La Città-Strada negli
Stati
Uniti
di Douglas Haskell
“Città strada” è
il nome
che potremmo benissimo darle giacché è proprio una
città
lunga un migliaio di miglia. Il linguaggio professionale l’ha sminuita
riferendosi ad essa come ad un mero “sviluppo a nastro”: termine che
è
ristretto e statico. La città strada è la creazione di
quell’uomo
industrioso che noi altrettanto bene potremmo chiamare l’automobilista,
in uno con la sua inseparabile compagna inanimata, l’automobile, che si
potrebbe denominare lo “scarafaggio di strada”. La città strada
è “in campagna” ma non fa parte della campagna. La sua posizione
in diretta continuità con la natura è incidentale, non
organica.
La presenza della Città Strada nella campagna non è
connessa
con le fattorie o con l’allevamento degli animali. Essa appartiene al
viaggiatore
e alle comunicazioni, L’idea della città strada trova sempre
ampie
radici in vasti strati della popolazione, ma non è dovuta al
fatto
che il 13% della nostra popolazione esercita ancora l’agricoltura; la
strada
non ha nulla a che fare con il pastore o coi suoi armenti; essa esce
fuori
dall’industria. Fra coloro che crearono la Città Strada e
l’architetto
professionale o il pianificatore c’è un profondo distacco,
dovuto
al fatto che l’automobilista ha una quasi incredibile mancanza di
cultura
perciò è estremamente difficile per un uomo che ha
studiato
di comprenderlo. La Città strada pulsa di una propria vita forte
anche se rozza, spesso spaventevole oltre ogni immaginazione, ma non
tale
da essere ripudiata come insufficiente o consapevolmente ostile ad ogni
miglioramento. Il sublime oblio che la Città Strada mostra verso
lo scenario naturale e l’architettura moderna, quale noi la conosciamo,
ci suggerisce quasi l’idea, di una strana razza di animali umani che
producono
la loro vasta rete di scavi, strutture, luci ad intensi colori che
sembrano
sostenersi da soli lungo il solido nastro stradale. L’ecologia è
distruttiva per quel che si è amato nella natura come un tornado
o un vulcano - come se qualche cosa scoppiata dalla Natura esteriore
abbia
sconvolto la terra; eppure il proposito intimo dell’automobilista, per
quanto debolmente impugnato, è quello di un adeguamento
specifico.
Un’esplorazione della Città
Strada
può anche benissimo iniziarsi dal capo opposto da dove
incominciò
l’automobilista che uscì dalla metropoli. Ecco una strada di
montagna
a trecento miglia da New York - la città strada non è
ancora
qui. Solo pochi scarafaggi della strada ci sono penetrati, e sono
apparsi
qua e là di fronte alle capanne di montagna, richiamando la Via
del Tabacco nella loro meschinità e disordine. La
semplicità
dell’invasione della vera e propria Città Strada, è
attestata
qui dalla mancanza di fili metallici o di pali. Questi estremi
sensibilizzatori
della Città Strada li vediamo al momento in cui questa piccola
strada
polverosa, bella ed alberata, sbocca in una via più importante.
Il filo metallico sarà lì, sia stata o meno la superficie
della terra trasformata in un ammasso di asfalto o di cemento.
Qui incontriamo pure un altro
elemento
della Città Strada che si integra ad essa, tanto quanto i
tamburi
e le trombe si integrano al Jazz: il cartellone pubblicitario. Il
cartellone
pubblicitario ha avuto i suoi primi inizi quando gli agenti
pubblicitari
avrebbero dipinto il granaio di una fattoria se questo avesse potuto
servire
per fare un po’ di reclame. Oggi questi muri scoloriti di fattorie che
annunciano “Tabacco Confezionato”, sono scarsi perché il
cartellone
pubblicitario è stato reso più dignitoso con una sua
propria
struttura ristretta e standardizzata piantato nell’erba.
Oggi gran parte dell’inchiostro o
colore
adoperato è fluorescente, e molti cartelloni pubblicitari sono
luminosi.
Il cartellone pubblicitario è diventato talmente onnipresente
come
simbolo della strada (o ferrovia) che la principale fabbrica di
treni-giocattolo
dice di aver distribuito trenta milioni di giocattoli, riproduzioni di
cartelloni pubblicitari, negli ultimi cinque anni. Per il ragazzo
americano
una parata di cartelloni pubblicitari fa sì che il suo trenino o
la sua autostrada sembrino “veri”. È una forma di araldica, uno
strumento di comunicazione, un rituale assicurarsi dell’automobilista
di
essere ancora amato dai produttori di sottaceti, di gomma americana, di
macchine, di sigarette e di benzina, che i suoi compagni automobilisti
stanno felicemente comprando.
Qui in campagna lo sterminio degli
alberi,
a profitto delle insegne, fa trasalire una persona sensibile, tale
è
la violazione del mistero della natura. Avvicinandosi alla città
la parata dei cartelloni pubblicitari è così fitta che
diventa
virtualmente un fenomeno di natura, o piuttosto una non-natura, da
studiare
così coem si studiano l’esercito delle formiche. La Città
Strada ha un’altra cosa essenziale: il distributore di benzina che sta
ora passando un periodo di sviluppo e di cambiamento. Prima le stazioni
di benzina erano frequenti, distanziate ogni una o due miglia lungo le
strade, anche le meno frequentate. Questa accadeva quando i serbatoi di
benzna avevano capacità minore ed erano senza riserva. Oggi i
distributori
di benzina costeggiano ancora strettamente le maggiori autostrade, ma
sulle
strade minori se ne trovano soprattutto al limite di quelle vecchie
cittadine
vecchio stile per le quali passa l’automobilista. I distributori di
benzina
sono diventati più elaborati, gruppi di pompe a colori vivaci,
lunghi
pali con segnali a smaglianti colori, alcuni illuminati all’interno e
trasparenti;
gruppi di alberi sventolanti piccoli pennoni rossi, tutto serve ad
annunciare
la gioiosa interruzione della guida per il rito di “fare il pieno”,
oltre
che, per inciso, andare alla toilette, o forse mettere un gettone in
una
macchina per sigarette o gelati.
L’automobilista consuma i suoi
pasti preferibilmente
in un “diner”. Alcuni preistorici imprenditori una volta comprarono un
tram fuori uso, lo piazzarono lungo la strada, misero per tutta la sua
lunghezza un banco centrale fornendolo di tutto ciò che serve a
preparare pasti all’impronta, panini, caffè, pizze, e simili, da
una parte, ed una sfilata di stoviglie dall’altra. Questo ha fato presa
sugli automobilisti. Il nome “diner” era un fiero colpo contrapposto al
vecchio tram, perché derivava dal sontuoso e dispendioso wagon
restaurant.
Da allora il “diner” si è evoluto tanto da non riconoscerlo.
Fissato
su un concetto fondamentale, richiamandosi solo a gran distanza al
vecchio
tram, si è esteso col sorgere di fabbricati convenzionali
(benché
insulsi) che hanno impedito al “diner” iniziale di svilupparsi; nello
stesso
modo che un papero covato da una gallina supera in grandezza la madre.
All’interno c’è un moltiplicarsi di acciaio immacolato sui
banchi,
ghiacciaie ed altri utensili; c’è alluminio imbottito nel muro
posteriore;
ci sono pagode di giunco in brillanti colori, tutte illuminate, che
forniscono
musica a richiesta alle baracche lungo il fronte.
I posti di ristoro dove si fermano
gli
autisti di camion, impiegano delle cassiere scelte, con una bella
chiacchiera
aggiunta ai doni della natura, in modo da allettare le gente contro
ogni
concorrenza.
Altri diversivi abbondano lungo la
Città
Strada. Le varie “Terre di Disney”, o “Storie di Paese” sono elaborati
e chiari sostituti per l’automobilista del teatro di burattini
francese;
una intiera serie di strutture “comiche” che fanno pantomime di
costruzioni
e di recite, sempre su toni ingenui. I cinema dove si entra con la
macchina
danno modo all’automobilista di star seduto in macchina al buio con la
sua ragazza ascoltando e vedendo l’ultima produzione di Hollywood; i
club
notturni lungo la strada sono come una forza di fantasia, essendo
costruiti
abitualmente come parodia di Mamma Oca o di altre storie famigliari.
Per
quanto occasionalmente, c’è un maggior grado di astrazione nel
concetto,
dove alcuni spiriti combattivi, ma immaturi, hanno trasportato le forme
di Frank Lloyd Wright in un tipo di architettura conosciuta come
“googie”.
A differenza di altri cotruttori
di Città
Strada questo giovane sembra essere un architetto ed un gran sacerdote,
non uno sfacciato esibizionista.
La notte, l’automobilista si ferma
in
un “motel” - diversamente dal vecchio albergo, in questo gli viene
assegnato
un pezzetto di marciapiede o un posto al lato di una stanzetta per
parcheggiare
la macchina presso la propria porta. La stanzetta può essere
singola,
magari di legno o in miniatura, dove egli può giocare a Daniel
Boone
con comfort moderno. Oppure essa può essere in una fila chiusa
formando
un “cortile turistico”. Qui egli ha una scelta di mascherate:
può,
atteggiarsi a George Washington al M. Vernon o ad un alpinista o ad un
inglese che vuole l’arrosto in una osteria semifabbricata, o a un
proprietario
di un mulino nella piena, con pale ad acqua sotto le ruote di vagone
solidamente
sistemate tutto intorno. Come tutti i giochi di bambini, il gioco al
“motel”
si fa con un minimo di verosimiglianza.
Il “motel” è divenuto
un’industria
importante, con un investimento valutato dalla Tourist Court Journal a
più di 3 miliardi di dollari solo in costruzioni e con una
entrata
totale di un miliardo e mezzo di dollari annui; probabilmente esse sono
delle cifre ottimistiche; e il vecchio albergo è costretto a
trasformarsi
per affrontare la concorrenza. (Un buon albergo automobilistico ha
incassi
maggiori). È sorprendente come pochi automobilisti vivano in
permanenza
in alberghi automobilistici, pur così convenienti; forse
perché
l’albergo automobilistico ha fama di far sfuggire alla gente non solo
la
città ma anche le severe abitudini famigliari. I proprietari di
casette rimorchiate, invece, trascinano i loro grossi ed elaborati
carrozzoni
attraverso gli S.U.A. e si addossano qualsiasi noia pur di trovare un
campeggio,
dove potranno confondersi tra loro ed avere pronta l’acqua e gli
impianti
elettrici, vivendo come zingari di lusso spesso per lunghi periodi.
In una veloce rassegna abbiamo
parlato
delle manifestazioni strettamente popolari che hanno creato la
città
strada. L’automobilista si è allontanato due volte dalla natura
giacché i suoi antenati sono fuggiti dalla campagna alla
città
ed ora lui sta portando la città fuori in campagna, con
sé.
Gli importa poco o niente del paesaggio, degli alberi, della natura;
non
ha le tradizioni del pastore che generano l’ignoranza, né alcuna
considerazione per alcun maestro quale “autorità” in materia di
buon gusto: gli si è insegnato per tutta la vita che il suo buon
gusto vale quanto quello di qualunque altro; egli è socievole,
generoso,
svelto e amante della compagnia, sempre pronto ai piccoli scherzi -
piuttosto
infantile nella sua immaginazione - non c’é in lui nessun
passato
di estetismo, né la radio o la televisione gliene danno ora:
egli
è sempre in moto. Le cifre ufficiali del 1950 mostrano che un
quarto
di questo numero di persone sono nate in stati diversi da quelli in cui
vivono ora; presumibilmente una metà sono nati in città
diverse
da quelle in cui vivono ora; e secondo le cifre statistiche
dell’Ufficio
del Lavoro, non uno su cinque ha lo stesso lavoro che aveva 10 anni fa.
Parliamo, naturalmente, della popolazione industriale che niente ha da
fare con l’agricoltura.
Ora comunque la Città
Strada si
avvia verso maggiori complicazioni apportate da gente più
sofisticata
che opera su più larga scala. L’automobilista cesserà
presto
di dominare la strada come il pioniere ha cessato di dominare la
frontiera.
Per esempio, andando in macchina lungo la strada si passa presso una
fabbrica
di automobili, una astratta struttura urbana trapiantata completamente
in un prato ben rasato al lato della via, i suoi lotti di parcheggio
pieni
fino all’ultima fila di un tappeto di scarafaggi della strada. Il
prodotto
della fabbrica può essere una fascia chirurgica, ed una
“fabbrica”
la cui architettura si uniforma a quella degli edifici circostanti
potrebbe
essere lo immenso fabbricato per gli uffici di una compagnia di
assicurazione
emigrata in campagna.
E ancora una volta, che abbiamo
noi qui?
Una subitanea raccolta di magazzini di città, ma distribuiti
come
mai li troverete entro le città degli S.U.A.: sono allineati su
di uno spiazzo, come un “centro di negozi” coordinato, sistemato da un
singolo promotore, che comprende grossi magazzini dipartimentali. Cosa
altro di nuovo? L’attacco degli ingegneri stradali. Per eliminare il
lento
traffico locale delle vie di passaggio si sta facendo una
classificazione
delle strade dividendole in cavalcavia , strade di passaggio, super
autostrade
per la velocità ed altre strade per percorsi a lunga distanza.
Questa
strade operano un concentramento, giacché le loro entrate ed
uscite
sono assai ampie, tutti i piccoli nuclei, quali stazioni di
rifornimento,
alberghi turistici, ristoranti stradali, che sono sparsi lungo tutte le
strade esistenti, tendono a incanalarsi insieme formando grossi nuclei
in intersezioni e crocicchi. Questo significa eliminare tutta la
sequela
di alberghi turistici ed altri elementi accessori della strada che sono
condannati a morire poiché il conducente non ha modo di uscire
dalla
strada finché non raggiunge un incrocio. Se queste attrazioni
tentano
di estendersi troppo avanti sulle strade laterali esse poi moriranno
nuovamente,
essendo troppo lontane dall’occhio dell’automobilista. Perciò
tale
ingegneria stradale tende a soffocare lo sviluppo a nastro ed a
restaurare
lo sviluppo nodulare della nuova città alla maggiore
intersezione.
E qui lo scopo delle operazioni è abbastanza ampio, la
distribuzione
abbastanza densa, da potersi chiamare ancora una volta, il cervello
professionale.
Per di più gli alberghi automobilistici e i restaurants stradali
cominciarono ad essere organizzati da una più vasta cerchia di
promotori
a catena, e questo dà nuovamente all’architetto la
possibilità
di disegnare un prototipo e di imporre qualche cosa come modello
sensibile
al paesaggio. Inoltre, di tanto in tanto, un artefice eccezionale,
assieme
ad un eccezionale architetto, ha ritenuto non solo buono ma anche
vantaggioso
spazzar via queste brutte manifestazioni ai lati delle strade quali
piccoli
magazzini per merci correnti.
Con una grande opera educativa
possiamo
estendere questi nostri sforzi facendo appello al carattere
particolarmente
buono, costruttivo e cooperante dell’automobilista. Quello che non si
deve
fare è tentare una “controrivoluzione”. Si deve resistere a
quelli
che predicano troppo spesso. I viali per esempio sono un tentativo
controrivoluzionario
di rispondere alla città strada con l’eliminarla completamente.
Avendo guidato molto sui viali devo asserire che il loro particolare
genere
di bellezza degenera in monotonia. È del tutto artificiale ed
attraente
un sottile nastro di campagna come arte interamente a sé stante
e che isola l’autostrada da tutti i suoi naturali circondari. Passata
è
tutta la forma di vita umana, tutta quella attività che per noi
come per i contadini del vecchio tempo poteva fare della strada un
libro.
Nulla è rimasto fuorché artificiosità: ed ancora
ai
tempi di oggi un baratto della calda “Strada 9” con il viale è
un
momentaneo sollievo per l’uomo civile, ma non una genuina soluzione.
Perché
se ancora l’automobilista ha ancora una interminabile quantità
di
cose da imparare, prima di riscoprire verità più grandi e
più autorevoli delle proprie, ha anche qualche cosa da
insegnare.
Il suo “istinto” per vivere in un’era industriale è in qualche
modo
più “naturale” di quello di gente colta e sofisticata in quanto
meno inibito da irrilevanti tabù. Egli ha i suoi sprazzi di
fantasia
e di meraviglia. Per andargli incontro e per assorbirla, l’architettura
moderna deve essere meno sostenuta, esoterica, aristocratica e preziosa
di quella di oggi.