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    I ritrovamenti che testimoniano una fervente industria litica, legata alla fabbricazione di punte, lame e raschiatoi di tipo gravettiano, fanno ipotizzare che fin dal Paleolitico Superiore gruppi di cacciatori-raccoglitori fossero già semi stanziali nell’attuale territorio di Vasanello. La parte più antica del nucleo abitativo vero e proprio viene invece fatta risalire al periodo etrusco-falisco (VI e V secolo a.C.), epoca a cui risalgono anche i reperti ritrovati ad inizio Novecento in località Campo Morto, ora custoditi presso il Museo Archeologico di Firenze. E’ inoltre possibile che la famosa Battaglia  del lago Vadimone tra etruschi e romani(del 309 a.C., ne parlano gli storici romani Tito Livio e Dione Cassio) sia avvenuta non dove comunemente si crede, vale a dire nel territorio di Bassano in Teverina, bensì proprio a Vasanello presso il lago oggi scomparso che si trovava in località Poggio del Lago. Oltre a delle leggende riportate da don Ermenegildo Costanzi nel suo Atti del martirio del glorioso San Lanno (1794), ad avvalorare ulteriormente questa ipotesi esiste una fonte davvero autorevole: la carta dell’Etruria fatta affrescare da papa Gregorio XIII nella Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano. In essa, a ridosso dell’abitato di “Baffanello”, spicca infatti una graziosa macchia azzurra con sopra scritto Lacus Vadimonis.  

Come sia la storia documentata di Vasanello risale al tardo medioevo quando Liutprando, re dei longobardi, donò al papa il territorio destinato a diventare Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Fino ad allora sono comunque frammentarie e poco esaustive le notizie storiche di un certo rilievo e bisognerà attendere il Rinascimento per poter seguire più dettagliatamente la storia di questo borgo fino ai nostri giorni.

Del 1212 è una bolla di papa Innocenzo III che delega al Podestà di Orte l’amministrazione di Vasanello. Sul finire del XIII secolo se ne impadronisce Orso Orsini, a cui viene attribuita la costruzione del primitivo nucleo del castello baronale: una notizia forse inesatta secondo alcune fonti di F. Zeni Buchicchio che testimonierebbero la preesistenza di un pagus fortificato falisco.

Perlopiù avvezzi al mestiere delle armi, ma spesso anche fini eruditi e mecenati, gli Orsini non disdegnarono di circondarsi di filosofi, poeti ed artisti tra i più mirabili dell’epoca: come dimostrano gli affreschi dei loro palazzi romani e quelli delle rocche su cui governarono sparpagliate in tutto l’Alto Lazio. L’usurpazione di Orso Orsini non durò in ogni caso molto poiché, nel 1282, Martino IV lo costrinse a restituire Bassanello al Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Il feudo tornò agli Orsini attraverso Elena (sorella del cardinal Camerlengo Latino Orsini) che lo ereditò alla morte del marito Gentile Migliorati, e da costei, dopo la conferma di proprietà con tutti i diritti connessi da parte di Nicolò V, passò al figlio Ludovico Orsini nel 1452.

Si può comunque affermare che il periodo di maggiore fama per Vasanello inizia poco tempo dopo, nel corso dei tre anni di pontificato di Callisto III (Alfonso Borgia 1455-1458), quando giunse a Roma dalla nativa Spagna una sua procace quanto acuta nipote: Adriana de Mila. Dopo una ridda di amicizie piuttosto affettuose, l’intraprendente fanciulla si maritò infatti con Ludovico Orsini con il quale ebbe un figlio, Orsino, che oltre alla già di per sé traumatica esperienza di perdere un occhio giovanissimo (“Monocolus Ursinus” lo definisce il Burckard nel suo Liber notarum), si ritrovò come madre una delle più sciagurate arriviste che la storia ricordi. Al punto che, quando al soglio pontificio assurse il di lei cugino Alessandro VI (Rodrigo Borgia 1492-1503), come noto non esitò a servirgli i favori della nuora Giulia Farnese sopra un piatto d’argento.

Che strano e ingrato destino è stato quello di Giulia la Bella: da più potente donna del primo Rinascimento, che catalizzò intorno a sé tutto il bel mondo della Roma borgiana approfittando dell’invaghimento senile di Alessandro VI, a malinconica signora del feudo di Carbognano dove morì pressoché dimenticata nel 1524. Ultima dei cinque figli di Pier Luigi Farnese e Giovannella Castani - che in quanto ad opportunismo dimostrerà di essere perfettamente all’altezza della consuocera - Giulia nacque a Capodimonte nel 1474. Appena tredicenne, nel 1487 si fidanzò con Orsino Orsini con il quale convolò a nozz e nel 1489: ad officiarle fu proprio l’allora cardinale Rodrigo Borgia. Come si diceva, per soddisfare l’arrampicata sociale delle rispettive famiglie Giulia fu presto spinta da suocera e madre a soddisfare i pruriti del simoniaco papa Borgia - di quarantaquattro anni più grande di lei - ottenendo così in cambio, per i Farnese, oltre al cappello cardinalizio per il fratello Alessandro anche le Legazioni di Viterbo e delle Marche. Di contro, all’abbastanza consenziente marito e ai guelfi Orsini in generale, toccarono quelle cariche e finanziamenti necessari per ottenere la supremazia sull’altra potente famiglia dei Colonna, ghibellini e loro irriducibili nemici di sempre. Si può quindi ben capire che in quest’ottica Giulia fu sostanzialmente una “vittima” sacrificata sull’altare di enormi interessi. Un tramite che, assolto il suo compito, divenne addirittura motivo di imbarazzo per quel fratello cardinale e poi papa che molto le doveva, (Alessandro Farnese salì al soglio pontificio nel 1534 col nome di Paolo III) ma che alla sua morte non esitò a cancellarne la memoria da tutte le opere che la ritraevano. Infatti, nonostante la Venere Papale sia divenuta il sinonimo stesso della bellezza, di lei non ci è pervenuto alcun un ritratto.

Questo excursus intorno a Giulia Farnese è stato necessario per introdurre l’edicola sacra, incastonata nel portico esterno della chiesa della Madonna delle Grazie, nella cui certosina cornice di stucchi è affrescata una Madonna con Bambino benedicente di squisita fattura.

 

Edificata senza alcuna pretesa architettonica nel XIII secolo, la chiesa è però ornata da affreschi pregevoli del XVI secolo fino ad oggi un po’ troppo genericamente attribuiti alla scuola del Perugino: e più precisamente ad Antonio del Massaro detto il Pastura. Ebbene, dopo lunghi approfondimenti del sottoscritto peraltro autorevolmente suffragati (A. Zuccari: Il 400 a Roma e nel Lazio - 1983 p. 230), è da escludere che il Pastura abbia a ché vedere con gli affreschi in questione. Esiste al contrario la concreta possibilità che l’affresco incastonato nell’edicola sia stato realizzato addirittura dal giovanissimo Raffaello Sanzio sotto la supervisione di Pinturicchio nel 1495. Non solo, ma dopo un accurato raffronto tra il volto della madonna dell’edicola e quello, straordinariamente somigliante, di una delle figure femminili rappresentate nella pala della Madonna dei raccomandati (conservata presso il museo Diocesano di Orte),

 per tutta una serie di considerazioni - qui non approfondibili per questioni di spazio - non è azzardato ipotizzare che a prescindere dalla comunque difficile attribuzione dell’opera, l’affresco rappresenti quasi sicuramente colei divenuta il sinonimo stesso della bellezza del primo Rinascimento: Giulia Farnese. Il cui sfortunato marito Orsino, tornando alla storia documentata di Vasanello, morì in circostanze poco chiare sotto il crollo di un solaio del castello il 31 luglio del 1500.  

Nel 1504 viene sepolta a Basanello Geronima Farnese assassinata dal figliastro Giovanni Battista Anguillara. In occasione delle nozze con Laura Orsini (figlia quasi sicuramente di Giulia Farnese e Orsino Orsini…) nel 1505 il feudo di Bassanello passa a Nicola Della Rovere e alla morte di questi, nel 1534, al figlio Giulio che a sua volta lo lascerà in eredità alla sorella Elena la quale, sposa di Stefano Colonna, chiude il ciclo dei Della Rovere a Basanello. Da allora il paese rimase ai Colonna fino al 1700, passò quindi ai Colonna-Barberini di Sciarra che lo mantennero fino alla caduta dello Stato Pontificio. Al principio del Novecento i beni feudali passarono alla Banca d’Italia che in seguito li girò all’Università Agraria, con l’eccezione del castello che nel 1907 fu acquistato da monsignor Luigi Misciattelli che lo tramandò poi al nipote Paolo Misciattelli. Particolarmente rilevante è stata la figura di quest’ultimo nell’ambito del rilancio di un’attività a cui Vasanello deve addirittura il proprio nome: quella dei vasai.

Fino agli inizi del Novecento a mantenere viva la manifattura delle “pignatte” furono principalmente le piccole botteghe di artigiani. Si deve ad Armando Bonifazi il primo tentativo, nel 1905, di elevarne la produzione a rango industriale. Ma qualche anno dopo la mancata realizzazione dell’originario progetto della linea ferroviaria Orte-Civitavecchia, che prevedeva una stazione nelle immediate vicinanze dello stabilimento, e il taglio degli investimenti civili a favore di quelli bellici - la prima guerra mondiale era alle porte - ne decretarono il fallimento. Ironia della sorte fu proprio la penuria di articoli civili, nel corso della seconda guerra mondiale, a convincere il marchese Paolo Misciattelli (peraltro chimico di livello internazionale) a riprovarci nel 1944. Iniziava così una vera e propria epoca d’oro, che vide collaborare al progetto alcuni tra i più grandi artisti del tempo: uno su tutti Renato Guttuso. Grazie anche al faentino Giovanni Massari, il marchio della ceramica Vasanellese varcò i confini nazionali guadagnandosi le commesse di prestigiose firme, tanto che nei primi anni Settanta la definitiva consacrazione sembrava ormai cosa fatta. Ma purtroppo, invece, la stella del marchese Paolo Misciattelli iniziava proprio allora la sua parabola discendente e nel 1978 la ceramica chiuse i battenti. L’attuale proprietaria del castello è la figlia donna Elena Misciattelli che, con grande gusto, ne ha da poco avviato il restauro.  

Ai nostri giorni il tentativo di rilanciare il settore dell’antica manifattura passa attraverso i tentativi della famiglia Perugini, che già da qualche anno ha avviato una promettente industria rigorosamente artigianale. E’ inoltre al vaglio dell’Amministrazione comunale un progetto museale innovativo che ipotizza una polistruttura con sede centrale (il museo civico) correlata da percorsi di visita alle vecchie fornaci, ai siti archeologici e alle cave di argilla. Particolare attenzione nel progetto - calato nelle linee programmatiche di riferimento regionali - è dedicata alla didattica e alla funzione comunicativa pensata su basi interattive con il coinvolgimento attivo degli ultimi  “cocciari”.

 

Ardelio Loppi

            

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