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04.05.2009 web stats Feed RSS
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Ottimismo 2.0--

Nel "Bel Paese" anche i giovani più brillanti devono aspettare per potersi affermare professionalmente. Si allungano i tempi necessari per avere un lavoro stabile, per non parlare della carriera. Anche i migliori talenti faticano ad uscire da questa spirale e a guadagnare l’indipendenza economica. A tradurre in numeri l'esperienza di tutti i giorni è "Urg! Urge ricambio generazionale", una ricerca curata dal Cnel, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, e dal Forum nazionale dei giovani.

L'Italia è sempre stato un Paese a bassa mobilità, dove solo il 3% dei figli degli operai riesce a salire qualche gradino della scala sociale. È diventato sempre più difficile trovare il primo lavoro, anche se precario, anche se sottopagato. Nel 2005, ad un anno dalla laurea, aveva trovato un lavoro più della metà dei giovani italiani, il 56,9%. Nel 2006 si è scesi al 53 per cento, nel 2007 al 47%. E con l’attuale crisi è difficile aspettarsi un’inversione di trend. Tuttavia, non è solo un problema di lavoro precario: anche chi ha trovato un posto fisso fatica sempre di più a fare carriera. Nel 1997 i dirigenti con meno di 35 anni erano il 9,7% del totale, mentre dieci anni dopo siamo scesi al 6,9 per cento. Stessa tendenza per il livello intermedio dei quadri, scesi dal 17,8 al 12,3 per cento. Chi entra in azienda si deve accontentare di una lunghissima gavetta. Sempre più spesso, inoltre, i giovani hanno le stesse responsabilità e mansioni di chi, assunto 20 anni prima, ha un livello dieci volte superiore.

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Aumenta il divario fra giovani e adulti: nel 2003 il salario medio tra i 24 e i 30 anni era di 20 mila euro lordi, cioè più dell'80 per cento di quello nella fascia d'età tra i 50 e i 60 anni. Nel 2007, invece, un giovane ha avuto uno stipendio medio pari al 73,8% di un adulto. Il risultato è che la generazione nata dalla fine degli anni ‘70 all'inizio degli anni ’80 è quella dei Baby Losers. Losers cioè perdenti. Viste le premesse, non è una sorpresa se i giovani italiani sono tra i più insoddisfatti d'Europa.

Se focalizziamo poi l'attenzione al mondo delle professioni, il quadro diventa ancora più difficile. In buona parte dei casi il mestiere si trasmette per via ereditaria. Per i giovani, infatti, la professione dei genitori può essere l’unica scorciatoia per il successo. Pensiamo ad esempio ai notai, dove circa 1 su 5 ha come collega un genitore. Quasi la metà dei figli degli architetti si laurea in architettura. Una percentuale del 40% anche per avvocati, farmacisti, ingegneri e medici. Anche questo, sottolinea la ricerca, finisce per essere un ostacolo al ricambio generazionale.

Con quali risultati? In 10 anni il numero dei professionisti sotto i 35 anni è sceso dal 30 al 22%. I medici con meno di 35 anni si sono dimezzati. Si è ridotto anche il numero dei giovani avvocati: quelli iscritti all'ordine prima dei 30 anni sono passati dal 43,7 al 40,%. Per le cattedre universitarie, l'età media continua a salire: gli under 35 erano l'8,4% nel ‘97 e sono scesi al 7,4%.

E allora perché parlo di ottimismo? Beh... forse... perché... per l'agognata "realizzazione" bisogna aspettare, statistiche alla mano, almeno quarant'anni. Dopo tutto, mi restano ancora più di tre anni...

Intanto, godetevi questa canzone. Per continuare a sognare, in fondo, ci resta pur sempre (o forse solo) l'amore.


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