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A San Benedetto un po' di tutto e un Cristo sovversivo.

"...Siamo sul Fiume, che però non si vede, come succede speso per colpa di argini e golene. Crediamo anche di essere in Emilia, perché siamo sicuramente a sud del Po, non avendo passato acque né ponti. E invece toh, è già Lombardia. Siamo insomma arrivati al luogo e all'epoca dei confini vaganti e della Grancontessa Matilde; Canossa, dall'Appennino reggiano, arriva qui con le suore Canossiane allogate nel gran complesso conventuale fondato dai Canossa e dai Cluniacensi intorno al Mille.
Ecco cosa vediamo noi adesso: statue di pietra con capigliature di licheni che fanno al guardia al quadrato della piazza acciottolata, davanti alla chiesa di Giulio Romano (1540-44). Le statue della facciata sono accomodate dentro nicchie arborescenti.
(n.b.: il testo è stato scritto prima del restauro per il giubileo 2000, che sta restituendo alle statue il loro primitvo splendore).
Se andiamo dietro alla chiesa in cerca di figure e storie, ecco San Simeone col cervo e San Giorgio che schiaccia l'immonda bestiaccia sotto i piedi.
Si: il drago era certamente un gran biscione del Po. Soffitti a losanghe e riquadri, un organo monumentale, e andando in fondo alla chiesa (...) ecco che si arriva fino all'originale chiesa romanica di Santa Maria, del secolo XII. Questo posto insomma è come una chiocciola, dove sono concresciuti edifici, funzioni, chiostri, piazze e chiese girando attorno pian piano a questo perno di Santa Maria; e intanto dimenticando pezzi e bocconi del disegno generale.
Per esempio, ecco, sulla sinistra della chiesa attuale, il refettorio con l'Ultima Cena del Correggio (sua l'architettura di sfondo; le figure invece sono state portate a Badia Polesine). Sotto le volte a crociera salta fuori un tratto di capriate lignee, e chissà cos'altro.
Il chiostro ha tracce di affreschi e smerli in cotto.
Lo scalone seicentesco e pomposo del Barberini adesso porta al Museo Polironiano (dedicato cioè al territorio tra il Po e il Lirone). I materiali più vari, di buon sapore popolare, sono sistemati in gustose interminabili sequanze nelle Sale dei Principi e in quelle dei Monaci. C'è qui anche una Biblioteca del Po, specializzata nel tema. Museo preindustriale e pretelevisivo, mostra innanzitutto una raccolta di Marionette della famiglia Benatti, completa di teatrini, allestimenti scenici, fondali e personaggi in scena che vanno da Don Abbondio che incontra i bravi al Faust di Goethe fino al Guerin Meschino nella grotta dei draghi. Ecco però anche Garibaldi che sbarca a Marsala, l'Aida squadernata e Cristoforo Colombo sulla Santa Maria. Poi incomincia la serie degli attrezzi, esposti lungo un bel corridoio a stucchi; e via giocattoli artigianali bellissimi, attrezzi e facsimile di polenta spianata. Letti di pannocchie. Tutte le pese e tutte le stadere. Barchini arenati in una splendida sala a colonne e decori. Deliziosi, i richiami d'anatre su bastoni, da infiggere dentro la melma; e poi ecco trappole, nasse, guàde, fiocine per la pesca di frodo e foto di bestiacce mitiche lunghe come una barca, storioni adesso introvabili. Quelli che si mangiano in memoriam in questa zona sono povere bestie buone, ma senza storia, che vengono da un allevamento di Calvisano presso Brescia. Tutti gli antichi lavori della vita sono documentati ad abundantiam: veniamo a saper tutto del cavagnìn, del cordaro, del barcaro e del mugnaio. Ecco anche la trapiantatrice di barbabietole, accanto alla ricostruzione naïve del trapianto a mano del riso, con le mondine e tutto, la terra, gli stecchi, il treno. Notevole la raccolta di carri agricoli, ce n'è uno finalmente dove il drago vince, e manda linguate di fuoco su un dannato di questi posti. Il palazzo, s'è già capito, è infinito... E così ecco anche la solita impagliata di falchi, poiane, passere mattugie, astori, ballerine bianche. Anche usignoli di fiume, poverini; e merli acquaioli, e galli cedroni. Non è mica finito. C'è la fucina del fabbro e il deschetto dello scarpolino; interessante l'angolo del fornaciaio, dove si capisce infine bene come nascono "le pietre della Padana", che sono bellissimi mattoni fatti a mano uno a uno con gli stampi di legno, qui esposti, che han dettato la forma a tutte le gelosie, a tutti i coppi, a tutte le cornici. E sempre, qua e là, Enzo Nizzoli interpone il commento dei suoi modellini didascalici naïfs.
Nell'ultimo corridoio cieco del nostro giro, dove pare che la banalità dell'iconografia popolare di massa prometta solo variazioni kitch in tema di Santi e Madonne (si salva solo un'immagine devozionale arborea) ecco finalmente il Cristo Socialista donato da Ivo Bernardelli che spiega tutto, forse anche Don Camillo e Peppone, che in questo Cristo stanno insieme, stessa radice e stessa scorza. Immagine banale da vedere, in tunica rossa e mani aperte, ma con l'esplosiva didascalia che dice testualmente "La Natura ha stabilito la comunanza dei beni. L'usurpazione ha prodotto la proprietà privata". Alcune generazioni, ormai sparite, hanno avuto questo Cristo in capo al letto, con gli effetti che si sanno. Quando arriviamo davanti a lui siamo sicuri di essere ancora proprio dentro al Mondo Piccolo" di Don Camillo e Peppone, di Guareschi e "di tutta quella fettaccia di terra, bagnata dal Po, che parte da Piacenza per arrivare all'Adriatico..."

Estratto dal volume di Ivanna Rossi "Nei dintorni di Don Camillo", BUR, Milano, maggio 1994. Potete acquistarlo presso il "Museo di Don Camillo e Peppone" a Brescello, come ho fatto io, oppure in qualsiasi libreria discretamente fornita.

A titolo di completezza, vi informo che dai primi mesi del 2000 la statua del Cristo è stata restituita ai proprietari per ripulitura e restuaro, non è pertanto più visibile al pubblico.
Inoltre un'intera ala del Museo (quella che nel testo suddetto è "l'ultimo corridoio cieco") è attualmente chiusa per restauro e consolidamento delle strutture portanti. Ciò non sminuisce di un millimetro l'importanza e la bellezza del Museo stesso, che rimane comunque opera estremamente godibile e meritevole di un'approfondita visita.

Per visitare il Museo telefonate almeno il giorno prima allo 0376-623036 per chiedere gli orari aggiornati, oppure scrivete alla Direzione del Museo .

Aggiornamento del 13/11/2000, a cura dell'Autore

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