CILENTO IN BICI

I PELLEGRINAGGI
(La leggenda delle sette sorelle o Madonne)

I pellegrinaggi

I pellegrinaggi sono una grande occasione di incontro tra micro-culture, a volte tra loro lontane, ma che trovano periodicamente una feconda possibilità di scambi culturali. Le persone che ne sono protagoniste esprimono inconsciamente quanto di autentico è rimasto nel loro animo, legato anche alle radici e alla memoria di tempi lontani che sembrano rivivere tramite i riti e la gestualità, sia sacra che profana.

Di solito i santuari, meta dei pellegrinaggi, sono situati sulla vetta di una montagna, raggiungibile dopo un'ardua salita a piedi. L'altura mette il pellegrino in comunicazione immediata col celeste e in condizioni di gustare la presenza del sacro - sulla montagna si è più vicini a Dio, la salita purifica... - (Si può ricordare come archetipo l'ascesa di Mosé al Monte Sinai).

Ogni pellegrinaggio reca il doppio rito del salire e dello scendere dalla montagna, come memoria dell'antichissimo uso della transumanza - si sale con le greggi in primavera e si ridiscende in autunno -

Durante la salita, lungo itinerari segnati da secoli - come appunto i tratturi o i sentieri per la transumanza - le compagnìe (folti gruppi di pellegrini) sostano in punti prestabiliti per riposarsi. Sono questi i momenti nei quali l'animo popolare si esprime nelle musiche tradizionali, di solito tarantelle alla cilentana o lucane, ballate al ritmo delle zampogne e, più spesso, dell'organetto e del tamburello, che hanno ormai sostituito i vecchi strumenti musicali cilentani, la chitarra battente e il fruschariéddo (zufolo di canna).

Va notato che nei pellegrinaggi la musica e il canto popolare si esprimono più liberamente in quanto la religiosità è meno controllata dalla gerarchia ecclesiastica e sembra staccarsi dai canoni ufficiali. Ma è come vivere un'illusione destinata a spegnersi nel giro di qualche ora, in quanto il ritorno, anch'esso accompagnato da musiche e canti, immette di nuovo nei cicli naturali della vita.

I testi dei canti sono per lo più in un italiano aulico misto a frasi dialettali; la musica perde in parte il ritmo alla cilentana, per acquisire le cadenze tipiche della Lucania. Non di rado alcuni pastori eseguono delle pastorali con la zampogna e le ciaramelle, testimoniando così la compresenza della cultura pastorale con quella agricola.

Immutabile da secoli è rimasto il rito delle cénte (che taluni erroneamente chiamano cinte), doni votivi di ceri - di solito sono cento candele - addobbati di nastri colorati che li tengono insieme a creare la forma di una barca, di un castello o di un uovo, a seconda della tradizione dei singoli paesi.

Le sette Madonne

Di solito le mete dei pellegrinaggi sono i santuari mariani. Essi nel Cilento sono sette e sono accomunati dalla cosiddetta leggenda delle sette Sorelle o Madonne, e sono:

Madonna del Granato, Capaccio Vecchio, M. Vesole Sottano, m. 254;
Madonna della Stella, Sessa Cilento, M. della Stella, m. 1131;
Madonna della Civitella, Moio della Civitella, M. Civitella, m. 818;
Madonna del Carmine, Catona, M. del Carmine, m. 713;
Madonna della Neve, Piaggine-Sanza, M. Cervati, m. 1899;
Madonna di Pietrasanta, San Giovanni a Piro, M. Pietrasanta, m. 528;
Madonna del Sacro Monte, Novi Velia, M. Gelbison o Sacro, m. 1707
.

Il culto delle sette Madonne è certamente molto antico e affonda le origini in modelli pre-cristiani (sette è numero magico-simbolico).

Delle sette, una è indicata come "brutta", perché è raffigurata con la pelle scura ed è detta "schiavóna", cioè forestiera, ma che risulta poi essere la più bella e la più amata di tutte. Per il Cilento è quella del Sacro Monte (come per l'area napoletana è quella di Monte Vergine), il cui santuario è di gran lunga più frequentato (oggi è l'unico che resta aperto per oltre quattro mesi l'anno). Esso è di origine basiliana e la Madonna che vi si venera è l'Odighitria (=che guida il cammino), cioè colei che guidò i monaci italo-greci.

Il culto della Madonna nera trova riscontro in molti popoli (si pensi Cerstokova, Guadalupe, ecc.); il suo archetipo lo si può individuare nel versetto della Bibbia che dice di lei "scura sei, ma bella".

Suggestiva è anche la tradizione che narra di S. Luca che dipinse il vero volto della Madonna di colore scuro. Nel Cilento molte sono le statue che raffigurano la Madonna nera, detta di solito "di Loreto" (a Salento, a Torraca, a Montano, a Ostigliano, ecc.), termine ottenuto italianizzando il dialettale ri lu Rito che bene esprime il riferimento al rito greco praticato ancora nel XVII secolo, che quindi propone un preciso riferimento all'immigrazione dei monaci italo-greci e alla Vergine Odighitria.

Dei sette santuari mariani, solo quello del Sacro Monte può vantare oggi a pieno questo nome, in quanto è meta di pellegrinaggi in tutto il periodo durante il quale resta aperto, cioè dall'ultima domenica di maggio alla prima di ottobre. Agli altri, invece, si accede solo il giorno della festa e/o anche durante i nove giorni che la precedono (novena).

La Madonna del Sacro Monte

Il pellegrinaggio al Sacro Monte viene realizzato almeno una volta all'anno un po' da tutti i paesi del Cilento, oltre che da compagnie provienienti da molti centri della Basilicata e della Calabria; la sua area culturale è infatti vastissima: abbraccia tutto il Cilento fino al Sele e poi fino a Potenza, Laurenzana, Castelsaraceno, Latronico, Mormanno, Santa Maria Verbicaro, Scalea. I riti sono quelli di sempre, scanditi dai canti e dalle invocazioni. Lungo i vari itinerari, i luoghi delle soste segnano i momenti rituali espressi dai canti e dalle danze, che sono ormai quasi in disuso, in un misto di sacro e profano.La compagnia, in testa la cénta e lo stennàrdo ra Marònna (stendardo che si usa solo in questa occasione), si ricompone al Calvario, un grande cumulo di pietre trasportate per penitenza dai pellegrini (v. oltre) che segna il limite estremo dello spazio sacro; attorno ad esso i pellegrini girano tre volte, prima di iniziare l'ultimo tratto, scandito dalle edicole della Via Crucis. I canti si fanno via via più accorati, il suono delle ciaramelle, delle zampogne e degli organetti li accompagna. Giunti alla cappella, fanno tre volte il giro attorno all'edificio, toccandone i muri con la sinistra; sostano poi sul sagrato ove il rettore del santuario li accoglie con parole di benvenuto e benedice la cénta; infine varcano la soglia, molti strisciano in ginocchio fino all'altare. Dopo la messa, salgono per una gradinata dietro l'altare fino a raggiungere la statua della Madonna e ne baciano il manto. E' uso poi recarsi all'estremità del piazzale antistante la cappella e gettare delle monetine sulla Ciamba re cavallo, un grosso monolite, distante qualche metro dal costone, come buono auspicio per ritornare al santuario l'anno successivo. I riti del ritorno sono pervasi inizialmente da una sorta di malinconia per dover lasciare la Madonna; ma lungo la strada tutti si lasciano andare come in una allegra scampagnata; mentre nell'ascesa il cammino era composto e in tono penitenziale. Molti strappano qualche ramo che porteranno nei campi per propiziare buoni raccolti.

La Madonna della Stella

Il pellegrinaggio alla Madonna della Stella si esplica la domenica successiva al 15 agosto ed è praticamente in gran parte legato ai fedeli della parrocchia di Omignano. La strada rotabile, costruita di recente per servire la base radar, ha contribuito non poco ad allargare l'afflusso di visitatori e di devoti che ormai vi giungono da tutti i paesi delle pendici del Monte della Stella (Cilento Antico). Il santuario è l'unico edificio superstite del centro fortificato di Lucania, che sorgeva sulla vetta della montagna e che a partire dal X secolo si chiamò Cilento. La struttura attuale, frutto di interventi fatti a più riprese nel XVII e nel XIX secolo, poggia sulle basi dell'edificio del 1444 che vi edificò Angelo Sombato, recuperando quanto restava della vecchia cella di S. Marco, caduta in abbandono dopo la distruzione del centro abitato durante la guerra del Vespro (1282-1382). Il pianoro sul quale sorge l'edificio appartiene al comune di Sessa Cilento, ma le cerimonie religiose sono officiate dal parroco di Omignano perché l'ultima famiglia che ebbe il patronato della cappella furono i De Feo, originari di questo centro abitato. I riti sono ridotti ormai alla celebrazione di alcune messe in mattinata; è scomparsa anche la processione di mezzogiorno (tre giri attorno alla cappella lungo il circuito delle vecchie mura ormai abbattute) in quanto è stato usurpato lo spazio sacro con varie recinzioni. Negletta ai più, giace la Prèta Nzitàta, un monolite distante dal costone roccioso (li Mòrge) alla quale si accedeva per lanciarvi sopra qualche sassolino o monetina con un rito simile a quello del Sacro Monte. Qualche bancarella ricorda ancora le antiche accorsate fiere che quivi si tenevano due volte l'anno, il 25 aprile e il 15 agosto, quest'ultima ancora nel periodo tra le due guerre. Indegno per un luogo sacro appare oggi lo stato della cappella, i cui muri sono assaliti da ripetitori di antenne radio e televisive; offensiva l'inerzia degli amministratori locali; preoccupante l'assenza dell'autorità religiosa, naturale - dato lo stato dei beni culturali del Cilento - quella della soprintendenza.

La madonna del Carmine

Il pellegrinaggio al santuario della Madonna del Carmine di Catona, si espleta, oltre che nel giorno della festa, 16 luglio, anche durante la novena. Va segnalato per una delle rarissime presenze dell'Albero della Vita, per la pietra della fecondazione (detta semplicemente `a Prèta) e per la fiaccolata serale. La statua è tenuta nella chiesa madre durante l'anno e viene portata in processione alla cappella il giorno 7, per la novena. La sera della festa si va a prendere la Madonna; la campana della parrocchiale suona a rintocchi continui invitando i fedeli a riunirsi fuori dell'abitato ove si forma il corteo, con in testa un grande stendardo bianco. La cappella, con la luce rimasta accesa dentro per tutto il periodo della novena, resta chiusa fino all'arrivo della processione. Davanti alla porta notiamo l'Albero della Vita e, sulla sinistra La Prèta, dei quali diremo qualche parola più oltre. Quando tutti i fedeli sono entrati, viene aperta la nicchia che custodisce il simulacro; si eseguono i canti tradizionali (che sono gli stessi del Sacro Monte, cambia solo il titolo della Madonna) mentre molti si recano ad attaccare biglietti di cartamoneta su un nastro allacciato alla statua. E' ormai buio quando la processione si ricompone in una suggestiva fiaccolata; esegue prima tre giri attorno alla cappella, passando sempre tra la Prèta e l'Albero della Vita; poi ridiscende in paese e, dopo aver percorso le vie principali, si scioglie sul sagrato della chiesa madre, nella quale i portatori hanno depositato la statua, nella sua nicchia.

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