Appendice 14

Venezuela dal di dentro

intervista a Luis Britto Garcia, a cura di Mirta Israel
Propuesta , settimanale del Partito comunista argentino
14 dicembre 2000

 

 

 

http://www.nuestrapropuesta.org.ar/anteriores/521/24.htm

Scrittore e professore di Storia del pensiero politico alla Facoltà di Economia dell' Università centrale del Venezuela, marxista indipendente, Britto Garcia appoggia la linea Chavez e sostiene nello stesso tempo che ''sarebbe molto desiderabile se il processo nel mio paese avanzasse verso una nuova ed effettiva partecipazione popolare, che andasse al di là delle adesioni elettorali''.


Qual è la sua visione del processo guidato dal presidente Chavez?

- Lo vedo come l' unico riferimento, come l' unico credibile punto di potere dopo l' implosione del sistema bipartitista e populista che abbiamo avuto in Venezuela negli ultimi 40 anni. Questo è un fenomeno che si è verificato in quasi tutta l' America Latina. I partiti populisti che sono andati al potere in questo periodo, quando si sono consegnati al neoliberalismo hanno cominciato ad applicare una serie di misure repressive contro il benessere sociale della popolazione, che hanno tolto loro il consenso. Questi partiti, sia per questo fatto che per la corruzione interna, hanno perso qualsiasi possibilità reale di mobilitare le masse e di farsi interpreti delle loro aspirazioni. Quando questo processo tocca i partiti venezuelani, Chavez si trasforma in un punto di riferimento credibile.

Un movimento militare che aveva fallito il suo colpo di Stato si converte nel punto di concentrazione delle speranze delle masse. Se questo movimento si fosse sviluppato nel 1975, quando c' era l' abbondanza economica dovuta al petrolio, il suo leader non l' avrebbero chiuso in carcere ma in manicomio. Tutti avrebbero riso di lui. Però, in un momento in cui il Venezuela riconosce che i partiti sono delegittimati per la loro immensa corruzione, perché nel 1983 collassa il sistema economico e perché nel 1989 viene fatto un massacro di una settimana contro il popolo venezuelano - il Caracazo -, in questo momento il Chavez sconfitto, prigioniero politico, che dice 'assumo la responsabilità di questo movimento'', si converte in un veicolo di speranze per il popolo venezuelano. Più che per la sua stessa azione, per il totale fallimento delle precedenti organizzazioni e dei piani neoliberali che esse avevano cercato di applicare. Dall' altro lato, Chavez centra la sua offerta politica su vari punti essenziali: no alla privatizzazione dell' impresa pubblica del petrolio (PDVSA), da cui dipende tutta l' economia venezuelana; no alla privatizzazione della scuola, l' unica strada per l' ascesa sociale in un paese in cui il livello di povertà si aggira sull' 80% ; no alla privatizzazione della sicurezza sociale, che in un popolo così pauperizzato è essenziale per la sopravvivenza; e, ancora, difesa inflessibile della sovranità popolare, col divieto di sorvolo degli aerei Usa sul territorio statale.

Questo insieme di cose configurano un nuovo atteggiamento. C' è da dire che questo atteggiamento non arriva dopo una rottura totale e diretta, ma viene prendendo corpo attraverso degli accordi: si paga il debito pubblico, si fanno compromessi e norme che danno grandi vantaggi al capitale transnazionale, ecc. Ma bisogna vedere come si bilanciano questi fattori all' interno del processo. In ogni caso, nel poco tempo a disposizione il regime è riuscito a contrastare la politica di esportazione eccessiva di petrolio che finiva per avere letteralmente un effetto di dumping. D' altro canto, dopo i decenni in cui noi venezuelani ci siamo scontrati con una inflazione a tre cifre, quest' anno l' inflazione non ha raggiunto più di otto punti (fino a novembre). Questo insieme di cose rendono credibile che il regime possa stabilizzarsi e prendere una serie di misure molto positive a favore del popolo. E potrà, nel futuro, irrigidire le sue posizioni di fronte alle aspirazioni delle multinazionali.

 

E rispetto al Plan Colombia (*)?

- Questa è una delle cose molto, molto importanti. Chavez si è rifiutato di essere uno strumento degli Stati Uniti per quello che riguarda il Plan Colombia. Direi che l' obbiettivo fondamentale degli Usa è che la guerra di Colombia se la vorrebbero combattere tramite noi, venezuelani, equadoregni e le altre nazioni limitrofe. Come accadde col Nicaragua, quando Honduras, El Salvador e Costa Rica accerchiarono il paese. Non ci potrebbe essere un crimine maggiore di un intervento da parte delle nazioni sorelle della Colombia in un problema che è di competenza esclusiva dei colombiani. D' altra parte sarebbe la nostra distruzione, significherebbe sacrificare una o due generazioni di venezuelani e lasciare il paese fra incudine e martello.

 

Al di là della partecipazione sul piano elettorale, come si esprime oggi il protagonismo del movimento popolare?

- Per prima cosa bisogna dire che la carriera politica di Chavez si deve esclusivamente al voto popolare, anche se la stampa nazionale e internazionale lo hanno accusato di golpismo. Ma quella è stata solo una prima fase. Ha vinto non uno ma sei appuntamenti elettorali consecutivi. E tutto questo mostra una grande adesione popolare alla sua figura e al suo progetto politico. Uno dei problemi di base che Chavez ha davanti è creare delle vere strutture organiche per la partecipazione popolare. E' chiaro che è passato troppo poco tempo per realizzarlo, ma credo che manca una strutturazione organica di queste cinghie di trasmissione con le masse. Quello che c' è ora è una grande adesione sentimentale ed emozionale del popolo verso Chavez e il suo progetto. Però sarebbe molto meglio se esso prevedesse una nuova ed effettiva partecipazione popolare, che vada al di là delle adesioni elettorali. Il popolo tende a semplificare in una persona o in un gruppo un progetto, ma possono anche venire tempi molto difficili, e sarebbe bene che esso venisse cristallizzato in una ideologia o in una organizzazione istituzionalizzata, che consenta una partecipazione più concreta delle masse al di là della semplice adesione elettorale.

 

Che ruolo svolgono gli intellettuali in questo percorso?

- Purtroppo durante 40 anni di populismo si sono formati dei meccanismi di corruzione degli intellettuali attraverso organismi culturali che hanno sostenuto l' intellettualità. Questo mi pare positivo, uno dei migliori usi che si può fare del pubblico danaro è aiutare la cultura. Ma in molti casi li hanno sostenuti solo perché non creassero niente, perché tacessero. E questo ha avuto un effetto corruttore.

Molti intellettuali venezuelani optarono per un' etica del disimpegno, per una creazione alambiccata, che non ha niente a che vedere col paese, o semplicemente per cercare di vendere al sistema il prestigio che si erano guadagnati in passato. Questo ha fatto sì che in questo fronte Chavez conti, in realtà, su poche adesioni convinte.

Una delle poche è stata la mia, e da un punto di vista di assoluta indipendenza, senza far parte delle strutture e senza aver alcun incarico. Però gran parte degli intellettuali hanno nostalgia delle prebende, degli incarichi e dei sussidi che gli davano i precedenti governi, oppure in maniera netta se ne sono andati con i mezzi di comunicazione per combattono Chavez. In più la gran parte di essi, che in 40 anni non si sono mai occupati della realtà del paese, ora, infuriati, vanno denunciando ogni problema che c' è, come se quel problema fosse nato dopo che Chavez ha preso il potere. Prima avevano peccato di omissione e ora di eccesso.

In ogni caso è un altro dei problemi che deve risolvere e spero che esso abbia una soluzione positiva: non certo perché gli intellettuali si schierino come partigiani di Chavez, ma semmai perché si voltino a guardare davvero il paese, a osservarlo da un punto di vista della profondità critica e della massima autocritica verso loro stessi. Se ora hanno qualcosa da criticare, perché non criticano anche il loro silenzio decennale? Dovrebbe cominciare da qui l' analisi critica invece che partire dall' esame della situazione esterna.

 

(*) Il Plan Colombia in controluce

di Hugo Cabieses,
economista peruviano, ispettore del Cepes ed assessore della Conapa-Perù

http://www.narcomafie.it/colombia_20.htm

Narcotizzare, militarizzare e andinizzare. Questi, secondo uno dei più autorevoli economisti peruviani, i veri obiettivi del finanziamento Usa in Colombia.

In America Latina la discussione sulle droghe ruota intorno all'attuazione del "Plan Colombia" e della più recente "Iniziativa Regionale Andina" (Ira) del presidente George W. Bush.

Poiché il dibattito si articola su posizioni estreme, risulta difficile trovare punti di incontro tra le parti. Da un lato, molti governi del continente latino-americano insistono nel sostenere, con il governo degli Stati Uniti, che queste iniziative sono necessarie per affrontare e risolvere il problema del "narcotraffico" - termine che cito tra virgolette perché si tratta di una categoria ideologica e non scientifica, come sostiene il diplomatico peruviano Hugo Contreras. La violenza e l'instabilità che derivano dal "narcotraffico", non solo in Colombia, ma in tutto il continente latino-americano, metterebbero in pericolo la governabilità e la stabilità macro-economica, indispensabili perché siano garantiti gli investimenti a sostegno dell'Accordo di libero commercio in America (Alca).

Sull'altra sponda, i rappresentanti delle società civili, le popolazioni delle zone coinvolte, scienziati, accademici e organizzazioni non governative che difendono l'ambiente e i diritti umani, sostengono che entrambe le iniziative sono "narcotizzate", militarizzate e andinizzate. L'ipotesi principale è che il traffico di droga e l'insicurezza causata da violenza, sovversione e terrorismo, siano solo pretesti per l'intervento strategico-militare-poliziesco degli Stati Uniti in America Latina. L'obbiettivo di tale dispiegamento di forze, stando a questa posizione, sarebbe quello di esercitare un controllo militare, economico e politico sul bacino idrico andino-amazzonico: una regione ricca di risorse naturali come petrolio, oro, minerali, pietre preziose, legno, piante dalle proprietà ancora inesplorate.

La conca andino-amazzonica è attualmente la principale fonte d'acqua dolce nel mondo (75% del totale), e perciò molto più importante dei pur vasti bacini dei fiumi Mississippi, Nilo, Mesopotamia, Gange e Yang Tse Kiang. Non solo: la bio-diversità di flora e fauna, nonostante la distruzione causata negli ultimi decenni dallo sfruttamento del mondo occidentale, costituisce tuttora una riserva mondiale in gran parte inesplorata.

Sono queste - secondo gli antagonisti del Plan Colombia - le ragioni che inducono gli Stati Uniti al controllo della regione, ignorando il diritto di amministrare le risorse della propria terra rivendicato da governi e popoli indigeni. Il dispiegamento strategico non si rivolge principalmente contro bande e/o cartelli di trafficanti o contro organizzazioni di guerriglieri e/o terroristi, ma contro popoli interi da sottomettere e sfrattare per poter amministrare i loro territori con razionalità capitalista. La discussione sul futuro della regione sarebbe stata finora imposta dagli Stati Uniti in base alla concezione per cui lottare contro il traffico di droghe significa lottare contro coloro che finanziano i guerriglieri e i terroristi, causa dell'instabilità nazionale e regionale.

La natura militare-poliziesca dell'intervento statunitense in America Latina individua nella Colombia la principale causa di instabilità del continente sudamericano. Secondo questo modo di vedere, il paese è diviso territorialmente e socialmente: da un lato il governo colombiano (che controlla è i territori della frangia centrale del paese: cioè l'asse del caffè, dell'energia idrica, dell'industria agraria, dei minerali e le zone degli aeroporti e dei porti internazionali); dall'altro i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia, che presidiano la zona sud orientale, vale a dire gran parte del petrolio presente nel territorio, l'allevamento intensivo, la produzione di coca, pasta di coca e cocaina e i principali fiumi dell'Amazzonia.

Ci sono poi ancora gli Eserciti di liberazione nazionale (Eln) - attualmente posizionati nella zona nord occidentale e nell'Orinoco (dove si trovano piantagioni di cotone e, in parte, di caffè, coca e papavero) - e gli eserciti paramilitari dell'Autodifesa unita della Colombia (Auc), che controllano la zona di Maddalena Medio (dove si alleva bestiame e si producono coca, papavero, zucchero e caffè).

In questo contesto si è inserita la vicenda del Plan Colombia, formulato nel 1998 dall'allora fiammante governo Pastrana, disegnato dagli Stati Uniti nel 1999 e finanziato dagli stessi con oltre un miliardo di dollari.

Il piano ha tre obbiettivi: "narcotizzare", militarizzare e andinizzare il conflitto. La "narcotizzazione" è il pretesto, la militarizzazione è il metodo e l'andinizzazione è l'estensione del contesto geografico e socio-economico dei territori da controllare.

Per "narcotizzazione" si deve intendere l'uso propagandistico del problema droga, dietro al quale si cela il tentativo di tagliare le finanze delle forze insurrezionali e di assegnare a forze istituzionali filoUsa il controllo di un affare che sfugge almeno per il 30%.

La militarizzazione è il tentativo di gendarmizzare le forze armate autoctone rendendole organiche ad esercito, marina e aviazione, in modo da prevenire futuri conflitti di espansione territoriale e colpi di Stato.

L'andinizzazione è la ricerca del consenso dei governi dei paesi confinanti, affinché vedano di buon occhio un eventuale intervento diretto degli Stati Uniti, costretti anche nel caso di un negoziato fra governo e guerriglia a mantenere un ruolo di primo piano.

Questi tre elementi si fondano ovviamente nella prospettiva del profitto economico, imposta dalle grandi multinazionali del nord del mondo portatrici del cosiddetto modello neo-liberale alla mano.

In gioco - affermano - ci sono gli investimenti e il consolidamento dell'Alca, l'Accordo di Libero Commercio delle Americhe.

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni