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06.10.2007 web stats Feed RSS

La solitudine del Riformista

Il 29 gennaio 1982, sull'inserto economico del Manifesto, venne pubblicato quest’amaro intervento di Federico Caffè titolato «La solitudine del riformista». Lo segnalo, certo di riproporre un utile elemento di riflessione.

Il riformista - scriveva Caffè - è ben consapevole d'essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto dirichiamo. La derisione è giustificata, in quanto il riformista, in fondo, non fa che ritessere una tela che altri sistematicamente distrugge. E' agevole contrapporgli che, sin quando non cambi «il sistema», le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un edificio che non cessa perquesto di essere vetusto e pieno di crepe (o «contraddizioni»). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia, ossia nell'ambito di un «sistema», di cui non intende essere né l'apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell'immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce ilpoco al tutto, il realizzabile all'utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del «sistema».

TopOfBlogs Riformista è colui che sa che in politica conta quel che muove, perché nel movimento sta la dinamica della storia, ma soprattutto «chi» lo muove e, dunque, non si ritrae dal difficile esercizio del governo - Vittorio Foa

Il riformista è anche consapevole che alla derisione di chi lo considera un impenitente tappabuchi (o, per cambiare immagine, uno che pesta l'acqua nel mortaio), si aggiunge lo scherno di chi pensa che ci sia ben poco da riformare, né ora né mai, in quanto a tutto provvede l'operare spontaneo del mercato, posto che lo si lasci agire senza inutili intralci: anche di preteso intento riformistico. Essendo generalmente uomo di buone letture, il riformista conosce perfettamente quali lontane radici abbia l'ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano migliorare le cose.

Persino Quintino Sella, allorché propose al Parlamento italiano l'istituzione delle Casse di risparmio postali, incontrò l'opposizione di chi ritenne il provvedimento come pregiudizievole alla libera iniziativa di consapevoli cittadini che, per capacità proprie, avrebbero continuato a dar vita a un movimento associazionistico nel campo del credito. Venne obiettato al Sella che «vi sono due modidi amare la libertà; (...) Vi è il modo nostro; amarla di vero affetto, per sé, per il bene che genera epermette ai nostri concittadini, considerarla, studiarla, renderla quanto più si possa benefica; (...) Vi è poi un altro modo; e consiste nel professare a parole un amore sviscerato verso la libertà, e domandarle un abbraccio per poterla comodamente strozzare».

Più che essere colpito dagli strali del retoricume neoliberista (sempre dello stesso stampo), il riformista avverte con maggiore malinconia le reprimende di chi gli rimprovera l'incapacità di fuoriuscire dal «sistema». Egli è tuttavia, troppo abituato alla incomprensione, quali che ne siano le matrici, per poter rinunciare a quella che è la sua vocazione intellettuale. In questa non rientra, per naturale contraddizione, il fatto di dover occuparsi di palingenesi immaginarie.

Sollecitato in vari modi a farlo, il riformista ha finito col rendersi conto che si pretendeva da lui qualcosa di simile a quello che si chiede a un pappagallo tenuto in gabbia, dal quale, con la guida di una bacchetta, sicerca di ottenere che scelga, con il suo becco, uno dei variopinti manifestini che si trovano in un apposito ripiano della gabbia.

Spaventato da questa implicita trasformazione in intellettuale pappagallesco, il riformista si rincuora prendendo un libro che gli è caro e rileggendone alcune righe famose: «Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti è assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle idee. Non però immediatamente.(...) giacché nel campo della filosofia economica e politica non vi sono molti sui quali le nuove teorie fanno presa prima che abbiano venticinque o trent'anni di età, cosicché le idee che funzionari di Stato e uomini politici e perfino gli agitatori applicano agli avvenimenti correnti non è probabile che siano le più recenti. Ma presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sonopericolose sia in bene che in male».

- Di Federico Caffè


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