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Alexander Dugin

IL PARADIGMA DELLA FINE

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Lo scontro delle religioni

 

L’ultimo livello su grande scala di riduzione della storia a semplice formula va rinvenuto nella storia delle religioni e delle questioni interconfessionali. Poiché la traiettoria generale del processo storico, che sin dall’inizio individuammo nel paradigma economico, si è dimostrato applicabile ad altri livelli di analisi, confidiamo di trovare il suo analogo anche nella sfera religiosa.

Uno dei poli – Capitale-Occidente-Mare-Anglosassoni – è ricondotto, come si è visto, all’Impero Romano d’Occidente, fonte ed origine di tutte le tendenze gradualmente cristallizzatesi attorno a quel polo stesso.

L’Impero Romano d’Occidente, in senso religioso, è associato al Vaticano, versione cattolica della Cristianità. Conseguentemente, appare logico rifarsi al Cattolicesimo in quanto matrice religiosa di quel polo.

Il polo opposto, “Eurasiatico”, è direttamente associato al “Bizantinismo” e alla Cristianità Ortodossa; se i Russi sono sia la prima nazione cristiana ortodossa, sia gli autori della prima rivoluzione socialista, essi sono anche coloro la cui dimora è l’”Heartland” continentale, categoria assiale – secondo Mackinder – di tutte le forze della Terra. Allo stesso modo che il moderno Occidente liberale è l’esito secolarizzato, generalizzato, modernizzato e universalizzato, del Cattolicesimo, il modello sovietico rappresenta lo sviluppo estremo – altrettanto secolarizzato, generalizzato e modernizzato – dell’Impero Cristiano Ortodosso. Osservando il carattere secondario di tutte le altre religioni del mondo nella questione del dramma escatologico, possiamo applicare il medesimo approccio impiegato nel trattare dell’escatologia etnica.

Le Tradizioni Orientali non sono centrate sull’escatologia, nei loro sistemi non è posto l’accento sul tema della “fine dei tempi” o della “battaglia finale”.

Il punto non è che esse ignorano questa realtà, ma che non vi attribuiscono una posizione centrale, paragonabile al chiaro e primario escatologismo della Cristianità (o dell’Ebraismo). Questa osservazione spiega anche l’assenza di forma escatologica nel nazionalismo dell’Oriente (ne abbiamo discusso in precedenza), giacché ideologie etniche e religiose sono strettamente connesse le une alle altre e concorrono nel definirsi reciprocamente.

Questo schema è del tutto evidente e si adatta bene ai precedenti modelli. Il solo punto che esige un ulteriore chiarimento è la questione del Protestantesimo.

La Riforma fu il momento più pregnante della storia dell’Occidente. Non solo fu un fenomeno a vari livelli, ma consistette in due tendenze rigorosamente opposte, che alla fine diedero origine alle forme polari. Non è questo il luogo per dettagliate analisi teologiche; rinviamo quindi il lettore alla nostra monografia sul tema “Metafisica dell’Annunciazione”.

Ora, un semplice schema.

Il Cattolicesimo – un frammento della Cristianità Ortodossa; in tempi neppur tanto remoti, prima dello scisma, l’Occidente era Cristiano Ortodosso quanto l’Oriente; inoltre, è un frammento deviato e pretenzioso di priorità e completezza.

Il Cattolicesimo è anti-Bizantinismo, ma il Bizantinismo è piena ed autentica Cristianità, in cui è contenuta non soltanto la purezza del dogma, ma anche la fedeltà alla dottrina sociale, politica e statuale della Cristianità. In termini molto generali, possiamo affermare che la concezione cristiano-ortodossa della sinfonia dei poteri (volgarmente detta “Cesaro-papismo”) si riconnette alla comprensione del significato escatologico non solo dell’Impero Cristiano. Da qui la funzione teologica e soteriologica dell’Imperatore, fondata sulla seconda lettera dell’Apostolo Paolo ai Tessalonicesi, argomento della quale è “l’elemento che tiene”, il “kat’echon”. “L’elemento che tiene” è identificato dall’esegesi cristiano-ortodossa con l’Imperatore e con l’Impero Cristiano Ortodosso.

La defezione della chiesa d’Occidente si basa sulla negazione della sinfonia dei poteri, sul rigetto dell’elemento sociale e politico, ma anche, al tempo stesso, della dottrina escatologica della Cristianità Ortodossa. Escatologica – in quanto la Cristianità Ortodossa collega la presenza dell’”elemento che tiene”, che previene l’avvento del figlio della perdizione (l’anticristo), con l’esistenza di uno stato cristiano-ortodosso politicamente indipendente, nel quale il potere temporale (Basileus) e il potere spirituale (Patriarca) stiano in una relazione rigorosamente definita, determinata dal principio della Sinfonia. Pertanto, la deviazione dal paradigma sinfonico bizantino significa “apostasia”, defezione.

Sin dall’inizio – ossia subito dopo lo scisma – il Cattolicesimo assunse un diverso modello al posto di quello sinfonico (cesaro-papista), un modello nel quale l’autorità del Papa di Roma si estendeva a sfere che, nello schema sinfonico, erano di stretta competenza del Basileus. Il Cattolicesimo spezzò la provvidenziale armonia fra dominio temporale e dominio spirituale, e, secondo la dottrina cristiana, cade nell’eresia.

La crisi spirituale del Cattolicesimo divenne particolarmente evidente nel XVI secolo, e la Riforma fu il culmine del processo. Dobbiamo comunque notare che durante tutto il corso del Medio Evo esistettero in Europa tendenze più o meno inclini alla restaurazione del modello corretto in Occidente. Il partito ghibellino dei prìncipi tedeschi Hohenstaufen fu un luminoso esempio di “Cristianità Ortodossa inconsapevole”, una resistenza semi-bizantina all’eresia latina. Già allora, al centro del movimento antipapista, stavano i rappresentanti della nobiltà germanica. Diversi secoli dopo, le stesse forze – i principi tedeschi – appoggiarono Lutero nella sua protesta contro Roma. E’ interessante rilevare che la critica di Lutero a Roma fu molto simile a quella tradizionalmente avanzata dai Cristiani Ortodossi. L’espressione del culto nella lingua nazionale (carattere particolarmente tipico dell’ortodossia cristiana, associato al significato mistico della glossolalia, che a sua volta si concretò nella varietà linguistica delle chiese locali e nazionali), il rifiuto dei dettami della Curia romana, il significato del “kat’echon”, il rifiuto del celibato del clero – tutte queste tesi centrali del Luteranesimo potrebbero essere tranquillamente definite “cristiano-ortodosse”. Diversa è la questione del rifiuto della riverenza verso le icone e del rituale divino, della libertà di interpretazione della Sacra Scrittura, della negazione del carattere sacro del Vecchio Testamento. Nessuno di questi caratteri potrebbe essere definito cristiano-ortodosso; essi rappresentano l’aspetto negativo dell’anti-papismo, che si fondò sull’intuizione spirituale e sulla protesta piuttosto che sulle grandi verità tradizionali della più pura Cristianità Ortodossa. In quanto rifiuto di Roma nel nome della pura Cristianità, la Riforma fu pienamente giustificata. Ma che cosa propose, in sostituzione? Proprio qui sta l’elemento più importante. Anziché richiamarsi alla completa ed autentica dottrina ortodossa, i protestanti seguirono la dubbiosa via dell’intuizione e dell’interpretazione personale. Nelle sue più alte manifestazioni, queste furono le Pleiadi di eccelsi mistici visionari. Ma, anche in quel caso, si restò ben al di sotto dei vertici della Metafisica cristiana ortodossa. Nelle sue manifestazioni peggiori, si ebbero il Calvinismo e la varietà delle sette protestanti estremiste, che della Cristianità non serbarono nulla al di fuori del nome.

Esiste un dualismo fra Lutero e Calvino, fra il Protestantesimo prussiano (e francese, ugonotto) e quello svizzero, in seguito “Vecchio testamento”, Fariseismo, “nomocrazia” del Cattolicesimo, vale a dire la componente giudaico-cristiana del papismo. Ecco perché la Bibbia luterana contiene solo il Nuovo Testamento e il Salterio, respingendo tutti gli altri libri dell’Antico Testamento, considerati incongruenti rispetto all’etica e all’orientamento della tradizione cristiana in genere. Quanto al Calvinismo, esso viceversa pervenne al metodo storicista tipico del Vecchio Testamento, alla sostanziale negazione del carattere divino di Cristo, ridotto al rango di “eroe morale o culturale”. Così, il Calvinismo sviluppò soprattutto le tendenze non ortodosse, in precedenza insite nello stesso Cattolicesimo, mentre la critica di Lutero era volta proprio contro di esse.

Vi furono dunque due tendenze opposte nella Riforma. Una è relativamente anti-cattolica, dal lato cristiano-ortodosso (Luteranesimo). L’altra è anti-cattolica dal lato anti-ortodosso. Il Cattolicesimo – particolarmente diffusosi con rapidità, naturalmente, nei Paesi romani – si trovò così ad essere a mezza via fra due versioni del Protestantesimo, i cui principali veicoli di diffusione furono le nazioni germaniche. I Germano-Prussiani orientali - in origine tribù slavo-baltiche germanizzate – adottarono il Luteranesimo, mentre i Germani occidentali (Anglosassoni) condussero il Calvinismo e le tendenze giudaico-cristiane ai loro estremi.

Così, una versione del Protestantesimo (Calvinismo, fondamentalismo protestante) diventa l’avanguardia del polo Occidental-Marittimo-Capitalista, e l’altra, all’opposto, sembra qualcosa di prossimo ad una branca cristiano-ortodossa (pur lungi dall’essere la vera Ortodossia cristiana) della Cristianità occidentale.

Il nesso fra Protestantesimo e Capitalismo fu brillantemente e dettagliatamente esposto da Max Weber nel suo libro “L’etica protestante”, dove si trova anche una spiegazione delle differenze fra Calvinismo e Luteranesimo. L’esempio è significativo. Il Protestantesimo in Inghilterra conduce alle riforme capitalistiche. Il Protestantesimo in Prussia si limita a rafforzare il sistema feudale. Quindi – conclude Weber – si tratta di due tendenze profondamente diverse. In un’analisi analoga a quella di Weber, il suo discepolo Sombart va oltre, rintracciando le origini del capitalismo non solo nel Protestantesimo, ma persino nei fondamenti stessi della Scolastica cattolica. Oswald Spengler aggiunge osservazioni interessanti sul tema nel suo “Socialismo e prussianesimo”.

Il paradigma dell’opposizione religiosa si definisce nei termini della Cristianità Ortodossa contro il Cattolicesimo e (in seguito) contro il fondamentalismo protestante estremo. In questa antitesi, grande importanza riveste il rapporto esistente, nell’etica religiosa, fra ciò che è di questo mondo e ciò che è dell’altro mondo. L’ideale etico cristiano-ortodosso insiste sulla proporzione inversa fra mondo umano e mondo divino. Il fondamento sta nel Vangelo stesso (“Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori”, “E’ più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago, che un ricco raggiunga il Regno dei Cieli”, e così via), secondo la lezione cristiano-ortodossa ed anche seconda l’etica sociale della Chiesa d’Oriente.

Il benessere mondano è considerato effimero, insignificante, e il progresso nella vita di questo mondo è ritenuto secondario ed essenzialmente irrilevante, a fronte del compito principale del cristiano – guadagnare lo Spirito santo, la salvezza, la trasformazione. Povertà e modestia, sotto questo profilo, non sono una specie di mancanza ma, al contrario, una buona base per la ricerca spirituale; l’ascetismo monastico, il distogliersi dalle questioni di questo mondo, sono visti come la missione suprema.

La sofferenza in questo mondo non è una punizione, ma una gloriosa e santa ripetizione della via di Cristo. Qualcosa dell’altro mondo si palesa in questo, manifestandolo come relativo, insignificante, vacuo, transitorio.

Di qui segue la tradizionale (ma anche relativa, naturalmente) trascuratezza nell’organizzazione della quotidianità, caratteristico della Cristianità orientale. Non è lecito affermare che questo approccio cristiano ortodosso ottenga sempre risultati positivi. Nella sua manifestazione superiore, significa santità, disprezzo per il denaro, pienezza di consapevolezza spirituale, contemplazione. Nelle sue manifestazioni inferiori, parodistiche, implica pigrizia e trascuratezza.

La Chiesa occidentale sin dall’inizio si è contraddistinta per il suo spiccato interesse per le questioni mondane, gli intrighi politici, l’accumulazione e distribuzione della ricchezza mondana, secolare. Il fondamentalismo protestante ha estremizzato questo aspetto, spostando tutta l’attenzione esclusivamente sulle cose terrene. L’etica protestante afferma che la povertà e di per sé un vizio, e la ricchezza una virtù. L’elemento ultraterreno è totalmente dislocato su quello mondano: ricompensa e punizione sono trasferite dall’altro mondo a questo.

Questo fu funzionale all’inconscia spinta a migliorare le condizioni di vita, ma sminuì o negò ogni aspetto contemplativo e meramente spirituale della religione. Da qui gli sforzi per censurare il Nuovo Testamento nei luoghi ove vi si trovino palesi contraddizioni con le tesi estreme dello spirito protestante. Queste forme così opposte di etica, una volta secolarizzate, originarono, da un parte, il socialismo, dall’altra il liberal-capitalismo. In questo quadro, ecco che appaiono i due principali soggetti della storia – la Chiesa d’Oriente ( la Cristianità Ortodossa ) e la Chiesa d’Occidente o, per essere più precisi, il mosaico delle confessioni occidentali, alla cui avanguardia è il fondamentalismo protestante – già incontrati in precedenza. La dialettica della loro opposizione svela la traiettoria segreta del contenuto religioso della storia.

Esaminiamo ora altre confessioni religiose, nelle quali vi sia un fattore escatologico manifesto, e che siano di dimensioni sufficienti per poter rivendicare un ruolo guida nel dramma finale della storia. A questo ruolo possono aspirare soltanto l’Islam e l’Ebraismo.

L’Ebraismo è il paradigma della religione escatologicamente orientata, e lo stesso Cristianesimo è strettamente associato all’escatologia ebraica. La religione ebraica tratteggia il quadro concettualmente più completo della fine dei tempi e della partecipazione delle chiese e delle nazioni ad essa.

Ecco – nei termini più generali – il senso dell’escatologia ebraica.

Gli Ebrei non sono solo una nazione, sono contemporaneamente una comunità religiosa, accedere alla quale è negato ai rappresentanti di altre nazioni. Tale identificazione dell’elemento etnico con quello religioso costituisce la caratteristica unica dell’Ebraismo. In questo senso, tutto ciò che nella parte precedente si disse degli Ebrei come nazione, è pienamente applicabile all’Ebraismo come religione.

L’Ebraismo è il soggetto della storia religiosa, il suo perno. Per molto tempo la religione ebraica è oggetto di attacchi da parte delle altre confessioni “goi”, ma alla fine dei tempi, con l’avvento del Messia che radunerà tutti gli Ebrei nella Terra promessa e rierigerà il Tempio, l’Ebraismo tornerà a fiorire e si porrà alla guida della Terra. Il moderno Sionismo è divenuto l’espressione secolare di questa escatologia religiosa.

Il fatto che gli Ebrei non si siano dissolti in quanto nazione e religione nel mare delle altre nazioni durante lunghi secoli di diaspora, che abbiano serbato le fede nel loro futuro trionfo, che nel corso di tante prove siano stati capaci di realizzare il sogno tanto atteso e ricreare il loro Stato, tutto questo fa una grande impressione su qualsiasi osservatore non prevenuto. Un compimento così letterale delle loro attese escatologiche testimonia del fatto che questa religione è davvero strettamente legata al mistero della storia mondiale; non vi è scettico, positivista o antisemita che possa liquidare la questione con un gesto della mano. Inoltre, nel corso degli ultimi secoli, il rango dell’Ebraismo in quanto religione è talmente asceso, da eresia marginale e priva di diritti, agli occhi delle nazioni cristiane, fino al punto in cui questa confessione ha diritto di parola nella discussione e nella risoluzione delle più importanti questioni mondiali. Occorre notare tuttavia che l’unità confessionale degli Israeliti non è così salda come potrebbe apparire.

Esistono – a grandi linee – due versioni dell’Ebraismo: una spiritualista, mistica, ed una materialista, incline all’elemento mondano. Le differenti tendenze della mistica tradizionale ebraica – la Qabbala , il Chassidismo e alcune tendenze eretiche di tipo Sabbatista – corrispondono al primo caso. Il secondo caso si riconnette al Talmudismo, letterale e nomocratico, interessato alle questioni della vita quotidiana, interprete ritualistico in base ai principi della Torah. In questo dualismo scorgiamo una diretta analogia con il corrispondente dualismo della stessa tradizione Cristiana – la Cristianità occidentale, mondana (dal Cattolicesimo al fondamentalismo protestante) e quella orientale, mistica e contemplativa (Cristianità Ortodossa). Il tema è trattato in dettaglio nelle opere dell’eminente pensatore ebreo contemporaneo Gershom Sholem.

Il settore spirituale dell’Ebraismo – la cosa non dovrebbe più sorprendere – caratteristico anzitutto degli ebrei est-europei, oltre al Chassidismo stesso di Baal-shem Tov, emerse e si sviluppò nei territori dell’Impero russo. E proprio da questi circoli fortemente spiritualisti provengono la maggior parte degli ebrei marxisti rivoluzionari, bolscevichi, social-rivoluzionari, ecc. L’etica ascetica e l’ideale messianico di fratellanza Eurasiatica, “Cristiano-ortodossa”, corrispondono esattamente a questa variante spirituale della tradizione ebraica. Nella sua forma secolare originò invece il “Sionismo di sinistra”.

Il ramo opposto, l’ortodossia Talmudista, proseguì sulla via del razionalismo dei Maimonidi, così come gli antichi Sadducei gravitavano attorno all’idea del svalutazione del fattore ultramondano, verso l’implicita negazione della “resurrezione dei morti”, verso l’etica immanente dell’agiatezza di vita.

Escatologicamente, il Talmudismo considerò il futuro trionfo degli Ebrei sotto l’aspetto dell’esclusiva immanenza, della vittoria politica e sociale, della conquista di un enorme potere materiale.

Invece della trasformazione del mondo alla fine dei tempi, della sua “restaurazione” (tikkun), profetizzata dai mistici ebraici, i Talmudisti identificarono l’epoca messianica con una riorganizzazione degli elementi dati, che avrebbe trasferito le leve del potere e il controllo delle proprietà ai rappresentanti dell’Ebraismo e al ricostituito Stato di Israele. Questa generale tendenza immanentista, insieme con un’etica fondata sulla risoluzione delle questioni mondane, pratiche, quotidiane, unisce sia i rabbini ortodossi sia la “destra Sionista”.

In altri termini, proprio come nel caso dell’escatologia etnica, il campo religioso dell’Ebraismo si estende fra due poli – quello orientale (che si esprime nella Cristianità Ortodossa) e quello occidentale (che si esprime nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo estremista filo-giudaico).

La tradizione islamica, pur legata alla tradizione religiosa semita, è tuttavia incomparabilmente meno escatologica rispetto alla Cristianità o all’Ebraismo. Sebbene anche l’Islam conosca una dottrina escatologica sviluppata, questa è evidentemente secondaria rispetto alla compatta logica monoteista che afferma l’indipendenza da motivazioni cicliche. Le varianti maggiormente escatologiche dell’Islam sono diffuse non fra gli Arabi puri dell’Africa settentrionale, ma in Iran, in Siria, in Libano e particolarmente fra gli Sciiti. La tendenza islamica Sciita è la più prossima all'etica cristiana e all'orientamento escatologico. qui troviamo numerosi paralleli anche con la tendenza spirituale dell’Ebraismo. Le sette sciite estremiste – Ismailiti, Alaviti, e così via – fondano interamente la loro tradizione sul tema escatologico, attendendo l’avvento dell’”Imam nascosto” o “Kaiim” (“redentore”), che restaurerà la tradizione originaria, corrotta da secoli di deviazioni e compromessi, riporterà l’umanità al regno della giustizia e della fratellanza.

Questa tendenza escatologica nell’Islam – nel contesto sciita e oltre – potrebbe benissimo essere considerata una variante di “Eurasiatismo” nella sua interpretazione più generale. essa corrisponde esattamente alla prospettiva escatologica cristiano-ortodossa, anche se, naturalmente, opera con terminologia dogmatica e confessionale differente. L’altra versione dell’Islam, quella non escatologica, ben rappresentata dal Wakhabismo saudita, nonostante i suoi potenti meccanismi di mobilitazione fanatica, è del tutto neutra sul piano della concettualizzazione del ruolo dell’Islam alla fine dei tempi, o comunque tratta il problema da una prospettiva tecnica e materiale. Tanto nel pragmatismo wakhabita quanto nelle altre forme non escatologiche del fondamentalismo islamico è possibile svelare caratteri tipologicamente simili al fondamentalismo mondano dei Protestanti o degli Ebrei ortodossi.

Al giorno d’oggi è difficile parlare seriamente di un “fattore islamico” unitario e di dimensioni sufficienti da avanzare una propria versione religiosa autonoma della “fine dei tempi”. Dobbiamo limitarci a notare che l’”anti-ebraismo”, o, per meglio dire, l’anti-sionismo è un elemento comune all’intero mondo islamico. E, in questo senso, il fatto di porre in primo questa tematica etnica e religiosa al punto di svalutare l’opposizione principale – quella fra Cristianità Ortodossa e Cristianità Occidentale– ricorda la situazione in cui ci siamo già imbattuti analizzando il significato del razzismo nazista. Il gravitare di molti ideologi islamici attorno ad una concezione che fa di “Israele” o degli “Ebrei” la questione centrale della storia contemporanea, ci riconduce una volta di più a quella situazione insolubile, priva di vie d’uscita, che tanto danno ha recato alla chiarificazione delle funzioni e dell’identità dei principali soggetti della storia umana - storia che infallibilmente si approssima al suo epilogo.

Occorre notare che l’Islam stesso incomincia ad essere visto come una sorta di “terrore”, di fronte al quale le “forze progressive” o persino “i Paesi cristiani” dovrebbero unirsi. In altre parole, l’Islam o il cosiddetto “fondamentalismo islamico” incomincia a svolgere la funzione del fascismo, oggi scomparso. Abbiamo visto, tuttavia, quanto equivoco fosse, a tutti i livelli, il ruolo del fascismo nel vero duello. Sarebbe estremamente pericoloso il riprodursi di un’analoga situazione, stavolta con “l’Islam”.

 

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