LATO ASono registrati i nomi dei due magistrati che presiedono le delegazioni di Abella e di Nola, incaricate ciascuna dal rispettivo senato di stipulare la convenzione (1 10); oggetto della convenzione sono il santuario di Ercole e il terreno che lo circonda (11 16); il tempio e il terreno circostante sono di uso comune, come comune è l'utile che ne deriva (17 23).
1-2.
maiiúí vestirikiíúí mai(eís) sta(ttieís). / prupukid sveruneí Maio Vestricio Mai f. Stati n. stirpe Suerroni. L'integrazione
siír[úí], inteso come cognomen (Franchi De Bellis), non è confermata dalle tracce di lettere sulla pietra. L'abbreviazione osca del cognomen Syrus, peraltro improbabile, dovrebbe comparire come
sur. oppure
syr. Dopo la
s vi è un tratto verticale che per la spaziatura può riferirsi solo ad una
t, seguito da una
a parzialmente leggibile; si tratta quindi del nome
sta(ttieís), genitivo di
statis, posto qui a indicare il nome dell'avo di Maio Vestricio. L'uso di indicare in osco il nome dell'avo mediante il suo prenome in caso genitivo, posto dopo il prenome paterno, entrambi abbreviati come in latino, è dimostrato da tegole bollate prodotte a Bovianum, recanti nomi di magistrati: ne ho trattato in
Italia, Omnium terrarum parens, Milano 1989, p. 327 s. Il gentilizio
Vestricius è di origine etrusca,
vestricinala, vestrcial, vestricin, ecc.: ThLE, n. 152. I Vestricii di Abella possono essere connessi con Vestricius Spurinna, magistrato e poeta del I secolo d.C., di cui è riconosciuta una origine etrusca sulla base del nome; nulla vieta di pensare però ad una provenienza più immediata dalla Campania, ferma restando l'antica origine etrusca; PIR, III, p. 409, n. 308; M. Schuster, RE VIII A2, cc. 1791 97. Altre due iscrizioni abellane, in osco, recano il nome Vestricio:
nella prima (Vetter, n. 137), di cui R. Antonini ha restituito lezione corretta e integrazione (SE 58, 1993, pp. 355-359), compare in relazione ad una
terminatio il nome del questore Maius Vestricius Mai f.; nella seconda, una nuova iscrizione monumentale pubblicata sempre da R. Antonini (in "La Tavola di Agnone nel contesto italico", a cura di L. Del Tutto Palma, Firenze 1996, pp. 157-168), resta solo il gentilizio; in entrambi i casi sembra trattarsi del medesimo Vestricio che compare nel testo del Cippo abellano.
prupukid sverruneí: da escludere che sia qui indicata una funzione
ad acta, come generalmente si intende, che dovrebbe comparire dopo la magistratura ordinaria; cfr. per un'ampia rassegna degli studi sulla questione, e per l'interpretazione "in merito al patto", Franchi De Bellis, p. 83 ss.; da escludere anche che
sverruneí si accordi con
kvaístureí, con il significato di
designato (Vetter), sia per posizione sia perché in tal caso la precedente parola in caso ablativo resta inspiegabile; per posizione le due parole definiscono una qualità personale e non una funzione pubblica di Vestricio, del tipo introdotto usualmente nella formula onomastica latina da
natione, domo, tribu, signo, ecc.;
sverruneí (3a decl., tema in nasale), che si accorda con il nome del personaggio in caso dativo, è determinato dall'ablativo
prupukid. Questo a mio avviso è letteralmente
propagine (cfr. von Planta, 11, p. 143,
*propakio- con traduzione
ex praefinito, p. 513; diversamente Hajnal, p. 127 ss., che vede una costruzione avverbiale su
paciscor, pax e in connessione con
sverruneí intende "con autorizzazione a concludere atonomamente il trattato");
prupukid indica appartenenza al ramo di una gens distinto dal
cognomen sverruneí, il quale è concordato con
maiiúí vestirikiíúí; cfr. Cic.
Cluent. 32.72: Staienus cognomen Paeti ... delegerat, ne si se Ligurem fecisset nationis magis quam generis uti cognomine videretur, post red. in sen.: quam longe hunc Pisonem ab hoc genere cognatio materna ... abstulisser Verr. 11, 5. 180: cum ipse sui . generis initium ac nominis ab se gigni et propagari vellet; per
genus et propago, sinonimi, Aug. civ. XV, 21, 104 D.-K.; traduco
stirpe/genere Suerroni, cioè "per stirpe Suerrone".
Che
sverruneí fosse cognomen aveva già visto Mommsen, il quale sia pure dubitativamente traduce Serroni?, mentre tutte le successive interpretazioni (cfr. Franchi De Bellis, p. 84 ss.) sono basate sull'analisi linguistica prima che sull'esame della struttura testuale. L'intera formula onomastica del magistrato abellano è quindi, in latino,
Maius Vestricius Mai f. Stati n. Suerro.
Non è evidente l'origine del cognome
Suerro, -onis, adottato da un antenato, non sappiamo di quante generazioni più antico. La forma è del tutto analoga a quella del cognome
Varro, di cui conosciamo la storia perché riferita dallo stesso Terenzio Varrone:
Varro enim cum de suo cognomine disputaret, ait cum qui primus Varro sit appellatus, in illyrico hostem, Varronem nomine, quod rapuerat et ad suos portaverat, ex insignifacto vocabulum meruisse, Serv. Aen. XI, 743.
Varro è dunque un
cognomen assunto
virtutis causa da C. Terentius Varro, console nel 216, sicuramente tra gli anni 229-28 a.C., cfr. C. Cichorius, Rómísche Studien, Leipzig - Berlin 1922, pp. 189-191; si veda anche Suet. Tib. 3.2 a proposito dei Livii:
Drusus hostiuni duce Drauso commínus trucídato sibi posterique suis cognomen invenit. Anche
Suerro ha il carattere di un
cognomen tratto da un nome straniero, adottato originariamente ex virtute, e trasmesso ai discendenti; in tal caso sarebbe del tutto privo di connessioni con il lessico osco; altrimenti, v. Hajnal, p. 125 ss.
Cognomina ereditari che distinguono ramificazioni gentilizie di primo e di secondo grado sono ben noti già alla fine del III secolo a.C.: si veda l'esempio dei
Cornelii Scipiones Nasicae, RE TV 1, c. 1494 ss., rin. 350 ss. E' pertanto possibile riconoscere nel formulario dell'onomastica osca una dizione particolare, destinata a distinguere l'appartenenza a un determinato ramo gentilizio, introdotta da
prupukid seguito da un cognomen ereditario, con costruzione parallela a quella di natione + etnico, di uso comune in latino. Il questore abellano, recando una formula onomastica ridondante in cui registra sia il cognomen ereditario sia il nome dell'avo, indica in tal modo proprio in Statis Vestricius l'antenato che per primo aveva adottato il cognomen ex virtute. Se è difficile tentare di individuarne l'origine, è possibile almeno immaginare il modo in cui potrebbe essersi formato questo cognomen, in connessione con eventi che possono aver avuto luogo in regioni anche lontane. Basta ricordare che dopo la seconda guerra punica entra a Roma, nella gens Atilia, un cognomen simile di origine straniera:
Serranus (
Saranus nella forma più antica). Il trattato del Cippo abellano può datarsi intorno al 110 a.C., sicché intorno nell'anno 168 Statis Vestricius, avo del questore di Abella, poteva aver militato in una delle due
turmae di
equites Samnites che si trovavano in Macedonia al seguito di Paolo Emilio e che avevano partecipato alla battaglia di Pydna sotto il comando del legato romano
M. Sergius Silo (Liv. XLIV 40.5). Successivamente l'esercito romano risulta accampato nella Macedonia orientale (Liv. YCLV 4.2), a Sirae (RE 111 Al, 313; N.G.L. Hammond, The Macedonian State, Oxford 1989, p. 41). Dal nome di questa città (Siris, Sirra oggi Seres) potrebbe essere derivata la forma osca del cognomen
sverruneí (nom. *sverro), meritato
ex virtute.
3-4.
mafiúí / lúvkiíúí mai(ieís) pukalatúí Maío Luceio Mai f. Puclato: per il gentilizio cfr. CIL X 1233: Q. Luceius Clemens, magistrato municipale di Nola nel 33 d.C.
Lucius, Luceius, Lucceius sono forme diverse del medesimo gentilizio, che in osco è
lúvkiís. La parola
pukalatúi, costruita su
puklo- = filius, è stata variamente intesa: Poccetti vi scorge un parallelo con il lat.
patratus, intendendo quindi "ha figli ed è ancora figlio"; Hajnal, 130 ss., una costruzione *pukl-a nel senso di "discendenza".
pukalatúí è però con ogni evidenza
cognomen e appartiene alla classe derivante da rapporti familiari, corrispondendo nella costruzione al lat.
(af)filiatus e nel significato ad
Adoptatus, CIL IX 5523:
L. Papiri L. f Lem. Adoptati. Questa formulazione nasconde il gentilizio di origine del personaggio introdotto per adozione nella
gens Luceia; cfr. Cod. Theod. V, 1.2
adoptivum id est gestis ante curiam affiliatum. Probabilmente
Maius Luceius Mai f. precede di una generazione
Numerius Luceius Mr. f.Ni(umsis) Lúvki(iis) M(a)r(aieís), comandante dei Sanniti durante la guerra sociale, noto per una emissione monetaria argentea dell'anno 89, Vetter, n. 200 G 5. Con i
Luceíi di Nola potrebbe collegarsi, come suggerisce la particolare grafia del nome, anche
L. Luuceius M. f. leg. p. Rom. a. 92 a. C. in
bello Thracico (CIL 1 663), il quale poteva aver acquisito individualmente la cittadinanza romana.
5.
medíkeí deketasiúí: l'interpretazione è controversa, cfr. Franchi De Bellis, p. 87 ss., Hajnal, p. 125 ss.; la trattazione più esauriente, è in A.L. Prosdocimi, in SE 48 (1980), pp. 438-4451 il quale identifica il
medis deke(n)tasio- < *dekento/a con il responsabile delle finanze cittadine, come è dimostrato dalla pariteticità con il questore nolano; questa considerazione di carattere istituzionale è ineccepibile;
*dekenta sarebbe pertanto la "decima", formazione diversa dalla stessa base dell'osco
dekmanniúís (Vetter, n. 147); il
medis *degetasiís sarebbe il magistrato "delle decime", ossia il questore; cfr. J., Pokorny,
Indogermanisches etymologisches Worterbuch, 1, Bern u. Múnchen 1959, p. 191. Avremmo così in osco, con
dekma e
*dekenta, non formazioni che si sovrappongono bensì formazioni che restano autonome, significando l'una "decima" e l'altra "gruppo di dieci".
*degetasiís è costituito quindi da
*dekenta + -asio- e significa "pertinente al gruppo di dieci", ossia "membro di un collegio decemvirale",
decemvír. In tal senso occorre interpretare anche l'abbreviazione m. x, il collegio intero dei dieci i cui membri sono
meddíss degetasiís, documentata da tre iscrizioni osche di Cuma: P. Poccetti, Nuovi documenti italici, Pisa 1979, nn. 132-134. Il
medis *degetasiís compare anche in altre due iscrizioni di Nola, Vetter, nn. 115-116, entrambe relative a cose collocate in santuari e pagate con denaro ricavato da multe. La prima di queste iscrizioni menziona due
meddíss degetasiís in carica contemporaneamente. Si tratta comunque di una questione ininfluente sull'interpretazione del Cippo abellano, accertato che la funzione è quella del questore.
10.
[am?] circa + acc. =
de. definisce la materia della convenzione, fino a
amnud (17); non ammissibile [
púz]
ut dipendente da
kúmbened, proposto da Franchi De Bellis, che invece compare alla linea 17 e introduce le clausole della convenzione stessa;
convenio con
ut è anche in latino: Sic. Flacc.
condic. 146 L. = 110 Th.
11.
sakaraklúm herekleís "santuario" cfr. A.L. Prosdocimi,
Italia omnium terrarum parens, Milano 1989, p. 539.
11.
[ú]p, 13.
úp + abl.: letteralmente
ob; indica una posizine di interferenza nello spazio tra una cosa e l'altra: il santuario di Ercole si trova pertanto dinanzi, di fronte, alla cosa definita
slaagid, e così il suolo di cui si tratta,
teer[úm], si trova dinanzi al santuario; si può tradurre "presso".
11 - 12.
sakaraklúm herekleís [ú]p / slaagid púd íst "il santuario di Ercole che è presso la
slage": la determinazione topografica, altrimenti non necessaria, presuppone l'esistenza di almeno un altro santuario di Ercole in territorio di Abella o di Nola; ne è stato infatti individuato uno tra Nola e Cimitile, chiaramente una pertinenza esclusiva dei Nolani, cfr. C. Vecchio,
I Greci in Occidente. La Magna Grecia nelle collezioni del Museo Archeologico di Napoli, Napoli 1996, p. 256.
12.
teer[úm], nom. sing. n., v. anche 18
terúm, 19
teréi e B 21, 23, loc. sing.: indica una superficie campestre (
fundus, campus), come in A 12 e 18, oppure uno spazio libero (
spatium, area) all'interno del santuario (B 21, 23); si può tradurre in entrambi i casi 'terreno'; per il significato di 'territorio', v. A 19; in questo caso la dizione latina tecnicamente corretta è
fundus, Dig. 50.16.60:
sed fundus quidem suos habet fines, locus vero latere potest, quatenus determinetur et definitur.
13.
slaagid (abl. sing. f.), cfr. B 8 (acc. sing. f.)
slagím, B 28
slag[ím], comunemente inteso come 'confine', e più recentemente come 'ager extraclusus' (Franchi De Bellis, 1988, pp. 105-110; 1990, p. 113), cioè posto all'esterno della limitazione agraria, ma tali significati non sono giustificati: senza motivazione 'Grenzgebiet, Mark, daher Grenze' in F. Muller Jzn,
Altitalisches Worterbuch, Gottingen 1926, p. 431, s.v.
slagi-; il significato che emerge dal testo è quello di uno spazio delimitato e scoperto con funzione specifica, evidentemente non agricola; sono del parere che la forma osca sia da connettere con la radice
(s)leg cfr. Pokorny, Idg. Etym. W., 1, p. 959, cfr. lat.
laxus, che riguardo allo spazio significa "libero", "ampio", "agibile", e riguardo all'uso "libero da restrizioni"; difficilmente identificabile con una
silva o con un
ager compascuus, perché l'uso che ne viene fatto nel testo indica qualcosa di ben determinato come riferimento puntuale, e non un ambito territoriale di grande estensione, per quale sarebbe privo di senso il richiamo alla strada che compare in B 28-30; cfr. il gentilizio
slabiis a Herculaneum (Vetter, n. 107), rispetto al quale coesistono le forme lat. Stlabius (CIL X 3633) e Labius (CIL IX 1425, Aequum Tuticum).
slagim, -id qui indica dunque un'area che doveva avere una destinazione funzionale specifica, forse per un mercato rurale, per una fiera. In relazione agli obblighi daziarii i mercati con le strade che li interessavano erano delimitati da cippi. Il termine
slagi- sembra sopravvivere nel nome nella località Schiava, ubicata tra Nola e Abella, dalle quali dista rispettivamente circa km 5 e km 3. Schiava potrebbe essere l'assimilazione di
*sclagia < slagi- ai numerosi toponimi formatisi per la presenza di genti slave; in tal senso potrebbe essere inteso anche il nome di
Schiavi (d'Abruzzo), ove esiste un santuario sannitico. Un santuario di Ercole, come quello del Cippo abellano, ben si adatta alla connessione con un mercato, cfr. F. van Wonterghem, che ha studiato il rapporto tra santuari di Ercole e le
calles publicae, ossia le strade percorse soprattutto dalle greggi transumanti, nel volume a cura di E. Petrocelli,
La civiltà della transumanza, Isernia 1999, pp. 413-428. In età imperiale Nola era sede di un importante mercato, come testimoniano gli
indices nundinarum di Allifae, di Suessula e di Pompeii:
Inscr. it. XIII, 2, nn. 50, 51, 53; per le fiere e mercati cfr. E. Gabba, SCO 24, 1975, pp. 141-163. il mercato, il santuario e il luogo destinato ai
comitia (Comiziano <
fundus Comitianus) per gli abitanti dell'agro compreso tra Nola e Abella, riflettono l'organizzazione territoriale del primo insediamento sannitico. Questo significato di
slagi-, non dimostrabile su base liguistica, è il più probabile. Con ogni margine di possibile incertezza traduco
campus, nel senso di luogo ove si tiene mercato, cfr. a Roma
campus lanatarius, campus pecuarius; nella Cisalpina i
Campi Macri, ove si commerciava bestiame: Varr.
r. rust. II, praef. 6. Interessante a questo proposito e per la connessione con Ercole, il mercato per bestiame posto all'interno della città di Alba Fucens a ridosso della via Valeria, con cui era collegato da una rampa inclinata: è una grande piazza rettangolare con il tempio di Ercole su uno dei lati brevi. Ancora, a
Campochiaro nel Sannio, tra Bovianum e Saepinum, il santuario di Ercole è posto a breve distanza da un incrocio di
calles publicae.
14.
púd quod,
anter teremníss eh[----] íntra termina expolita: "entro i termini levigati"; considero preferibile questa interpretazione; per
termini/lapides politi cfr. Hygin. controv. 127 L. = 90 Th.,
constit. 194 L. = 157 Th., 206 L. = 169 Th.; Sic. Flacc.
condic. 139 L. = 103 Th.;
limit. regund. 360 L.; l'integrazione generalmente accolta,
eh[trúís] extrema, si dovrebbe riferire agli estremi termini dell'agro limitato, un
locus extra clusus, cfr. Hygin.
constit. 198 L. = 161 Th. "
et extremitatem deinde terminis lapideis obligabimus", Franchi De Bellis collega la parola con
teer[úm]: territorio 'esteso' tra i segnali terminali, ma tale precisazione sarebbe del tutto superflua, mentre essa è necessaria riguardo alla qualità dei termini, al fine di renderne riconoscibile la natura (termini pubblici).
15-16
mú[íníkad] tanginúd prúftú set termina communi sententia probaba sunt: la divisione agraria e la collocazione dei termini erano state approvate per legge;
communi sententia presuppone una sede deliberante comune, non atti separati di due assemblee, e implica la convocazione di comitia che comprendevano sia gli Abellani sia i Nolani;
mú[íníkad] tanginúd si contrappone a
senateís tanginúd suveís (8-9), che richiama le deliberazioni con cui i singoli senati di Abella e Nola avevano dato mandato ai rispettivi magistrati ed ai legati che li assistevano di stipulare la convenzione. Si veda anche B24-25, ove si rimanda parimenti ad una decisione comune per l'apertura del tesoro.
16-17.
r[ ... 5-6 ... ] / amnúd recturae causa, ossia per eseguire la divisione regolare dell'agro; la parola mutila, qualunque sia l'integrazione, è di caso genitivo retto da
amnúd, cfr. "
mais egm[as touti]cas amnud pan pieisum brateis auti cadeis amnud = magis rei publicae causa quam ullius gratiae aut inimicitiae causa" nella Tabula Bantina; non ha qui alcun significato l'integrazione
r[ehtúd] amnúd 'secondo un perimetro a lati rettilinei' (von Planta, Bottiglioni, Franchi De Bellis). Il latino
rectura è usato solamente nella terminologia gromatica, Hygin. grom.
constit. 168 L. = 133 Th.:
mensurae et recturae longitudo rationaliter limes appellatur, 181 L. = 145 Th.:
tota limitum rectura, 192 L. = 155 Th.:
acti limitis perpetua rectura; 204 L. = 167 Th.:
agrum arcifinium vectigalem ad mensuram sic redigere debemus, ut et recturis et quadam terminatione in perpetuum servetur; Agenn. 5 L.:
non posse formam cuiuslibet agri sine limitum rectura subsistere; 12 L.:
limitum recturarumve cursus; Frontin.
controv. 58 L. =
nam in agris centuriatis excipitur limitum latitudo causa itineris: sed cum illi recturas suas per qualiacuinque loca extendant ...; lib. col. 213 L.:
ad rationem vel recturas limitum.
17.
puz (non
púz)
ut, apre l'esposizione delle clausole della convenzione (
ekss kúmbened ... puz ita convenit circa ... ut) che si estendono fino a B 28 con la sequenza dei verbi in congiuntivo;
convenio con
ut è anche in latino: Sic. Flacc.
condic. 146 L = 110 Th.
18.
múín[íkúm] nom. sing. n.,
commune, nel senso di
res communis, soggetto di
fusíd esset; múín[íkú] nom. pl. n.: Franchi De Bellis.
19.
múíníkeí terei in communi territorio: istituto applicato nell'arbitrato dei Minucii nei confronti dei Ligures; nel diritto romano i privati proprietari dei fondi finitimi possono avere in comune i terreni per il pascolo, Frontin.
controv. 15 L. = 6 Th.:
est et pascuorum proprietas pertinens ad fundos, sed in commune; propter quod ea conpascua multis locis in Italia communia appellantur.
19.
fusíd esset, il verbo è concordato con il predicato nominale, un aggettivo sostantivato neutro.
21-22.
fruktatiuf fr[ukta/tíuf]: dyptichon.
23.
[fus]íd esset, il verbo è accordato con uno solo dei soggetti uniti dalle congiunzioni
íním ... íním et ... et, come avviene in latino; cfr. B 14 e 18.
23-29. Il comma che inizia con
avt indica chiaramente che Nolani e Abellani mantengono la proprietà dei beni mobili da essi depositati nel santuario, così come il comma seguente si riferisce ai beni immobili; ho pertanto integrato in tal senso l'intera parte terminale del lato A del testo.