Regia
Ettore Scola Soggetto
e sceneggiaturaEttore
Scola, Age & Scarpelli FotografiaClaudio
Cirillo
MusicaArmando Trovajoli Interpreti Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Giovanna Ralli, Aldo Fabrizi, Ugo Gregoretti, Mike Bongiorno, Marcello Mastroianni, Federico Fellini Durata121'
Trent'anni di vita italiana, dal 1945 al 1974, attraverso le vicende di tre amici, ex partigiani: un portantino comunista
(Manfredi), un intellettuale cinefilo di provincia (Satta Flores) e un borghese arricchito
(Gassman). S'incontrano a varie riprese, rievocando speranze deluse, ideali traditi, rivoluzioni mancate.
Il più bel film di Scola. Certo, ce ne
sono altri più "eleganti" e raffinati,
architettonicamente più armoniosi e coerenti: lo splendido Una
giornata particolare, o il bellissimo e dolcissimo La
famiglia, ma nessuno, forse, ha la stessa profonda umanità,
la stessa vivacità narrativa, la stessa sincera "verità"
di C'eravamo tanto amati. Nelle vicende dei tre ex
partigiani, non c’è solo, essenziale, la storia d’Italia
degli anni ’50 e ’60: c’è anche, autentica e semplice,
la "storia" di tutti noi, delle nostre ipocrisie,
dei nostri compromessi e dei nostri valori quotidiani. Scola
racconta il suo affetto per la gente, e per il suo paese,
racconta gli errori, le cattiverie, ed anche i beaux gestes,
ma racconta soprattutto il semplice "eroismo" di
ogni giorno, di chi non si fa troppe domande e "tira
avanti" costruendo faticosamente ma "con giustizia"
l’esistenza sua e della società che lo circonda. Sono rari,
nel cinema e fuori, simili atti d’amore per la gente comune.
Narrativamente "semplice" e discorsivo, il film si
impenna in quel magico finale "metafisico", quasi un
richiamo ultimo e sobrio alla meditazione ed alla riflessione.
Che dire degli attori? C'eravamo tanto amati dimostra
ancora una volta che non esistono cattivi attori ma solo
cattivi registi. O meglio: che esistono sì attori "mediocri",
ma che anch’essi, tra le mani di un artista autentico,
riescono ad esprimere il meglio di se stessi, ad essere, per
lo meno, utili strumenti artistici. Questo vale per Nino
Manfredi – abitualmente "cantore" della vocazione
tutta italiota alla volgarità plebea – e che invece qui dà
vita ad una "autentica" figura di proletario; per
Stefania Sandrelli, il cui unico contributo al cinema italiana
sono state le esibizioni di tette e culo, e che qui viene
abilissimamente utilizzata per creare il personaggio di una
creatura sciocca (che è quel che è) ma non cattiva; e per
Stefano Satta Flores, ottimo attore, invece, ma "minore",
che di rado è stato valorizzato come in questo film. Ho
lasciato per ultimi Vittorio Gassman e Aldo Fabrizi. Il primo
perché, lo confesso, nei suoi confronti non riesco ad essere
obiettivo: l’ho amato come pochissimi altri attori nella mia
vita, e qui egli dà l’ennesima prova della sua immensa
sapienza artistica. Il secondo perché qui ha dimostrato
ancora una volta – vecchio e malato, a pochi anni dalla
morte – quale grandissimo e sensibile attore fosse,
nonostante pochissimi registi se ne fossero resi conto
(occorre ricordare la sua sublime interpretazione del prete in
Roma città aperta?), e fosse invece sempre stato
utilizzato per particine al limite del farsesco e del
caricaturale. Permettetemi di concludere con una cattiveria:
se i giovani artisti del cinema contemporaneo italiano –
Pieraccioni, Muccino ed altri, ed anche l’Archibugi – se
li riguardassero, ogni tanto questi vecchi film, forse ci
risparmierebbero le loro insopportabili masturbazioncelle
psicoesistenziali, e il cinema italiano recupererebbe quei
contenuti alti che ha avuto e può ancora avere. (Corà)