscolari secondo la tabella A è di norma sufficiente a produrre la coesione liquefattiva solo fino a una certa TS , detta "temperatura critica" (nell'anidride carbonica: 31°C, "pressione critica" 73 atm). Ciò in quanto la riduzione geometrica dei domini corrispondente a successivi raddoppi della densità richiede una riduzione percentuale delle velocità atomiche progressivamente maggiore (passando dalla tabella A alla C e poi alla B). La temperatura critica si trova al limite fra la tabella A e la C; da quel punto, le velocità ridotte con la scala A risultano ancora troppo elevate rispetto alla piccolezza dei domini e delle relative velocità orbitali e provocano perciò, tra le particelle, prevalenti effetti di fuga gravitazionale, che impediscono la liquefazione.
I "passaggi di stato" sono dunque fenomeni di natura magnetica, ossia di "orientamento" connesso all'addensamento gravitazionale e conseguenti condizioni coesive. L'aggregarsi delle particelle ne riduce via via gli intervalli e le velocità orbitali atomico-molecolari, costringendole ad orientarsi magneticamente in domini sempre più piccoli e ordinati e aumentandone così l'interattività e la coesione gravitazionale. Cresce pertanto la stabilità reciproca delle parti del sistema, che passa dagli stati plasmatico e gassoso a quello liquido e poi al solido.
È ora evidente che il processo dell'orientamento magnetico è correlato unicamente alla riduzione delle velocità atomiche ("temperatura assoluta"), e non alla "temperatura strumentale", la quale, manifestandosi sotto forma di "energia cinetica", comprende due fattori non univoci nella determinazione del fenomeno magnetico: la massa volumetrica (densità) e le velocità atomiche. In effetti l'orientamento magnetico, mentre è sfavorito da un aumento delle velocità corpuscolari, migliora invece, di regola, col crescere della densità: è proprio questo doppio senso che, non capito, ha reso finora impossibile una giusta analisi dei fenomeni magnetici e termodinamici.
Riferendo erroneamente il magnetismo alla temperatura impropria, non si riesce, per esempio, a capir nulla del campo magnetico dei corpi celesti:
"Sebbene siano state avanzate diverse ipotesi sulla origine del campo magnetico terrestre, nessuna di esse al giorno d'oggi sembra essere abbastanza soddisfacente. D'altra parte, si può con una certa sicurezza (sic) scartare l'ipotesi che attribuisce il campo magnetico terrestre all'esistenza di materiali magnetizzati permanentemente in prossimità dei poli magnetici, in quanto, alle temperature che si suppongono raggiunte all'interno della Terra, le sostanze come il nichel, il cobalto ed il ferro perdono le loro peculiari caratteristiche magnetiche" (testo citato, 3° vol., pag. 82).
Ma ormai ci è nota la soluzione del busillis: benché la temperatura strumentale tenda a crescere dalla periferia verso l'interno dell'astro, ciò è dovuto per gran parte all'aumento della densità media della materia, mentre, a causa di questo stesso aumento di densità, vanno decrescendo (sempre in media) le velocità atomico-molecolari, ossia la "temperatura assoluta" del sistema: entrambi questi fattori favoriscono l'orientamento magnetico, che perciò diviene sempre più elevato procedendo verso il nucleo, ad onta che risulti superato di molte lunghezze il famoso quanto insignificante "punto di Curie". Meravigliarsi delle proprietà magnetiche del "caldo" nucleo terrestre è identico al non capire come mai possa esistere ghiaccio secco alla bella temperatura di + 55,2°C: naturalmente a una pressione elevatissima, di ben 8000 kgp/cm2 (P. W. Bridgman, in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica., "Carbonica, anidride"). I fisici d'oggi mai avrebbero pensato che ne sapeva più di loro Tony Dallara, quando negli anni trascorsi cantava: "Ghiaccio bollente / sei tu...".
L'analisi gravitazionale del magnetismo ha completato anche la demolizione della vecchia formula di Newton, chiarendo un altro dei fattori che ad essa mancano e che pertanto la invalidano nella misura delle interazioni microcosmiche (da cui l'equivoco di "forze" diverse dalla gravitazione che sarebbero operanti nell'ambito atomico-nucleare). Il primo, come sappiamo, è rappresentato dalla densità. Questa, tuttavia, si nasconde grossolanamente nella cosiddetta "costante universale di gravitazione", la quale esprime la densità media della rarefatta materia macrocosmica (*) e pertanto, ben lungi dall'essere una "costante universale", è in realtà una variabile! Il che è, tra l'altro, dimostrato dal fatto che, nonostante la grandissima precisione dei moderni strumenti di misura, non si è potuti andare, nel calcolarla, al di là della meschina approssimazione di 1 su 500!
Altro necessario fattore mancante è appunto la misura del campo magnetico. Il pregiudizio che i fatti magnetici siano una cosa diversa dai fenomeni gravitazionali ha portato a non vedere che, se due masse di ferro calamitato (deuteroparamagnetico) si attirano molto di più di due eguali masse di ferro protoparamagnetico, ciò è a causa della perfetta coordinazione delle linee gravitazionali nel primo caso.
Questi elementi (densità e campo magnetico, oltre alla massa) ed altri ancora, che non possiamo ora discutere, dovranno confluire in una nuova formula che voglia render conto unitariamente e con precisione matematica di tutte le interazioni gravitazionali macro- e microcosmiche. Qui si può solo accennare che nell'intimo grado magnetico della struttura corpuscolare risiede una delle fondamentali ragioni della diversa interattività di particelle come protoni e neutroni o come fotoni e neutrini.
La ristrutturazione della termodinamica su basi unigravitazionali ci ha fornito gli strumenti per una conoscenza scientifica delle condizioni esistenti nei nuclei dei sistemi gravitazionali, siano questi dei corpi celesti, ovvero cellule, atomi o altri aggregati materiali. Il processo spaziale e temporale di addensamento gravitazionale determina, come s'è visto nel corso del presente lavoro, il parallelo aumento - dalla periferia verso l'interno - dell'orientamento magnetico della materia e della conduttività elettrica. È a questo punto che si saldano organicamente gli articoli, da noi anticipati per naturali motivi di attualità e di urgenza, sul fenomeno del cancro cellulare e sulla sua profilassi ("Tempo nuovo", nn.2 e 3-4/1971; n.1/1973), e di qui occorre partire per un successivo approfondimento della termodinamica biologica, con uno studio dei fenomeni della crescita, della senescenza e della malattia in genere negli organismi viventi. L'analisi gravitazionale degli eventi biologici è infatti decisiva ai fini non solo d'una loro corretta interpretazione, ma altresì della migliore padronanza di essi nell'interesse dell'uomo.
Dovremo anche accertare perché mai l'universo e la vita abbiano deciso di esistere ad onta del "secondo principio della termodinamica" e delle capriole che il Monod deve fare per conciliarlo con essi (**). Il "secondo principio della termodinamica" e il "principio di indeterminazione" sono validi in natura solo in rapporto al "grado di entropia" (per i profani: confusione) che regna nelle idee della fisica moderna.
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(*) Lo ha sospettato anche Dennis Sciama: "Ma se la nostra teoria è valida, vediamo che in questa costante si cela, travestita, la densità media della materia nell'universo!" ("L'inerzia", in Fisica e cosmo, Zanichelli, pag. 60).
(**) J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, pagg. 27-29, 102-103, 159-160. Il dubbio è atroce: nella biosfera "il mantenimento, la riproduzione e la moltiplicazione di strutture dotate di un ordine elevato sembrano incompatibili con il secondo principio della termodinamica. Tale principio stabilisce, in effetti, che ogni sistema macroscopico si evolve solo in un senso, in quello della degradazione dell'ordine che lo caratterizza" (pag. 27). Segue una serie acrobatica di salti mortali.
Lo studio ora fatto della termodinamica su basi unigravitazionali ci dà lo strumento scientifico per affrontare in modo assolutamente oggettivo, senza implicazioni emotive, il problema del cancro, cui abbiamo accennato nella premessa a "Magnetismo e calore".
23 Febbraio 1998
Il campo unigravitazionale
Allegato:
Fondamentale acquisizione relativa all'eziologia del cancro (16 Aprile 1971).
Intendiamo segnalare ai nostri lettori che è da poco uscita nelle librerie un'opera di eccezionale importanza, tale da indurci a rinviare al prossimo numero la seconda parte dello studio su Magnetismo e calore, per dar posto a questa nostra puntualizzazione del problema. Del resto la connessione tra cancro e magnetismo - come si vedrà - è strettissima, e se non fosse per il motivo dell'attualità, quanto ora diciamo sarebbe stata la logica conclusione dell'indagine che andiamo pubblicando.
Si tratta dunque del libro di Giovanni Mancini "Cancro: un congegno elettromagnetico. Leucemia: una catastrofe ecologica", che la Casa Editrice Cappelli con intelligenza e coraggio (oggi ci vuole molto coraggio ad essere intelligenti) ha pubblicato, ad onta dei prevedibili disdegni di gran parte dei luminari ufficiali.
L'interesse del libro sta nel fatto che l'Autore, con una superiore visione dei fenomeni biologici nel loro insieme e nelle reciproche intime relazioni, ha colto la vera natura della carcinogenesi, indicata in un guasto del congegno elettromagnetico della vita. Guidato da un alto intuito e seguendo una propria strada - rigorosamente fisica, anche se su basi tradizionali -, egli ci dà quindi del fenomeno una descrizione strettamente analoga a quella fattane in un articolo da noi pubblicato su "Tempo nuovo", nel n. 2 (marzo-aprile) del 1971, in cui peraltro l'analisi risaliva dall'evento elettromagnetico in sede cellulare al generale processo gravitazionale in sede cosmica.
Nell'interesse dei lettori, raccogliamo qui di seguito la documentazione che si riferisce a questa straordinaria coincidenza scientifica, la quale segna, col suo valore di chiara conferma, una tappa risolutiva nella millenaria lotta - finora impari - tra l'uomo e il cancro. Essa comprende:
1) la riproduzione in cliché delle pagine 24-25 del n. 2/1971 di " Tempo nuovo" con l'articolo sul cancro;
2) i passi principali di un articolo di Umberto Bruzzese, pubblicato sul quotidiano napoletano "Roma" a presentazione e sintesi del volume di Mancini;
3) due citazioni dallo stesso volume sul rapporto tra resistenza elettrica e cancro;
4) la relazione sul libro di Mancini stesa da un gruppo di fisici e ricercatori e presentata all'Editore Cappelli in una riunione svoltasi nella sede della Libreria Cappelli in Napoli, il giorno 6 febbraio 1973.
Sul "Roma" del 6 febbraio 1973 Umberto Bruzzese ha esposto in modo elegante e preciso la tesi del Mancini sulla patogenesi del cancro, confrontandola efficacemente con l'evanescenza della corrente teoria virale. Riportiamo i passi salienti del suo articolo:
"Da oltre settanta anni studiosi, ricercatori, scienziati, specialisti della provetta e del microscopio elettronico vanno a caccia di un vero e proprio fantasma, il virus che, secondo talune teorie, autorevolmente convalidate, anche di recente, dallo stesso Sabin, sarebbe la causa di forme tumorali quali ad esempio quelle del collo dell'utero, del carcinoma mammario, di alcuni tipi di leucemia. E da oltre settanta anni la selvaggina sfugge, anzi non si vede affatto malgrado gli strumenti affilatissimi della ricerca e malgrado che ormai si conoscano almeno 510 cause di cancro.
Veramente Giulio Tarro, il giovane ricercatore napoletano già aiuto di Sabin in America e allievo del grande Magrassi, dice di averlo visto, questo fantasma, di averlo insomma individuato nel virus dcll'herpes. Ma egli stesso chiede nuove conferme, egli stesso conosce le gravi delusioni patite da altri ricercatori, fra cui alcuni premi Nobel, che credevano di avere il fantasma ormai saldamente fra le mani ma quando vi hanno guardato bene si sono accorti di stringere ... nulla.
E che nulla esista, che si tratti proprio di un fantasma evanescente e che pertanto occorre battere altra strada per risalire all'origine del cancro e trovare quindi una cura radicale, cerca di dimostrarlo uno studioso romano, Giovanni Mancini. (...) In un suo volume, dal titolo "Cancro, un congegno elettromagnetico - leucemia, una catastrofe ecologica"(...) ampiamente presenta, con dati scientifici e statistici invero convincenti, la nuova sua teoria elettromagnetica sull'origine dei tumori partendo dal principio che l'organismo altro non è che un complesso e completo sistema elettrico con il cervello come centrale. ( )
Come e perché avviene allora la patogenesi dei tumori? Come tutte le macchine, elettriche o meno, anche la macchina vivente, il corpo umano, può guastarsi, guasti che possono ovviamente avvenire anche nel sistema elettrico che tiene in funzione l'intero congegno. La cellula, secondo il Mancini, si riproduce elettricamente e si duplica quando la sua densità elettrica ha raggiunto i 5,3 millesimi di coulomb. Ma se in una cellula aumenta la tensione a causa, ad esempio, di un centro di energia elettrica supplementare, la sua riproduzione si moltiplica all'infinito dando origine alla proliferazione cellulare atipica e cioè cancerogena (...).
Ma come si può installare nell'organismo un centro di produzione di energia elettrica locale o supplementare?
Mancini porta l'esempio del tumore polmonare che egli definisce "il cancro alfa-beta-gamma". E ci indica, come esistenti nel tabacco, due elementi radioattivi, il polonio 210 e il potassio 40 (...). Le cellule, colpite contemporaneamente da tre radiazioni in loco, arricchite cioè di nuova energia elettrica che si distribuisce rapidamente anche alle cellule più lontane attraverso le mucose, incominceranno a duplicarsi in tempi sempre più brevi riproducendosi vertiginosamente.
I tumori dunque nascerebbero per un guasto a livello cellulare che si origina da uno squilibrio di carattere elettrico localizzato in una parte o l'altra dell'organismo. Il cancro stesso sarebbe un congegno elettromagnetico e i virus dei congegni elettronucleici che però non posseggono, come tali, energie sufficienti per accendere, e tanto meno per tenere acceso, un fenomeno di carattere neoplastico. L'infernale congegno che mette in moto la proliferazione maligna scatta allorché una certa zona dell'organismo viene colpita da un centro di produzione autonomo e localizzato di energia elettrica, che scombussola il preesistente e naturale livello elettrico originato dal cervello.
Questa teoria apre, come dicevamo, prospettive nuove (...). E' ormai parere di molti che la medicina deve uscire dai vecchi binari e unirsi alla fisica e alla ingegneria se vuole veramente progredire e raggiungere quei risultati che ha invano perseguito per secoli. Insomma, il medico del futuro dovrà essere uno scienziato completo, che sappia cioè conoscere a fondo la bio-ingegneria del corpo umano".
Dal testo di Giovanni Mancini (pagg. 117-118):
"I flussi elettrici, radiogenerati nella zona anomala primaria, tenteranno di infiltrarsi nei tessuti circostanti, incanalandosi lungo vie di minor resistenza elettrica che assumeranno, così, il ruolo di veri e propri circuiti elettrici. In altre parole, traboccando dalla zona anomala primaria, come una vena d'acqua sorgiva, l'energia elettrica tenderà a diffondersi all'intorno, aprendosi la via nelle aree di più scarsa resistività. In tal modo saranno raggiunte nuove zone. Cariche elettriche aggiuntive si addenseranno, così, nelle cellule che si sviluppavano tranquillamente con il risultato di imprimere anche ad esse ritmi anormali di accrescimento e duplicazione".
"Come mai il corion, per esempio, ostacola l'apparente 'avanzata' del carcinoma infiltrativo mentre la mucosa, invece, la facilita? ma perché il corion presenta una resistività maggiore: circa 200.000 ohm su un tratto di due cm; mentre una mucosa ne presenta una 40 volte minore: circa 5000 ohm. Vengono a crearsi, così, dei sistemi (come dire?) di 'irrigazione elettrica' del territorio circostante. E le cellule, 'irrigate' dall'elettricità (che trabocca continuamente dalla zona radioattiva primaria), proliferano più rapidamente. La vegetazione tumorale si estende lungo le linee di scorrimento dell'energia elettrica, perché le cellule che vi si trovano subiscono la trasformazione tumorale ad opera di un rifornimento aggiuntivo e localizzato di energia".
Relazione su "Cancro" di G. Mancini:
I sottoscritti fisici e studiosi di discipline scientifiche, preso in esame il volume del dr. Giovanni Mancini "Cancro: un congegno elettromagnetico. Leucemia: una catastrofe ecologica", edito dalla casa Cappelli, di propria iniziativa hanno deciso di presentare all'Editore la seguente relazione, avendo giudicato l'opera del più alto interesse scientifico.
Dichiarano preliminarmente di voler limitare per il momento il loro esame alla più ampia parte del libro dedicata al cancro vero e proprio, escludendo cioè il cap. 9 relativo alla leucemia.
Elencano quindi in sintesi i principali punti di consenso con l'opera del dr. Mancini:
1°) La medicina moderna ha un carattere essenzialmente empirico a causa della sua "ignoranza della fisica e, in specie, della scienza dell'atomo e dell'elettrologia" (pag. 267).
2°) Tra un qualsiasi agente cancerogeno (delle centinaia catalogabili) e il cancro non si riesce a stabilire alcun rapporto specifico di causa ad effetto: in un tessuto canceroso c'è "solo tessuto canceroso" (pag. 100). Ne deriva l'inanità di ogni tentativo - da parte della medicina di cui al punto primo - di risolvere il problema del cancro, applicandosi allo studio di questo o quel particolare fattore, per necessità eterogeneo rispetto a innumerevoli altri egualmente produttivi di cancro.
3°) Solo una rigorosa analisi di carattere fisico, come quella che sta alla base del libro del dr. Mancini, può portare a soluzione i più importanti problemi biologici e medici. I sottoscritti uniscono alla presente un articolo del periodico "Tempo nuovo" (n.2/1971, pagg.24-25), che, per altra via, converge sulla descrizione fatta dal dr. Mancini del processo carcinogenetico, come dovuto a una folgorazione della cellula (pagg. 114-119: v. il rapporto tra resistenza elettrica e cancro a pag. 118 e cfr. in particolare l'esempio dell'appartamento a pag. 114 e in "Tempo nuovo" l'analogia delle "novae"). Tale eziologia risulta quindi inoppugnabilmente convalidata.
4°) Di fondamentale importanza sono i capitoli 2 e 3 dedicati alla natura elettrica della vita e alla struttura magnetica del DNA (eccezionali le tavole III-1 e III-2 e le figure III-7 e III-8 sul congegno magnetico della riproduzione cellulare). L'Autore fa giustizia della rudimentale opinione, accreditata dai " baroni del calorimetro" (pag. 41), che l'organismo "funzioni a carbonella" "bruciando, con l'Ossigeno dell'aria, gli elementi nutritivi contenuti nei cibi".
5°) Straordinariamente interessante è anche il cap. 8 relativo ai virus, sottratti con una precisa indagine alla dilettantesca approssimazione delle idee correnti nella medicina ufficiale.
I sottoscritti, tuttavia, con spirito di collaborazione e nell'interesse della scienza rilevano quelli che, a loro parere, sono i punti deboli del libro:
a) Il primo è manifestato acutamente dallo stesso Autore nella nota a pag. 17, riguardante la sua descrizione della materia:
"Le nozioni che qui si riportano, a proposito della fisica delle particelle e dell'elettrologia in genere, sono ovviamente desunte dalle principali acquisizioni scientifiche correnti. L'autore, tuttavia, si permette di nutrire qualche dubbio sia su determinate impostazioni teoriche e sia su interpretazioni di fenomeni naturali o artificialmente provocati. Si riserva di parlarne in altra occasione nei limiti del possibile".
b) La mancata revisione delle basi teoriche della fisica ufficiale, la cui inadeguatezza l'Autore ha pure chiaramente avvertito, gli impedisce di riconoscere il naturale processo che predispone la cellula a subire l'insulto elettrico, indipendentemente da occasionali sovraccarichi di energia dovuti a cause esterne di anormale intensità (radiazioni più forti della media, traumatismi, ecc.: pagg. 96 e sgg.). L' "impianto elettrico" della cellula (pag. 114) non salta solo per l'inserimento di "una potenza elettrica superiore alla normalità", ma anche nell'evenienza che una qualche causa interna alla cellula ne riduca la resistenza alla corrente elettrica normalmente erogata.
Tale causa, che nel libro è solo genericamente espressa in un brevissimo accenno a pag. 115 ("distretti dell'organismo per qualche motivo predisposti "), viene invece presa in esame nell'articolo allegato: essa si manifesta logica ed evidente, come superconduttività biologica del nucleo cellulare, non appena si stabilisca la sostanziale unità dei processi gravitazionali ed elettromagnetici. Come un qualsiasi corpo celeste in progressivo condensamento gravitazionale e conseguente raffreddamento, la cellula passa da una fase giovanile espansa, con normale attività termica ed elevata resistenza elettrica, a uno stadio senescente di alta densità (onde il tipico "raggrinzimento" senile, quando il processo investe l'intero organismo), con diminuita attività termica e bassa resistenza elettrica. In circostanze estreme si instaura nella cellula uno stato superconduttivo, che ne provoca la folgorazione e la disorganizzazione funzionale, innescando il processo di proliferazione incontrollata. Di immediata evidenza è l'analogia con l'esplosione stellare delle "novae".
c) Come conseguenza del punto precedente, risultano inadeguati i suggerimenti terapeutici e profilattici che l'Autore dà nel cap. 10. In rapporto alla giusta considerazione fatta alle pagg. 95 e sgg. sulla molteplicità, eterogeneità ed occasionalità delle cause esterne di cancro, è evidente l'impossibilità di organizzare un'efficace prevenzione di esse con provvedimenti inevitabilmente limitati e sporadici.
Una volta che si sia riconosciuto invece il generale fattore predisponente del cancro nell'aumento progressivo della conduttività cellulare, è facile dedurne che una giusta cura, e soprattutto la profilassi, del cancro dovrà proporsi l'eliminazione di tale fattore, riattivando termicamente le cellule. La controprova chiarissima di questa analisi è data dalla accertata regressione del fenomeno canceroso in ammalati fortuitamente colpiti da forti accessi febbrili di origine infettiva, o trattati appositamente con ipertermia, come negli esperimenti effettuati all'Istituto "Regina Elena" di Roma (v. "Scienza e Tecnica 71", pag. 156).
Altra via che si presenta per eliminare la superconduttività precancerosa è l'applicazione ai tessuti di campi magnetici sufficientemente intensi. È infatti noto che la transizione dalla superconduttività allo stato di normale resistenza elettrica si può provocare - oltre che termicamente - immettendo il superconduttore in un campo magnetico d'intensità superiore al limite di Clogston-Chandrasekhar.
d) Se da un lato è giusto il concetto di "irrigazione elettrica" dei tessuti (pagg. 117-118) come causa principale di avanzata del cancro, non sembra potersi escludere una concomitante "crescita infiltrativa" del male per via linfatica e sanguigna. "E' l'acqua che, avanzando, fa sviluppare la flora lungo il suo cammino" (pag. 118). Ciò è vero, ma non si vede perché debba essere alternativo rispetto a una disseminazione di spore ("metastasi").
e) Che alcuni virus possano essere causa di cancro, è negato decisamente a pag. 221, per il fatto che essi non avrebbero in sé "energia sufficiente (elettrica, magnetica, elettrodinamica) atta ad accendere un focolaio elettrico di tipo neoplastico. Il virus può condurre alla distruzione la cellula. Ma non può imprimere una vitalità abnorme alla cellula". Tale opinione nasce evidentemente dal concetto che il cancro sia sempre originato da un sovraccarico di energia, che un virus non sarebbe in grado di apportare alla cellula. In realtà esistono virus capaci di "collassare" e "invecchiare" la cellula (v. pag. 192), e quindi di instaurarvi una condizione di aumentata conduttività elettrica, che è appunto fattore predisponente della malattia.
In considerazione di quanto innanzi esposto, i sottoscritti giudicano l'analisi del dr. Mancini un contributo fondamentale al riconoscimento della vera causa del cancro. Integrata quell'analisi con le presenti osservazioni, il problema del cancro può dirsi ormai risolto.
Un tale storico risultato viene quindi affidato alla Casa Editrice Cappelli, affinché essa aggiunga alle sue già grandi benemerenze culturali quella di diffondere un annuncio spasmodicamente atteso dall'umanità.
Napoli, 2 febbraio 1973
F.to: Renato Palmieri; Carlo Carella; Luciano Cattaneo; Nicola lannuzzi; Quinto Quinzii; Mario Vassillo; Paolo Marino; Giuseppe Leuci; Antonio Marciano; Andrea Arpaja.
Per una più ampia conoscenza dell'attività scientifica di Giovanni Mancini, ricordiamo dello stesso:
Ipotesi circa un enigma, Canesi, 1964.
L'atomo tra la vita e la morte, Edi-Europa, 1967.
Meravigliosi misteri elettrici della vita, Beniamino Carucci, 1969.
Un "giallo" nel verde, Beniamino Carucci, 1971.