LA TESI DELLA PATERNITA' LEONARDESCA

FORMULATA DAI PROF.RI MARIO MASCETTI ED ERNESTO SOLARI

La Sacra Famiglia di Lipomo

Tra le stampe della Raccolta Civica Bertarelli di Milano si trova una xilografia apocrifa databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, che rappresenta l’Ultima Cena e una Sacra Famiglia, firmata da Leonardo da Vinci (Leonardus fecit). Di quest’opera attribuita a Leonardo non si è avuta più notizia né traccia.

La tesi che qui si vuole proporre è che tale opera sia da identificare con la tela, già considerata di scuola leonardesca, presente nella chiesa di Lipomo (Como).Tale quadro infatti richiama immediatamente la S. Anna del Louvre, di cui replica in modo speculare la figura del Bambino che cavalca l’Agnello: inoltre la figura della Madonna è rappresentata con la medesima gestualità di quella del Louvre, ma in posizione eretta simile alla S. Anna. È indubbio che esiste una relazione molto stretta fra i due dipinti. A conforto dell’importanza attribuita alla Sacra Famiglia di Leonardo, interviene, oltre alla citata xilografia, la presenza di numerose copie eseguite dagli allievi più vicini al Maestro.

Si citano: quella attribuita a Marco d’Oggiono, nella collezione Archinti di Milano; quella di Bernardino Luini di S.Antonino ad Albate; quella di Andrea Solario presso il Crocefisso di Como; quella del Giampietrino ad Ospedaletto Lodigiano; quella del Salaino conservata presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano; da ultimo, quella vicina allo stile del Melzi, proveniente da una collezione privata milanese. Tutte queste copie riproducono più o meno fedelmente lo schema compositivo della Madonna con il Bambino che gioca con l’Agnello; però in tutte viene ignorata la figura di San Giuseppe, presente nel quadro di Lipomo secondo lo schema trasmessoci dalla xilografia della Collezione Bertarelli. La straordinaria correlazione con la S. Anna, nonché la omissione della figura di San Giuseppe nelle numerose copie, ha sollecitato la ricerca di una spiegazione, soprattutto in ordine alla possibile datazione del quadro e ad una eventuale collocazione dell’opera di Lipomo nel percorso artistico di Leonardo.

Diventa stimolante verificare se vi siano le condizioni per immaginare un’attribuzione a Leonardo, o quantomeno il riconoscimento di una paternità parziale.

Si è pertanto indagato tra i manoscritti di Leonardo e tra i disegni alla ricerca di indizi e correlazioni possibili con il dipinto in esame. Si è ritenuta particolarmente illuminante  l’osservazione e l’analisi degli elementi presenti sul “Foglio Tema” di Windsor (RL 12283), che il Pedretti ipotizza di datare al 1498, ma che per quanto si va ad osservare potrebbe anche scendere di qualche anno. “Vien subito da pensare – scrive il Pedretti a proposito del contenuto del foglio – che le figure geometriche fossero state predisposte in funzione dell’effetto compositivo d’insieme. Sembra infatti che Leonardo le avesse considerate in rapporto agli elementi figurativi in modo da conseguire un equilibrio ritmico nella pagina”. Senonché il concetto che il Pedretti applica al “Foglio Tema” parrebbe molto meglio applicabile al “nostro” quadro: la figura geometrica della piramide “ogivata” grande, in cui si inscrive nell’angolo in basso a sinistra una piramide piccola con diversa angolazione, sembra esattamente il contenitore ideale studiato in funzione dell’effetto compositivo e della proiezione della luce per il gruppo “plastico” della Madonna con il Bambino.

Coincidenza abbastanza sorprendente è data dal fatto che sul verso del medesimo foglio compare un’altra “piramide ogivata”, che a sua volta sembra essere il contenitore della S. Anna del Louvre con una diversa diffusione della luce; ed è evidente come la base, a differenza del primo quadro, non è allineata su una retta, ma si presenta come una linea curva, che cinge le estremità delle figure, così che la prospettiva esalta al massimo l’effetto plastico tridimensionale. Il “vecchio” sul “Foglio Tema”, accostato all’albero, ha tutta l’aria di essere lo “studio per il san Giuseppe”, immaginato in un primo tempo come un osservatore della scena da un punto esterno, da posizionare da qualche parte; in effetti realizzato nello spazio esterno alla “porta-finestra” sul quadro della Sacra Famiglia: si noti la somiglianza della capigliatura; anche se la fisionomia del realizzato è di un uomo meno anziano. È solo suggestione pensare trattarsi del ritratto di ser Piero, padre dell’artista?

La supposizione si fonda sul fatto che Leonardo stesso associa in più occasioni nei suoi scritti la figura paterna a quella dell’albero. Un’altra corrispondenza straordinaria par di vedere nello schizzo di una montagna (dietro le spalle del vecchio), che sembra proprio quella realizzata sullo sfondo “tutto leonardesco” della porta-finestra sul quadro. Inoltre nella “gabbia” compositiva è abbozzata la cuspide di un campaniletto, che ritorna nel paesaggio sotto la montagna nella tela di Lipomo. Si notano sul Foglio citato due figure di soldati (che preludono gli studi successivi per la Battaglia di Anghiari) che nel loro atteggiamento sembrano alludere al tema della giustizia; a lato di un giglio e della struttura a “M gigliata”, che rimanda a un riferimento dantesco (Paradiso, Canto XVIII): tema della giustizia, che ritorna nella cosiddetta “Allegoria della Navigazione.” Si nota che i personaggi citati nel canto dantesco diventano il soggetto di numerosi dipinti di Leonardo: S. Gerolamo, l’Annunciazione, S. Giovanni Battista, S. Anna, la Leda (citata da Dante come costellazione). Se gli indizi osservati hanno un riscontro nel quadro di Lipomo, ciò significa che è stato concepito negli ultimi anni del Quattrocento e completato ai primi del Cinquecento, parallelamente al cominciamento della S. Anna, citata in una lettera di fra Pietro da Novellara nel 1501. Se questa successione temporale può essere confermata, si deve concludere che l’impianto della S. Anna deriva dallo schema di Lipomo. Pertanto questa correlazione conferma una paternità leonardesca al dipinto della Sacra Famiglia. Anche il paesaggio, che sembra potersi identificare con il Monte Catria, sotto il quale è collocato l’eremo di Fonte Avellana, territorio controllato dal Valentino, per cui Leonardo operò come esperto di architettura militare, nei primi anni del Cinquecento, induce ad assegnare l’opera al Maestro, nel periodo del ritorno da Milano a Firenze, motivato anche da questioni familiari.             Lo stesso soggetto della Sacra Famiglia sembra denunciare il desiderio di Leonardo di ricomporrre un rapporto con la sua famiglia, dalla quale si era sempre sentito escluso. Ritorna pertanto nel quadro di Lipomo la possibile immagine della madre Caterina (morta nel 1495); immagine che trova sorprendenti somiglianze con il misterioso volto della Scapiliata; mentre la figura di San Giuseppe, collocata all’esterno della casa, potrebbe essere il padre, forse aggiunto in un secondo momento, negli anni in cui Leonardo, dopo la morte di ser Piero (1504), fu in disaccordo con i fratellastri per l’eredità.

AGGIORNAMENTO DEL 8 DICEMBRE 2002

Leonardo a Lipomo? 

Nuove prove per un sì

di Mario Mascetti ed Ernesto Solari

 Lo studio sulla tela della Sacra Famiglia conservata a Lipomo per accertarne la paternità, che abbiamo attribuito a Leonardo, negli ultimi mesi ha fatto progressi, che ci permettono di presentare nuove e forse determinanti prove per affermare che al sommo Maestro non solo si deve riconoscere l’ideazione, bensì anche l’esecuzione dell’opera. Due dei nuovi elementi di prova reperiti sono solo indiziari, mentre un terzo è un dato di fatto incontestabile.Un primo indizio, che accosta il quadro di Lipomo alla Madonna dei fusi, di cui è stata provata la paternità di Leonardo, è il fatto (segnalatoci dal prof. Vezzosi di Vinci) che sotto il paesaggio della tavoletta ora in collezione privata a New York è stato evidenziato dai raggi infrarossi la figura di un San Giuseppe che costruisce un girello per Gesù Bambino, poi coperta in seguito a “pentimento” dell’artista. Figura per diversi aspetti simile a quella del quadro di Lipomo, che resta ora l’unico a presentare un San Giuseppe dipinto da Leonardo.

Un secondo importante indizio viene da un disegno della Biblioteca Reale di Windsor in cui compare una Madonna che allatta Gesù Bambino, rappresentata in due atteggiamenti sovrapposti, quasi come in un cartone animato (foto 1). Quella sottostante (leggibile cancellando quella sovrapposta come si vede nella foto 2) guarda intensamente il Bambino al seno; quella sovrapposta si volge piangente verso San Giovannino appoggiato al ginocchio della Vergine. È il tema della Passione rappresentata per allusione attraverso Maria, che medita la profezia di Simeone, secondo un’interpretazione tipica e costante di Leonardo, che sviluppa su questo filone una sequenza di studi e di dipinti culminanti nella S. Anna del Louvre.

Ma non solo il “tema” la accosta a Lipomo, bensì anche l’atteggiamento di Maria, che si presenta con la stessa espressione di Lipomo, con cui condivide i tratti della manica e del colletto (foto 2), così che il disegno può essere considerato praticamente uno studio preparatorio, che ha trovato realizzazione nella nostra tela, sia pure con una variante del contesto.

Ma la novità più importante, ai fini di dimostrare la paternità diretta di Leonardo,  è rappresentata dalla riscoperta delle caratteristiche originarie del quadro, rivelate dalle immagini ai raggi X, diverse da quelle dell’opera attuale, senza dubbio falsata da ridipinture, che ne hanno modificato e deteriorato sensibilmente la qualità cromatica ed in parte la stessa composizione. L’assemblaggio delle nove lastre radiografiche del quadro di Lipomo, infatti, permette di osservare nell’insieme un sostrato di altra qualità cromatica e plastica (foto 3), che dovrebbe rimuovere le perplessità di coloro, che escludono l’attribuzione a Leonardo proprio per la qualità dei materiali e per la tonalità e densità dei colori in alcune parti.

Del resto analoghi interventi aveva pur avuto il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano, che solamente con il recente restauro è stato “denudato” nella versione più vicina all’originale. Eppure nessuno mise mai in dubbio l’autenticità dell’opera, anche quando se ne vedeva una assai diversa da quella che si ammira oggi: anzi, c’è addirittura chi rimpiange il “fumoso fascino” delle ridipinture rimosse dalla restauratrice, giacché su quelle avevano costruito il loro immaginario leonardesco.

Ebbene, il manto che fascia il braccio sinistro della Madonna di Lipomo così come si vede sulla tela (ed è uno dei cavalli di battaglia di chi contesta la nostra tesi) non è quello autentico; anzi, anche il lembo centrale inferiore è stato allargato fino a coprire il sedile della Madonna, che si scorgeva nel dipinto originale.

Le quattro copie dei discepoli da noi già pubblicate, di cui qui replichiamo per un confronto (foto 4) quella conservata presso la parrocchia del SS. Crocifisso (il prof. Pedretti ce ne ha segnalata una quinta in collezione privata a Los Angeles) concordemente ed uniformemente  presentano un manto diverso: in particolare il risvolto sul braccio è visto di rovescio (con tinta beige), così come appare dover essere quello che si osserva nella lastra radiografica.Come facciamo a dire che l’originale da cui i discepoli hanno tratto le copie è il dipinto di Lipomo e che esso stesso non è un’ulteriore copia di altro allievo di Leonardo? Lo dimostra il modo di lumeggiare le figure. Se si confronta la lumeggiatura del Bambino che cavalca l’agnello nel quadro di Lipomo con quello della tavola della S. Anna del Louvre (eseguita circa dieci anni dopo) vi si ritrova la stessa mano, che modella le figure con la luce, in modo da ottenere il massimo di plasticità; qualità che manca assolutamente nelle stesse figure copiate dai discepoli. La replica  tecnicamente più vicina al Bambino di Lipomo è in realtà il Bambino di Parigi, pur essendo stato eseguito molto tempo dopo in atteggiamento speculare (foto 5). E come avrebbe potuto Leonardo “copiare” da altri? Anche il confronto del braccio del Bambino della Vergine delle Rocce con quello di Lipomo evidenzia forti analogie nella lumeggiatura, meglio osservabili attraverso la lettura in negativo (foto 6).

Pure il volto della Madonna in radiografia appare più “pulito” che nella tela. Insomma, se il quadro sarà restaurato (e le copie dei discepoli fanno da palinsesto) si potrà apprezzare l’originale per ritrovare, secondo noi, quel Leonardo perduto, che deve essere  riconosciuto nella Sacra Famiglia di Lipomo.

    

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LA COPIA DEL CROCEFISSO

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LA COPIA DI ALBATE

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LA COPIA DI M.D'OGGIONO

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LA COPIA DEL GIAMPIETRINO

LA COPIA VICINA AL MELZI

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Le qualità cromatiche

Nel complesso l’impianto compositivo del quadro porta senz’altro ad una assegnazione a Leonardo come autore dell’archetipo. Dubbi sulla paternità totale potrebbero forse essere motivati dalla qualità cromatica del dipinto, che non raggiunge i livelli eccelsi dei capolavori riconosciuti del Maestro. Esistono però almeno alcuni particolari del dipinto che confermando, a nostro avviso, l’intervento di Leonardo, presentano una qualità cromatica vicina ai suddetti capolavori. Citiamo, ad esempio, il volto del Bambino avvicinabile al cartone della S. Anna ed il braccio sinistro dai tratti anatomici con effetti cromatici accostabili al Bambino della Vergine delle Rocce del Louvre. Vari particolari del panneggio e della veste della Madonna sono paragonabili a quelli di altre Madonne (Benois, Annunciazione, Madonna del Garofano, ecc.). Il paesaggio montano rivela effetti cromatici o luministici rispondenti ai criteri illustrati da Leonardo nel Trattato sulla pittura.

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Il quadro ai raggi X...

Il 10 gennaio 2002, presso la Ditta Gilardoni di Mandello, è stata eseguito l’esame ai raggi X  della tela di Lipomo.

I dati emergenti sono risultati i seguenti:

1.            Il quadro è stato dipinto di getto direttamente sulla tela nuda, senza preparazione di sottofondo; motivo per il quale il colore in vari punti è saltato via e traspare la tela.

2.            Probabilmente sono da considerare ridipinti particolari del piede della Madonna (perché la tela è stata tra l’altro cucita in zona, giacché il lembo inferiore era staccato);  della mano e della parte centrale e sinistra del paesaggio montano.

Ecco il particolare del volto

Gli indizi storici.

Il quadro viene citato per la prima volta a Lipomo nel 1873, come giunto intorno al 1868. La tela era arrivata a Lipomo dopo i lavori di ampliamento della chiesa, che avevano comportato anche il rifacimento degli altari. Gli indizi portano a dire che la provenienza era dalla ex-chiesa di Sant’Antonio di Como, dove era arrivata dopo il 1578 con tutta probabilità dalla quadreria di Paolo Giovio, il famoso storico. Come si arriva a questa ipotesi?    Quando nel 1578 il vescovo di Vercelli, mons. Francesco Bonomi, visitatore apostolico per la diocesi di Como, vede la chiesa di S. Antonio prescrive che sia sostituita l’ancona dell’altare perché troppo vetusta. In quel momento ne è commendatario mons. Paolo Giovio junior, vescovo di Nocera, da poco subentrato a mons. Giulio Giovio, che ha ereditato la quadreria dello zio Paolo Giovio senior, lo storico, che pure era stato commendatario della medesima abbazia e chiesa. Ebbene, stranamente, anziché far eseguire una nuova ancona con l’immagine di S. Antonio titolare della chiesa, mons. Paolo Giovio deve aver fatto apporre appunto la tela raffigurante la Sacra Famiglia, come prova il fatto che ancora nel Settecento la cappella maggiore compariva con questa dedica, che aveva usurpato quella a Sant’Antonio, nonostante il quadro non fosse più esposto sull’altare maggiore (dopo la costruzione nel secolo XVII di un nuovo altare barocco con tronetto di marmo al posto di un’ancona figurata), e fosse andato a finire nella prima cappella a destra entrando, dove i Bonanomi, avevano posto la loro tomba di famiglia.

Dopo il 1790 la chiesa cominciò ad essere profanata, con dispersione delle opere d’arte. Intorno al 1860 si ha anche l’alienazione di tutti gli immobili. Gli atti di alienazione dei beni dell’ex-convento di S. Antonio sono rogati dal notaio Tomaso Perti, che di Lipomo in età austriaca era il primo deputato. Secondo deputato era Antonio Bonanomi, che come si è detto nella chiesa di S. Antonio aveva la cappella sepolcrale di famiglia dedicata a San Giuseppe, ma che aveva come pala d’altare una tela con la Sacra Famiglia, incorniciata in un’ancona di stucco, come si dice in un inventario del 1772 conservato presso l’Archivio di Stato di Milano. Che quella pala sia da identificare con quella giunta a Lipomo ne è indizio il fatto che la tela non ebbe mai una cornice lignea.

E c’erano anche motivazioni morali, a che qualcosa della chiesa di S. Antonio arrivasse a Lipomo. Il convento di S. Antonio è documentato come possessore in Lipomo dal secolo XIII. Vi aveva raccolto gli affitti anche quel Paolo Giovio, che probabilmente aveva nella sua quadreria quel quadro: forse l’unico di soggetto sacro esponibile sull’ancona di un altare.

 

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IMPORTANTI NOVITA' CHE CONSENTIRANNO DI RIPROPORRE LA TESI DI PATERNITA' DI MASCETTI E SOLARI, SARANNO RESE NOTE  DAGLI STESSI STUDIOSI IN UNO DEI PROSSIMI INCONTRI O TORNATE DI STUDI LEONARDESCHI SUL LARIO (IN SEDE E DATA DA STABILIRE)
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