Mediateca comunale. Rovistando tra gli scaffali la mia attenzione è caduta su un libretto intitolato "Chiusero le porte" di Lorenzo Necci. Non sapete chi è Lorenzo Necci? Non è un autore classico, né un contemporaneo, magari uno di quelli che si scanna per un voto in più allo Strega. Necci è stato un ex "grande" manager delle Ferrovie dello Stato. Finì coinvolto, tirato in ballo dall'amicone di Antonio Di Pietro Chicco Pacini Battaglia, in quel gran romanzo italiano che prenderà poi il nome di Tangentopoli. Il libello, infatti, racconta i giorni della sua prigionia in carcere.
Chi mi conosce sa che sono uno abbastanza sensibile... diciamo pure dalla "lacrimuccia" facile. Ho pianto all'ultima puntata di "Lady Oscar" e per i ragazzi che salivano sui banchi de "L'attimo fuggente". Mi sono commosso persino per "Bambi" quando gli freddano la madre. Accadrà la stessa cosa pure per i versi di Necci? Vediamo.
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Ecco come il manager-poeta descrive la perquisizione della sua villa da parte della Guardia di finanza. "Continuano ore a cercare / a guardare, a rovistare. / Passate son le ore / Il sole tramonta, l'aria non brilla. / Ma tutto risente. / Lo stupro evidente. E' finita. / Una vita".
Vi giuro che mi sono sforzato. Niente, nemmeno una lacrima. Allora ho provato a concentrarmi più di un pomodoro pelato. Necci si è fatto quasi due mesi di carcere a La Spezia... e scrive: "Lontano dagli affetti / dagli amici diletti / dai figli protetti / dal giardino amato / per sempre violato". Eh già... Povero giardino. Cazzo, niente. Non mi commuove nemmeno un filo d'erba del giardino di Necci.
Insisto. "Ti par di volare / Ma ecco il giornale / che riporta il reale / E finisce il sognare". Sognare? E cosa? Niente. Nothing. Nada de nada. Non c'è stato verso che mi abbia fatto versare uno straccio di lacrima per questo "Leopardi" capotreno.
E così, preso quasi dallo sconforto, provo a gettare l'occhio altrove, magari qualche scaffale più in là. E cosa trovo? "L'elogio della stupidità" di Musil dal quale estraggo la seguente frase che ben si presta ad epitaffio dell'opera necciana. "C'è un solo rimedio contro tanta luminosa stupidità: la modestia". Modestia che il signor Lorenzo Necci, né dentro né fuori dal carcere, ha mai mostrato di possedere.
"Fuori passano i treni / e li sento suonare" scrive ancora il poeta di Tangentopoli. "Dodici volte al giorno / Sarà un saluto, o un invito al ritorno?".
Un invito al ritorno? Necci non ci provare!
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