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29.10.2008 web stats Feed RSS
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Passaggio a Nord-est

E' un anno che mi trovo nel cosiddetto Nord-est. Tanti potrebbero essere i luoghi comuni o le frasi fatte per descrivere questa parte d'Italia. Tanti e tante quante sono le scritte innumerevoli che inneggiano alla Lega sui muri che costeggiano le strade qui intorno.

Eppure, proprio qui, ho saggiato per la prima volta il lavoro in fabbrica; anzi, oserei dire che ho conosciuto, finalmente, il lavoro regolarmente retribuito. Adesso ho contributi sempre versati e ferie rimunerate. Mi sembra incredibile, vedo così riconosciuti quelli che sono, in fondo, solo miei diritti.

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Certo, questo "paradiso" dei diritti sindacali costa. Col salario copro a fatica l'affitto, mentre in fabbrica la polvere delle lavorazioni ti s'infila dappertutto. Anche le posizioni di lavoro sono spesso funamboliche. Qualcuno, sottovoce, dice persino pericolose. Infatti, ho scoperto, mio malgrado, che in fabbrica è "vietato farsi male". E' un divieto perentorio, anche se non figura in bella mostra sui tanti cartelli appesi alle pareti dell'officina. La massima più ricorrente da queste parti è la seguente: "Se ti fai male è perché sei stato gran mona".

Il mio primo giorno di lavoro un operaio marocchino si è tranciato di netto due dita alla trafilatrice. Scarsa o del tutto inesistente la solidarietà degli altri operai. Uno più anziano, senza mezze parole, disse: "è stato un mona, tutti a noi ce li mandano". Da queste parti, del resto, un marocchino o è un mona oppure è un criminale. Un capo, a sua volta, rimarcava che tanto "c'è l'Inail che paga".

I giorni passano. Tutti uguali a quelli che li hanno preceduti. Fino a quando non tocca a me "farmi male". Scivolo e finisco direttamente su dei rulli d'acciaio. Avverto un dolore fortissimo al fianco, ho difficoltà persino a respirare. Non mi hanno voluto portare all'ospedale, contro ogni norma sindacale e di più elementare buon senso. Tutti sostenevano che non era successo niente. Anche gli altri operai. A fine turno, il dolore si è fatto sempre più forte, così ho deciso di andarci da solo. Quel "niente" si è rivelato poi essere due costole incrinate. Per tutta risposta, il "padrone" (vi assicuro, da queste parti, è una parola per niente fuori moda, visto che si sentono padroni dei loro operai almeno quanto lo sono dei loro macchinari) mi ha accusato di essere stato un testardo, che la fabbrica è sicura anche perché aveva superato tutte le "verifiche" dell'ispettorato, appena qualche mese prima.

Inutile dire che, come già accaduto per il "mona" marocchino, nemmeno per il sottoscritto terrone testardo c'è stata alcuna forma di solidarietà operaia. Più volte qualcuno mi ha "consigliato" di non esagerare: "I tempi sono difficili per tutti, non ci sono sghei e non possiamo rischiare il blocco".

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Comunque, resto un privilegiato. Uno di quelli che, almeno sulla carta, è coperto da quei diritti e da quelle tutele che il mio status di "subordinato con contratto a tempo indeterminato" mi concede. Il mio collega marocchino, quello che ci ha rimesso le due dita, era invece un "precario", uno che con due dita in meno non può più rendere come prima. Appena gli è scaduto il contratto, infatti, è stato licenziato. - Cordiali saluti.

* Questo è il testo di una lettera, tratta da un periodico locale con cui ho collaborato fino a qualche tempo fa, inviata da un giovane lavoratore meridionale "emigrato" nel trevigiano. Credo sia un utile spunto per tante riflessioni. Dalle condizioni di lavoro nella fabbrica di oggi - condizioni, mi sembra di capire, ancora troppo simili a quelle della fabbrica di ieri - , alle stesse relazioni sindacali fino ai risvolti politici, sociali e persino culturali che, a tanti chilometri di distanza, mi appaiono davvero di difficile comprensione.


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Ci sono 8 commenti all'articolo

XXX scrive: E poi ci chiediamo...

perche', da quelle parti, gli operai hanno mollato la sinistra, per votare lega.

giovanni scrive: io credo che...

ci sia molto di vero in questa lettera. C'e' oggi una sorta di pensiero unico dominante che copre tutto e tutti come una pesante cappa, che considera ormai una perdita di tempo e di denaro qualsiasi rivendicazione sindacale. La stessa sicurezza sul posto di lavoro e' vista come una perdita di tempo, una formalita' burocratica costosa che bisogna aggirare. Basta vedere il quotidiano bollettino di morti sul lavoro che ci riportano i telegiornali.

ex emigrante... scrive: Leggere quersto post

mi riporta alla mente tanti ricordi, un tumulto di emozioni ed esperienze. Io ho lavorato nell' alta padovana, una cosa mi sento di asserire con obiettiva sincerità. Integrarsi vel Veneto è la cosa più difficile che possa fare in cittadino del sud. Brave persone, vita civile ma tanto indifferenti e distaccate. Ora che sono tornato al sud, nella mia città, posso asserire che anche qui, come ''sopra'', non c' è solidarietà tra lavoratori.

davide (fu emigrante) scrive: Oggi assistiamo ad un lento declino dei diritti sindacali.

Da una parte Brunetta mette sotto assedio i fannulloni nella pubblica amministrazione. Pero' dall' altra parte non vogliamo vedere le miriadi di contratti di lavoro che non contemplano piu' il diritto al rispetto del contratto nazionale. Semplicemente perche' sono contratti a scadenza. Pensate che il contratto di apprendistato dura 4 anni, l'INPS versa i contribbuti al lavoratore, sgravando le aziende e dopo tale periodo il datore di lavoro puo' scaricare il lavoratore (solo il 25% degli assunti con tale contratto, mentre da tre anni non si rinnova il ccnl del commercio e servizi perche' la confcommercio chiede di poter licenziare il 75% dei lavoratori). Immaginate in un supermercato ci vogliono 4 anni per imparare a sistemare gli scaffali? O per usare una cassa? Secondo voi il neo assunto viene affiancato almeno per una settimana? No. Eppure lo stato offre cosi' tanto alle aziende. Tali contratti vengono ormai usati in tutte le strutture dello stato. Così la legge 300/70 (Lo Statuto dei lavoratori) è stata abilmente scavalcata, mentre tutti guardano ai ''fannulloni immaginari'' di Brunetta, la realta e' tutt'altra cosa.

Tess scrive: Che amarezza leggere questa lettera.

Che amarezza pensare che ci sono posti in cui il lavoro, la vita sul lavoro non viene tutelata da nessuno e non sono nemmeno pochi. Il nordest come il nordovest sono pieni di pma che funzionano tutte allo stesso modo. Mi ha fatto tornare in mente un discorso di pochi giorni fa sul tetto in amianto dello stabilimento Candy a Brugherio.

corsaro rosso scrive: Post interessante

che offre, effettivamente, molti spunti di riflessione. La realta' del nord-est e', storicamente, differente rispetto a quella del nord-ovest. Se nel NO si e' sviluppata la ''classica'' fabbrica di stampo fordista con molti lavoratori, nel NE, invece, il modello tipico e' stata la ''fabbrichetta'' con 5-6 lavoratori con lavorazione a bassa scala di integrazione. Talvolta, con punte di eccellenza qualitativa, molto piu' spesso, pero', con produzioni protoindustriali che, restavano competitive fin quando si e' potuto svalutare la lira e bloccare le produzioni a basso costo del sud-est asiatico. Questo tipo di produzione, di fatto, ha impedito la crescita ''culturale'' e ''politica'' del proletariato operaio. Storicamente, da quelle parti, il movimento operaio e' stato su posizioni di retroguardia e, comunque, non ha sviluppato alcuna ''coscienza di classe''. Ne' il Pci, ne' il Psi hanno mai sfondato nel NE (fatta eccezione nelle realta' produttive ''pesanti'' piu' sviluppate, come nel veneziano con la cantieristica navale o la chimica p.e.) contrariamente al NO dove, invece, avevano - fino a non molti anni fa - lo zoccolo duro. Il NE, quindi, per diversi anni e' stato, comunque la si pensi, un sicuro punto di riferimento, se non proprio la locomotiva economica narrata dalle leggende leghiste. Oggi, pero', con l'aria di crisi che tira per il mondo, rischia di essere una vera e propria zavorra magari ''assistita'', al di la del vuoto slogan del federalismo leghista.

Tess scrive: Guarda Corsaro che

ormai le grosse realtà industriali sono quasi interamente scomparse nel NO. La Lombardia a parte qualche eccellenza e' piena di fabbrichette. La Candy, per esempio, che pure rappresenta un brand nel campo dell' industria italiana ha per la maggior parte lavoratori precari ed extracomunitari.

corsaro rosso scrive: @Tess

D'accordo, infatti oggi viviamo quella fase che i sociologi e gli economisti chiamano ''post fordista''. Oggi Milano che pure fu la patria del riformismo italiano (dai tempi di Filippo Turati) e' la capitale del berlusconismo o, peggio ancora, di quello che alcuni chiamano il forza-leghismo. Se, pero', quando le cose andavano bene (a livello economico) si poteva dare la colpa alla burocrazia, al centralismo romano ed ai ''mille lacci e lacciuoli'' messi dalla sinistra al governo dei vari Prodi, Visco&Co... oggi con questa crisi globale, proprio il ''forza-leghismo'' mostra tutti i suoi limiti e tutta la sua futilita' ideologica (perche' e' pur sempre una ideologia). Infatti scimmiotta lo statalismo piu' becero. Resta, tuttavia, da capire come la sinistra, questa sinistra, il Pd tanto per intenderci... sapra' ricavarne un vantaggio tangibile e proporsi come valida alternativa.

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