Perché non ho
mai visto un film di Almodóvar e ho soltanto letto le
recensioni sui giornali e visto le foto nelle riviste
di
Giuliano Corà
Perché?
Beh, perché la trama-tipo di un film di Almodóvarè questa.
“Un
nano paraplegico, mentre sta percorrendo un sordido vicolo di
periferia raccogliendo preservativi usati (che poi gonfierà
personalmente per farne palloncini, che regalerà a suo
figlio, nato da una fecondazione artificiale, in quanto lui è
impotente, effettuata sulla donna baffuta, che lavora nel suo
stesso circo), viene trascinato in un angolo buio e violentato
a sangue da un cammello, a cui riesce però, nella
colluttazione, a strappare a morsi un testicolo. Umiliato e
disperato, il nano si trascina nella sua roulotte (che lui ha
piazzato lungo la tangenziale, nella speranza di ritrovare un
giorno sua madre, una famosa prostituta fuggita tanti anni
prima con un camionista feticista affascinato dai suoi
vibratori), ma, entrando, scopre la donna baffuta impegnata in
un’orgia assieme al pitone, due lesbiche sieropositive e un
lebbroso: il suo bambino, a cui lui voleva regalare i
palloncini fatti coi preservativi amorosamente raccolti e
gonfiati, sta filmando la scena in digitale per rivendere poi
la cassetta al mercato del porno amatoriale. Sconvolto, il
nano fugge e si rifugia in una gabbia dello zoo, dove masturba
il gorilla in cambio di qualche banana marcia, suo unico
nutrimento. Un giorno, mentre cammina solo per i viali dello
zoo (sempre in cerca di preservativi usati, che trasforma
ancora in palloncini e poi regala ai bambini che vengono a
visitare lo zoo se gli fanno vedere il pisellino), scorge in
lontananza un cammello con un solo testicolo. Pensando che sia
quello che lo ha violentato, lo segue per vendicarsi. Arrivato
nella gabbia del cammello, il nano gli salta addosso, lo lega
alle sbarre e lo sodomizza con un ananas, ma mentre sta per
ucciderlo soffocandolo infilandogli in gola le sue mutande
(che non si cambia da sei mesi) il cammello riesce a bramire: “Figlio
mio!”. È sua madre che, abbandonata dal camionista, per
disperazione si era fatta fare un trapianto genetico da un
chirurgo di Casablanca, che però, per errore, invece di
trasformarla in mandrillo (come lei desiderava, per potersi
vendicare del camionista inculandolo a sangue), l’aveva
trasformata appunto in cammello. Sconvolti per il
ritrovamento, i due si abbracciano piangendo, ma le maligne
esalazioni delle mutande, che il nano ha dimenticato in un
angolo, li uccidono entrambi, senza che, pietosamente, i due
se ne accorgano. La sera, il custode dello zoo raccoglierà i
due cadaveri per rivenderli al fabbricante di sapone (zio del
nano)”.
Vedrò
mai un film di Almodóvar?
Forse, se magari – è un suggerimento che mi permetto di
offrire al grande regista, e anche ai grandi critici, spesso
di sinistra, che sbavano ed orgasmano davanti ai suoi film –
vorrà un giorno fare un film con una storia più semplice, più
alla mia portata. Per esempio:
“Cappuccetto
Rosso uccide la mamma stuprandola con un attizzatoio, dopo
aver scoperto che le ruba dal panierino le bustine di eroina e
le pastiglie di ecstasy che lei spaccia agli animali
del bosco. Fugge poi nella foresta, dove con le ultime
pastiglie e le ultime bustine rimastele, si abbandona ad una
folle orgia col lupo. Si reca poi alla capanna della nonna,
dove l’aspetta il suo amante, il cacciatore. Questi, che ha
già ucciso la nonna segandola viva sulla sua carrozzella
(citazione di Non aprite quella porta), ammazza anche
il lupo spellandolo ed appendendolo ancora palpitante sopra un
nido di vespe. Finalmente, Cappuccetto Rosso fugge insieme col
cacciatore (che la sfrutterà mandandola a battere senza
preservativo per risparmiare sulla tangenziale, dove lei si
beccherà l’AIDS e morirà sola e disperata)”.