MEDIOEVO

I pochi scampati dalla furia del Vesuvio (79 d.C.) si rifugiarono alle pendici dei Monti Lattari, luogo certamente più sicuro, al riparo dall'ira degli elementi e dalla furia degli uomini, costituite a tale epoca dai Goti prima e dai Longobardi poi.

Così gli antichi predia romani si trasformarono negli agglomerati urbani di Lettere, Gragnano, Pimonte, Pino, Scanzano, Carmiano, Varano. E proprio in quest'ultimo luogo la tradizione vuole che il nucleo più consistente di stabiesi avesse edificato una terza Stabia.

Oggi noi indichiamo con il toponimo Varano quel luogo collinare che, da est, sovrasta la città. Da un punto di vista topografico, invece, Varano comprende da nord-est il ponte di S.Marco, penetrando ad est-sudest sin verso l'attuale cimitero di Gragnano e correndo, infine, per via Castellammare raggiunge la collina del Solaro ad ovest.

Ebbene è probabile che gli antichi stabiesi avessero edificato la loro città esattamente nel luogo chiamato, fino al XIX secolo, Vetere ed oggi Perillo, alle spalle, verso est, di via Castellammare, in territorio ora di Gragnano, luogo detto anche Stagli; come anche è ipotizzabile che in tale luogo avessero innalzato la Cattedrale.

Se così fosse, questa sarebbe la Cattedrale ove risiedettero il vescovo Orso, intervenuto al Sinodo Romano del 499 d.C. indetto da papa Simmaco; Lorenzo, di cui è memoria in una lastra sepolcrale; S. Catello, vescovo e protettore della città; Lubentino, intervenuto nel 649 al Concilio Lateranense indetto da papa Martino I.

Santo ignoto (S. Catello? - VII-IX sec.)

Particolare di affresco nella Grotta di San Biagio

Da tale data e sino all'849 non vi è più traccia, nei documenti, della città e della chiesa stabiana. Difatti solo in tale anno è ricordato come vescovo Sergio. Ciò darebbe ragione alla tradizione che vuole sia avvenuta in tale lasso di tempo una spettacolare alluvione che distrusse questa terza Stabia.

Erano questi gli anni in cui i Sorrentini e gli Amalfitani cominciavano ad edificare i primi castra a difesa dei propri ducati, inespugnabili, o quasi, dal mare ma vulnerabili da terra. Sorsero, così, i castelli di Gragnano, Lettere, Pino e Pimonte, edificati dagli Amalfitani e quello di Castrum ad mare dai Sorrentini, chiamato anche Castrum ad mare de Surrento, appunto per rimarcare l'appartenenza a questo Ducato.

Attorno a questo castello, notevolmente diverso da come appare oggi dopo le varie rifazioni, si aggregò la popolazione stabiese scampata all'alluvione, creando, così, il primo nucleo della Castellammare medioevale e dando vita al rione della Fratta.

Dai protocolli del notaio Paolo Fedele del 1584 apprendiamo che nei pressi del Castello, nel luogo detto vaglio iuxta castrum, da diversi secoli esisteva la Cattedrale, che in tale anno fu venduta a privati perché quasi distrutta.

Ma ben presto il centro di Castellammare, dalla Fratta, si spostava verso il lido del mare e verso nord-est. Quali le ragioni? Ci sono di conforto alcuni documenti del 1266-1285, relativi al regno di Carlo I d'Angiò, dai quali si evince che il sito ove oggi sorge la città era a tal epoca una palude, prosciugata appunto da tale sovrano. Difatti da un altro documento del 1284 apprendiamo che il re ordina agli abitanti dei casali di unirsi a quelli che abitano a valle per poter meglio difendere la città durante la guerra del vespro.

Quindi dall'esegesi storica di questi documenti si deduce che prima del periodo angioino era impossibile abitare a valle, perché vi era una palude, e perciò soltanto dal 1284 inizia il movimento migratorio dalle colline di Visanola a valle.

Questa Castellammare si sviluppava dalla zona della Fontana Grande, proseguiva lungo il lido del mare, chiusa da una serie continua di case fortificate e si arrestava al Quartuccio, ove vi era, come elemento indissolubile della fortificazione, la nuova terza cattedrale. Infine nel 1346, accanto a questa cattedrale, sorse una fortezza che chiudeva la città a nord: il torrione del quartuccio, oggi incorporato nell'attuale palazzo Spagnuolo.

L'aspetto di questa Castellammare trecentesca, vista dal mare, doveva essere certamente austero e grave. A tal epoca la nostra città costituiva la chiave di volta di tutto il sistema difensivo napoletano, proteggendo da ovest-sudovest Sorrento e da nord-nordovest la capitale del Regno: Napoli.

Per questo motivo i sovrani angioini riparavano e munivano continuamente le sue mura, come consta da molteplici documenti. La riprova dell'importanza strategica della rocca di Castellammare è data dalla celebre battaglia, svoltasi nelle sue acque nel 1287, tra re Carlo d'Angiò e re Giacomo d'Aragona, che costò la vita a Guido de Montfort e la distruzione della flotta angioina. Anche per tale impresa l'ammiraglio Ruggiero di Lauria, vincitore della battaglia, poi passato agli angioini, ebbe il 12 febbraio 1301 in feudo la città di Castellammare, che da tale data, salvo brevi periodi, fu sempre feudale; e così sino alla cessione definitiva ad Ottavio Farnese, del 18 luglio 1541, che sposava Margherita d'Austria, figlia naturale dell'imperatore di Spagna Carlo V.

 

La Grotta di San Biagio

Giace ai piedi della collina di Varano, sotto la cosiddetta Villa d'Arianna. Difatti si ipotizza che in origine fosse una cava di tufo grigio, con il quale furono edificate le ville romane.

 

Con il tempo fu trasformato in tempio pagano e, dal V-VI secolo in oratorio cristiano. Questo oratorio diventa così il centro spirituale della città, primo ed unico luogo di culto, dove officiarono i primi vescovi (Orso, Catello, Lorenzo) di cui si ha memoria, e la presenza di lapidi di tal epoca e di tombe paleocristiane è indicativa di tale ipotesi.

Tra la fine del sesto secolo e gli inizi del settimo si diffonde l'ordine benedettino in tutta la penisola sorrentina e la grotta diviene una grancia del Monastero di San Renato di Sorrento. La prova è costituita da innumerevoli documenti e dalla presenza all'interno della grotta di affreschi con santi di quest'ordine (San Renato, San Benedetto) e dell'arcangelo Michele, il cui culto in questo periodo è molto diffuso. Viene, quindi, utilizzata come chiesa fino al sec. XVII, epoca in cui viene sconsacrata e abbandonata.

L'importanza come bene culturale è costituita dalla presenza di affreschi, eseguiti certamente tra il VI e il X secolo, ed il fatto che essa si presenta ancora nello stato originario, senza superfetazioni o trasformazioni stilitiche.

E' stata oggetto di indagine, nell'ultimo secolo, da parte di eminenti studiosi, quali il Bellermann (1839), lo Schultz (1860), il Salazaro (1871), Stevenson (1879), il Cosenza (1898), Belting (1968), Bertaux (1903-1963), Ulivi (1979), Gioia Bertelli (1996).

Oggi, purtroppo, giace abbandonata e, dopo il sisma del 1980, anche puntellata. Non risulta vi siano mai state fatte opere di restauro o sondaggi esplorativi.

Le competenze sono distribuite, o meglio confuse, tra le Soprintendenze Archeologica e Artistica.

È chiusa e, quindi, non visitabile.

 

San Michele Arcangelo (VII-IX sec.)

Particolare di affresco nella Grotta di San Biagio

 

 

 

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