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Controvoce
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FRONTE PATRIOTTICO COMUNITA' |
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RIVOLTA CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO Carlo Terracciano “E
anche se non dovesse verificarsi la catastrofe temuta da alcuni in
relazione all’uso delle armi atomiche, al compiersi di tale destino
tutta questa civiltà di titani, di metropoli di acciaio, di cristallo e
di cemento, di masse pullulanti, di algebre e macchine incatenanti le
forze della materia, di dominatori di cieli e di oceani, apparirà come
un mondo che oscilla nella sua orbita e volge a disciogliersene per
allontanarsi e perdersi definitivamente negli spazi, dove non vi è più
nessuna luce, fuor da quella sinistra accesa dall’accelerazione della
sua stessa caduta”…potrebbe salvare l’occidente soltanto un
ritorno allo spirito Tradizionale in una nuova coscienza unitaria
europea”. “E’
allora che anche sul piano dell’azione potrebbe venire in evidenza il
lato positivo del superamento dell’idea di patria, sia come mito del
periodo romantico borghese, sia come fatto naturalistico quasi
irrilevante ad unità di diverso tipo: all’essere di una stessa
patria o terra, si contrapporrà l’essere o non essere per una stessa
Causa”. “Conosco
il mio destino. Un giorno si ricollegherà il mio nome al ricordo di
qualcosa di enorme, d’una crisi come mai ce ne furono sulla Terra, del
più formidabile urto di coscienze, d’una dichiarazione di guerra a
tutto ciò che fino allora era stato creduto e santificato. D’ora in
poi il concetto di politica entra in piena fase rivoluzionaria, tutte le
formazioni di potenza della vecchia società saltano in aria perché
tutte riposano sulla menzogna: ci saranno guerre come mai se ne videro
al mondo. DA ME IN POI COMINCIA SULLA TERRA LA GRANDE POLITICA” “Rivolta contro il mondo moderno”, l’opera fondamentale di Julius Evola, uscì in prima edizione italiana nel 1934 e già l’anno successivo veniva pubblicato nella Germania Nazionalsocialista. Un testo rivoluzionario che ha rappresentato, per uomini di luoghi lontani e di diverse generazioni, una vera e propria “folgorazione”, un cambiamento radicale di prospettive ed aspettative, di “Visione del Mondo” nell’epoca del tramonto dell’occidente, alla fine del ciclo epocale, il Kali-yuga della tradizione induista, l’èddico Ragna-Rökkr o l’“Oscuramento degli Dei” delle saghe nordiche. ANNI “FATALI” L’Italia, per parte sua, sotto il segno del fascio romano, cercava il suo spazio nella geopolitica marittima, alla ricerca di un impero unitario mediterraneo-africano che le aprisse le porte dell’Oceano Indiano e delle grandi rotte commerciali e politiche. Ad Est “l’Uomo d’Acciaio”, Stalin, liquidava, purga dopo purga, i rottami cosmopoliti di una rivoluzione trotskijsta-bolscevica che aveva inteso utilizzare l’impero russo come trampolino del marxismo mondiale, trasformando invece questo nella bandiera dell’espansionismo politico e poi militare della Russia Sovietica in Eurasia e oltre. Nell’acciaio e nel sangue il Piccolo Padre della Santa Russia Rossa aveva gettato le basi della industrializzazione e modernizzazione di un impero che sarebbe diventato la seconda potenza mondiale, in grado di contendere per quasi mezzo secolo il mondo al vero vincitore finale. In estremo oriente era l’Impero Nipponico a levare la bandiera solare in nome dell’unità asiatica antioccidentale, ma anche in antitesi al gigante cinese dilaniato da guerre intestine e occupazioni straniere di grandi parti del territorio nazionale. E già Mao marciava… Ma sarebbe stata alfine la più giovane nazione americana a prevalere su tutti, imponendo al pianeta il dominio della propria potenza militare e politica, della tecnologia, della propria moneta, della lingua inglese, del modello di vita yankee, nonché il controllo mediatico sugli strumenti di comunicazione di massa del globo: in una parola la GLOBALIZZAZIONE. L’America, il mito americano del progresso tecnologico e dell’efficientismo fordista, rappresentava e rappresenta il coronamento di quel processo di modernizzazione contro il quale J. Evola aveva scritto il testo più completo ed esauriente dal punto di vista della visione del mondo Tradizionale. E si tenga presente che “modernizzazione” qui non va intesa solo in senso tecnico-scientifico, nel quale tutto sembra oggi risolversi, bensì come visione “idealtipica” del reale, della Storia e della vita: “Mondo moderno e mondo tradizionale – affermava Evola nell’introduzione – possono venir considerati come due tipi universali, come due categorie aprioriche della Civiltà”. La quale affermazione, per inciso, taglia la testa al toro su tutta la polemica sul rapporto tra uomo e macchina, tra essere uomini della Tradizione e usare la tecnologia più avanzata. Con l’implosione dell’URSS, ultimo anello di una catena plurisecolare, non solo si sbarazzava il campo da un’ideologia concorrente con pretese di universalismo e scientificità: “Si affermava una nuova filosofia della Storia. L’idea che il cammino dell’umanità abbia un senso. A questo senso fu dato il nome di globalizzazione”. DETERMINISMO E
GLOBALIZZAZIONE Questa ideologia fondamentalista d’impronta giudeo-cristiana ha trovato in America la terra di massimo radicamento, divenendo l’infrastruttura ideologica portante, lo strumento propagandistico indiscusso ed indiscutibile per l’affermazione dell’imperialismo capitalista, dell’espansionismo economico e politico USA, seguendo le direttrici delineate dalla Geopolitica per la più grande potenza talassocratica mai apparsa sull’orbe terracqueo. Il “Destino Manifesto” rende gli americani nientemeno che i portavoce e gli esecutori della volontà di dio in terra. Chi vi si oppone si oppone a dio stesso, quindi più che un criminale è il Male personificato o perlomeno un suo strumento nel mondo che vorrebbe dominare in contrasto con i “predestinati” della Seconda Israele, gli USA appunto. Accusando volta a volta i demonizzati nemici di turno, Hitler o Stalin, Mao o Khomeini, Saddam Hussein o Milosevic (!), fascismo/nazismo, comunismo o islamismo, di voler “conquistare il mondo”, le élites economiche, politiche ed intellettuali statunitensi hanno ottenuto esattamente lo scopo prefissato: appunto…CONQUISTARE IL MONDO! Credere che la Globalizzazione sia una NECESSITA’ INELUTTABILE della Storia, un processo naturale ed automatico, impersonale ed autogenerantesi sul cammino del Progresso, non soltanto è l’ accettazione senza riflettere un falso ideologico, ma rappresenta già una sconfitta strategica, determinata dall’assunzione acritica della visione del mondo dell’avversario. Chi dà per scontato l’ altrui assioma di partenza, per quanto laicizzato e storicizzato esso si presenti, ha già perso prima di cominciare a lottare. Si introita mentalmente l’impianto ideologico portante impostoci dall’avversario contro il quale si vorrebbe combattere; e ciò in nome di un’utopia egalitaria e assolutamente livellatrice che è esattamente funzionale ai progetti di globalizzazione totale del Capitalismo, al termine del suo processo espansionistico. Processo degenerativo che s’ identifica ogni giorno di più con la distruzione accelerata delle economie subordinate, delle risorse energetiche e del ’ecosistema nel suo complesso: etnocidio e spesso genocidio tout court. Il mito mobilitante di “Progresso” indefinito e necessario, prodottosi nella fase della secolarizzazione e laicizzazione del Pensiero Unico, radicato nel biblismo in specie di matrice protestante-calvinista, all’inizio del suo III millennio si è rovesciato nel suo contrario, ma non ancora nel suo “opposto”. IL”PROGRESSO” CHE
UCCIDE IL VOLTO DISUMANO
DELLA GLOBALIZZAZIONE Una generale
dichiarazione di insolvibilità della maggioranza dei paesi della Terra
getterebbe nel panico i mercati e potrebbe persino determinare il crollo
di tutto il sistema finanziario, accelerando l’inarrestabile declino
del capitalismo, che è sempre più fragile quanto più è globale.
L’”umanitario” azzeramento del debito oltre ad evitare scenari
apocalittici per l’Alta Finanza Mondiale, ha poi come contropartita
l’accettazione da parte degli stati debitori di ulteriori vincoli,
anche politici, e l’abbattimento di ogni difesa contro la
liberalizzazione dei mercati che è proprio la causa prima che ha
determinato la miseria e l’indebitamento. Ricordiamo come Ceausescu fu
rovesciato ed ucciso in Romania una settimana dopo aver saldato fino
all’ultimo centesimo del debito estero rumeno. Fondo Monetario
Internazionale, Banca Mondiale, Stati Uniti e paesi ricchi non
permettono a nessun stato di uscire dalla dipendenza finanziaria, la
nuova forma schiavistica del capitalismo nel XX e XXI secolo. L’utopia
dell’eguaglianza mondiale nel benessere e nell’abbondanza, propria
di chi auspica una globalizzazione dal basso, non solo è in sintonia
con gli interessi delle multinazionali ad espandere il mercato in
verticale, in profondità, ma determinerebbe un livellamento culturale e
politico totale, nonché la distruzione dell’ecosistema. Dev’essere
ben chiaro al Nord del mondo che una più equa redistribuzione di beni e
servizi nel mondo, passa soltanto attraverso un processo rivoluzionario,
locale e generale, che rovesci i parametri culturali ed economici di
riferimento anche nei paesi ricchi; rivoluzione che li renderebbe meno
“ricchi” in termini di Pil e di consumi pro capite, certo più
“spartani” nel vivere, ma anche più liberi dai potentati mondiali,
in un ritrovato rapporto armonioso con la natura e la propria comunità
d’appartenenza. Quello invece auspicato da tutti i cultori della
globalizzazione, comunque intesa, sarebbe alla fine un rimedio peggiore
del male. La “cura” proposta, se avrà successo…ucciderà il
paziente. Non prima però di averlo depredato di tutto. L’astuzia di
un sistema globale che proclama di migliorare le condizioni di vita
delle classi e dei popoli subalterni è infatti anche quella di renderli
tutti comunque produttori-consumatori del sistema capitalista globale,
per allargare il mercato unico dei prodotti standardizzati: non solo in
senso orizzontale e geografico, ma verticale interclassista, aumentando
nei minimi accettabili al Sistema stesso il credito e la disponibilità
monetaria per l’acquisto di nuovi beni o servizi. In termini marxiani
diminuire la “pauperizzazione assoluta”, per aumentare il profitto
espandendo il mercato, e quindi allargare la forbice della
“pauperizzazione relativa”. In termini informatici il “Digital
Divide”, il gap tecnologico-informatico che allontana strati
sociali e popoli che accedono alla realtà virtuale o no. Gli
antiglobalizzatori della “sinistra” moderata, (per quanto ancora
contino certe definizioni ottocentesche oramai superate), riciclatisi
dall’internazionalismo proletario a quello liberista di mercato, sono
d’accordo nel volere e/o accettare (cosa che all’atto pratico è la
stessa), la globalizzazione. Quella che auspicano costoro è solo una GLOBALIZZAZIONE
DI SEGNO CONTRARIO e non il CONTRARIO DELLA GLOBALIZZAZIONE. MONDIALISMO E
GLOBALIZZAZIONE La globalizzazione dei
mercati non avrebbe potuto realizzarsi senza una preventiva opera
preparatoria politica e culturale spesso imposta con l’uso delle armi
e l’invasione militare: solo nel secolo scorso ci sono volute due
guerre “mondiali” (appunto) e decine e decine di guerre locali,
colpi di stato, stragi e genocidi, per realizzare l’One World americanocentrico.
Noi definimmo, e non da ora, questo progetto a respiro planetario MONDIALISMO.
Una delle più complete esplicazioni di questo termine ce la offre
Giuseppe Santoro nel suo “Dominio globale. Liberoscambismo e
globalizzazione”, un volumetto di cento pagine che dovrebbe
rappresentare il “libretto rosso” di ogni vero rivoluzionario
antimondialista. Scrive Santoro: “Il Mondialismo, in sintesi, è
un’ideologia (e una prassi culturale, sociale e politica)
universalista promossa da istituzioni internazionali politico-militari
(ONU, NATO) ed economico finanziarie (Banca Mondiale, Fondo Monetario,
WTO, Nafta, ecc…), da associazioni private (Council on Foreign
Relations, Trilateral, Bilderberg, massoneria ecc..) [aggiungeremo noi
anche religiose: Vaticano con la sua “pupilla”, l’Opus Dei,
Consiglio Mondiale ebraico, sette varie protestanti e non] e da una
fitta rete di lobbies e di organizzazioni internazionali di
“consulenza” politico-sociale-culturale e massmediale (agenzie
d’informazione, industria cinematografica ecc…), la cui principale
base tattica è costituita dagli Stati Uniti.” Ed ancora: “L’obiettivo
del mondialismo è la creazione di un unico governo o amministrazione
(il Nuovo Ordine Mondiale), di un unico assetto politico, istituzionale
e sociale (il liberalismo), di un unico sistema di valori (l’individualismo-egalitarismo-dottrina
dei “Diritti dell’Uomo”), e quindi di un unico insieme di costumi
e di stile di vita (il consumismo) estesi a tutta la Terra e funzionali
al dominio assoluto da parte delle forze politiche, economiche e
culturali che lo incarnano: le élites della finanza mondiale”. RAZZA PADRONA La razza padrona non ha patria, solo passaporti , spesso più d’uno. Sua patria è appunto il mondo. Sono apolidi di lusso, cosmopoliti per vocazione ed interesse, pària che, nell’epoca del rovesciamento delle caste, si trovano ai vertici della piramide politica e sociale. Sono loro i ” padroni di casa” nelle riunioni del Bilderberg, della Trilateral, del CFR. Talvolta guidano direttamente stati e governi, come i Kennedy ed i Windsor. A loro tutto è permesso: dalle guerre alle crisi economiche e finanziarie guidate, fino ai più prosaici omicidi per motivi di corna (chi ricorda il caso Palme?). Per costoro riservatezza, menzogna e segreto sono strumenti assolutamente indispensabili di dominio. Parlare dell’ineluttabilità “oggettiva” e amorfa del processo di globalizzazione in atto è il loro strumento per nascondere la causa, manifestando l’effetto. Nella più generosa delle ipotesi imporre al mondo i propri parametri di riferimento, la propria visione cosmopolita delle relazioni internazionali. Cattolici, protestanti o ebrei, ma anche mussulmani o confuciani o semplicemente agnostici o atei, sono tutti portatori di una unica visione e stile di vita, che è esattamente quello del “Mondo Moderno” contro il quale Evola scrisse la sua “Rivolta…” Il semiologo ebreo americano Noam Chomsky, teorico antiglobal pur usufruendo della cattedra al MIT (Massachussets Institute of Technology) è da sempre uno dei critici più feroci del capitalismo e imperialismo e definisce i padroni della finanza mondiale un “Senato virtuale”, cui i governanti del mondo devono rendere conto, alla faccia dei cittadini che li hanno eletti: “Il senato virtuale è un gruppo di investitori capaci di governare nazioni tramite i flussi di capitale, le oscillazioni di borsa e la regolazione dei tassi di interesse. Appena uno stato ipotizza scelte nell’interesse collettivo come il welfare o l’autodeterminazione, loro minacciano di portare all’estero i capitali. Gli USA e tutti i governi più potenti sono fantocci manipolati da questi senatori mascherati. Un tempo c’erano i dittatori, adesso ci sono i tiranni privati. Fanno gli stessi danni, ma non hanno responsabilità pubbliche”. Eccoci finalmente in buona compagnia con un uomo che certo non sarà accusato di “cospirazionismo complottista”, tipo “Savi Anziani…” ecc.. Semmai aggiungeremo che il “Senato Virtuale” ha ben altre armi che quelle finanziarie, per piegare governi e popoli al suo volere: dai media all'informatica, dai moti di piazza ai golpe militari, fino alla guerra dichiarata, con tanto di “armi intelligenti”. In Serbia recentemente è stato usato di tutto: rivolte etniche, guerriglia, guerra dichiarata (anzi..” intervento umanitario”), anche se alla fine l’ha vinta il denaro. E si sono letteralmente venduto il capo! Ma è ancora una volta il Santoro a offrirci il giudizio più netto sulla pretesa ineluttabilità ed impersonalità del processo storico che stiamo vivendo: “Infatti la cosidetta globalizzazione – economica, politica, culturale e dei costumi di tutti i popoli della Terra – non è in alcun modo un fenomeno ‘naturale’ o necessario o ineluttabile determinato dalle leggi interne di un qualche inarrestabile ‘sviluppo’ del mondo (da un punto di partenza ad uno di arrivo: Nuovo Ordine Mondiale, Fine della Storia, Regno di Dio, Comunismo mondiale o chissà che altro delirio apocalittico); essa non è ‘nella logica delle cose’ (quale logica e quali cose ?); essa non è la condizione oggettiva ed autonoma cui occorre adeguarsi come ad una irrevocabile volontà divina (di quale dio ?); la globalizzazione è solo l’obiettivo pratico e deliberato che uomini concreti, tramite organizzazioni con tanto di nomi e di sede legale, sistemi informativi, massmediali ed editoriali – non forze oscure e imperscrutabili dell’universo – vogliono raggiungere per il proprio tornaconto personale e di gruppo (anche se ciò non esclude, anzi, la presenza di conflitti interni o di resistenze esterne). Tutto qui”. [Giuseppe Santoro, “Banchieri e camerieri. Sovranità monetaria e sovranità politica”]. Semplice, no?… “DESTRA” e
“SINISTRA” NEL MONDO GLOBALIZZATO CONTRO TUTTI I
NOSTALGISMI Quella che impropriamente viene definita “estrema destra” non si è mai ripresa dal trauma della sconfitta bellica, dei suoi capi morti e/o massacrati, abbandonati da tutti al ludibrio della feccia, della plebaglia osannante fino al giorno prima. L’immagine di Mussolini e dei gerarchi con i piedi al cielo pesa come un macigno su più di una generazione politica , che non l’ha mai rimossa. Così come l’8 settembre ha rappresentato una svolta epocale, la fine dell’Italia come Nazione per tornare ad essere l’espressione geografica contenente qualche decina di milioni di persone parlanti più o meno la stessa lingua. La propaganda martellante dei vincitori ha additato i fascismi come il Male personificato; tanto da identificarsi spesso gli stessi seguaci in questo ruolo invertito, come estrema forma di contestazione ed autoriproduzione. Il nostalgismo, la formalità esteriore, la castrante esaltazione della sconfitta, il culto quasi necrofilo del passato, il “ducismo” senza Duce unito ad uno spontaneismo anarcoide (armato o disarmato), sono stati altrettanti fattori di impotenza politica e sociale, mentre il mondo cambiava vorticosamente emarginando sempre più la destra nel ghetto costruito con le proprie mani. Ovviamente il nostalgismo neofascista, comunque riciclato, è la NEGAZIONE STESSA DEL FASCISMO storico, che fu un movimento di mobilitazione rivoluzionaria delle masse, un movimento di giovani rivoluzionari in tutta Europa, basato sullo slancio vitale, sulla giovinezza, indirizzato al futuro, intenzionato a vincere e dominare; proprio come il Comunismo rivoluzionario dei Lenin, dei Trotskij, degli Stalin. Certamente entrambi rapportati al mondo della prima metà del secolo passato. E si consideri che stiamo parlando della parte migliore della destra, di quella minoritaria che non ha accettato tout court di allinearsi al Sistema, di divenire il cane da guardia dell’ordine costituito. Quest’altra destra, che invece ha capito benissimo in che direzione va il mondo, si è semplicemente sbarazzata di ogni bagaglio storico e culturale per passare armi e bagagli nel campo dell’avversario, del liberal-capitalismo, dell’America, del Sionismo, del Mondialismo. Questi arrivisti di vera
destra rappresentano non certo il nemico principale, eppure il più
prossimo, essendo la loro massima ambizione di neofiti mercenari quella
di dimostrare al nuovo padrone la piena affidabilità del servo da poco
acquistato. vesi, l’esaltazione della più bestiale repressione
poliziesca (senza neanche più il coraggio di scendere in piazza per un
confronto diretto), l’anticomunismo senza più comunisti,
l’allinearsi ad ogni iniziativa antipopolare e la perfetta
identificazione nella politica estera americana e sionista sono fatti
così noti ed evidenti da non dover spendere troppe parole in merito.
Nei casi più estremi(sti) si fa pura opera di provocazione nostalgica e
integralista da sagrestia, sempre ben nascosti dietro la rassicurante
divisa e manganello della polizia di Regime, per rilanciare uno scontro
destra-sinistra, rosso contro nero, che sarebbe quanto di più
funzionale al Sistema mondialista in ambito nazionale, se non fosse
tanto anacronistica da essere inutilizzabile persino per i “servizi”
che la gestiscono, dentro e fuori i confini nazionali. Non c’è
bisogno di aggiungere che l’antifascismo di certa sinistra di sistema,
altrettanto ridicolo e nostalgico, serve da pendant
all’anticomunismo becero della destra più o meno estrema.
Post-fascismo e neo-comunismo marxista continuano così a combattersi ed
elidersi a vicenda, a maggior gloria della razza padrona che
traccia i destini dell’Italia, dell’Europa, del mondo intero. ATTUALITA’ DI
JULIUS EVOLA Ciò nonostante se rileggiamo oggi le pagine di Evola rimaniamo colpiti dall’attualità dell’analisi, specie nella seconda parte su “Genesi e volto del mondo moderno”. Le sue conclusioni sul “tramonto dell’Occidente”, come quelle di Spengler, i suoi giudizi sferzanti su Russia ed America e in generale sul ciclo che si chiude, sono tanto esatte da apparire profetiche; tenendo conto che le sue “profezie” non hanno niente di magico in senso banale, ma sono il frutto di una saggezza e Conoscenza che affonda salde radici nella Tradizione, nella concezione ciclica della storia. Per essa il nostro futuro è già scritto nel più remoto passato, il quale non è alle nostre spalle ma DAVANTI a noi, in un a-venire ben più prossimo alla fine che all’inizio del ciclo corrente e la cui conclusione determinerà un nuovo e radicale Inizio. Come sappiamo la Tradizione è “tràdere”, trasmettere dei Valori che sono eterni calandoli ed attualizzandoli nella storia, in forme e manifestazioni diverse ma facilmente identificabili in ogni epoca e in ogni luogo. TRADIZIONE E
RIVOLUZIONE A cominciare da quanto è rimasto fossilizzato in istituzioni di un passato appena più distante, che non era se non il frutto del modernismo del suo tempo: si pensi al nazionalismo frutto della “Rivoluzione” Francese e degli “Immortali Principi” dell’89, termini presi a prestito dal pensiero tradizionale e rovesciato nel loro opposto. Se la conservazione è il contrario della Tradizione che è rivoluzionaria, la Sovversione, come tutti i fenomeni di ribellismo del mondo moderno, è una rivoluzione di segno contrario, una Contro-rivoluzione, sempre nel senso tradizionale del termine. Essa infatti, nel momento stesso in cui pretende di distruggere le forme del presente (e questo è il suo aspetto più positivo) lo fa nel nome e nel segno della “modernità”, come categoria mentale e spirituale. Il che si traduce non in un’accelerazione verso la fine della decadenza presente e quindi nel raggiungimento del punto catartico che segna il passaggio rivoluzionario ciclico, bensì nel perpetuarsi sotto nuove forme della decadenza stessa, che tende naturalmente a cristallizzarsi in ennesima conservazione, all’avvento di un’ulteriore ondata sovvertitrice. La sovversione tende a ribaltare le forme del passate per conservare l’essenza del presente, cioè il modernismo antitradizionale, cercando così di arrestare il vero processo rivoluzionario che chiuda un ciclo e ne apra uno nuovo. E’ insomma un’altra forma della conservazione. Un serpente che continua a mordersi la coda. Conservazione e Sovversione sono quindi funzionali l’un l’altra nell’attuale fase del ciclo; anche se, da un più elevato punto di vista metastorico, il compimento rivoluzionario dell’ultima fase ciclica è scritto nel Destino: Come sempre “fata volentes ducunt, nolentes trahunt”. Le conseguenze dei due atteggiamenti mentali sono comunque diverse, per chi non vuol essere semplice spettatore passivo degli eventi, ma ha nella sua stessa natura il marchio di un’impersonalità attiva, la fierezza del guerriero della Tradizione che oggi non può che manifestarsi nel combattente politico rivoluzionario. Valori a parte, ripetiamolo per la terza volta: nel mondo moderno non c’è nulla da salvare e tutto da distruggere. Nel mondo moderno, alla fine di un ciclo, ogni distruzione del passato e del presente è propedeutica al compiersi del ciclo storico medesimo. DUE FRONTI, MOLTE
TRINCEE IL NOME DELLA
MONDIALIZZAZIONE: AMERIKA Gli fa eco il confratello,George Soros, ebreo di origine ungherese, speculatore internazionale capace di affondare in una sola operazione borsistica l’economia di interi paesi (nel’92 costò all’Italia una perdita di quarantamila miliardi di lire!) ed attuale co-presidente del World Economic Forum di Salisburgo (“fratello minore estivo di quello di Davos”): “Io penso che la globalizzazione porti grandi benefici ad un gran numero di uomini e donne…La liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali produce soprattutto benefici privati e ai privati. Ma non si preoccupa né può farlo di per sé, dei benefici collettivi” (da: “La globalizzazione è un bene, i governi imparino a usarla”-“Repubblica”, 3.07.2001).Viva la sincerità! Certo per il sig. Soros e affini la globalizzazione è stata una vera “manna dal cielo”, tipo quella elargita da Javhé ai suoi correligionari. Ma ora ha deciso di lasciare la finanza e dedicarsi ai “problemi della democrazia nell’Europa dell’Est”. Tremate slavi! Del resto è noto che uno degli strumenti che l’America ha per imporre la sua politica economica al mondo, oltre il dollaro, è quello della cosiddetta GLOBALIZZAZIONE ASIMMETRICA, che mentre impone alle economie più deboli, comprese quelle dei partners ricchi del Nord del mondo, il liberismo quasi assoluto negli scambi internazionali, applica al contrario altissime tariffe doganali alle merci straniere più competitive sul mercato interno statunitense, a difesa degli interessi lobbistici dei produttori americani. Una politica economica che applicata ai prodotti del Terzo e Quarto Mondo risulta devastante per le economie più deboli, costrette poi ad indebitarsi per importare prodotti americani sui quali gli USA pretendono di non pagar dazio. COME L’AMERICA
PREPARA LA III GUERRA MONDIALE EUROPA, IMPERO E
GEOPOLITICA LA NUOVA
TRICONTINENTALE Ed ancora sarà nostra la lotta del popolo Palestinese, arabo e islamico contro la presenza sionista in Palestina e nel Medio Oriente. Israele è il baluardo armato dell’imperialismo talassocratico USA nel cuore della massa continentale eurasiatico-africana, alla confluenza degli stretti dei mari interni e sulle rotte dell’oro nero dell’energia mondiale. La sua stessa presenza rappresenterà sempre un pericolo mortale per l’unità europea, come per quella araba, iranica o africana. L’eliminazione del bastione sionista nel Mediterraneo è e sarà una priorità strategica per ogni governo e stato che voglia combattere contro il Mondialismo, per le unità continentali geopolitiche. Nel mondo globale non si possono ignorare situazione geostrategiche anche agli antipodi del pianeta. Ma le piccole nazioni sette-ottocentesche non possono certo competere con grandi potenze a respiro continentale. Mario Vargas Llosa, peraltro un esegeta della globalizzazione, ha recentemente affermato: “La realtà del nostro tempo è quella di un mondo nel quale le antiche frontiere nazionali si sono gradualmente assottigliate fino a sparire in certi settori – l’economia, la scienza, l’informazione, la cultura, anche se non nel politico e in altre sfere -, stabilendo sempre di più, tra i paesi dei cinque continenti, una interdipendenza che si scontra frontalmente con la vecchia idea dello Stato-nazione e le sue prerogative tradizionali”. (“Quello che resterà del nuovo Sessantotto” – Repubblica, 7/8/2001). Il politicante scrittore peruviano non manca di notare che il sistema democratico (cioè gli USA) hanno sconfitto i grandi regimi totalitari del XX secolo, Fascismo e Comunismo, indicati quindi come gli unici seri tentativi antimondialisti, rispetto alle velleitarie utopie del “popolo di Seattle”, destinato ad essere riassorbito nel Sistema come i contestatori del ’68. Un Sistema del quale si riconoscono già componente interna seppur nel dissenso dei mezzi. Potremmo solo aggiungere che gli stessi “fascismi” e “comunismi” dovettero in parte la loro sconfitta proprio al fatto di non aver compreso a piena la globalità della lotta, le intenzioni della potenza americana nel mondo; finendo per scontrarsi tra loro, permettendo all’imperialismo USA di batterli, in tempi separati, e con diversi strumenti, ma sempre con l’unico obiettivo storico di dominare la Terra. Che le unità geopolitiche e culturali nel futuro della politica mondiale non siano una mera ipotesi di studio, vuoto accademismo politologico o peggio utopia incapacitante, sono gli stessi teorici della supremazia americana a dircelo. Il trilateralista Samuel P. Huntington è il portavoce di varie associazioni americane che tracciano le linee strategiche per il XXI secolo a stelle e striscie. Nell’oramai celeberrimo “Lo scontro delle Civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale”, l’autore disegna il quadro di un mondo futuro diviso per grandi aree geografico-culturali, nell’ambito delle quali dovrebbe valere il principio di “non ingerenza” da parte di una potenza esterna. Scrive Huntington: “Sotto la spinta della modernizzazione, la politica planetaria si sta ristrutturando secondo linee culturali. I popoli e i paesi con culture simili si avvicinano. Le alleanze determinate da motivi ideologici o dai rapporti tra le superpotenze lasciano il campo ad alleanze definite dalle culture e dalle civiltà. I confini politici vengono ridisegnati affinchè coincidano con quelli culturali…Le comunità culturali stanno sostituendo i blocchi della Guerra Fredda e le linee di faglia tra civiltà stanno diventando le linee dei conflitti nella politica globale”. Certamente l’Huntington scrive da americano ed il suo concetto di civiltà poco ha a che vedere con quello della tradizione europea o sino-nipponica o arabo-islamica ecc.. E infatti nella logica geopolitica atlantica dei suoi sponsor l’Europa sarebbe unita agli USA e separata dal suo naturale proseguimento orientale nel mondo slavo-ortodosso. Del resto la scuola geopolitica di un Haushofer aveva già previsto un mondo di unità continentali (nel senso che la geopolitica dà al termine continente, non necessariamente coincidente con la suddivisione scolastica cui siamo stati indottrinati a scuola); ma Huntington, ovviamente, non ne fa parola. GEOPOLITICA E LOTTA
DI LIBERAZIONE LA GLOCALIZZAZIONE Un fenomeno certo positivo che però rischia anch’esso di essere strumentalizzato dalle lobbies mondialiste, per essere utilizzato come semplice folklore, come ulteriore indebolimento interno della politica nazionale, quando questa non si pieghi subito e completamente ai voleri e ai valori degli apolidi padroni del mondo. Il teorico più noto di questa tendenza “localista”, insieme ai vari I. Illich, V. Shiva e Bové, è l’ecologista inglese Edward Goldsmith, autore di “Glocalismo”, cioè appunto la tendenza globale al localismo nel mondo. In una recente intervista (“La Stampa”, 15/7/2001) il teorizzatore di comunità stabili, territoriali, tradizionaliste, autoregolate e a crescita zero, afferma: “Si vuole creare un paradiso per le multinazionali, rimuovendo le regole che proteggono i poveri e le comunità locali. Il G8 lo fa sistematicamente… Credo nei doveri verso la famiglia e la comunità, nell’idea di religione e di tradizione. Orribile è la società individualistica, atomizzata, di massa. Non c’è libertà ma solo Coca-Cola, organismi geneticamente modificati, MacDonald’s.” Ed ancora: “La globalizzazione è un fenomeno temporaneo, che non può durare: Pensi alle crisi finanziarie che costellano questi nostri anni. ..La politica di Bush porta verso l’estinzione dell’umanità: ma in tal caso non ci sarà più economia, non ci sarà più nulla. Credo che le cose stiano cambiando. Bisogna preparare il collasso di questo sistema, che arriverà comunque”. Parole che condividiamo in toto e che riproponiamo a chi ci lanciasse accuse di catastrofismo apocalittico. Ci sarebbe semmai da chiedersi come conciliare le idee di Goldsmith con quelle dei globalizzatori dal basso, post-marxisti, internazionalisti e cristiani di base, cioè le ideologie internazionaliste e mondialiste per eccellenza. E anche con quelle di Bové o del subcomandante Marcos, arrivato come rivoluzionario marxista nella foresta Lacandona del Chiapas con “il Capitale” sotto il braccio, e convertitosi alla visione del “Popol-Vuh”, il testo sacro dei Maya! Del resto è noto che, oltre ai succitati, tra i padri nobili dell’Antiglobal sono stati inseriti, a ragione o a torto, nomi vecchi e nuovi di tutti i tipi: da Marx a Keynes, dal solito J.J. Rousseau a Russell e Marcuse, da Morel a Tolstoj, fino ai più attuali Mac Luhan e Jeremy Rifkin, che ha lanciato il termine “Ecocidio”, titolo di un suo libro (autore anche di: “Il secolo biotec”), Vandana Shiva, Luther Blisset e ovviamente gli ebrei americani Noam Chomsky e Naomi Klein, la fortunata autrice di “No Logo”. Né potevano mancare religiosi e teologi da Madre Teresa di Calcutta (immancabile, appunto, in tutte le salse), ad Hans Küng e Leonardo Boff. Stranamente…non si parla di Hakim Bey (alias Peter Lamborn Wilson), teorizzatore delle “TAZ”, “Zone Temporaneamente Autonome” che sembra sia fra le letture preferite delle frange dure anarco-insurrezionaliste del movimento antagonista. Un Sufi che propone una lettura anarco-nihilista della rivoluzione antimondialista, sotto il segno non del materialismo-marxiano ma …della Dea Kalì, cioè sotto il segno della distruzione totale in quello che appunto i tradizionalisti definiscono il Kali-Yuga, l’Era di Kalì, la sposa di Shiva , distruttore ma anche restauratore. [notizie, tratte da forum telematico, di Luigi Leonini, che riporta le critiche del sinistro Blisset ad Hakim Bey, considerato quasi un nazifascista!]. Resta il fatto che il “DIFFERENZIALISMO IDENTITARIO”, la Localizzazione, il particolarismo etno-geografico non potrebbero comunque contrastare la Globalizzazione imposta, il progetto Mondialista solo rinchiudendosi nel particolare; opponendo in particolare piccole comunità ed economie da villaggio allo strapotere economico e politico, per non dire militare, del mondialismo e dei suoi manutengoli. Tantomeno prospettando solo un’opera di distruzione totale (assolutamente necessaria, e prioritariamente indispensabile) delle strutture del mondo moderno, senza proporre e preparare l’alternativa alla globalizzazione e non una globalizzazione alternativa COMUNITA’, NAZIONE,
IMPERO RITORNO ALLA GRANDE
POLITICA Circa il tipo di lotta da intraprendere ci permettiamo di rimandare il lettore ai precedenti scritti, ed in particolare alla “Dottrina delle Tre Liberazioni” (Liberazione Nazionale/ Liberazione Sociale / Liberazione Culturale, nel quadro geopolitico europeo e in una prospettiva di guerra totale mondiale dei popoli contro l’imperialismo americano). Ma prima di ogni azione nel campo pratico sarà necessario chiarire inequivocabilmente i termini del problema, gli attori reali sulla scena nazionale e mondiale e quelli fittizi, gli uomini e le istituzioni, i partiti e i movimenti che sono al servizio del progetto mondialista. Per queste analisi le vecchie abusate terminologie non hanno più senso, non servono allo scopo se mai servirono: “destra”, “sinistra”, fascismo/antifascismo, comunismo/anticomunismo, democrazia e/o totalitarismo, nazionalismo-internazionalismo, tutte parole che appartengono ad un’epoca della politica oramai vecchia di un secolo. E che se vengono ancora utilizzate a fine polemico e/o apologetico, è solo perché servono agli imbonitori di turno a deviare l’attenzione dalle realtà dell’oggi, dalle prospettive di aggregazione e di lotta del domani. IL QUADRO DELLO
SCONTRO E I SUOI PROTAGONISTI Né si pone all’opposto il problema di rincorrere una contestazione umanitarista, riformista, cristiano o laico progressista, che già dai suoi esordi manifesta chiaramente i germi e le patologie del male che vorrebbe combattere. Ad essa sarebbe quasi da preferire quella radicale e semplicemente distruttiva dei casseurs, degli anarchici e nihilisti d’ogni specie, il cui vero limite non è tanto nelle modalità d’azione (cosa saranno mai quattro vetrine rotte di banche o agenzie finanziarie in confronto al crimine della fondazione di banche e finanziarie?), bensì nella mancanza di prospettiva rivoluzionaria e nella fisiologica negazione di un’alternativa possibile. Anche se, in questo caso, le convergenze tattiche, sono possibili e persino auspicabili; ferma restando però la propria identità politica e Culturale in senso lato. Se le destre di sistema fanno parte del fronte nemico, quello del Mondialismo al potere, gli antiglobalizzatori, variegati quanto i colori dell’arcobaleno, rappresentano una contestazione interna al Sistema globalista, eppur tuttavia una contestazione… Nello schema ideale dei
“due Fronti e molte trincee”, mentre la destra reazionaria è
palesemente schierata nel fronte opposto, tanti giovani contestatori
sono su trincee vicine, anche se non hanno un quadro chiaro e generale
delle forze in campo e delle strategie. Questo anche perché spesso sono
proprio i loro dirigenti ad appartenere al nemico mondialista e quindi a
deviarne le positive energie rivoluzionarie verso falsi obiettivi. Da
parte chi è cosciente di tutto ciò si tratterà allora di assumere una
posizione quanto mai ferma e RADICALE contro tutte le espressioni,
politiche, sociali, scientifiche, spirituali ecc…del moderno mondo
globalizzato. Un tradizionalista rivoluzionario, lo ripeteremo fino alla
nausea, non ha niente da salvare del mondo moderno, ma tutto da
distruggere: a cominciare dai rimasugli, dai rottami, dai resti di un
passato che non apparteneva già al suo esordio al mondo della
Tradizione, ma ad una fase precedente e oramai superata della
decadenza. Forti di una retta Dottrina e di una razionale analisi
storica e geopolitica, coscienti della consapevolezza di battersi per la
giusta causa dei popoli, in una visione globale del mondo e della storia
offerta dall’insegnamento tradizionale di maestri come Evola, Guénon,
Béla Hamvas (l’autore di “Scientia Sacra”), e tanti altri,
i giovani rivoluzionari antimondialisti del domani si devono porre
all’avanguardia e non nelle retrovie della guerra contro la
globalizzazione in tutte le sue forme e manifestazioni; che
ovviamente non sono soltanto economiche e politiche, bensì
esistenziali, spirituali, naturali. Abbiamo risposte e proposte in ogni
campo: dalla salute all’ambiente, dal lavoro all’immigrazione e al
debito mondiale, dal cibo al commercio, dalla genetica alle nuove
tecnologie; ecologia, etologia, animalismo e via elencando hanno sempre
fatto parte del nostro bagaglio culturale, a differenza di tanti parvenues
dell’ultim’ora. Senza seguire nessun capopolo isterico, ducetto da
strapazzo o farabutto politicante, le nuove leve che verranno devono
prima di tutto selezionarsi, contarsi, organizzarsi. EVOLA COME MAESTRO DI
LOTTA E VITTORIA La possibilità, anzi la necessità di un nuovo calarsi nel Politico, nell’impegno militante totale, nella guerra al mondialismo moderno, oltre ogni limite geografico e mentale, rappresenterà anche la riprova sul campo della tenuta interiore di ciascuno, della fermezza e del coraggio, della capacità di vincere il borghese che si annida in ciascuno e che si cerca di esorcizzare rimandando l’impegno ad un ipotetico futuro fatto di pose retoriche, di eroismi da operetta, di fantastici scenari da war games, il tutto per rinviare sine die le proprie responsabilità e camuffare la resa al quotidiano, da piccoli borghesi frustrati. “Propiziare – scriveva Evola- esperienze di una vita superiore, una superiore libertà…E’ una prova. E, a che essa sia completa, risolutiva, si dica pure: i ponti sono tagliati, non vi sono appoggi, non vi sono ‘ritorni’, non v’è che da andare avanti. E’ proprio di una vocazione eroica l’affrontare l’onda più vorticosa sapendo che due destini sono ad eguale distanza: quello di coloro che finiranno con la dissoluzione del mondo moderno, e quello di coloro che si ritroveranno nel filone centrale e regale della nuova corrente”. Ed ora, la parola ai fatti.
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