Ai
miei bei tempi, quando giravo come regista un film dopo
l'altro, se non sbaglio erano gli anni dal 1967 al... a... a
qualche anno fa... dicevo che allora non c'erano i voli
diretti: Roma-Tokyo, Roma-Hong Kong, etc. Nel 1974-75 c'era la
guerra in Vietnam e gli aerei dovevano tenersi molto alla
larga da quella zona per cui dovevano fare diversi scali, fra
i quali Bangkok, città che adoro. Approfittavo spesso,
dovendomi fermare per forza in quella splendida città, per
girare delle scene dei miei film dei Supermen.
Non
ricordo con esattezza, ma credo che fosse per Crash!
Che botte che a Bangkok organizzai una scazzottata in una
stradina tipica della città con sfondo di pagode. Contattai
quattro o cinque atleti della boxe thailandese, quella
in cui i pugili si combattono mani e piedi. Lotta terribile in
cui, quasi sempre, il perdente esce in barella. Pregai quei
campioni che, essendo un film, non dovevano farsi male,
dovevano solo fingere di picchiarsi. Chiesi se conoscevano un
occidentale, un bianco insomma, esperto in arti marziali. Mi
dissero che c'era un inglese appassionato di quello sport che
si allenava nella loro palestra. Spiegai loro la scena che
dovevano girare, combinai il prezzo e l'indomani,
puntualissimi, arrivarono nel luogo da me scelto: una stradina
con pochissimo traffico e un bellissimo fondale. Mancava solo
l'inglese.
Arriverà,
mi dissero. Pizzai la macchina da presa e per l'ultima volta
mi raccomandai di non farsi male. Cominciai a fare delle prove
ma non essendo degli stuntmen si picchiavano davvero.
Decisi allora di girare e proprio allora arrivò il bianco che
si unì alla scazzottata. Fantastico! Era proprio bravissimo!
Accusava i colpi in maniera perfetta. Lo sbattevano a terra,
lo facevano volare da uno all'altro, lo riempivano di pugni e
calci.
Anche
lui reagiva bene ma alla fine, come era nei miei programmi,
cadde a terra K.O. Diedi lo stop e mi congratulai con loro.
Andai verso il bianco ancora sdraiato a terra. Gli dissi che
era finito, che poteva rialzarsi.
Ma
quello niente, giaceva a terra sanguinante. Solo più tardi
venni a sapere che quel tizio era un turista danese che non
c'entrava niente. Passava per caso da lì e fu aggredito.
L'avevano
scambiato per l'inglese.
Il
terrore corre sul filo
Ero
in villeggiatura con la mia famiglia a Porto Santo Stefano e
non avendo il telefono nella villa che avevo preso in affitto,
quando occorreva, telefonavo da un noto ristorante.
Quella
volta, di ritorno da Hong Kong dove avevo girato il film Crash!
Che botte (un film comico sulle arti marziali) dovevo
telefonare a Roma al mio amico Nico Fidenco per dettargli le
parole della canzone leit motiv della colonna sonora
del film. Il ristorante era pieno di gente e, dato il brusio,
dovevo parlare ad alta voce, quasi urlare. Fra le molte parole
del testo c'erano: "Ti rompo, ti spezzo, ti sgozzo, ti
caccio due dita negli occhi, t'infilo in bocca i
ginocchi...". [alla fine dello speciale il testo
della canzone, N.d.r.]. Passavano i camerieri con piatti e
bicchieri e mi guardavano con occhi sbarrati.
Anche
qualche cliente mi fissava a bocca aperta.
Io,
imperterrito seguitavo: "Ti stroppio, ti sgrugno, ti
faccio nel ventre un traforo, ti sporto budella e piloro,
etc.".
Quando
tornai al mio tavolo, seguito dagli sguardi sbigottiti dei
clienti, stranamente i camerieri accorsero da me molto più
gentilemente del solito.
Last
days of pompei
Quando
gli americani vennero a girare a Roma, a Cinecittà, i primi
film, noi italiani eravamo considerati come carne da cannone.
Venivano impiegate solo comparse, cavallari, sarte, capigruppo
e basta. Manovalanza insomma. Molto considerati e apprezzati
erano invece i costruttori di scene, gli architetti, gli
scultori, i costumisti; ma gli attori, dai protagonisti a
quelli di ruoli secondari erano tutti americani, così come i
tecnici: operatori, truccatori, capi macchinisti ed
elettricisti, etc. Per gli americani era una pacchia perché
in confronto alle loro alte tariffe le spese qui in Italia si
limitavano a poche migliaia di dollari (esclusi gli attori
logicamente). Ben presto si ricredettero e quando capirono che
oltre alle maestranze e alle comparse avevamo tecnici e attori
di grande valore, le cose cambiarono. Vedi Ben Hur,
Cleopatra, I dieci comandamenti, Vacanze romane, etc.
Ma
torniamo a Gli ultimi giorni di Pompei. Nel famoso ed
enorme Teatro 5 di Cinecittà era stata allestita una
gigantesca costruzione: il Vesuvio e sullo sfondo e l'antica
Pompei sotto. Il regista faceva tradurre dall'interprete cosa
e come dovevano comportarsi le centinaia di comparse. Gli
attori, gli acrobati e gli addetti agli effetti speciali,
tutti americani, sapevano già tutto. Erano state piazzate
cinque macchine da presa nei punti più importanti della scena
in modo che poi, in montaggio, ogni particolare venisse
evidenziato. Per eccesso di sicurezza e per non mortificare
troppo i poveri italiani fu messo un operatorino sul punto
più alto del teatro, tanto per fare, con la macchina fissa,
un totale. Ormai tutto era pronto. Il regista col suo megafono
chiese alla macchina da presa numero uno: "Camera
numer one, ready for shooting?". "Ready"
rispose l'operatore. "Camera numer two?". "Ready"
e così via sino alla macchina da presa numero cinque. "Motor"
tuonò il regista. "Roll'em" risposero in
coro i cinque operatori. L'operatorino italiano,
concentratissimo, era pronto col dito sulla levetta della
messa in moto della cinepresa. "Action" urlò
il regista. Il Vesuvio cominciò a eruttare, la lava scendeva
dal cratere, lapilli incandescenti schizzavano da ogni parte.
Sotto la terra cominciò a tremare e poi a spaccarsi. Le
comparse, urlando, scappavano. Acrobati e cavalli venivano
inghiottiti nelle ampie crepe del terreno. Case e templi
crollavano addosso agli stuntmen. Una scena veramente
apocalittica. Finalmente il regista diede lo stop. Era
entusiasta. Chiese al primo operatore: "Come è
andata?". "Male! Un cavallo cadendo mi ha rovesciato
la macchina da presa". "La seconda macchina?".
"Niente... mi si è inceppato il motore...".
"Il terzo operatore?". "Accidenti! Un lapillo
mi ha centrato in pieno l'obiettivo che si è spaccato!".
"Quarta macchina?". "Una comparsa scappando mi
ha staccato il cavo della batteria". "Quinta
macchina?". "Tutto sfocato! Le vibrazioni del
terreno hanno spostato la messa a fuoco". Il regista
stava per piangere dalla disperazione. Per rincuorarlo l'inteprete
gli disse: "C'è ancora l'operatore italiano... Chiedo
a lui come è andata". Lo chiamò: "Ehi,
tu?!". "Io sono sempr pronto dottò, quando
vuole!".
Ringrazio
di cuore i signori Massimo F. Lavagnini e Carmelo Clemente di
Catania.
Dalla
colonna sonora del film Crash! Che botte
Regia
di Bitto Albertini
Musica
di Nico Fidenco - Parole di Bitto Albertini
Sono
Ping Pong, il furore di Hong Kong
picchio,
strappo, spezzo e faccio male.
Sono
Ping Pong, il più temuto di Hong Kong
io
non mando mai all'ospedale
solo
al forno crematorio o qualche volta all'obitorio.