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L'Organo della chiesa di San Domenico di Rieti

di Graziano Fronzuto





Premessa

Quando il Maestro Federico Borsari, con squisita cortesia, mi ha chiesto di scrivere un articolo su questo strumento per queste pagine, ho dovuto fargli presente, come faccio ora a tutti i Lettori, di essere legato da lunga amicizia con i principali promotori della sua realizzazione e dunque devo scusarmi se non saprò essere del tutto imparziale: in ogni caso i promotori hanno lodevolmente messo a disposizione in maniera trasparente nel sito dedicato a questo organo una documentazione ampia e completa sia sullo strumento sia sulla chiesa sia su patrocinatori e finanziatori, informando puntualmente di ogni iniziativa in modo da mettere ciascun lettore nelle condizioni di massima conoscenza e serenità di giudizio.

I presupposti

Il dato principale da cui partire è univoco: l’organo di San Domenico a Rieti è stato volutamente impostato e realizzato secondo un monumentale progetto fonico di Dom Bedos de Celles (Bézieres 1709 - Abbazia di Saint-Denis 1779) storicamente noto come "Grand (Orgue) 16’, ou 32’, Français en Montre" per il quale era stata anche disegnata una splendida cassa dallo scultore André-Jacques (detto Jacob) Roubo. L’organo non fu realizzato ma fu immortalato nel trattato "L’Art du facteur d’Orgue", monumento di chiarezza espositiva e di qualità editoriale con il quale Dom Bedos ha descritto e teorizzato l’Arte Organaria del suo tempo e della sua Nazione. Tuttavia il monaco organaro fece in tempo a realizzare uno strumento analogo, quello di Sainte-Croix a Bordeaux (1746, le cui canne furono scambiate nel 1811 con quelle dell’organo della cattedrale, poi, nel 1970, fu ripristinato nel sito originale), così come fecero altri organari (per es. nella Cattedrale di Troyes, costruito da Jacques Cochu nel 1736, ampliato da François Clicquot nel 1788 e infine restaurato da Danion-Gonzales nel 1967, oppure in Saint-Eustache a Parigi, organo proveniente da Saint-Germain-des-Prés e distrutto da un incendio nel 1844).
In effetti, sintetizzando molto, l’organo di San Domenico a Rieti è caratterizzato da tre presupposti consapevoli e strettamente correlati: 1) il ritorno al passato, 2) il progetto autorevole, 3) il riferimento all’estero. A mio modo di vedere, tali tre presupposti sono stati i veri punti di forza dell’iniziativa e, per quanto possa sembrare paradossale, sono stati condizioni necessarie (anche se non da sole) per consentirne l’attuazione. Cercherò di esporne i motivi.

Il ritorno al passato

Il trattato era stato commissionato a Dom Bedos dall’Accademia Francese delle Scienze per far parte di una collana di ben 72 volumi dedicati alle Arti e ai Mestieri. L’iniziativa, come la straordinaria impresa della redazione dell’Encyclopédie coordinata da Diderot e d’Alembert, indica non solo il progresso civile e culturale raggiunto in Francia a ma soprattutto la decisa fiducia di quegli uomini verso l’epoca in cui vivevano. Insomma: essi descrivevano il loro presente e lo facevano in un modo tale da farci capire che vi si riconoscevano, che credevano in ciò che stavano realizzando e soprattutto che si ponevano come veri e propri padri fondatori di un futuro che non li avrebbe giammai rinnegati (in quanto ciò che facevano era ben degno di essere trasmesso ai posteri). In tal senso, il progetto di Dom Bedos riveste un valore storico molto elevato: sintetizza non solo la propria epoca e le conoscenze fondate sulle epoche precedenti ma rappresenta un ponte proteso verso il futuro che, nella mentalità di quelle persone, non avrebbe potuto che essere migliore e più prospero per tutta l’umanità.
Sappiamo cosa successe: in pochi decenni eventi politici (Rivoluzione Francese, Impero Napoleonico, Restaurazione ecc.) ed economici (rivoluzione industriale, invenzione di ferrovie e battelli a vapore, scoperte scientifiche ecc.) determinarono una rapidissima evoluzione in ogni attività umana, che naturalmente coinvolse anche l’Arte Organaria che si sviluppò rapidamente in pratica allontanandosi da ciò che era stato teorizzato dal dotto monaco. Proprio nell’abbazia di Saint-Denis dove Dom Bedos riposava da meno di 60 anni, il giovane Aristide Cavaillé-Coll nel 1837 costruiva il nuovo organo, tuttora esistente, noto anche per essere stato il primo strumento dotato della portentosa "macchina" ideata dal suo installatore Charles Spackman Barker.
A ben guardare gli uomini di cultura dell’ottocento presero atto (con beneficio d’inventario) di ciò che avevano ricevuto dal passato ma tagliarono i ponti con esso! Tanto per restare nel campo dell’organaria, i Cavaillé-Coll, i Merklin, i Barker e tutti gli altri non si attennero alla lettera degli scritti di Dom Bedos e, se bisognava intervenire su un organo di quest’ultimo o di qualsiasi altro organaro, non si fecero scrupolo di apportare innovazioni e modifiche (non di rado creando nuovi capolavori: l’organo di St. Sulpice a Parigi, costruito da Clicquot e ricostruito da Cavaillé-Coll, è uno degli esempi più eloquenti).
Tuttavia bisogna dire che anche in questi atteggiamenti si manifestavano fermamente gli stessi sentimenti del secolo precedente: la fiducia nel presente e la certezza di preparare un buon futuro, sentimenti che, a ben vedere, hanno improntato gli anni successivi fin quasi ai nostri giorni.
Quella fiducia e quella certezza, cresciute a dismisura nella prima metà del XX secolo, non hanno portato solo progresso ma anche orrori indicibili (due guerre mondiali, dittature, violenze, mostruosità di ogni tipo) ed inevitabilmente hanno iniziato a venir meno negli anni ’70. Non è questa la sede per approfondire un tale discorso, ma non si può tacere che in quegli anni (in cui tutto si rimetteva in discussione) il presente cominciava a non piacere e si dubitava di star preparando un buon futuro. In queste condizioni, dunque, non resta che ritornare al passato. E nell’Arte Organaria se ne ha particolare evidenza: ciò che era stato realizzato dall’ ‘800 in poi non era più visto come una evoluzione positiva, ma qualcosa di opposto. Fatte salve alcune comodità (l’alimentazione elettrica dell’aria, per esempio, o le combinazioni libere per i registri), la maggior parte delle innovazioni apportate agli organi tra ‘800 e ‘900 sono state viste con crescente ripugnanza. Ripudiando le conquiste di due secoli, si riportava l’orologio al ‘700, riconosciuta come "epoca d’oro", e si adottavano come indiscussi maestri della materia i protagonisti di quel secolo (e, tra i primi, Dom Bedos per ciò che aveva scritto, assurto a riferimento assoluto, pietra di paragone ineludibile).
Ma, al di là dell’Arte Organaria, il riferirsi al passato è in questi tempi un segnale chiaro: se il presente appare insoddisfacente, e se il futuro che ne nascerà appare inquietante, l’unica rassicurazione viene dall’aggrapparsi al passato: se così stanno le cose, non è la coperta di sicurezza con cui si consolava Linus, il simpaticissimo personaggio dei fumetti di Charles Schulz, ma è il salvagente che soccorre il naugrafo stremato.

Il progetto autorevole

Nessuno sembra sorprendersi quando in Italia la realizzazione di qualsiasi manufatto (edile, industriale o commerciale ma anche artistico come può esserlo un organo) è accompagnata da polemiche innescate da soggetti più disparati e persino meno titolati, se non addirittura estranei, che frenano o peggio inibiscono ogni decisione. Nessuno sembra sorprendersi perché la nostra cultura soffre per così dire di "eccesso di discussione"; ciò è sicuramente sintomo di fervore di idee, di esplorazione di alternative, di democrazia, ma produce anche un rallentamento abnorme di ogni processo realizzativo e, talvolta, la paralisi. Preliminarmente si polemizza se è il caso o meno di fare proprio quel manufatto, in fase progettuale si obietta sul progettista e su ogni minimo dettaglio del progetto; se si giunge alla fase realizzativa le discussioni non cessano, anzi si moltiplicano e causano una serie indefinita di lungaggini e di variazioni.
Per tali motivi molti manufatti restano sulla carta, oppure restano incompiuti e, se vengono ultimati, l’utilizzazione e la durata nel tempo vengono messe in forse. Tutto ciò ha radici storiche, ataviche, lontane nel tempo. Le polemiche più virulente si concentrano soprattutto nel momento dell’ideazione del manufatto (momento delicatissimo in cui occorre scegliere tra possibili alternative progettuali) tanto da provocare spesso la rinuncia al processo decisionale ed attuativo. Vero è che, se si riesce a passare alla fase attuativa, di fronte all’oggetto in corso di realizzazione le polemiche non si placano del tutto ma almeno attenuano la loro perniciosità (è un po’ la legge del "fatto compiuto"). Ciò ha comportato che già da molti secoli non è raro affidarsi a idee progettuali già bell’e pronte, soprattutto se firmate da personalità autorevoli nella materia, in modo da parare il colpo delle polemiche più pericolose e, in parte, sterilizzarne l’effetto bloccante. Insomma: adottare un’idea altrui può essere una soluzione pratica per passare alla realizzazione del manufatto in tempi meno lunghi: non aiuta la crescita dei cervelli nostrani ma almeno consente di vincerne la vis polemica.

Il riferimento all'estero

Uno degli argomenti su cui più si è polemizzato intorno all’organo di Rieti è che si è costruito un organo francese. Il che è certamente vero ma rientra in un ben definito filone storico assolutamente italiano: gli esempi di organi costruiti da organari esteri, ed in particolare francesi (che hanno poi influenzato fortemente gli organari italiani), sono molti di più di quanto si creda e connotano soprattutto iniziative di grande respiro (per non parlare degli organi, numerosissimi, di modeste dimensioni, a partire da quello che Aristide Cavaillé-Coll realizzò in Santa Maria dell’Umiltà del Collegio Americano a Roma nel 1868, che con i suoi 10 registri è uno dei più piccoli della categoria). Il primo della lista è quello costruito da Josef Merklin per San Luigi de’ Francesi a Roma nel 1881, grandioso strumento a tre manuali, se non altro costruito da committenti francesi residenti a Roma per la loro chiesa, dove tuttora si celebra Messa e si canta -e come si canta!- nella loro lingua. Subito dopo, i due grossi organi costruiti nel 1887 da Nicola Morettini per San Giovanni in Laterano su progetto di Filippo Capocci: entrambi hanno consapevoli affinità foniche, estetiche e costruttive con gli organi francesi del tempo e non a caso al loro interno si possono identificare parti foniche e trasmissive acquistate in Francia (presso Paul Férat) e quelle costruite dal Morettini in evidente emulazione.
Si dirà che le mostre di questi strumenti romani, comunque, sono impostate all’italiana (una imponente serliana con due campi laterali ha il Merklin, tre cuspidi in unico campo sormontato dall’arcata della cantoria hanno i due Morettini), mentre l’organo di Rieti ha un imponente apparato ‘a Tourelles’ alla francese che in Italia non ha precedenti. E qui si sbaglia di grosso. Perché esiste un precedente altrettanto monumentale ed altrettanto caratterizzato, peraltro in un luogo che difficilmente verrebbe in mente. Si tratta dell’organo della Cattedrale di Catania, commissionato dal Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet (beatificato da Giovanni Paolo II nel 1988) e costruito nel 1877 dall'organaro francese Nicolas Théodore Jaquot (Lunéville 13 giugno 1835 - Rambervilles 17 ottobre 1918) su progetto dell'organista francese abate Nicolas Couturier (1840-1911; gli stessi anni di nascita e morte di Filippo Capocci, curiosa coincidenza), che lo ha anche inaugurato. All’epoca l’organo era collocato sotto l’arco trionfale dell’abside, poi, nel 1927-28 fu affidato agli organari siciliani Laudani e Giudici (allievi dei Serassi) che lo hanno spostato sulla Cantoria, appositamente costruita per ordine del cardinale Giuseppe Francica-Nava de Bontifè di cui reca lo stemma.

Quanto tempo può durare un sogno

Il momento storico che stiamo vivendo in Italia è particolarmente critico per l’Arte Organaria, il cui presente non è florido e il cui futuro è pieno di incertezze, soprattutto a causa di una diffusa insensibilità che sta crescendo anche presso i "Committenti storici" (responsabili di chiese, scuole di musica, sale da concerti ecc.). Oggi proporre la costruzione di un organo è un’impresa impossibile se non disperata. E’ lecito supporre, per esempio, che se a Rieti non si fosse agito in base ai tre presupposti sopra descritti, non sarebbero esistite le minime condizioni necessarie per realizzare lo strumento. Senza contare poi il fattore tempo. Che rilevanza ha avuto?
La data di Aprile 2001 è quella della pubblicazione del libretto dall’eloquente titolo "Proposta per la realizzazione di un Organo Monumentale per la Chiesa di San Domenico in Rieti”, con cui il Comitato Promotore dell’Organo di San Domenico" presieduto da don Luigi Bardotti e comprendente Giuliano Aguzzi, Sergio Colasanti, Alessandro Nisio e Filippo Tigli, ha rotto gli indugi. In realtà quella data segna l’inizio della realizzazione del sogno, e non l’inizio del sogno, perché il sogno propriamente detto è iniziato molto prima. Come sogno, oltretutto, era anche ben definito in quasi tutti i dettagli: non è mai stato fumoso né indefinito. Sin dall’inizio i sognatori/promotori hanno avuto in mente questo strumento e questo è stato il loro obiettivo caparbiamente inseguito.
Credo di poter affermare che il primo, in ordine di tempo, ad aver sognato questo strumento sia stato Sergio Colasanti, già nel 1967, stando ad una serie di circostanze che egli stesso mi ha esposto. A quell’epoca fu tra i primi a presagire "in controtendenza" quale sorte avrebbe avuto l’Arte Organaria in Italia nel giro di pochi decenni e soprattutto a ritenere opportuna, in conseguenza ai sintomi che il momento culturale manifestava, la realizzazione di un organo monumentale basata sul ritorno al passato, su progetti autorevoli, sul riferimento all’estero (appunto!).
E probabilmente era arduo persino ipotizzare che in Italia vi potesse essere un organaro in grado di costruire uno strumento del genere. Nondimeno, alcuni musicisti (tra cui Oscar Mischiati, Luigi Ferdinando Tagliavini, p. Pellegrino Santucci) ne erano convinti, sia pure tra mille polemiche, difficoltà, avversioni e dubbi che proseguirono anche dopo la costruzione di strumenti quali quelli realizzati da Tamburini a S. Maria de’ Servi a Bologna, a S. Maria della Mercede a Roma e in alcuni Conservatori.
Lo stesso Barthélémy Formentelli aveva aperto la propria attività nei pressi di Verona (1964) e, per quanto fosse indiscutibilmente abile, non aveva ancora avuto la possibilità di concretizzare la propria perizia nella costruzione di grandi strumenti meccanici. Ciò avvenne nei primi anni ’70, con opere quali gli organi dell’Assunta di Merano, di San Marco a Rovereto, di San Martino a San Martino Buon Albergo. Ciò portò al contratto con il Comune di Roma per la costruzione di un nuovo grandioso strumento per Santa Maria in Aracoeli che, completato negli anni ’80, attese lungamente che il Committente ne decidesse la sorte fino al Giubileo 2000, quando fu installato in Santa Maria degli Angeli cui il Comune lo ha poi donato.

Dove realizzarlo?

Negli anni ’80 le idee che nel quindicennio precedente si erano timidamente affacciate erano ormai le più diffuse e condivise: ne è prova il fatto che molti organari italiani costruivano organi a trasmissione meccanica anche di grandi dimensioni e di notevoli caratteristiche tecniche, non di rado desunte dallo studio diretto di organi antichi e sistemi costruttivi del passato.
In quegli anni, dunque, il problema principale relativo al sogno di quell’organo monumentale non era la possibilità di realizzarlo, ma dove collocarlo. Nel frattempo l’idea aveva contagiato molti altri sognatori e poiché vivevano o erano nati a Rieti e dintorni, credo che abbiano sempre avuto in mente quelle terre (pensando semmai ad altre solo come extrema ratio). Tra di loro c’era anche padre Riziero Lanfaloni, francescano conventuale, fondatore e per lunghi anni parroco della grande chiesa di San Francesco al Terminillo. Lì c’era già un organo a canne a sinistra dell’altare maggiore (costruito da Libero Rino Pinchi nel 1969, tuttora esistente) la cui rimozione, comunque, non si riteneva necessaria; il nuovo strumento avrebbe dovuto essere collocato sulla controfacciata su una cantoria da realizzare insieme ad esso. Il progetto fonico dettagliato era stato predisposto da Sergio Colasanti; il religioso l’aveva apprezzato e condiviso e aveva quindi chiesto a Formentelli di stilarne il preventivo. A coloro che dubitano di tali circostanze posso solo dire che nell’estate del 1981 padre Lanfaloni mi mostrò progetto e preventivo. La personale conoscenza di quel religioso, cui sarò sempre debitore per essere stato il primo ad aver incoraggiato la mia passione per la musica d’organo, mi consente di affermare che era ben determinato a realizzare il nuovo organo entro un quinquennio (e sicuramente ci sarebbe felicemente riuscito). Ma nel 1982 i suoi superiori lo hanno trasferito nel convento di Sant’Ansano a Spoleto, dove trascorse gli ultimi anni e dove "dopo dolorosa malattia" si spense il 10 giugno 1995.
La mancanza di padre Lanfaloni si fece sentire pesantemente, anche perché per i suoi successori l’organo già esistente bastava ed avanzava. A quel punto bisognava fare i conti con una realtà oggettiva: esclusa la chiesa del Terminillo, quante altre della zona erano sufficientemente vaste? E quali di esse possedevano uno spazio libero da opere d’arte (antiche o moderne) tale da potervi mettere un organo monumentale?

La rinascita di San Domenico

Per singolare ventura, negli stessi anni aveva preso corpo l’idea di recuperare la grande chiesa trecentesca di San Domenico in Rieti, abbandonata e in rovina da molti decenni.
Nella prima metà del XIV secolo nel centro storico della città erano sorti importanti conventi con ampie chiese, tre delle quali tuttora esistenti: San Francesco, Sant’Agostino e San Domenico, ciascuna posta relativamente lontana dalle altre, ognuna ad un estremo limite del centro abitato dell’epoca. Esse appaiono paradigmatiche del modo di costruire edifici religiosi nel centro Italia: hanno pianta molto semplice (un’immensa navata unica racchiusa da alti muri e coperta da capriate di legno), un transetto composto da un’ampia cappella per ciascun lato, un’abside quadrata. Il loro convento è sempre laterale, sviluppato attorno ad un chiostro principale spesso fiancheggiato da altri più piccoli.
Chiese di questo genere si costruivano facilmente e rapidamente, senza bisogno di spendere tempo e soldi per coprirle con volte in muratura (spesso limitate alla sola copertura dell’abside) e quindi senza bisogno di cercare e pagare maestranze in grado di realizzarle. All’interno si presentavano come immense aule rettangolari, adatte a contenere moltissime persone senza ostacoli visivi verso l’altare e verso il pulpito; le ampie pareti laterali potevano, nel tempo, essere riempite con altari, ex-voto, affreschi. Tuttavia queste chiese mostravano la loro intrinseca fragilità strutturale in caso di terremoti (non infrequenti in Italia centrale) o di eventi naturali particolarmente avversi (tempeste, gelate, nevicate ingenti) che si accanivano sui tetti o, in caso di fulmini, su pinnacoli di facciata o sulle guglie dei campanili. Ma la loro semplicità costruttiva ne consentiva il restauro in tempi rapidi.
Gli eventi della plurisecolare storia di queste tre chiese reatine confermano tutto ciò; basta poi paragonare l’architettura di esse con quella della Cattedrale (una basilica a tre ampie navate con complesse cappelle laterali aggiunte nel corso dei secoli) per rendersi conto delle loro caratteristiche peculiari.
San Domenico ha avuto uno splendore crescente per circa tre secoli, almeno fino al terremoto del 1703 che ha prodotto vari danni (si è proceduto al restauro nei decenni successivi, il tetto è stato rimosso e l’altezza dei muri perimetrali è stata ridimensionata demolendo circa un paio di metri; quindi il tetto è stato ricostruito alla nuova quota più bassa). Ciò è tuttora ben visibile osservando la facciata, dove l’ampia finestra seicentesca sembra essere stata collocata troppo in alto rispetto agli spioventi del tetto (che in realtà era in origine più alto) e dando quindi un’impressione disarmonica. All’interno, con funzione di rinforzo statico della facciata, è stata realizzata intorno alla porta principale un complesso endonartece, composto da una struttura muraria di grande altezza tuttora in sito. A questi anni risale anche la costruzione dell’organo, collocato su un’ampia cantoria nella parete fondale del lato sinistro del transetto (i cui resti sono tuttora leggibili).
Ma il vero colpo di grazia si è avuto con l’Invasione Napoleonica, agli inizi del XIX secolo, quando il complesso religioso è stato espropriato e utilizzato a fini militari. La stessa sorte è toccata anche agli altri conventi con la differenza che le rispettive chiese sono state in seguito riaperte al culto, questa invece no continuando ad essere utilizzata come stallaggio, poi come magazzino e infine lasciata in abbandono (mentre il convento è tuttora occupato dall’importante Istituto Militare intitolato ad Attilio Verdirosi, eroe della Prima Guerra Mondiale). A partire dal 1980 è iniziata una lunga e paziente opera di restauro della chiesa, conclusasi con la riapertura al culto in occasione del Giubileo 2000. Pochi mesi dopo (aprile 2001, come abbiamo visto), il Comitato ha reso pubblica la sua intenzione di realizzare l’organo.

Considerazioni sull'organo

Ho avuto la singolare ventura di capitare a Rieti di tanto in tanto, a distanza di qualche anno, a cominciare da quando questa chiesa era ancora in totale abbandono, per poi veder iniziare i lunghi restauri, la riapertura al culto, la cassa ancora vuota e infine l’organo concluso. Si tratta di uno dei percorsi di rinascita di un monumento tra i più entusiasmanti e tutto sommato sbalorditivi che siano mai accaduti in Italia in questi anni (è assai più frequente vedere fenomeni opposti). Peraltro ad eccezione di frammenti di affreschi rinascimentali e di stucchi barocchi, l’organo costituisce l’unica opera d’arte che arricchisce la chiesa, altrimenti spoglia (ad onta della passata gloria e ricchezza). Certo... la presenza dell’endonartece settecentesco non ha consentito la costruzione dell’organo nella consueta collocazione in controfacciata. Tuttavia la collocazione fondale non è poi tanto diversa dal punto di vista dell’assialità acustica ed ha in più il vantaggio di colpire visivamente ogni visitatore (soprattutto se ignaro...) che acceda in chiesa dalla porta principale.
Nel mio caso personale, per descrivere la sensazione che ho provato di fronte all’organo dovrei abusare di superlativi. Volendo scrivere poche parole dirò solo che secondo me è un vero capolavoro di sapienza costruttiva. Perché un conto è condividere i presupposti del ritorno al passato, del progetto autorevole, del riferimento all’estero; altro conto è saperli mettere in pratica e saperlo far bene, come in questo caso. Aggiungo che tutta l’operazione di realizzazione dell’organo è stata improntata da una coerenza di fondo rara a vedersi. I promotori hanno realizzato ciò che avevano in mente e lo hanno fatto rifiutando compromessi ed alterazioni, come pure da molte parti gli era stato proposto, non senza strascichi polemici. Effettivamente quante idee, specie nel campo dell’Arte Organaria, vengono mutate nel corso della realizzazione? Di conseguenza, quanti organi esistenti risentono tangibilmente di ripensamenti, modifiche in corso d’opera, aggiunte, cambiamenti e quant’altro? E proprio per tali motivi quanti di essi vengono ritenuti "poco riusciti"? A Rieti le cose sono andate diversamente. A mio modesto avviso, ciò è stato un gran bene.
Da quello che ho visto in loco, letto, forse per la prima volta in Italia in tempi moderni la realizzazione di un organo è diventata un motivo di fortissimo orgoglio, non solo per i promotori, i finanziatori, i costruttori e tutti coloro che hanno partecipato all’iniziativa, ma anche per l’intera cittadinanza. I Reatini ne hanno fatto una loro bandiera e non hanno fatto mancare il loro appoggio e il loro favore, che si è presto largamente esteso. Alla Benedizione, ai concerti, alle conferenze e ad ogni altra occasione il pubblico è stato numerosissimo e sempre entusiasta.
Insomma, l’organo può vantare non solo la benevolenza dell’Alta Gerarchia Ecclesiastica di cui reca gli stemmi (sulla Tourelle centrale c’è quello di Papa Benedetto XVI, scolpito a tutto tondo, alla base c’è quello del cardinale Tarcisio Bertone e alla base del positivo tergale quello del vescovo di Rieti Delio Lucarelli) ma anche e soprattutto del cosiddetto "grande pubblico". E questo è il traguardo più ambito mai raggiunto.
Sembra certo che intorno a quest’organo si innescherà un ‘ciclo virtuoso’ fatto di concerti, didattica, discografia... e si spera che ciò possa presto coinvolgere anche il restante, cospicuo e splendido, patrimonio organario di Rieti e dintorni. E, voglio esagerare nelle speranze, non è detto che altre città non seguiranno l’esempio.

Conclusioni

Dopo quest’elenco di belle speranze, torno coi piedi per terra anzi torno ai tre presupposti che ho descritto all’inizio dell’articolo: essi stanno improntando l’Arte Organaria un po’ dovunque: in Europa si è tornati a costruire organi secondo i dettami dell’Arte Barocca, ma anche Rinascimentale e persino Medievale. Non mancano neppure nuovi ‘nidi di rondine’ (cioè le tipiche cantorie tre-quattrocentesche); in America si sta facendo lo stesso e il resto del mondo sta iniziando a seguire la medesima strada. Ora, è vero che organi siffatti, particolarmente impegnativi per chi li realizza, piacciono moltissimo ma è certo che essi guardano al passato. Dov’è il presente? E come sarà il futuro (ma vi sarà un futuro)?
Ecco la disposizione fonica di questo strumento:

Positif

Montre 8
Bourdon à Cheminée 8
Prestant 4
Doublette
Fourniture 4 rangs
Cymbale 3 rangs
Flûte à Biberon 4
Nasard 2-2/3
Quarte de Nasard 2
Tierce 1-3/5
Larigot
Cornet 5 rangs
Cromorne 8
Trompette 8
Clairon 4
Grand Orgue

Bourdon 32
Montre 16
Montre 8
Bourdon 16
Bourdon 8
Flûte 8
Prestant
Doublette
Gros Nasard 5-1/3
Grosse Fourniture 3 rangs
Fourniture 5 rangs
Cymbale 6 rangs
Grosse Tierce
Nasard
Tierce
Grand Cornet 5 rangs
Trompette 8
Clairon 4
Voix Humaine 8
Résonance

Bombarde 16
Trompette de Bataille
Clairon 4
Grand Cornet 5 rangs
Récit

Flûte 8
Cornet 5 rangs
Hautbois 8
Trompette 8
Echo

Bourdon 8
Prestant 4
Doublette
Fourniture 3 rangs
Nazard et Tierce
Musette
Pédale

Flûte 16
Flûte 8
Flûte 4
Bombarde 16
Première Trompette 8
Deuxième Trompette 8
Clairon 4
Gros Cromorne 8

Ringraziamenti

Desidero ringraziare i sigg.: m.o Federico Borsari, prof. Francesco Saverio Colamarino, m.o Sergio Colasanti, prof. Stefano Conti, sig. Barthélémy Formentelli, arch. Furio Luccichenti, sig.ra Antonella Pirozzi-Fronzuto, sig. Giuseppe Ponzani, m.o Agostino Raff, rev. prof. Stefano Romano, ing. Filippo Tigli per i suggerimenti, gli spunti di riflessione e l’insostituibile aiuto fornitomi.

Riferimenti

Organo di San Domenico a Rieti.
Organo di Sainte-Croix a Bordeaux.
Organo della Cattedrale di Troyes.
Articolo di Federico Borsari sull'Organo dell’Abbazia di Saint-Denis.
Articolo di Federico Borsari sull’Organo di St.Eustache a Parigi.
Biografia (in Francese) di Dom Bedos.
Estratti dal trattato di Dom Bedos.
Altri estratti dal trattato di Dom Bedos.
Tentativo di digitalizzazione online del trattato di Dom Bedos.
Sito dedicato alla chiesa di San Francesco al Terminillo.
Pagina Web dedicata all’Ist. Militare "Verdirosi" di Rieti.



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