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Leftorium

21.01.2006 web stats Feed RSS

Riforme, riforme? Riforme!

L'Italia declina sotto il peso delle riforme non fatte. È un paese che in dieci anni - tra il 1995 e il 2005 - ha perso oltre il 30% della sua quota di commercio mondiale, mentre la Germania accresceva la sua e la Francia la confermava. Negli ultimi cinque anni, questo processo si è fatto addirittura più intenso, Non c'è dunque da stupirsi se - in questo contesto - la crescita del PIL italiano nel 2004 e nel 2005 è stata la più bassa d'Europa.

Un riformismo che non si limiti a "regolare il traffico" ma che indirizzi le politiche nella direzione di una maggiore concorrenza contro le innumerevoli rendite ancora presenti

La popolazione italiana invecchia ad un ritmo superiore a quello medio della "vecchia" Europa. La mobilità sociale è praticamente nulla, poiché né la scuola, né lo stato sociale riescono a garantire condizioni di partenza meno dispari a quanti nascono nelle famiglie più povere e con titolo di studio più basso. Il mercato delle libere professioni è sempre meno accessibile ai giovani laureati. La parte più significativa delle grandi famiglie del capitalismo italiano sposta il proprio impegno in settori protetti, che garantiscono loro profitti in condizioni di sostanziale monopolio. La potenza di un'economia finanziaria libera da ogni vincolo, rende impotenti i vecchi poteri democratici che garantivano, a livello statale, i diritti sociali e di cittadinanza.

Qui sta il cuore della crisi del nostro tempo e quindi dell'azione di un moderno riformismo. Un riformismo che non si limiti a "regolare il traffico" ma che indirizzi le politiche nella direzione di una maggiore concorrenza contro le innumerevoli rendite ancora presenti. Un riformismo che parli in primo luogo a chi è rimasto fuori o ai margini di questa fase di sviluppo, ma anche a chi vive una condizione di maggiore vulnerabilità o anche a chi si considera "incluso" ma sente che questo modello alimenta paure e incertezze.

Solo una coraggiosa strategia di riforme è in grado di utilizzare le grandi energie che il Paese possiede e che sono oggi deluse ed inutilizzate: in primo luogo quelle giovani e quei giovani, specie del Sud, che non vogliono organizzare il loro futuro sulla pensione dei loro genitori; il dinamismo di quelle imprese e dei distretti industriali, che competono con successo nel mercato globale; l'inventiva e le capacità di milioni di lavoratori e lavoratrici; la vivacità di quella parte del mondo della ricerca e dell'università che chiede di premiare il merito. Ecco a cosa servono le riforme: a liberare queste potenzialità dalla oppressione degli interessi economici e corporativi, dall'assistenzialismo sprecone ed ingiusto che premia i furbi e punisce i deboli. Per questo, servono riforme incisive, coerenti con l'obiettivo di ottenere più crescita e più coesione sociale. Due obiettivi che sono l'uno condizione dell'altro e non possono essere perseguiti separatamente. Non sono riforme indolori, né economicamente, né socialmente: se promuovono gli interessi di chi ha più meriti e più bisogni, debbono colpire, per forza, gli interessi di quanti traggono vantaggio dal mantenimento dello status-quo.

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