Introduzione
Il testo sul tema delle strade che segue, a differenza della
maggior parte di quelli che riporto (anche per ovvi motivi di diritti),
non
appartiene al passato, ma alla contemporaneità. Si tratta
comunque di un testo
in qualche modo storico, che anche senza usare gli strumenti della
storia
(compreso qualche curioso lapsus di ingenuità, come definire
Robert Moses
“business man”) fornisce una accettabile ricostruzione di una vicenda
piuttosto
interessante per il lettore italiano: l’intera parabola della
progettazione
stradale, dal viottolo di campagna o poco più, attraverso la
superstrada multicorsie
ad impatto devastante, fino a forme più attente all’ambiente e
alla comunità.
Nonostante il taglio piuttosto apologetico e focalizzato su una sola
figura
disciplinare, un testo interessante: sia perché proprio questa
figura in Italia
non ha ancora trovato lo spazio che merita, sia perché come
spesso accade
alcuni aspetti e/o sviluppi delle vicende statunitensi anticipano in
qualche
modo accadimenti nostrani. E per finire: il testo si conclude,
nientemeno, con una citazione ben augurante ... di un italiano.
[Public Roads è la rivista online dello U.S.
Department of Transportation – Federal Highway Administration, http://www.tfhrc.gov -
traduzione di Fabrizio Bottini]
***
Questo paese ha una ricca storia in
fatto di sviluppo
stradale. Dalle prime grandi vie di comunicazione territoriale, come la
Boston
Post Road in New England e El Camino Real nel Sud-est, fino alla prima
strada
interstatale a finanziamento federale del 1806 (la National Road) e le
innovative parkways dei primi anni venti, ci siamo sforzati
creativamente per connettere tra loro la nostra gente, le nostre
risorse, le
nostre comunità.
Che siano strade di campagna, viali
urbani o prototipi di freeway,
le strade del XX secolo in questo paese sono parte della preziosa
eredità, di
un periodo di scoperta del continente. Le innovazioni che ne hanno
accompagnato
lo sviluppo sono la risposta allo stimolo costante al miglioramento, e
le loro
diverse sensibilità estetiche rappresentano le varie regioni e
tradizioni degli
Stati Uniti.
Il landscape design del XIX
secolo portò la campagna
alla gente, come si può vedere in posti come il Central Park di
New York di
Frederick Law Olmsted. Ma dall’inizio del XX secolo, con la carrozza
senza
cavalli e strade migliori, la gente poteva andare direttamente alla
campagna, e
il paesaggio dell’America ne fu per sempre trasformato, così
come la percezione
sociale di quel paesaggio.
I landscape architects hanno
avuto un ruolo cruciale
nello sviluppo delle strade nazionali e delle parkways. Questo
tipo di
progettisti fu coinvolto in modo integrale nella pianificazione e
progettazione
di queste strade, che talvolta erano all’avanguardia nell’innovazione
tecnica,
e talvolta no. Comunque sia, l’influenza di questa professione sulle
strade del
XX secolo è chiaramente documentata.
Il nuovo secolo
Le origini delle strade moderne si trovano nella
pianificazione urbana e dei parchi del tardo XIX secolo. Con parchi
sempre più
sospinti verso le frange esterne dello sviluppo urbano, un modo ovvio
di
connettere i cittadini a quei parchi era l’uso di vie, viali e strade
carrozzabili che contenessero qualche caratteristica di parco. Queste
nuove
strade pensate per essere gradevoli corridoi di spostamento erano
chiamate
parkways.
Vista la loro stretta relazione coi parchi, i
landscape architects
giocarono un ruolo chiave nella progettazione di queste strade,
contrariamente
a quanto accadeva per le ordinarie arterie cittadine e di
comunicazione,
progettate prevalentemente da ingegneri.
Mentre la professione di
landscape
architect si
evolveva in contenuti e prospettive, anche le
parkways si
evolvevano a
loro volta: da larghe e dritte corsie definite da una griglia urbana
preesistente, a strade che sinuosamente serpeggiavano attraverso il
paesaggio,
secondo le sue caratteristiche naturali. Le
parkways divennero
uno
strumento per orientare la crescita urbana, piuttosto che un semplice
mezzo per
correggerla. Per esempio, a Minneapolis, un sistema di
parkways
di 42
chilometri (progettato da H.W.S. Cleveland e Theodore Wirth)
strutturato
attorno ad una fascia di stagni, definiva le zone residenziali per lo
sviluppo
della città.
La stessa cosa avveniva a con sistema
di parchi di Boston,
dove fu progettata una infrastruttura urbana fatta di vie, trasporti
pubblici e
sistema fognario allo scopo di bonificare il bacino del Muddy River.
Nel 1895
Boston realizzò le parkways Fenway, Jamaicaway e
Arborway, per
proteggere e conservare paesaggio e valori delle proprietà.
Le parkways si evolsero
rispondendo allo stimolo
delle maggiori velocità possibili (da 40 a 55 chilometri l’ora)
per le
automobili. Le prime comprendono quelle di New York sul fiume Bronx,
Westchester County, Long Island, e in Virginia la Mount Vernon Memorial
Parkway. Queste parkways combinavano le caratteristiche delle
strade-parco ottocentesche con innovazioni come le corsie di sorpasso o
laterali, per sopportare maggiori flussi di traffico, separazioni di
livello, e
allineamenti orizzontali e verticali basati su ampie curve circolari e
tangenti
rettilinee.
Un altro sviluppo importante
concerneva la proprietà delle
fasce di rispetto da parte di una commissione di strada, parco o parkway.
I proprietari dei terreni adiacenti non avevano diritto di accesso
diretto alla
strada, e gli attraversamenti a livello erano eliminati per consentire
un
flusso di traffico senza ostacoli sul percorso. La limitazione degli
accessi
consentiva anche la separazione dei flussi di traffico lento e veloce
attraverso l’uso di ponti, che rappresentarono una evoluzione
importante sia
nei progetti che nell’uso.
Nei primi anni del XX secolo i landscape
architects
ebbero un ruolo chiave nella progettazione delle parkways,
così come
l’avevano avuto nel tardo Ottocento, a causa del potere delle
commissioni sulle
nuove arterie e sulla loro funzione per il tempo libero. Comunque, il
ruolo del landscape architect nel processo era anche quello di
orchestrare un
gruppo di lavoro multidisciplinare. La combinazione di progetto
stradale, di
parco e di ponti richiesta da una parkway richiedeva la
collaborazione
di ingegneri, architetti e paesaggisti. Questo tipo di collaborazione
divenne
una caratteristica tipica della progettazione di parkways, e fu
infine
travasata direttamente nella progettazione autostradale.
I landscape architects, forse,
avevano un ruolo di
primo piano perché il progetto non creava un semplice oggetto,
ma piuttosto un
vero e proprio paesaggio. Ciò è ulteriormente
sottolineato dal fatto che gli
stessi architetti paesaggisti avevano una funzione chiave nel
pubblicizzare i
vantaggi della nuova tipologia stradale presso i propri colleghi e il
pubblico.
Ad esempio, mentre il noto ingegnere Jay Downer, pure specializzato in parkways,
pubblica nel corso della sua lunga carriera solo un paio di articoli
sui propri
progetti, il suo collaboratore paesaggista, architetto Gilmore Clarke,
ne
pubblica più di una dozzina. Anche in generale, i testi dei landscape
architects furono mediamente pubblicati più spesso di quelli
degli
ingegneri.
L’epoca della Depressione
Man mano i viaggi in automobile si moltiplicavano, il numero
e le velocità crescenti dei viaggiatori su strade nazionali e
parkways
mettevano in luce carenze nella progettazione originaria delle strade.
Nuove
arterie risolsero questi problemi con ulteriori innovazioni tecniche,
come le
curve a spirale e le sopraelevazioni: soluzioni orientate all’ambito
dell’ingegneria piuttosto che dell’estetica. Queste innovazioni
enfatizzavano
il ruolo dell’ingegnere e anticipavano il fatto che gli aspetti
funzionali del
progetto stradale (il regno del tecnico puro) avrebbero assunto ruolo
primario
rispetto a quelli estetici (il regno dell’architetto paesaggista).
Ma, nello stesso tempo, le parkways
degli anni
Trenta, come la Merrit, e la Arroyo Seco, collegavano i centri
città a zone
residenziali e per il tempo libero via via sempre più lontane
dal nucleo
metropolitano. Robert Moses, a New York, realizzò parkways nella
zona di Long
Island che servivano anche allo scopo di fornire accesso agli
insediamenti
residenziali suburbani che egli stesso aveva pianificato.
In più, negli anni Trenta
furono introdotti nuovi concetti,
ed alcuni di essi sono rappresentati nelle strade realizzate dal
National Park
Service (NPS). Queste strade avevano un ruolo quasi esclusivo di
tutela,
turismo, tempo libero. Le parkways NPS che comprendono la
Colonial, la
Blue Ridge, la Natchez Trace, introducono il concetto di “asservimento
conservativo”. Nonostante si tratti di un’idea ora data per scontata
nei
programmi di sviluppo rurale, all’epoca fu sviluppata da Stanley Abbot,
architetto paesaggista della Blue Ridge Parkway, e considerata
rivoluzionaria.
Le parkways del NPS avevano anche fasce di rispetto più
ampie di quelle
urbane e regionali, per consentire la maggior conservazione possibile
del
territorio, dei valori culturali e paesistici. Questa idea anticipa gli
sforzi
del futuro per usare progetti stradali come strumento di conservazione
delle
particolarità regionali e locali.
Il carattere distintivo anni Trenta
delle parkways
NPS si basa su due fattori. Il primo è che progetto e
realizzazione erano
governati da una procedura di stretta collaborazione fra ingegneri,
architetti
e paesaggisti. Il secondo è che le strade erano pensate
principalmente per i
turisti. Queste condizioni assicuravano che i progetti fossero
strutturalmente
perfetti ed esteticamente gradevoli.
A causa della grande dimensione e
della carattere ondivago
dei finanziamenti federali, la realizzazione delle parkways NPS
richiese
un eccezionale arco di tempo, ed esse non furono completate se non
molto tardi
nel corso del secolo. Nonostante i tempi lunghi di costruzione, esse
non furono
soverchiamente influenzate dai cambiamenti e sviluppi tecnologici nel
progetto
stradale, che si verificarono negli anni fra il concepimento e il
completamento.
La Seconda Guerra Mondiale
e la Guerra Fredda
Le strade costruite dopo la seconda guerra mondiale sono
ampiamente diverse negli scopi da quelle realizzate prima. La
differenza
cruciale è che quelle nuove sono progettate per un trasporto
rapido ed
efficiente, come è ben indicato da alcuni dei nomi con cui
queste strade si
indicano:
freeway,
thruway,
expressway. Le
nuove strade
aumentano i flussi di traffico utilizzando curvature più lunghe
e piatte per
spostamenti più veloci, e allineamenti verticali appiattiti per
consentire ai
convogli militari di mantenere velocità in salita.
Fino ai primi anni Cinquanta, gli
ingegneri continuano
mediamente a comprendere come introdurre la strada nel paesaggio, visto
che o
avevano lavorato insieme ai paesaggisti nei gruppi multidisciplinari,
oppure
avevano seguito percorsi di formazione orientati al progetto e
costruzione
compatibile. Ad ogni modo, col Defense Highways Act del 1944 inizia il
declino
del progetto collaborativo, a favore di una progettazione e costruzione
rapida,
che vada incontro ai bisogni nazionali di sicurezza e massima
occupazione.
In più, leggi e politiche
connesse al progetto e costruzione
di strade si moltiplicano. Nel 1956, la American Association of State
Highway
and Transportation Officials (AASHTO) pubblica il primo standard
nazionale per
ogni tipo di strade – i criteri secondo cui tutte le strade della
nazione sono
progettate e realizzate – che apparentemente lascia poco spazio alla
creatività
o flessibilità.
Una delle prime strade di questo tipo
è la Pennsylvania
Turnpike, progettata con una larga e piatta pavimentazione e accessi
limitati
per il viaggio ad alte velocità, e con piantumazioni aggiunte ad
addolcire i
margini di un’arteria che attraversa lo stato passando numerose anonime
cittadine lungo il percorso.
Le parkways realizzate in
questo periodo comprendono
la Baltimora-Washington, costruita dal Bureau of Public Roads (BPR),
predecessore della Federal Highway Administration (FHWA). La
Baltimore-Washington Parkway segue gli antichi principi di
progettazione, ma è
molto meno in sintonia col paesaggio delle sue antenate. La principale
e grande
distinzione fra le nuove parkways e le altre strade è
l’esclusione dalla parkway di tutto il traffico diverso da
quello dei
veicoli per
passeggeri.
La richiesta che i landscape
architects facciano
parte di gruppi multidisciplinari di progettazione e costruzione
stradale
inizia ad emergere ben presto in questo periodo. Come afferma
l’architetto
paesaggista della BPR, Wilbur H. Simonson, in un discorso allo Stevens
Institute of Technology il 10 marzo 1953: “La strada nel suo insieme
è il
prodotto della combinazione fra buon progetto ingegneristico e buona
concezione
paesaggistica, utilizzati in modo equilibratamente concordato”.
Verso la fine degli anni Cinquanta, la
BPR, la American
Society of Landscape Architects, e lo Highway Research Board (ora
Transportation Research Board), sottolineano che nelle strade sono
importanti
allo stesso modo sia le piantumazioni, strutture aggiunte e dettagli,
sia la
pianificazione, progettazione di base e strutturale, sia infine il
fatto che la
strada debba integrarsi con il territorio che attraversa. Ad ogni modo,
le
preoccupazioni per gli aspetti estetici sono ancora messe da parte in
favore
della funzionalità, utilità e sicurezza nazionale.
Come risultato, le strutture stradali
sono migliorate
mediante trattamenti estetici, ma gli allineamenti dei percorsi non ne
sono
influenzati. Ingegneri e decisori sono lenti ad acquisire e comprendere
un
principio di progettazione rispettoso delle condizioni locali, dei
bisogni
umani, oltre che di quelli ingegneristici. Un principio ben compreso
dai landscape
architects.
Gli ultimi anni del secolo
Negli anni Sessanta, l’ancor più rapido incremento delle
velocità di spostamento, e una più ampia dimensione di
strade e servizi
connessi, hanno ridotto la percezione del territorio da parte degli
utenti, e
portato infine alla perdita di qualunque correlazione fra strade e
terra. Lo
slogan corrente ai tempi era “
urban renewal”, ovvero consentire
facile
accesso al cuore metropolitano usando terreni poco costosi e
delocalizzando
numerosi e consolidati insediamenti di popolazione. Sicurezza,
utilità
efficienza erano le componenti chiave della progettazione stradale.
Comunque,
la marea cominciava a recedere, mentre i cittadini cominciavano a
richiedere
rispetto per l’ambiente e i propri quartieri.
La buona qualità estetica della
George Washington Parkway,
la rispettosa integrazione col paesaggio rivierasco del fiume Potomac e
delle
scogliere sulla riva di fronte a Washington, D.C., fornirono
l’incentivo finale
al Presidente Johnson, per firmare lo Highway Beautification Act del
1965.
Questa legge, insieme al National Environment Protection Act e alllo
Historic
Preservation Act, riportò i landscape architects dentro
la “squadra”,
per assicurare l’integrazione delle strade con l’ambiente e le
comunità.
La nuova Federal Highway
Administration istituì il suo primo
ufficio di architettura del paesaggio, che tracciò la via
perché le agenzie
statali della strada facessero lo stesso. Nel 1967 la FHWA
finanziò il primo
gruppo multidisciplinare guidato da landscape architects, per
la
progettazione della I-83 a Baltimora, che divenne un modello per
squadre simili
in tutto il paese. Altri progetti di successo di gruppi del genere
comprendono
Freeway Park sulla I-5 a Seattle, e il progetto Glenwood Canyon sulla
I-70 in
Colorado.
Nondimeno, il linguaggio del
legislatore aveva ancora una
prospettiva limitata. Solo con l’approvazione dell’Intermodal Surface
Transportation Efficiency Act (ISTEA) del 1991, e del Transportation
Equity Act
per il 21° secolo (TEA-21) del 1998, la lettera della legge
sosterrà il
superamento della semplice bellezza, verso l’integrazione sistemica di
estetica, costruzione dell’ambiente locale, pianificazione e
progettazione
comprensiva delle infrastrutture di trasporto.
I landscape architects sviluppano
continuamente nuovi
strumenti e tecniche per rendere le strade maggiormente compatibili con
il
paesaggio e le comunità locali. I progressi più recenti
in questo senso
comprendono un ampio uso delle tecnologie computerizzate di
visualizzazione,
forme di valutazione qualitativa visiva attraverso il computer, e lo
sviluppo e
sostegno a nuove leggi e norme, politiche e indirizzi. Al momento
attuale,
numerosi gruppi multidisciplinari in tutto il paese, sia di tipo
inter-agenzia
che di collaborazione pubblico-privato, sono coordinati da architetti
del
paesaggio, compresi quelli impegnati nella realizzazione di progetti
stradali
orientati al rispetto del contesto e dei luoghi.
Lo
sviluppo del sistema nazionale di strade e parkways
è il maggior sforzo mai intrapreso in questo paese dal punto di
vista dei
lavori pubblici, ed è risultato in una immensa trasformazione
del paesaggio.
Gli architetti del paesaggio hanno giocato un ruolo esiziale
nell’assicurare
che i corridoi della mobilità (parkways, freeways
e strade urbane)
rispettassero il territorio e le popolazioni che attraversavano.
Oggi siamo vincolati dal tempo e dallo
spazio entro cui
dobbiamo realizzare nuove strade. È una situazione che richiede
un ruolo ancora
più incisivo del landscape architect, anche di
coordinamento dei gruppi
multidisciplinari che affrontano la sfida di ridisegnare il sistema
stradale.
Gli architetti paesaggisti forniscono la capacità di interazione
creativa fra
ingegneri e comunità, di cui c’è bisogno. Sono competenti
in qualcosa di più della
semplice estetica: comprendono come l’ambiente naturale e umano possano
coesistere armoniosamente, in
particolare lungo le strade di trasnsito.
I landscape architects hanno
anche competenza di
affiancare la tutela di strade e parkways storiche. Molte delle
nostre
strade storiche sono minacciate dal cambiamento di uso dei suoli e
dalle
pressioni dei costruttori; altre sono diventate strade di traffico
pendolare, e
sostengono flussi molto superiori alla propria capacità. Con il
sostegno delle
leggi vigenti, gli architetti paesaggisti possono collaborare
all’inserimento
di moderne capacità intermodali secondo i bisogni locali, entro
il paesaggio
storico, preservando contemporaneamente risorse ed elementi
caratterizzanti.
Nel 21° secolo i landscape
architects continueranno a
fornire un legame fra approccio ingegneristico e bisogni sociali. Ma a
questo
scopo gli architetti devono sviluppare regole estetiche certe per
confrontarsi
con quelle altrettanto definite dell’ingegneria stradale e delle
infrastrutture, riconoscendo il fatto che l’approccio estetico è
di natura
soggettiva. Come singoli e come professione, dobbiamo presentarci
meglio, come
Stan Abbot e Gilmore Clarke fecero a loro tempo, per essere sicuri che
i
decisori politici capiscano “quello che portiamo sul tavolo da
disegno”. Il
risultato finale sarà l’accettazione diffusa della filosofia ben
riassunta
dall’ingegnere di ponti italiano Fabrizio de Miranda, quando ha detto
nel 1991:
“Sul tavolo da disegno dovrebbero raccogliersi tre mentalità ...
Una creativa
ed estetica, la seconda analitica, e la terza tecnica e pratica ... Se
queste
tre mentalità non esistono in una sola mente, devono essere
sempre presenti in
termini egualitari all’interno del gruppo o squadra responsabile del
progetto”.