L'evoluzione
del vampiro cinematografico (da Nosferatu a Horror
of Dracula)
di
Alessia Di Cintio
Dracula
il vampiro (1958)
Snobbato dalla Universal, ridotto a macchietta comicae relegato in filmetti poco significanti, il ConteDracula sembrava aver perso ogni dignità e interesse
cinematografico. A toglierlo da questa situazione imbarazzante
ci penserà una casa di produzione inglese specializzata in
film horror gotici: la Hammer. Dopo mesi di trattative
con la Universal, la Hammer ottenne i diritti per la
realizzazione di una propria versione di Dracula. Nel 1958 uscì
nelle sale Draculail
vampiro (più conosciuto con il titolo dell’edizione
americana Horror of Dracula).
A dirigere la pellicola, Terence Fisher che nel ’56, per la
stessa casa, aveva ridato vita al mito di Frankestein (La
maschera di Frankestein). Il suo Dracula si allontanava
definitivamente dalla riduzione teatrale di Balderston-Dean
per riavvicinarsi all’originale letterario. Ad impersonare
il Conte, fu chiamato l’inglese Christopher Lee che già
aveva lavorato con Fisher nel Frankestein, dando
un’ottima interpretazione della creatura. Lee riuscì a
rinnovare l’immagine collettiva della figura di Dracula,
offuscando quella di Lugosi.
Lee
venne scelto più per la prestanza del suo fisico e una
bellezza leggermente demoniaca, che per l’espressione del
viso o la mimica, sostanzialmente fredde e inespressive. La
sua imponente altezza (1,90 m), il fisico asciutto, i
lineamenti severi, la maestosità dell’incedere, la
padronanza dei movimenti sempre misurati ed essenziali,
retaggio degli studi di danza e mimo, ne facevano il Dracula
più vicino in assoluto al fiero condottiero valacco, al
principe delle tenebre descritto da Stoker; e lo distinguevano
nettamente dal suo predecessore cinematografico, leggermente
più basso, rotondetto e dalla recitazione troppo teatrale.
Naturalmente l’interpretazione di Lugosi fu un riferimento
importante per la nuova identità del vampiro, ma Lee riuscì
a non lasciarsi influenzare. Ne adottò solo l’eleganza e lo
charme, i capelli pettinati all’indietro e le
sopracciglia arcuate, ma eliminò del tutto l’accento
straniero, l’ambiguità dello sguardo, persino lo smoking
e il cappello a cilindro. In Dracula in vampiro, il
Conte appare come un tranquillo e posato gentleman inglese,
molto colto e raffinato e sempre impeccabilmente vestito.
Quando lo vediamo per la prima volta, siamo colpiti dalla sua
normalità. Appare in cima ad una scalinata del suo castello:
è in ombra, non riusciamo a scorgere nulla del suo aspetto.
Con un campo lungo la mdp ci fa assistere alla sua tranquilla
discesa, scalino per scalino: è in controluce, non lo si vede
ancora distintamente. Mentre si avvicina al centro della
scena, la tensione cresce, anche grazie ad un sapiente uso
della colonna sonora: ci immaginiamo qualcuno dall’aspetto
spaventoso, terrificante, e ci mettiamo all’erta. Invece, ecco presentarsi un uomo
di bell’aspetto, dai modi aristocratici che, in perfetto
inglese di Oxford, dà il benvenuto al protagonista e si
premura di metterlo a suo agio. Tiriamo tutti un respiro di
sollievo. Ma l’effetto di shock e spiazzamento èriuscito perfettamente. Abituati a scorgere dai
precedenti vampiri degli elementi, anche minimi, di anormalità
e stranezzache
ci lasciavano presagire il pericolo, stentiamo a credere,
insieme al protagonista, che quest’uomo così affabile e
rassicurante possa essere allo stesso tempo un efferato e
sanguinario assassino.
Le scene in cui la mostruosità
del Conte si rivela, hanno un forte impatto emotivoproprio perché sono inaspettate. Quando la sete di
sangue si risveglia si risveglia improvvisa, il suo aplomb aristocratico
è scalzato da una selvaggia animalità che lo induce a
soddisfare immediatamente i più bassi istinti. Visivamente
assistiamo ad una metamorfosi: gli occhi diventano rossi,
iniettati di sangue; dalla bocca sporca di sangue escono due
lunghi canini affilati simili a zanne; il perfetto inglese
lascia il posto a ringhi sordi da bestia.
A differenza di Browning,Fisher cimostra
esplicitamente, senza porsi problemi,di cosa questo mostro è capace: vediamo il vampiro acquisire una
forza sovrumana e ribaltare tavoli, sfondare porte, scagliare
contro i muri chiunque tenti di fermarlo. Seduce apertamente
le sue vittime e si getta vorace sui loro colli succhiandone
il sangue con un piacere quasi sessuale. Anche la scena della
distruzione del vampiro (anch’essa solo suggerita in
Browning) ci viene mostrata apertamente ed è anche un
riassunto dei mezzi usati per distruggere un non-morto.
Dracula è al culmine della sua mostruosità, sta cercando di
uccidere il dottor Van Helsing. I due sono in biblioteca. Il
dottore sta per soccombere, quando riesce a prendere due
candelabri e a formare con essi una croce; alla sua vista il
vampiro si arresta e, sibilando come un serpente, inizia ad
indietreggiare. Van Helsing fa in modo che si avvicini alla
finestra, poi strappa in un sol colpo il pesante tendaggio. I
raggi del sole colpiscono in pieno Dracula: lo vediamo
consumarsi come un tizzone nel fuoco, prima la pelle, poi la
carne, infine lo scheletro. Alla fine non resta altro che un
mucchietto di polvere. Fisher non lascia nulla
all’immaginazione.L’uso
del colore rende queste scene ancora più forti: se il bianco
e nero nel Dracula precedente suggeriva un’atmosfera irreale
e quasi fantastica, il colore vivo usato da Fisher proietta il
mito nella cruda realtà. Vediamo finalmente il sangue
scorrere copioso e di un rosso vivo: ci ripugna, storciamo il
naso, ci spaventa ma, accidenti, è così reale!
L’esplicito è usato da Fisher anche per mostrare la
componente erotica del mito vampirico. Egli va oltre i pudici
scambi di sguardi e le titubanze della protagonista del film
di Browining. Il suo vampiro incarna l’erotismo e la
sessualità allo stato puro, primordiale. Le vittime gli si
concedono senza remore, palpitano e fremono, provano un
piacere carnale quando vengono morse. L’atto vampirico
diviene apertamenteil
simulacro dell’atto sessuale. Esemplare in questo senso è
la scena in cui Lucy attende la venuta del Conte. La vediamo
adagiatanel suo
letto e sofferente. Solo di notte riprende energia e si anima.
Assistiamo a dei febbrili preparativi: toglie l’aglio, apre
le finestre e si sfila il crocifisso con un gesto simile a
quello di una donna che si tolga un indumento che potrebbe
intralciare gli approcci dell’amante. Poi si stende sul
letto e attende trepidante il suo seduttore, il suo amante
infernale: Dracula.
La
pellicola,nonostante le avversità della critica, riscosse un
enorme successo soprattutto tra i giovani inglesi
dell’epoca.Vennero prodotti nel decennio ‘60-’70, altre
sei pellicole con Lee come protagonista. A differenza diLugosi,
l’attore inglese riuscì a non lasciarsi intrappolare da suo
personaggio e a dimostrare che, prima ancora di essere
l’icona del vampiro, era ed è ancora un grande attore.
Sessualità
e violenza mostrate in modo esplicito, sangue che scorre a
fiumi, un mostro così affascinante e pericoloso da poter
essere accolto fiduciosamente in casa, atto vampirico come
metafora dell’orgasmo. Elementi che attiravano un pubblico
desideroso di emozioni forti, più smaliziato rispetto a
quello degli anni passati; un pubblico per il quale il sesso
cominciava ad essere non più un tabù o qualcosa per cui
scandalizzarsi.
Il film
aprì la strada a tutto un nuovo filone di pellicole dedicate
al principe vampiro e al suo popolo. Dracula pose
definitivamente le regole e i canoni per la rappresentazione
del vampiro. D’ora in avanti qualsiasi vampiro,
cinematografico e non, che si chiami Dracula o meno, sarà
mostrato come Lee e Fisher lo avevano dipinto rendendolo unico
e perfetto. E avrà quegli aguzzi lunghi caniniche Stoker non aveva previsto ma che non nuocciono alla
nobiltà della sua creatura.
i
figli del conte
Sull’onda
del ritrovato interesse del pubblico per le storie di vampiri,
che le pellicole della Hammer aveva suscitato, soprattutto nel
decennio ‘60-’70, anche in altri paesi vengono prodotti
film horror vampirici. InMessico, in Italia, Spagna e in altri paesi europei,
vengono prodotti film ispirati a Dracula o ad altre leggende e
opere letterarie sui vampiri. Le spesso esili strutture
narrative non riuscivano a nascondere il fatto che queste
pellicole ricalcavano letteralmente lo stile del Dracula
hammeriano. Il vampiro protagonista era identico a quello di
Lee, quasi un suo clone: stesse movenze, stesso aspetto (si
cercava il più possibile di avere attori con una prestanza
fisica vicina a quella di Lee) stesso modo di mostrarela brama di sangue, la violenza e la sensualità del
non-morto. Il fineprincipale
di questi prodotti era accontentare il gusto del pubblico e
guadagnarci il più possibile: erano in fondo dei prodotti
commerciali senza pretese. Col tempo, però, la qualità di
tali film andò sempre più diminuendo. La violenza sempre più
gratuita ed efferata, le scene di sesso sempre più spinte
esplicite e morbose (che sfociano nel porno-soft quando
protagoniste sono delle provocanti vampire), retrocessero il
genere a squallidi filmini di serie Z, che non avevano più
nulla di interessante e coinvolgente. Il conte aveva perso
ogni sua attrattiva, ogni suo fascino.
Dovremo
aspettare il 1992 perché il Conte riemerga dal limbo e torni
ad ammaliarci. Sarà il regista Francis Ford Coppola a farlo
risorgere nella forse più fedele trasposizione del romanzo di
Stoker: Bram Stoker’s
Dracula. Tornano le atmosfere vittoriane, tornano le
origini storiche del vampiro e, naturalmente, ritorna lui, il
principe della notte, al culmine del fascino tormentato da
eroe romantico. Coppola ce lo mostra come lo aveva immaginato
il suo autore: appare per la prima volta con i baffi e,
all’inizio del film, ci viene mostrato come una persona
anziana, aspetti questi che i precedenti film avevano omesso.
Naturalmente sono presenti gli elementi che, dopo Christopher
Lee, sono divenuti irrinunciabili per ogni vampiro che si
rispetti: i canini e gli occhi iniettati di sangue e
l’irresistibile sensualità. Unica novità apportata da
Coppola alla struttura del romanzo è la storia d’amore tra
Dracula e Mina. Assente nell’originale letterario, questo
amore tormentato e che sopravvive al passare dei secoli dona
al vampiro una caratteristica in più: quella dell’anima
tormentata, imprigionata in un corpo dannato. Un essere che è
diventato quello che è per ribellione a Dio sì, ma una
ribellione causata da un dolore troppo forte, e che anela solo
a ritrovare la pace.
I
film sui vampiri più recenti hanno forse sentito il bisogno
di affermare una propria individualità e indipendenza
rispetto a quelli precedenti.Tuttavia,
essi sono spesso altamente consci dei loro predecessori: vi
attingono, ne modificano alcuni aspetti, ne fanno la parodia ,
li “ricreano” o li rifiutano in toto
aggressivamente. Ogni nuovo film sui vampiri si impegna in un
processo di familiarizzazione e differenziazione, rivolgendosi
a spettatori che già “conoscono” i vampiri, e offrendo
spunti di diversità (nella storia, nel look del
vampiro, ecc.) sufficienti a conservare la novità.
Ecco
allora che abbiamo le innocenti parodie: Dracula morto e
contento (Mel Brooks, 1995); i cocktail tra horror
e commedia: Amore all’ultimo morso (John Landis,
1992) e Vampiro a Brooklyn (Wes Craven, 1995); abbiamo
anche vampiri che si trasformano letteralmente in mostri, che
non si sa da dove vengano, senza una personalità, malvagi
allo stato puro: Dal tramonto all’alba (Robert
Rodriguez, 1995) e Vampires (John Carpenter, 1998).
Ma
la pellicola più interessante, quella che ha mostrato il vero
vampiro moderno è stata, a nostro avviso, Intervista
col vampiro(Interview with the vampire, 1994) del
regista irlandese Neil Jordan. Il filmè tratto dal romanzo omonimo di Anne Rice, autrice di
una intera saga di romanzi vampireschi. Non potendo scostarsi
dall’iconografia ormai definita del vampiro, il romanzo, e
di conseguenza anche il film apportano delle novità dal punto
di vista della complessa personalità delle loro creature. Il
vampiro protagonista, Louis, prima era un essere umano, ha
accettato di ricevere il “dono oscuro” (così definisceil vampirismo) perché un grande dolore gli aveva tolto
la voglia di vivere. Ma, una volta rinato come vampiro inizia
per lui un tormento tutto diverso e più profondo: ancora
legato al cordone ombelicale della sua vita terrena, non
riesce ad accettare di dovere uccidere altre persone per poter
sopravvivere; non riesce a darsi un posto nell’ordine
dell’universo: non sa chi è diventato, cosaè diventato e vorrebbe sapere chi ha causato la
nascita della sua gente. Lo osserviamo vagare per le strade
senza una meta, triste dilaniato dall’incertezza. Il suo
compagno, al contrario, non si pone tante domande e scrupoli:
usa le persone come fonte di cibo e si gode la sua vita eterna
seducendo fanciulle e ingannando sperdute famigliole che lo
accolgono a casa loro (una versione più giovane del vampiro
di Lee?).
La teoria della Rice, che Jordan trasmette nel film, è che i
vampiri non sono molto diversi da noi: soffrono, amano
“vivono” come fanno gli uomini. Si mescolano alla folla
per poter passare inosservati e colpire; sono anonimi ma
quando te li trovi davanti non resisti alla loro bellezza e
alla loro malìa. Il loro vero potere non è tanto la forza
sovrumana che possiedono o i sensi più sensibili rispetto ai
“vivi”; il loro potere è la capacità di adattarsi al
cambiamento delle epoche.
All’eredità
“genetica” del vampiro di Stoker, di Lugosi e di Lee,
queste creature hanno aggiunto le preoccupazioni e le
inquietudini della modernità, rendendo il vampiro ancora più
attraente, vicino a noi, più pericoloso. Veramente immortale.