Clarence Perry, L’Unità di Vicinato, dal Regional Survey of New York and its Environs, Volume VII, Neighborhood and Community Planning, New York 1929 (traduzione di Fabrizio Bottini)

 
 
 
 

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Indice

  • Prefazione (di Thomas Adams)
  • L’UNITÀ DI VICINATO. UN PROGRAMMA DI ORGANIZZAZIONE PER LA VITA FAMILIARE DI COMUNITÀ
  • Introduzione (di Shelby M. Harrison)
  • La grande città e la comunità locale
  • Lo scopo di questo studio
  • PERCHÈ UN PIANO DI VICINATO?
  • La vita familiare pone domande speciali all’ambiente
  • Carenze del vicinato non necessarie
  • Perché i vicinati sono difettosi
  • La definizione del vicinato indotta dall’automobile
  • La crescente domanda per la qualità dell’ambiente residenziale
  • L’UNITÀ DI VICINATO
  • Principi dell’Unità di Vicinato
  • Quartiere suburbano a basso costo
  • Unità di vicinato per una zona industriale
  • Unità di case ad appartamenti
  • Unità a cinque isolati di case ad appartamenti
  • FIG.1    FIG2     FIG.3   FIG.4
     
  • DIMENSIONI E CONFINI
  • Le sfere di servizio in aree residenziali per famiglie
  • La popolazione auspicabile per la Scuola Elementare
  • Densità residenziale e area
  • Considerazioni sulla sicurezza
  • Circolazione generale e cellule chiuse
  • Area e caratteristiche residenziali
  • Area e organizzazioni locali
  • Variazioni sulla dimensione standard
  • Dimensione delle unità a case d'appartamenti
  • Limiti fisici dell'Unità
  • Metodi di demarcazione

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    Introduzione

    La questione di quanto debba essere grande la “cellula elementare della città”, cosa debba contenere, come le sue parti debbano equilibrarsi e rapportarsi l’una con l’altra e con l’intorno, è forse antica quanto l’urbanistica. Ma è nel ventesimo secolo che il problema assume le forme della riflessione scientifica. Come ci ricorda Charles Benjamin Purdom nel suo The Building of Satellite Cities (1949) il tema moderno del quartiere appare già negli schemi della Città Giardino di Howard: è un settore residenziale denominato “Ward”, dal nome di una tradizionale cellula amministrativa britannica, raccolto attorno a un edificio scolastico, con una popolazione di 5.000 abitanti.
    La sistematizzazione completa del tema, però, avverrà trent’anni più tardi nel corso degli studi per il Regional Plan of New York and its Environs, che vedono come coordinatore generale proprio uno dei primi collaboratori di Howard e sperimentatore sul campo nella realizzazione di comunità modello, Thomas Adams. Il dibattito su questi problemi proseguirà e si amplierà di molto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, dal Greater London Plan di Patrick Abercrombie e alle New Towns, attraverso più o meno tutti i grandi quartieri di iniziativa pubblica europei, e i più piccoli ma altrettanto importanti esperimenti italiani dei villaggi familiari realizzati dal piano INA_Casa, e successivamente dilatati nei grandi quartieri periferici degli istituti case popolari fino agli anni Settanta.
    Il punto di svolta decisivo della questione, però, mi sembra essere proprio l’originale percorso scelto da Clarence Perry, ricercatore della Russel Sage Foundation, nello studio redatto nell’ambito del piano regionale di New York, che mescola l’osservazione empirica di alcune esperienze urbanistiche in corso, ad alcuni auspici di carattere prevalentemente sociale ed educativo, per giungere a fissare, se non un vero e proprio standard (come invece si cercherà spesso più tardi di fare in Europa), una serie di indicazioni utili sia alla grande agenzia pubblica di housing, sia all’operatore privato “illuminato”, o semplicemente desideroso di un profitto basato sulla qualità invece che sulla sola capacità di marketing pubblicitario o sulla speculazione.
    Tra i molti spunti interessanti, credo che la lettura dei brani di Perry proposti qui (forse per la prima volta in italiano) fornisca un’idea di come idee diverse possano mescolarsi e convergere, secondo un percorso via via induttivo e deduttivo, a definire un “contenitore”, la cui forma vuole essere molto più della somma algebrica del “contenuto”, ma allo stesso tempo non cristallizzarsi in un modello tale da spaventare investitori, cittadini, potenziali progettisti e soprattutto residenti. E nonostante la dovizia di indici di densità, tabelle di confronto, dati statistici comparati, anche la prosa di Clarence Perry sembra voglia essere “a misura d’uomo”, come gli spazi residenziali che propone. Spazi che letti qui appaiono probabilmente piuttosto lontani dalle descrizioni tecniche che poi diverranno norma e oggetto di discussione nel secondo dopoguerra, con una centralità degli architetti e della loro cultura che, qui, nel testo che fissa la denominazione ufficiale di “Neighborhood Unit”, non appare per niente scontata.
    Anche se per una comprensione approfondita rinvio ovviamente al testo integrale (ristampato in anastatica da Routledge per la collana Early Urban Planning, curata da Richard LeGates e Frederic Stout, nel 1999), credo siano sufficienti a dare un’idea generale valida anche i brani iniziali dello studio che ho tradotto e che propongo qui. Si tratta dei paragrafi introduttivi metodologici, e soprattutto del capitolo sul dimensionamento e i confini, che dà il senso del rapporto fra quartiere e città, vicinato e comunità più vasta, spazi e società che li abita.
    Dato che il testo è piuttosto lungo per una lettura continua a schermo, il lettore troverà sempre a disposizione sulla sinistra un indice integrale. Sono state inserite soltanto cinque, indispensabili immagini (che per quanto ridimensionate possono richiedere qualche tempo a caricarsi): le planimetrie dei quattro esempi di vicinato che Perry descrive dettagliatamente come “tipi” possibili, e un diagramma del rapporto fra forma, dimensione, sfera di servizio.

    Fabrizio Bottini