Appendice 10

Un delitto perfetto.
Il silenzio della sinistra europea

di Ignacio Ramonet
Le Monde diplomatique
Giugno 2002

 

 

http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Giugno-2002/0206lm01.01.html

Torniamo al colpo di stato dell'11 aprile in Venezuela, contro il presidente Hugo Chávez (1) , quasi subito reintegrato nelle sue funzioni.

Sembra però che si sia ben lontani dall'aver appreso la lezione di questo singolare putsch - un vero e proprio caso emblematico - mentre questa lezione è indispensabile per tentare di evitare la nuova sollevazione militare che si preannuncia a Caracas...

È stupefacente, innanzitutto, la quasi totale assenza di emozione internazionale davanti a un'iniquità commessa contro un governo che sta portando avanti, nel massimo rispetto delle libertà, un programma moderato di trasformazioni sociali: un governo che incarna l'unica esperienza di socialismo democratico in America latina.

Ed è desolante constatare che i partiti socialdemocratici europei, tra cui il partito socialista francese, sono rimasti in silenzio durante la breve parentesi di soppressione delle libertà in Venezuela.

E che alcuni dei dirigenti storici della socialdemocrazia, come Felipe Gonzalez, hanno avuto l'indecenza di giustificare il colpo di stato (2) , e non hanno esitato ad associarsi all'euforia manifestata dal Fondo monetario internazionale, dal presidente degli Stati uniti e dal primo ministro spagnolo José Maria Aznar, presidente in carica dell'Unione europea...

L'ultima volta che i militari rovesciarono un presidente in America latina fu ad Haiti, nel settembre 1991, quando le forze armate deposero Jean Bertrand Aristide. Si credeva che una volta finita la guerra fredda, Washington avesse accantonato anche lo spirito dell'«operazione Condor», con la quale, in nome dell'anticomunismo, gli Stati uniti favorirono l'insediamento di varie dittature in America del Sud negli anni '70 e '80. Si pensava che ogni cospirazione contro regimi liberamente eletti sarebbe stata condannata. Ma, dall'11 settembre 2001, lo spirito bellicista che soffia su Washington sembra aver spazzato via questi scrupoli (3) . Oramai, come ha detto il presidente George W. Bush, «chi non è con noi è con i terroristi».

E Hugo Chávez era decisamente troppo indipendente. Non aveva forse rilanciato l'Opec, il cartello degli esportatori di petrolio, cercando di dotarlo di una maggiore autonomia rispetto a Washington? Non aveva incontrato Saddam Hussein? Non si era recato in Iran e in Libia?

Non aveva stabilito relazioni normali con Cuba? Non aveva rifiutato di sostenere il Plan Colombia contro la guerriglia? Chávez era diventato l'uomo da abbattere. Ma Washington non poteva più farlo con i metodi sanguinosi del passato: quelli adottati ad esempio nel 1954 in Guatemala, nel 1965 a Santo Domingo e nel 1973 in Cile. Incaricato della faccenda, Otto Reich, sottosegretario di Stato agli affari interamericani, ha osservato che nel corso dell'ultimo decennio, sebbene non vi fossero stati colpi di stato, ben sei presidenti latinoamericani democraticamente eletti - e da ultimo l'argentino De la Rua - sono stati deposti. Non dall'esercito, ma dal popolo.

Sarà dunque questo il modello adottato per rovesciare Hugo Chávez.

Innanzitutto, una coalizione formata dai ceti benestanti - che comprendeva la Chiesa cattolica (rappresentata soprattutto dall'Opus Dei), l'oligarchia finanziaria, il padronato, la borghesia bianca e un sindacato corrotto - viene ribattezzata «società civile». Dopo di che, i proprietari dei grandi media stabiliscono tra loro un patto mafioso, impegnandosi a sostenere la campagne lanciate da varie parti contro il presidente, in nome della difesa della «società civile»...

Non c'è menzogna capace di far indietreggiare i media, che arroventano al calor bianco l'opinione pubblica ribadendo ossessivamente un'idea fissa: «Chávez è un dittatore»; e alcuni non esitano a definirlo «un Hitler», benché nel paese non ci sia neppure un detenuto per reati d'opinione; e martellano sempre la stessa parola d'ordine: «Bisogna rovesciarlo!». Mentre i loro proprietari cospirano per abbattere un presidente democratico, i media rigurgitano di termini quali «popolo», «democrazia», «libertà»...

E organizzano manifestazioni di piazza; trasformano la minima critica governativa nei loro riguardi in «gravissimi attacchi contro la libertà d'espressione», che denunciano agli organismi internazionali (5) ; reinventano lo sciopero insurrezionale, e incitano all'assalto del palazzo presidenziale e al colpo di stato...

Trascinati dalla loro naturale inclinazione alla propaganda, i media hanno confuso il popolo virtuale, in nome del quale è stato commesso il colpo di stato dell'11 aprile, con il popolo reale, che in meno di 48 ore ha riportato Chávez al potere. Ma il loro pentimento è stato di breve durata. Con raddoppiata ferocia, approfittando di un'insolita impunità, i media venezuelani stanno proseguendo attualmente, a colpi di bugie e di falsa propaganda, la più grande operazione di destabilizzazione portata avanti contro un governo democratico.

Tra l'indifferenza generale, stavolta vogliono realizzare il delitto perfetto...

note:

(1) Si legga Maurice Lemoine, «Hugo Chávez salvato dal popolo», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 2002.

(2) El País, Madrid, 12 aprile 2002.

(3) Si legga Ignacio Ramonet, Guerres du XXIe siècle, Galilée, Parigi, 2002.

(4) Si legga l'editoriale del mensile Exceso, Caracas, aprile 2002.

(5) L'associazione Reporters sans frontières, chiudendo gli occhi su una delle campagne mediatiche più odiose che siano mai state condotte contro un governo democratico, si è lasciata manipolare al punto da pubblicare diverse relazioni contro il governo di Chávez, che pure non ha mai attentato alla libertà d'espressione, né vietato un qualsiasi organo di stampa o di comunicazione, né arrestato un solo giornalista!

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni