IL CASTELLO MEDIOEVALE

A Castellammare di Stabia, in uno dei tratti più suggestivi dei Monti Lattari che, con dolce declivio, calano verso il mare turchino, ove l'azzurro del cielo, fondendosi, par che si slanci all'infinito nell'ampia distesa del golfo di Napoli, si eleva il Castello, erroneamente detto, Angioino. È costruito con pietra calcarea e tufo litoide, a pianta trapezoidale, con un torrione e due baluardi cilindrici, uniti da salde muraglie, un tempo, forse, merlate, ed ora diroccate nella maggior parte. I baluardi hanno, alla sommità, un piano aggettante su un coronamento di archetti e beccatelli; il torrione è rafforzato col barbacane alla base e, nella parte superiore, con una fitta cornice di modiglioni di piperno che, evidentemente, in origine, sostenevano un piano con piombatoi.

 

 

All'interno della mole si osserva una buca, attraverso la quale, per lubrici scalini, si passa da una balza all'altra; nascosti da una vegetazione lussureggiante s'intravedono dei

 

camminamenti sotterranei che, senza dubbio, comunicavano con l'altra torre, giù, poco distante dal mare (quella sulle sorgenti della Fontana Grande).

 

Intorno all'origine di questo castello si sono pubblicate, fin qui, varie inesattezze. L'erronea attribuzione a Federico II di Svevia (1197-1250) è sorta dal fatto che il grande imperatore fece costruire per tutto il regno molti castelli che servissero per difesa e per abitazione. Ma chi ha visto i famosi castelli svevi dalla robusta muratura a bozze e dai grossi conci a combacio, con vari piani, vaste sale, porte e portali, dove alla robustezza della difesa si volle unire lo splendore della Reggia, si guarderà bene dal riscontrare nel Castrum di Stabia un'opera di Federico. Il quale, com'è ormai noto, faceva costruire i suoi fortilizi su disegni fatti da lui stesso. Invece di una costruzione ex novo, vi fu fatta una riparazione durante il regno di Federico, come si desume dai documenti svevi sull'amministrazione dei castelli del reame di Sicilia. All'epoca degli Angioini vi si dovettero fare ulteriori restauri o ampliamenti, e perciò fu attribuito a Carlo I d'Angiò e, a torto, chiamato Angioino. Dalla forma attuale, e specialmente per la controtorre e il basamento a scarpa, che hanno carattere prevalentemente quattrocentesco, è evidente che ci furono rimaneggiamenti anche in epoca posteriore.

A quale epoca, dunque, bisogna far risalire la primitiva costruzione? È noto che nel secolo IX, quando i Saraceni infestarono le nostre contrade, si ricorse alle costruzioni di difesa; ed è molto probabile che la nostra Stabia - la quale, in tal periodo, andava perdendo o aveva già perduto la vaste estensione del suo territorio - provvedesse alla propria difesa erigendo il suo Castrum, che, essendo situato in riva al mare, fu detto Castrum ad mare: Castello a mare.

Ai primi decenni di questo secolo il maniero era diventato non più che un rudere: esso che, intorno all'anno 1000, sorgendo sul confine con Sorrento, ebbe il vanto di prestare valida difesa agli abitanti di quel ducato contro le scorrerie dei Longobardi; esso che nel 1500 aveva perduto ogni importanza militare, contentandosi appena di ospitare la guarnigione delle truppe del Governamento insediatosi nel piccolo appartamento dei Farnese (sito nell'attuale Piazza Municipio), essendo la città divenuta feudo di quella Casa; esso che successivamente era divenuto solo il ricordo di un fortilizio, abbandonato ad ogni sorta di spoliazione anche da parte degli abitanti del posto, che presero ad asportare pietre dal basamento per adattarle a costruirsi una casetta per proprio comodo; esso finì col diventare esclusivamente un soggetto di ispirazione artistica ai pittori che lo ritrassero sulle loro tele e con le loro tavolozze. Era in tali miserande condizioni quando attrasse l'attenzione del nostro concittadino Comm. Edoardo de Martino, che lo acquistò dal Demanio, col lodevole intento di conservare a Castellammare un'opera di grande valore storico. E in tre anni di lavoro, dal 1930 al 1932, sotto la direzione di un altro nostro concittadino, l'ing. Guglielmo Vanacore, e con la supervisione della Sovrintendenza alle Antichità e Belle Arti, vi apportò i necessari restauri, per restituire alla mole le sue caratteristiche originarie, pur con rifacimenti arieggianti intonazioni moderne, per non falsificare l'antico. Il corrispondente de "Il Mattino" di Napoli, che a lavori ultimati si era recato a visitarlo, dice: "con un senso di tristezza, supponendo di veder cancellato un passato ricco di tanta storia", e ne riporta un'entusiastica impressione vedendo "la storica mole troneggiare più maestosa di prima, quasi nume tutelare della nostra terra. Le torri, in parte diroccate, …restaurate; colmata l'antica vallonata per non spostare la linea dell'autostrada; costruito un portale ex novo con pietra calcarea, rispondente al materiale preesistente". Il portale, a scopo scenografico, serve per mostrare al viandante la facciata interna creata di sana pianta.

Così appariva dunque il castello verso la fine del 1932; ma così non rimase a lungo, perché col sopravvenire della II° guerra mondiale, propriamente nel 1942, esso fu requisito e ridotto allo stato di grezzo dalle Forze militari inglesi di occupazione. Il che richiamò tutta l'attenzione e tutto l'interessamento del proprietario a rimetterlo in sesto. Difatti, l'avv. Salvatore, figlio del Comm. de Martino, dopo approfonditi studi inerenti al soggetto, con una tenacia più unica che rara, e profondendovi ingenti somme di danaro, servendosi di mano d'opera napoletana specializzata, ha dato il via a radicali lavori di restauro, destinati a trasformare il castello tipo fortilizio in castello tipo reggia. Gli operai lavorano la diversa qualità di pietra, a seconda dell'occorrenza, avendo a guida modelli antichi, che riproducono con assoluta fedeltà e impegno artistico, per affrontare sagome per l'esterno e fregi per i vari interni.

Il portale è stato ultimato a stile romanico all'ingresso del corpo principale di fabbrica, proveniente da antichità rinvenute a Solofra. Nei saloni sono stati collocati nove camini rinascimentali, in perfetto funzionamento, e tutti in armonia col tipo di ambiente in cui si trovano. Uno di questi camini è monumento nazionale, ed è stato prelevato a Riosecca (Città di Castello). Anche le cinque scale che servono per il disimpegno e l'accesso alle varie balze interne, hanno la loro caratteristica romanica o rinascimentale.

L'ampio cortile d'ingresso ospita un pozzo trecentesco con i primi sentori del rinascimento, che trovavasi nella chiesa di San Francesco in Orte, e che fu acquistato presso l'antiquario sig. Bartolozzi a Firenze. Esso è stato messo in opera su fondo a cisterna.

 

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