Aia (Adria-Loreo), Ca'
Cappello (Porto Viro), Calto-Salara, Villamarzana-Casello
A13, Castelguglielmo-San Bellino. Sono le cinque
macroaree riservate a nuovi insediamenti produttivi in
Polesine. Totale 16 milioni di metri quadrati. Un'estensione
enorme alla quale vanno aggiunte piccole, medie o grandi
zone industriali-artigianali che pullulano in quasi tutti
i comuni della Provincia: le varie Borsea a Rovigo, l'Interporto,
i 90 ettari in località Ca' Bianca ad Adria, quelle che
si notano lungo le maggiori arterie, Transpolesana, Romea,
Statale 16 o Eridania. Insomma il Polesine sta assistendo
a una trasformazione del territorio, una crescita
disordinata dove il territorio agricolo e il paesaggio
che permette allo sguardo di perdersi all'orizzonte vede
crescere capannoni a dismisura. Una colata di cemento,
asfalto, tralicci e viavai senza precedenti. Ogni comune
vuole la propria zona industriale-artigianale-commerciale
e insegue il miraggio di uno sviluppo. Il tutto mentre la
Regione Veneto ha bloccato l'ampliamento delle aree
esistenti che anno dopo anno si sono mangiate parte del
territorio. Nei 581 comuni veneti ci sono circa 2.500
aree produttive: un'infinità, coincisa con l'eccezionale
boom del Nordest, la "locomotiva dell'economia
italiana", ma che ora sta facendo risuonare più di
un campanello d'allarme. «Il fatto nuovo non è che il
consumo di territori, lo squilibrio di ambienti, il
degrado di paesaggi incidano negativamente sulle
condizioni di vita e di lavoro degli abitanti di vaste
aree del Nordest italiano - ha scritto Domenico Luciani,
presidente della Fondazione Benetton, inNord Est 2002,
rapporto sulla società e l'economia -. Il fatto nuovo è
che questi fenomeni vengano recepiti come tali in ambiti
sociali relativamente allargati». Il Polesine sta
inseguendo un modello che nel resto della Regione è in
crisi per diversi motivi. «Per il Nord Est sta avvenendo
come ad un'auto il cui motore si sta imballando - rileva
Daniele Marini, Fondazione Nord Est, Università di
Padova -. Negli anni ha accelerato con una progressione
straordinaria ed ora sembra giungere al massimo dei giri
possibili. I fattori principali su cui il modello di
sviluppo si è fondato stanno progressivamente perdendo
la loro potenzialità». Oltretutto, solo valutando le
cinque macroaree, calcolando che la superficie
volumetrica è del 50%, "rimangono" 8 milioni
di metri quadrati che "sfruttati" con 10
persone per ettaro danno la necessità di 80 mila persone
come manodopera. Dove sono? Il Polesine non ha tutta
questa disponibilità e peggio ancora la Regione. «Si
sta raschiando il fondo del barile della disoccupazione,
le imprese faticano a trovare personale disponibile,
soprattutto nelle mansioni meno accattivanti dal punto di
vista professionale - sostiene Daniele Marini sempre nell'introduzione
aNord Est 2002, rapporto sulla società e l'economia -.
Non a caso la richiesta di persone immigrate è
continuamente crescente da parte delle imprese e servizi.
La prospettiva, anche a breve termine, è che conosceremo
un Nord Est multietnico. Il calo accelerato della natalità
dei decenni precedenti sta provocando un vero e proprio
vuoto generazionale che in qualche modo va riempito». L'accelerazione
tecnologica incombe, dall'America scienziati come
Federico Faggin invitano a investire di più sulla
tecnologia e i prodotti di altissimo livello superando la
logica fino a ieri vincente ma perversa di puntare troppo
su un'industria specializzatissima ma vecchia che fa del
Veneto la regione con la più alta produzione procapite
di rifiuti industriali e nocivi. Le stesse analisi di
lungo periodo sull'economia del Nord Est sostengono che
«la crescita è imputabile, in buona misura ai settori
dei servizi al mercato - afferma Daniele Marini - a
quelli privati più che al comparto industriale,
tradizionalmente trainante e caratterizzante le economie
locali». Quindi bisogna chiedersi se la strada che il
Polesine sta intraprendendo è quella giusta e vincente.
«Qui in provincia di Rovigo siamo ancora in tempo per
salvarci, ma è necessario studiare insieme un assetto
logistico sulla scorta dell'esperienza maturata dal
confronto sui temi della viabilità - ha detto pochi
giorni fa Giorgio Grassia, assessore provinciale ai
Lavori pubblici -. Dopo gli "Stati generali"
della Provincia di Rovigo si è aperto un dialogo sulla
gestione del territorio, cercando di individuare quegli
obiettivi che devono essere dell'intera collettività».
Un Polesine che attende la realizzazione anche di alcuni
importanti lavori come la nuova Romea Ravenna-Venezia e
il prolungamento della Valdastico ma che non può
guardare solo dentro i propri, piccoli confini nonostante
i tutto sommato positivi dati congiunturali sul movimento
delle imprese (fonte Camera di Commercio) al 30 settembre
2002: quelle registrate erano 28.588 contro le 28.723
dello stesso periodo del 2001 (-165). Con una forte
flessione nei settori agricolo (da 8.410 a 7.981), pesca
(da 1.302 a 1.290) e tessile (da 213 a 205); mentre sono
aumentate le imprese manifatturiere (da 3.686 a 3.723),
edili (da 3.089 a 3.237) e artigiane (da 7.434 a 7.569).
Significativi i dati relativi al saldo con l'estero sceso
dai 73,5 milioni di euro del primo semestre 2001 a 48,4
per lo stesso periodo del 2002 e quelli riguardanti l'interscambio
con l'estero: nel primo semestre 2002 le esportazioni
sono del 3,4% e le importazioni dell'8,95% contro una
flessione registrata a livello regionale, rispettivamente
del 5,9% e del 2,1%. Polesine che prima di deturpare il
proprio territorio, magari realizzando delle "cattedrali
nel deserto" o ricevendo aziende inquinanti e
malsane che nessuno vuole e il cui arrivo è favorito per
"coprire" gli errori nelle scelte effettuate,
deve interrogarsi sul proprio futuro. «Giocare al "capitalismo
molecolare", basato sull'enorme numero dei
protagonisti non basta più - ha scritto lo studioso
Nadio Delai nella postfazione del libroIl salto curato
dall'Assindustria polesana - anche se la forza di quest'ultimo
deve continuare ad alimentare la pianta dello sviluppo.
È iniziata infatti la fase del "capitalismo
relazionale", in cui diventa importante mettere in
collegamento le tante e diverse molecole presenti nel
territorio: le imprese, le istituzioni e le aree locali.
Oggi è necessario guardare alla propria area e chiedersi
quali siano le vocazioni e l'identità su cui si vuol
giocare per i prossimi vent'anni, compiendo un esercizio
di visione che vada al di là del quotidiano». E sulle
prospettive Delai aggiunge: «Anche il Polesine può e
deve scommettere su un futuro maggiormente sofisticato,
basato necessariamente su una strategia di tipo
relazionale che va al di là del singolo cancello della
singola impresa o del portone del singolo comune.
Competere significa tessere alleanze, tra imprese, tra
istituzioni, tre le une e le altre, tra un'area ed altre
aree. (...) A questo scopo è bene "darsi forma"
in via autonoma, affinché non ripeta il meccanismo
definitorio che viene dall'esterno e che già è stato
conosciuto nel passato. È necessario reimpossessarsi un'altra
volta del proprio destino comune». Insomma, il Polesine,
oggi più che mai è davanti a un bivio. Avrebbe già
dovuto farlo in passato per non trovarsi attualmente
impreparato, ma non più procastinare scelte e decisioni
oculati. Quale futuro la provincia vuole avere? Quali
sono le priorità? Industria, alta tecnologia,
specializzazione ed elevata qualità, turismo e ambiente
o che altro? I rischi sono dietro l'angolo, in altre
province i campanelli d'allarme sono già risuonati, in
Polesine meglio pensarci prima che sia troppo tardi o che
siano altri a decidere o imporre scelte forzate
barattando miraggi di sviluppo e benessere con la qualità
della vita. Senza dimenticare il rischi dell'inquinamento,
del deturpamento del territorio, delle ecomafie (in
passato capannoni liberi, dismessi o abbandonati sono
stati riempiti con rifiuti tossico-nocivi di ogni genere)
in una provincia, vedi centrale di Polesine Camerini, che
da anni sta già pagando un conto salatissimo sul piano
della salute dei suoi cittadini. |